Luca Birindelli, pioniere

Scritto da: Angelo Paratico
Fonte: http://www.litaliano.it/index.php?option=com_content&view=article&id=3241:luca-birindelli-pioniere&catid=43:mondo&Itemid=411

Angelo Paratico (Hong Kong) – Dieci giorni fa è morto improvvisamente Luca Birindelli, avvocato romano di 55 anni e ambasciatore onorario per l’Italia dello Stato di Singapore. Un’infarto all’alba. Era stato un pioniere in Asia stabilendo per primo degli uffici legali a Hong Kong, Singapore e a Shanghai. Molte industrie italiane che ora prosperano in Asia devono molto alla sua intrapendenza e alla sua lungimiranza.
Suo padre era stato la medaglia d’oro ammiraglio Gino Birindelli, l’eroe di Alessandria e di Gibilterra, con la V MAS poi presidente riformista del MSI. Il padre di Luca s’era spento alla veneranda eta’ di 98 anni nel 2008, ancora in possesso delle proprie facoltà mentali e in parte fisiche. Una piccola digressione storica ora, che avrebbe fatto sorridere Luca. Avevo approfittato della nostra amicizia per domandare se davvero i reduci dei MAS erano implicati nell’affondamento della corazzata Giulio Cesare, di cui Luca, come la gran parte degli Italiani, ignorava tutto. Questa nostra vecchia nave da battaglia fu ceduta alla Russia sovietica dopo la guerra, fra l’indignazione generale, assieme alla Cristoforo Colombo, Emanuele Filiberto, Artigliere, Fuciliere e ad altre unita’ di superfie e subacquee. La Giulio Cesare sprofondò a Sevastopoli il 28 ottobre 1955 dopo una fortissima esplosione che aprì una grossa falla nella chiglia. Si parlò di 1.200 chili di Tnt. Non si seppe mai cosa la causò, ma fu una tragedia umana, amplificata dalla criminale imperizia del comandate sovietico di quell’unità: 600 marinai morti. Vi sono qui tutti gli elementi per un film: vecchi reduci della X Mas e marò britannici che partono in segreto per la loro ultima missione, inventando una giustificazione per tranquillizzare le mogli. Gino Birindelli aveva scosso la testa, rispondendo che lui no c’entrava nulla, ma il suo ambiguo sorriso sembrava dire che ne sapeva di più. Anche Luca ammise che lo aveva visto molto reticente.
Luca mi aveva raccontato, con la sua calda e giocosa umanità, alcune delle sue peripezie. Di quando neolaureato in legge conobbe Enzo Ferrari. Il grande vecchio lo assunse e gli ingiunse di partire per gli Stati Uniti per rappresentarli commercialmente. Un’esperianza che lo formò, ma che soprattutto lo fece divertire moltissimo, essendo quelli gli anni d’oro per quel Paese.
Parlava in particolare del maggiore fallimento commerciale della sua vita: l’apertura di un ufficio legale nella Corea del Nord. Diceva che lo avevano costretto ad acquistare un’automobile con autista e con vari impiegati senza che gli fosse poi stata data la possibilità di trattare alcun affare. Dopo varie incomprensioni con le autorità comuniste lo chiuse senza aver transato alcun affare, neppure l’acquisto d’un francobollo.
Ultimamente s’era concentrato sul Shanghai, dove secondo lui apprezzano sempre di più i nostri prodotti e la nostra immagine. Io gli dicevo che era matto, e che doveva semmai concentrarsi su Taormina. Che Shanghai è solo un villaggio Potemkin, uno specchietto per le allodole, un Ponzi elevato al cubo, la piramide funebre di Deng Xiaoping. Litigavamo amabilmente, cercando di farci lo sgambetto a vicenda, per poi riderne e continuare a stimarci.
S’era risposato con una bella ragazza, molto più giovane di lui, che per la prima volta lo aveva reso papà d’un bel maschietto. Mancherà molto a tutti noi ferrivecchi asiatici con i suoi favoriti alla Stamford Raffles.

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