La rivolta in Bahrein, tra Iran e Arabia Saudita

Scritto da: Liisa Liimatainen
Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/la-rivolta-in-bahrein-tra-iran-e-arabia-saudita/32856

A Manama le aspettative democratiche della maggioranza sciita dello Stato insulare sono state frustrate dalla casa reale, che appartiene alla minoranza sunnita. La lezione dei correligionari sauditi e il ruolo ambiguo di Teheran.

(Carta di Laura Canali tratta da Limes 1/12 “Protocollo Iran”)

Nella piccola monarchia del Bahrein gli sciiti sono in netta maggioranza, circa il 70% della popolazione, ma hanno pochissimo potere nonostante qui, a differenza dell’Arabia Saudita, esista un parlamento eletto. La minoranza sunnita, la casa reale e, in particolare, la sua fazione conservatrice hanno gestito i tentativi di dare al Bahrein un sistema semi-parlamentare in modo tale da frustrare negli anni le speranze degli sciiti.

Infatti é prima di tutto la parte sciita della popolazione – anche se non esclusivamente – che si é rivoltata contro il governo dopo le rivoluzioni arabe iniziate in Tunisia alla fine del 2010. Gli sciiti del Bahrein, quelli della Provincia Orientale dell’Arabia Saudita e quelli dell’Iraq meridionale fanno parte storicamente della stessa popolazione di sciiti arabi, stabilitisi nella regione nei secoli immediatamente successivi alla nascita dell’Islam. Hanno storie molto diverse ma nei loro paesi vengono molto spesso considerati, senza distinzioni, come quinte colonne dell’Iran.

Nel 2006, un alto funzionario statale del Bahrein ha affermato che non ci sono dubbi su fatto che l’Iran e l’Hezbollah libanese istighino gli sciiti alla resistenza, ma è altrettanto vero che il Bahrein potrebbe risolvere il problema dando lavoro alla maggioranza sciita discriminata socialmente. La rivolta del 2011 ha dimostrato che la discriminazione continua. Gli sciiti rivendicano l’uguaglianza sociale e politica e chiedono la transizione verso una monarchia costituzionale nella quale la maggioranza abbia un peso adeguato.

Quali sono gli interessi immediati dell’Iran nell’area del Golfo, ora che si trova in una situazione di isolamento quasi totale? Secondo un docente sciita saudita, il dr. Misfir Ali Mohammad al-Kahtani (intervistato dall’autrice), Teheran non è interessata alla fine della discriminazione degli sciiti del Golfo ma vuole che l’instabilità continui, creando così problemi agli altri regimi. Data la presenza della Quinta flotta americana nell’isola, il Bahrein riveste peraltro un’importanza fondamentale.

Il professor Al-Kahtani ha fatto parte di un gruppo di accademici sauditi che, nella primavera del 2011, ha proposto una mediazione tra la maggioranza sciita del Bahrein e il governo di quel paese. Gli accademici, due sciiti e due sunniti, avrebbero voluto parlare sia con i rappresentanti sciiti sia con il governo, ma quest’ultimo ha rifiutato il dialogo.

Secondo lui l’intelligence di Manama ha le prove che, nel corso del conflitto della primavera 2011, un gruppo minoritario di sciiti del Bahrein si è recato per due giorni in Libano per discutere della situazione, si suppone, con l’Hezbollah libanese. Al suo ritorno infatti si assistette a un inasprimento degli scontri sull’isola. Per Al-Kahtani il gruppo, che ha avuto contatti con l’Iran attraverso l’ambasciata a Manama, non è il principale raggruppamento politico sciita del Bahrein – Al Wifaq – ma una delle fazioni minori.

Visto che il Bahrein ospita la Quinta flotta statinunitense, gli Ua seguono con molta attenzione gli eventi politici nell’isola. Il Bahrein é stato indispensabile sia nella guerra in Afghanistan sia in quella in Iraq. Da quell’isola gli americani sono anche in grado di controllare il traffico di Hormuz, compreso il commercio di armi e i traffici legati al terrorismo. Grazie alla Quinta flotta l’isola riveste inoltre una funzione di deterrenza nei confronti dell’Iran. Per gli Stati Uniti, il Bahrein é “un importante alleato non-Nato”, come ricorda l’esperto di Medio Oriente Kenneth Katzman nella sua relazione per il Congresso americano.

In quella relazione, egli afferma che non c’é evidenza di un intervento diretto dell’Iran in Bahrein, malgrado le accuse del re bahreinita. L’allora segretario della Difesa Gates non ha accusato Teheran di istigare gli sciiti, ma ha affermato che l’allungarsi della crisi interna le dà la possibilità di approfittarne e, forse, di distogliere gli sciiti del Bahrein dall’accettare un compromesso, spingendoli invece verso un cambio di regime. Pejman Abdolmohammadi, docente dell’Università di Genova, ricorda che l’ayatollah Ali Khamenei ha smentito che l’Iran abbia avuto alcun ruolo nelle sommesse della primavera 2011.

Teheran rappresenta una priorità anche per la politica estera del Bahrein, perché “ha dimostrato di avere l’abilità, più di altri paesi, di aggravarne i conflitti interni”. Manama percepisce l’Iran come uno Stato “che vuole ed é capace di sostenere gruppi sciiti contro il potere, anche se negli anni recenti e nella crisi attuale le prove del coinvolgimento iraniano sono limitate”.

Subito dopo la rivoluzione iraniana, ai tempi della cosiddetta esportazione della rivoluzione islamica, il Bahrein ha sostenuto che l’Iran aveva tentato di organizzare un colpo di Stato con l’appoggio del Fronte Islamico per la liberazione del Bahrein, ma il tentativo era fallito. Nel 1996 il governo aveva annunciato la cattura di un gruppo di golpisti che sosteneva fossero stati addestrati dall’Hezbollah libanese e dalla Guardia rivoluzionaria iraniana. Nello stesso anno, in Arabia Saudita c’era stato l’attentato contro i soldati americani ad Al-Khobar.

Le paure del Bahrein sono tenute vive dal sospetto che l’Iran non abbia accettato il risultato del referendum sull’indipendenza dell’isola organizzato dalle Nazioni Unite nel 1970. Ancora nel marzo 2009, l’ex-presidente del parlamento iraniano Ali Akbar Nateq Nuri, che oggi é consigliere del leader spirituale Ali Khamenei, parlava del Bahrein come della quattordicesima provincia iraniana. Dal momento che il ministero degli Affari esteri precisava subito di voler rispettare la sovranità del paese, tuttavia, questa retorica va probabilmente addebitata alla conflittualità interna tra il presidente – capo del governo – e la Guida suprema. Ma il danno era fatto.


Prima dell’arrivo delle truppe saudite, il re del Bahrein ha fatto diverse concessioni: il perdono e il ritorno dall’esilio di alcuni leader radicali; l’uscita dal governo dei ministri del Lavoro e degli Affari sociali, entrambi membri della famiglia reale. L’ammorbidimento delle posizioni governative, tuttavia, non ha prodotto alcun tipo di soluzione né ha portato al miglioramento dei rapporti con la maggioranza sciita.

Dopo le tremende violenze perpetrate dalle forze governative, molti dimostranti sciiti hanno appoggiato il partito più estremista, Al-Haq, il quale chiedeva le dimissioni della monarchia. Il partito più moderato – Al-Wifaq – e altri gruppi sembravano pronti ad accettare la creazione di una monarchia costituzionale con elezione di un primo ministro, formazione di un governo rappresentativo delle diverse parti della popolazione e reali interventi per promuovere l’occupazione della popolazione sciita. Altri piccoli gruppi che sostengono la ”linea dura” hanno invece appoggiato Al-Haq. Quando anche i gruppi moderati hanno abbandonato il negoziato, si sono avuti gli scontri più duri e il governo ha chiesto all’Arabia Saudita di mandare le proprie truppe.

Secondo Katzman, la reazione violenta contro i manifestanti e l’appello a Riyad hanno precluso al Bahrein qualsiasi possibilità di arrivare a una soluzione politica negoziata. A suo avviso, questo tipo di conflitti potrebbe allargarsi a un’area più vasta della regione del Golfo.

Gli eventi nei primi mesi di quest’anno sembrano confermare le parole del ricercatore americano. A metà gennaio il re Hamid bin Isa Al-Khalifa annuncia alcune riforme costituzionali che daranno piú potere alla parta eletta del parlamento, il Consiglio dei rappresentanti (c’é anche una parte nominata dal re, il Consiglio di consultazione o Shura, che é una struttura tradizionale). Il parlamento avrá cosí la possibilità di approvare la composizione del governo proposta dalla monarchia e il diritto di proporre la sostituzione di ministri.

L’opposizione boccia questi cambiamenti perché non consentono al parlamento di porre domande sull’attività del primo ministro e di sfiduciarlo. Il primo ministro del Bahrain, dal 1971 a oggi, é lo zio del re, principe Khalifa bin Sulman Al-Khalifa, un personaggio molto potente. L’opposizione stigmatizza anche il ruolo del Consiglio di consultazione, che limita di fatto il potere della parte eletta del parlamento. Anche se alcune riforme sono condivisibili, nell’insieme è evidente che il re non ha affrontato seriamente il problema principale, ovvero la mancanza di un assetto bilanciato del potere tra la monarchia, che rappresenta la minoranza sunnita, e la maggioranza sciita. L’opposizione chiede una piena monarchia costituzionale.

La riforma proposta dal sovrano non calma gli animi: le continue manifestazioni e i nuovi morti ne sono la prova. Nel novembre 2011, al momento della pubblicazione della relazione del Comitato internazionale di inchiesta, i morti risultavano essere 35. Ora sono almeno 50, la maggior parte vittima della violenza della polizia, ma anche cinque poliziotti hanno perso la vita negli scontri. Si assiste a una radicalizzazione dello scontro tra gli sciiti e i sunniti. Sono aumentati gli attacchi degli sciiti contro la polizia, ma anche le azioni dei sunniti contro le moschee sciite.

Anche gli osservatori esterni cominciano temere gli sviluppi della situazione in Bahrain. Un debutato tedesco esperto di Iran, Omid Nouripour, ricorda che un anno fa a Manama era in azione un movimento non-settario per la democrazia, mentre adesso il piccolo regno sta diventando un campo di battaglia nella guerra regionale tra Iran e Arabia Saudita. “La monarchia saudita sostiene la repressione statale, mentre l’Iran si comporta come il protettore degli sciiti del regno”.

Il 9 marzo una manifestazione pacifica e imponente ha dimostrato che Al-Wifaq, il principale partito d’opposizione, controlla ancora la maggioranza della popolazione sciita. Nello stesso giorno ci sono state anche manifestazioni dei sunniti, alcuni dei quali temono che il dialogo porti alla formazione di un parlamento con reale potere legislativo e, di consequenza, consenta la formazione di un governo non piú controllato dalla casa reale.

 

Messo in difficoltà dalle pressioni contrapposte, il re ha presentato il 20 marzo scorso un nuovo pacchetto di misure, una parte delle quali già in fase di realizzazione con l’obiettivo di dimostrare la volontà di riformare i sistemi di sicurezza e di giustizia, ma anche la politica sociale ed educativa e il sistema dei media.

 

Una delle decisioni più significative è quella di promuovere un organismo di inchiesta nel contesto del sistema giudiziario nazionale per definire le responsabilità di “coloro che, nel governo, hanno agito in un modo illegale o negligente causando morti, torture e maltrattamenti dei civili”. Il procuratore nazionale dovrebbe indagare su 121 casi di morte, tortura o maltrattamenti che coinvolgono 48 ufficiali. Fino ad oggi nessun responsabile delle torture che hanno causato 5 decessi é stato messo sotto inchiesta. Recentemente la Croce rossa internazionale ha potuto ispezionare le carceri ma il governo ha chiesto alle Nazioni Unite di rinviare a luglio la visita di un rappresentante per indagare sulle torture.

L’esecutivo dovrebbe creare un fondo per risarcire le vittime della violenza; una corte speciale deciderà sull’entità del risarcimento in caso di responsabilità dello Stato. Il ministero dell’interno e l’agenzia della Sicurezza nazionale dovrebbero essere ristrutturati e prevedere anche un ombudsman. Per favorire il processo di riconciliazione nazionale, il re ha annunciato che 12 moschee sciite distrutte saranno ricostruite; tutti i dipendenti pubblici licenziati nel corso della protesta rientreranno al lavoro; si richiederà ai privati di reintegrare i licenziati.

Con questi provvedimenti si sta tentando di calmare la rabbia di 1400 persone arrestate e 3600 persone licenziate, promuovendo la riconciliazione anche con un fondo sociale di 500 mila dollari, dal quale le famiglie piú bisognose potrano attingere e con il quale saranno finanziati diversi iniziative sociali. Il Comitato d’inchiesta internazionale aveva criticato nella sua relazione il fatto che l’opposizione sciita non aveva considerato seriamente le proposte fatte dal principe ereditario nel marzo 2011. Adesso, a un anno dall’inizio delle proteste una parte dell’opposizione appare intenzionata ad accettare il dialogo, ma tanti lavorano nella direzione opposta.

Il presidente di Al-Wifaq, Ali Salman, sostiene che la gente smetterà di protestare quando saranno evidenti i cambiamenti. “Non chiediamo che la famiglia reale lasci la guida del paese. Possono restare al posto loro ma devono trasferire il potere al popolo”. L’esempio é il Marocco dove “il re ascolta il suo popolo, prende provvedimenti giusti e guida il paese verso una monarchia costituzionale”. Guido Steinberg, un altro esperto tedesco, comprende la diffidenza sciita dopo le esperienze negative e le promesse non mantenute da parte del governo, ma afferma che “l’opposizione sta facendo un errore nel non favorire il dialogo adesso, perché in questo modo perde sempre di piú il contatto con i giovani che vanno ad aumentare le fila dei movimenti radicali sciiti”.

Nel comparare la situazione degli sciiti del Bahrein con quella dei loro correligionari in Arabia Saudita non si può non notare che nel secondo caso gli islamisti sciiti, pur venendo da una storia di sudditanza nei confronti dell’Iran e da un passato estremista, hanno avuto la capacità, anche dopo periodi lunghissimi di attesa senza speranza e dopo decenni di discriminazione e repressione, di trattare e scendere a compromessi con il potere quando da quest’ultimo sono arrivate proposte serie in grado di migliorare le condizioni della popolazione.

Forse gli sciiti del Bahrein potrebbero imparare qualcosa dai loro fratelli dell’Arabia Saudita, anche se bisogna ricordare che questi ultimi sono ancora lontani dall’essere trattati alla pari e che anche nella Provincia Orientale la pazienza potrebbe esaurirsi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *