Storia della Divisione Acqui e l’eccidio di cefalonia

Fonte: ANPI

L’8 settembre 1943 la Divisione Acqui che, forte di 525 ufficiali e 11.500 soldati, presidiava le isole di Cefalonia e agli ordini del generale Antonio Gandin, si trovò di fronte alla consueta alternativa: o arrendersi e cedere le armi ai tedeschi o affrontare la resistenza armata, sapendo di non poter contare su alcun aiuto esterno. Tra il 9 e l’11 settembre si svolsero estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Barge, che intanto fece affluire sull’isola nuove truppe. L’11 settembre arrivò l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a cedere le armi.
All’alba del 13 settembre batterie italiane aprirono il fuoco su due grossi pontoni da sbarco carichi di tedeschi. Barge rispose con un ulteriore ultimatum, che conteneva la promessa del rimpatrio degli italiani una volta arresi. Gandin chiese allora ai suoi uomini di pronunciarsi su tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. Tramite un referendum i soldati scelsero all’unanimità di resistere.
Il 15 settembre cominciò la battaglia che si protrasse sino al 22 settembre, con drastici interventi degli aerei Stukas che mitragliarono e bombardano le truppe italiane. I nostri soldati si difesero con coraggio, ma non ci fu scampo: la città di Argostoli distrutta, 65 ufficiali e 1.250 i soldati caduti in combattimento.
L’Acqui si dovette arrendere, la vendetta tedesca fu spietata e senza ragionevole giustificazione. Il Comando superiore tedesco ribadì che “a Cefalonia, a causa del tradimento della guarnigione, non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana, il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere immediatamente passati per le armi secondo gli ordini del Führer”.
Il 24 settembre Gandin venne fucilato alla schiena; in una scuola 600 soldati italiani con i loro ufficiali furono falciati dal tiro delle mitragliatrici; 360 ufficiali furono uccisi a gruppetti nel cortile della casetta rossa. Questi gli ordini del generale Hubert Lanz, responsabile dell’eccidio: “Gli ufficiali che hanno combattuto contro le unità tedesche sono da fucilare con l’eccezione di: 1) fascisti, 2) ufficiali di origine germanica, 3) ufficiali medici, 4) cappellani. 5) fucilazioni fuori dalla città, nessuna apertura di fosse, divieto di accesso ai soldati tedeschi e alla popolazione civile. 6) nessuna fucilazione sull’isola, portarsi al largo e affondare i corpi in punti diversi dopo averli zavorrati”.
Alla fine saranno 5.000 i soldati massacrati, 446 gli ufficiali; 3.000 superstiti, caricati su tre piroscafi con destinazione i lager tedeschi, scomparirono in mare affondati dalle mine. In tutto 9.640 caduti, la Divisione Acqui annientata.
Molti dei superstiti dell’eccidio si rifugiarono nelle asperità dell’isola e continuarono la resistenza nel ricordo dei compagni trucidati e si costituirono nel raggruppamento Banditi della Acqui, che fino all’abbandono tedesco di Cefalonia si mantenne in contatto con i partigiani greci e con la missione inglese operando azioni di sabotaggio e fornendo preziose informazioni agli alleati.

L’eccidio della divisione Acqui

Fonte: http://www.lastoriasiamonoi.rai.it/puntata.aspx?id=126

Dopo l’armistizio del 1943, i soldati italiani devono fare una scelta: combattere a fianco dei tedeschi, cedere le armi oppure resistere. Il 22 settembre 1943 la divisione Acqui è sterminata nonostante la resa dopo giorni di sanguinosi combattimenti.“A Cefalonia erano traditori”

Con questa sentenza choc la procura di Monaco ha recentemente archiviato il procedimento contro l’unico imputato della strage ancora in vita, l’ex ufficiale Otmar Mulhauser.
La sentenza ha un pesante valore politico: legittima uno dei più gravi crimini di guerra commessi dall’esercito tedesco, infangando uno degli episodi più gloriosi della nostra storia militare.

 

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Ora la procura militare di Roma ha riaperto il caso.Il mancato ritorno a casa

La storia della divisione Acqui si colloca nell’arco delle reazioni che furono provocate negli italiani dall’armistizio dell’8 settembre 1943 e dallo sfascio delle strutture militari e civili del Paese che ne seguì.
È la storia della delusione del mancato ritorno a casa, di fronte alla quale molti italiani furono costretti a prendere coscienza delle possibilità dettate dalla nuova situazione.
Così, a Cefalonia, i soldati della Acqui furono consapevoli di una scelta chiara e difficile, decisero di non cedere le armi ai tedeschi e di combattere. E di morire.

25 luglio 1943: la caduta del Fascismo

Perché un intero contingente italiano era di stanza nell’isola greca di Cefalonia?
Spezzeremo le reni alla Grecia!“. Con queste parole, il 15 luglio 1940, Benito Mussolini annunciò l’inizio della conquista della Grecia; ma di fronte ai disastri militari italiani, fu necessario l’intervento della Wermacht tedesca. Alla fine le forze dell’Asse riuscirono a conquistare Atene.
L’isola greca di Cefalonia venne presidiata dalla divisione Acqui del comandante, il generale Gandin.
Il fronte della guerra è lontano. Fino al 1943 i soldati italiani non sparano un solo colpo di arma da fuoco. Gli abitanti dell’isola imparano a conoscere un nemico dal volto umano.
Ma di lì a poco le cose sarebbero cambiate.
Il 25 luglio 1943 Benito Mussolini consegna le dimissioni e viene arrestato, a capo del governo viene nominato il maresciallo Pietro Badoglio.
L’8 settembre 1943 Badoglio legge alla radio italiana il comunicato con il quale annuncia l’armistizio con gli anglo-americani:
“Il Governo italiano, riconosciuta l’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria, nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla Nazione, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhover, comandante in capo delle forze anglo-americane alleate. La richiesta è stata accolta. Conseguentemente ogni atto di ostilità contro le forze anglo-americane deve cessare da parte delle forze italiane in ogni luogo. Esse però reagiranno ad eventuali attacchi da qualsiasi altra provenienza”.

L’isolamento della divisione Acqui

A Cefalonia non si hanno notizie fino alla sera dell’8 settembre 1943, quando arriva un primo comunicato da Atene, sede del comando misto italo-tedesco, da cui dipendono tutte le divisioni italiane in Grecia.
Il messaggio, firmato dal generale Vecchiarelli, conferma quasi alla lettera il proclama di armistizio, precisando che:
“Se tedeschi non faranno atti di violenza armata, italiani, non, dico non, rivolgeranno armi contro di loro, non, dico non, faranno causa comune con ribelli né con truppe anglo-americane che sbarcassero. Reagiranno con forza a ogni violenza armata”.
Nella serata del giorno 9, dal comando di Atene giunge un secondo comunicato del generale Vecchiarelli, dal tono disfattista e collaborazionista verso i tedeschi e palesemente in contrasto con quanto annunciato dal Governo Badoglio; a Gandin, come agli altri comandanti di divisione, infatti, viene dato l’ordine di cedere le armi collettive e di trasferire il controllo del territorio ai reparti tedeschi:
“Seguito mio ordine 02/25006 dell’8 corrente Alt. Presidi costieri devono rimanere attuali posizioni fino at cambio con reparti tedeschi non oltre però ore 10 giorno 10 Alt […]. Pertanto una volta sostituite Grandi Unità si concentreranno in zone che mi riservo fissare unitamente a modalità trasferimento Alt. Siano lasciati ai reparti tedeschi subentranti armi collettive et tutte artiglierie con relativo munizionamento Alt […]. Consegna armi collettive per tutte Forze Armate Italiane in Grecia avrà inizio at richiesta Comandi Tedeschi at partire da ore 12 di oggi. Generale Vecchiarelli”.
L’ordine chiaramente è stato dettato dai tedeschi, che in poche ore avevano assunto il controllo del comando italiano in Grecia, mentre il senso di isolamento e di solitudine di fronte alla presenza ostile dei tedeschi si diffonde tra le divisioni italiane.
Gandin si rende conto che la situazione è drammatica; tra il 9 e l’11 settembre si svolsero estenuanti trattative tra Gandin e il tenente colonnello tedesco Barge, che intanto fece affluire sull’isola nuove truppe.

L’ultimatum tedesco: l’Acqui non si arrende

L’11 settembre arrivò l’ultimatum tedesco, con l’intimazione a deporre le armi.
All’alba del 13 settembre batterie italiane aprirono il fuoco su due navi da sbarco cariche di tedeschi. Barge rispose con un ulteriore ultimatum, che conteneva la promessa del rimpatrio degli italiani una volta arresi. Gandin chiese allora ai suoi uomini di pronunciarsi su tre alternative: alleanza con i tedeschi, cessione delle armi, resistenza. In realta’ l’ordine di resistere era arrivato dal comando supremo di Brindisi; ma Gandin volle, comunque, verificare l’umore dei suoi soldati.
Il 15 settembre cominciò la battaglia che si protrasse sino al 22 settembre, con drastici interventi degli aerei Stukas che mitragliarono e bombardano le truppe italiane. I nostri soldati si difesero con coraggio, ma non ci fu scampo: la città di Argostoli distrutta, 65 ufficiali e 1.250 i soldati caduti in combattimento.
L’Acqui si dovette arrendere, la vendetta tedesca fu spietata. Il Comando superiore tedesco ribadì che “a Cefalonia, a causa del tradimento della guarnigione, non devono essere fatti prigionieri di nazionalità italiana, il generale Gandin e i suoi ufficiali responsabili devono essere immediatamente passati per le armi secondo gli ordini del Führer”.
La Wehrmacht a Cefalonia non fara’ prigionieri.
Il 24 settembre Gandin venne fucilato alla schiena; migliaia di soldati italiani con i loro ufficiali furono sterminati dal tiro delle mitragliatrici.
L’impresa della divisione Acqui era giunta al suo epilogo.
Fu il primo atto della resitenza?

(Foto: http://news.cinecitta.com/)

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