Diaz – Non lavate questo sangue

Fonte: http://www.marcomessina.it/2012/04/diaz-non-lavate-questo-sangue/#more-4695

Nel luglio 2001, i rappresentanti delle otto più grandi potenze industriali al mondo si riunirono a Genova in un summit che divenne occasione per 300 mila dimostranti di ogni nazionalità di esternare il proprio dissenso nei confronti di un politica contraria ai diritti ed al benessere dell’uomo. Fiumane di persone si riversarono nelle strade della città ligure al grido di “Un altro mondo è possibile”: studenti, attivisti, giornalisti, rappresentanti di associazioni, tutti uniti dal comune obiettivo di riportare l’etica al centro delle politiche globali. I cortei erano civili, pacifici. Tutto filava liscio fino a quando un gruppo di devastatori incappucciati prese a frantumare vetrine, incendiare auto in sosta, rovesciare cassonetti. Indisturbati. Fino a quando la polizia schierata in assetto antisommossa, decise che poteva bastare ed era arrivato il momento di contrattaccare. Da quel momento le strade di Genova si trasformarono in un campo di battaglia, che vedeva da una parte la Polizia di Stato, dall’altra tutti i manifestanti, violenti e non. Fu una carneficina: un morto e decine di feriti, perlopiù dimostranti inermi trovatisi incolpevolmente al centro delle cariche della polizia.

Fu in questo contesto che, la sera di sabato 21 luglio 2001, una squadra di poliziotti con caschi protettivi e tonfa irruppero nella scuola Diaz dove in quel momento decine di manifestanti e giornalisti accreditati avevano trovato riparo per la notte prima di lasciare Genova l’indomani. Il resto è storia, come a volte si dice. “Sembrava una macelleria messicana”, dichiarò il vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma Michelangelo Fournier. “La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, la definì Amnesty International.

Diaz è una lucida e fredda ricostruzione dell’assalto della Celere alla scuola genovese nei giorni del G8. Caratterizzato da un taglio documentaristico, forse mutuato da Carlo Bachsmidth, autore del docu-film Black Block presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 2011 e collaboratore di Daniele Vicari nella realizzazione del film, Diaz è una sequenza di immagini: le mani alzate in segno di resa, gli occhi sgranati dal terrore, e poi le manganellate, le ossa che si rompono, gli insulti, il sangue, le grida. Nessuno sfuggì alla furia di quei criminali in divisa. “Questo è l’ultimo G8 che fate”, minacciavano i picchiatori di stato, i quali- non sazi della violenza della Diaz – condussero alla caserma di Bolzaneto i presunti teppisti che ancora si reggevano in piedi dopo le percosse subite per far loro proseguire l’incubo con umiliazioni e pressioni psicologiche di ogni tipo al termine di una delle pagine più nere della storia recente del nostro paese.

Diaz è un pugno allo stomaco di chi lo guarda e una coltellata nelle coscienze di coloro i quali presero parte, direttamente e indirettamente, ai fatti che hanno trasformato, sia pure per una notte, una democrazia nel cuore del “mondo libero” occidentale in una dittatura militare sud-americana degli anni ’70.

I processi che seguirono gli eventi di Genova portarono all’archiviazione di tutte le accuse contro le vittime del massacro della Diaz, mentre gli agenti responsabili del pestaggio e i loro mandanti attendono senza alcuna sospensione preventiva dal servizio ancora il giudizio di terzo grado dopo che la Corte d’Appello ha emesso 44 condanne per i fatti di Bolzaneto.

I poliziotti che brutalizzarono senza motivo decine di ragazzi disarmati sono quindi oggi ancora in servizio. E non parliamo di un criminale isolato che ha usufruito dell’indulto, ma di decine di tutori dell’ordine pagati dallo Stato che non hanno esitato a spaccare la testa a ragazzi terrorizzati spesso poco più che maggiorenni. Questo dovrebbe far riflettere quando commentiamo notizie come la morte di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva o Federico Aldrovandi, giovani vite stroncate in caserma dalla mano pesante di agenti più inclini al crimine che alla sua prevenzione.

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