Si combatte in Mali, ma il vero obiettivo francese è Algeri

Fonte: http://www.libreidee.org/2013/01/si-combatte-in-mali-ma-il-vero-obiettivo-francese-e-algeri/

François-Hollande

L’appetito vien mangiando, dice il proverbio. Così, una volta «ricolonizzate» la Costa d’Avorio e la Libia, e «dopo aver tentato di accaparrarsi anche la Siria», la Francia «mira di nuovo al Mali per attaccare di spalle l’Algeria». Lo sostiene l’inviato speciale francese Thierry Meyssan, da anni in prima linea sui fronti caldi del Mediterraneo: è l’Algeria, dice Meyssan, il vero obiettivo dell’attivismo militare francese nel Mali, che resta peraltro un paese-chiave per il futuro energetico europeo: si diramano infatti nel sottosuolo maliano gli immensi giacimenti algerini di petrolio e gas, lungo frontiere di sabbia oltre le quali il Niger custodisce l’enorme riserva di uranio che alimenta le centrali nucleari della Francia. Naturalmente, per far intervenire l’esercito, la Francia ha avuto bisogno di utilizzare, sul campo, le solite pedine: i jihadisti di Al-Qaeda, reclutati dall’intelligence parigina.

Già durante l’attacco alla Libia, ricorda Meyssan in un servizio realizzato per diverse testate giornalistiche, i francesi e i britannici hanno fatto ampio uso degli islamisti per combattere il potere di Tripoli. Dopo la caduta di Gheddafi, Meyssan racconta di esser stato personalmente testimone di un episodio illuminante: all’hotel Corinthia, messo in sicurezza da un commando inglese giunto appositamente dall’Iraq, il Cnt libico, cioè il Consiglio Nazionale di Transizione, ha ricevuto in quella occasione i dirigenti dell’Aqmi (“Al-Qaeda nel Maghreb Islamico”), cioè i “terroristi” contro cui dichiara oggi di combattere la Francia. «Era evidente che il successivo obiettivo del colonialismo occidentale sarebbe stata l’Algeria, e che Aqmi vi avrebbe giocato un ruolo». Parigi, scrive oggi Meyssan, ha concepito uno scenario in cui la guerra penetra in Algeria attraverso il Mali.

«Poco prima della presa di Tripoli da parte della Nato – rivela il giornalista – i francesi riuscirono a corrompere e riguadagnare gruppi tuareg: ebbero il tempo di finanziarli abbondantemente e di armarli, ma era già troppo tardi perché potessero giocare un ruolo sul terreno». Una volta finita la guerra, i tuareg fecero ritorno al loro deserto, tra il Sahara centrale e i margini del Sahel, ossia un grande spazio comune tra Libia e Algeria, Mali e Niger. Tradizionalmente protetti da libici e algerini, i tuareg sono stati “abbandonati” dagli altri due paesi: per questo, sin dagli anni ‘60, non hanno mai smesso di mettere in discussione la sovranità del Mali e del Niger sulle loro terre. «Assai logicamente», dunque, i gruppi armati dalla Francia «decisero di utilizzare le loro armi per finalizzare le loro rivendicazioni in Mali», destabilizzando il paese e creando il disordine “necessario” al successivo intervento militare francese.

Così, il movimento liberazione dell’Azawad ha preso il potere in quasi tutto il Mali settentrionale, mentre un piccolo gruppo di islamisti tuareg, Ansar Dine, legato ad Aqmi, ne ha approfittato per imporre la sharìa in alcune località. Ad accentuare il caos, lo strano golpe del marzo 2012: un gruppo di militari ha rovesciato il presidente Amadou Toumani Touré, dichiarando di voler riprendere il controllo del nord del paese. Il comitato golpista, «composto da ufficiali addestratisi negli Stati Uniti», ha impedito lo svolgimento delle elezioni e ceduto il potere a un uomo di Parigi, Dioncounda Traoré. «Questo gioco di prestigio è legalizzato dal Cedeao», l’alleanza politico-militare dell’Africa occidentale, «il cui presidente è nientemeno che Alassane Ouattara, messo al potere un anno prima dall’esercito francese in Costa d’Avorio». Il maldestro golpe filo-francese, continua Meyssan, ha però accentuato la divisione del paese, disgregando anche l’esercito: le unità d’élite dell’esercito maliano, addestrate negli Usa, si sono unite alla ribellione, sotto il comando dei tuareg. Così, l’avanzata dei “ribelli” verso sud ha dato il pretesto al presidente-fantoccio Dioncounda Traoré per decretare lo stato d’emergenza e chiedere l’“aiuto fraterno” della Francia.

Il resto è cronaca: Parigi è intervenuta tempestivamente per impedire la presa della capitale, Bamako, grazie ai paracadutisti già parcheggiati in Mali, in attesa del momento buono. Difficile che l’offensiva dei “ribelli” potesse davvero minacciare la capitale, osserva Meyssan, dato che ad attaccare le periferie di Bamako – nelle formazioni di Ansar Dine – sono stati i nazionalisti tuareg, non interessati a conquistare il sud del Mali. Per far apparire politicamente accettabile il suo intervento armato, la Francia ha chiesto aiuto a molti Stati, tra cui l’Algeria, tendendo così una trappola agli algerini: «Accettare di cooperare con l’ex potenza coloniale o assumere il rischio di un riflusso degli islamisti sul proprio territorio». Dopo qualche esitazione, Algeri ha accettato di aprire il suo spazio aereo al transito francese. Ma, poco dopo, un gruppo islamista non identificato ha attaccato il grande impianto metanifero di In Amenas, della British Petroleum, nel sud dell’Algeria: il commando ha accusato Algeri di complicità con Parigi nella questione del Mali. Pesante il bilancio di sangue del blitz delle forze speciali algerine. L’obiettivo dell’azione dei terroristi? «Internazionalizzare il conflitto, portandolo in Algeria».

«La tecnica di ingerenza francese – scrive Meyssan – è una riedizione di quella adottata dall’amministrazione Bush: utilizzare gruppi islamisti per creare dei conflitti e poi intervenire e installarsi sul posto con il pretesto di risolvere quegli stessi conflitti. È per questo – continua il giornalista – che la retorica di François Hollande ricalca quella della “guerra al terrorismo”, malgrado sia stata abbandonata da Washington». Un copione invariabile, nel quale si ritrovano i protagonisti di sempre: «Il Qatar ha acquisito azioni di grandi società francesi installatesi in Mali, e l’emiro d’Ansar Dine è vicino all’Arabia Saudita». Il presidente Hollande? Un «piromane-pompiere», che veste anche i panni dell’apprendista stregone. La Francia ha deciso di rafforzare il suo dispositivo anti-terrorismo: «Parigi non teme tanto un’azione degli islamisti del Mali sul suolo francese, quanto il riflusso degli jihadisti dalla Siria». E ne ha ben donde, osserva Meyssan, visto che proprio la Dcri, l’intelligence francese, ha reclutato giovani musulmani francesi per combattere in Siria nei ranghi dell’Esl, il cosiddetto “Esercito siriano libero”. Ora, di fronte alla disfatta dell’Esl in Siria, «questi jihadisti stanno attualmente tornando al loro paese d’origine, dove potrebbero essere tentati, per solidarietà con Ansar Dine, di utilizzare le tecniche terroristiche che sono state loro insegnate in Siria».

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