Inferno Guantanamo

Fonte: http://www.articolotre.com/2013/05/inferno-guantanamo/172683

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-G.C.- 24 maggio 2013-Torna a parlarne, Barack Obama. Come se questo potesse in qualche modo metterlo al riparo dall’opionione pubblica mondiale.
Gli scioperi della fame a Guantanamo stanno diventando sempre più un’emergenza, la decisione dei detenuti di rifiutare il cibo ha dato un forte scossone a coloro che, pur sapendo sel carcere di massima sicurezza sito sull’isola di Cuba, chiudevano gli occhi e fingevano di non vedere.

Detenuti, nella stragrande maggioranza, innocenti. Portati dietro le sbarre per “precauzione”, perchè “sospettati di terrorismo” e mai processati, tanto meno condannati. Rinchiusi in condizioni disumane, costretti a subire angherie e torture indicibili, attuate per estorcere confessioni.

Guantanamo, battezzato The battle lab, il laboratorio della guerra, è un luogo infimo, per i reclusi è l’inferno. Qui, come spiegarono già anni fa il generale Mike Dunlean ed il maggiore Geoffry Miller, i detenuti vengono sottoposti “ad esperimenti umani e psicologici”.

Tenuti svegli per giorni, appesi ai soffitti, picchiati, maltrattati e umiliati. Coloro che sono rinchiusi del carcere di massima sicurezza, patiscono le pene dell’inferno, e vengono spesso e volentieri drogati con la meflochina, un farmaco utilizzato nella cura della malaria ma che ha effetti devastanti sulla psicologia dell’individuo. Istiga al suicidio, provoca allucinazioni, depressione, attacchi di panico. Non furono rari i casi in cui, a seguito di una somministrazione superiore alla norma, del farmaco, si verificarono suicidi.

In un documento del dipartimento di Difesa degli Usa, lo Standard Inprocessing Orders For Detainees, il dottor Remington, medico del dipartimento di stato, spiegò: “Tutti detenuti che arrivarono a Guantanamo nel Gennaio 2002 ricevettero un dosaggio della meflochina pari a 1,250mg, 5 volte superiore al dosaggio previsto nei casi di trattamento.” Questa medicina, inoltre, “viene somministrata senza tener conto del quadro  medico pregresso del paziente e cioè se sia affetto già da depressione, malattie varie,o problemi psichici,con il rischio che il farmaco vada a peggiorare le condizioni del soggetto, sicuramente i prigionieri sotto effetto della medicina hanno una visione distorta della realtà e possono prestarsi più facilmente a confessioni.”

Sebbene, poi, gli Usa spiegarono che utilizzarono il farmaco a scopo preventivo, quando ci furono veramente casi di malaria all’interno del carcere – è il caso dei prigionieri di Haiti tra il 1991 e il 1992, quando 235 persone su 14000 ne erano affette- la meflochina non fu somministrata a tutti.

Gli appunti dello psicologo Bruce Jessen, invece, a servizio della Cia presso Guantanamo, parlano delle sevizie a cui i prigionieri venivano sottoposti sotto il governo di Bush. Una tesi che, seppur smentita dalle alte cariche dello stato, trovava conferma in un rapporto ufficiale fornito dalla commissione d’inchiesta del senato, all’interno del quale si potevano trovare elencati i diversi metodi di estorsione di confessioni: “Il programma di tortura prevede che i prigionieri vengano buttati a terra, calpestati, accecati con la luce artificiale e  trattati come bestie”. Lo stesso documento riporta anche le “istruzioni” per gli aguzzini: “la tortura federale stabilisce che la pena inflitta debba essere pari a quella che si prova quando un individuo è seriamente ferito, ha un’emorragia interna o sta per morire. Bisogna torturarli fino alla morte, la tortura psicologica deve durare anni ed essere lenta”.

Questa è Guantanamo, questa è la prigione che il presidente democratico Obama ha promesso di chiudere il giorno in cui venne eletto. Il premio Nobel per la pace che, nonostante tutto, il carcere lo tiene ancora aperto. Nonostante ora torni a porre le mani avanti e ribadisca il suo desiderio, annunciando, ancora, il trasferimento dei detenuti. Ma è impossibile non domandarsi se la sua non sia realmente soltanto una manovra per pararsi dalle critiche e dagli attacchi che il mondo intero gli sta muovendo, dopo le proteste interne al carcere.

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