UN NUOVO GIACIMENTO E UN NUOVO PIPELINE COMPLICANO IL GIOCO MESOPOTAMICO

Scritto da: Luca Tribertico
Fonte: http://corrieredellacollera.com

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Il ministro iraniano Mohammad Aliabadi e i colleghi iracheno Abdelkarim al-Luaybi e siriano Sufian Allaw si sono incontrati lunedì 22 luglio al porto di Assalouyeh. Siamo nella zona economica speciale Farsi dell’Iran, provincia di Bushehr, golfo Persico del sud. Chi si tuffa in quella zona non nuota soltanto in acqua salata. Nuota in acqua gasata. E nuota nell’oro.
I tre ministri hanno firmato un protocollo d’intesa per la costruzione di una grande pipeline per il trasporto di gas naturale.

 

Estratto dal South Pars Field – che con i suoi 9.700 chilometri quadrati risulta il maggiore giacimento di questo tipo nel mondo -, in comunione tra Iran e Qatar, il gas dovrebbe essere intubato proprio a Assalouyeh. Per attraversare Iran, Iraq e Siria. Un aggiornamento del progetto potrebbe prevedere diramazioni in Libano e Giordania.
Il problema però è che, percorsi 6.000 chilometri in superficie, i tubi potrebbero scomparire sotto il mare per riemergere poi in Grecia.

E dalla Grecia rendere disponibile gas naturale iraniano a basso costo a tutti gli stati europei che volessero acquistarlo.

Il programma è di definire gli aspetti tecnici, finanziari e legali per la fine di quest’anno. In questa rosea ipotesi il metanodotto potrebbe essere inaugurato nel 2018.
Per non allarmare troppo i concorrenti, si dichiara che il metano resterà una questione tra musulmani, fornendo energia agli stati interessati alla costruzione del ramo principale e delle due eventuali diramazioni secondarie.

Però i livelli massimi attesi di consumo di gas per l’Iraq sono oggi di circa 10/15 milioni di metri cubi al giorno, per la Siria di 15/20 milioni, per il Libano di 5/7 milioni, mentre alla Giordania basta poca roba.
Il nuovo metanodotto sarebbe invece progettato per pompare 110 milioni di metri cubi al giorno.
Delle due l’una: o è un’opera sovradimensionta, oppure mancano all’appello una sessantina di metri cubi.
Che potrebbero attraversare il Mediterraneo e sbucare in Grecia. Poi in Italia. Andando quindi a rifornire i Paesi europei.

Se questo fosse l’intento o comunque l’effetto, però, il metanodotto potrebbe ridurre drasticamente il giro di affari in Europa del Qatar e della Turchia, tagliati fuori l’una dall’attuale alto tasso di rendita del giacimento condiviso oggi soltanto virtualmente con l’Iran, l’altra dai canoni e dalle prerogative collegate all’attraversamento dei tubi.

La notizia è amara soprattutto per la Turchia, che non ha giacimenti degni di nota ma che sogna di diventare il corriere privilegiato dei transiti energetici tra est e ovest.

Da quando sono trapelate notizie sul progetto del metanodotto, le manifestazioni del movimento democratico siriano sono degenerate in conflitto armato. Dai cartelloni ai mortai, dagli slogan ai missili terra-aria.

Conflitto armato da chi? Guarda caso – in primis da Qatar e Turchia. Non invitate, le compagnie petrolifere di Regno unito, Paesi bassi e Francia non sono state però certo a guardare. Quelle di Russia e U.S. esercitano da tre anni pressioni continue sui loro governi, che tergiversano, per nulla inclini a una prospettiva di scontro tra superpotenze.

I fabbricanti d’armi e di servizi bellici si sono sfregati le mani, ripetendosi con il sorriso: dum pendet rendet.

La Siria e il Libano si trovano inoltre a essere baciati dalla (s)fortuna di condividere con Israele e Cipro concessioni di sfruttamento del vasto giacimento di gas naturale noto col nome di Levante, che arriverebbe in Europa al netto dei costi di un percorso di migliaia di chilometri – come quelli che originano nel Mar Caspio o nel Golfo Persico – e che, pertanto, sarebbe in grado di cambiare la geografia economica tanto di Qatar e Iran (in peggio) quanto di Israele, Siria e Libano (trasformandoli in potenze economiche).

In questo senso è difficile contraddire la propaganda bellica, quando afferma che la Siria potrebbe usare il gas come un arma chimica di distruzione di massa. Non il Sarin: il metano. Non delle persone: degli oligopolisti del mercato.

In un regime di libero mercato, che è quel sistema di distribuzione del valore estratto da chi lo produce teorizzato e invocato da tutti coloro che sono in grado di abusarne e attuato esclusivamente da chi può soltanto subirlo, è prevedibile che l’oligarchia che attualmente gode di rendite di posizione lotterà con tutti i mezzi e alternando ogni schieramento utile.

Il grande cartello gode già di diversi privilegi, non sappiamo quanto regalati o venduti da politici e funzionari statali: un embargo sull’esportazione di combustibile dall’Iran, la tenuta sotto scacco o minaccia militare dei governi di Iran, Iraq, Siria, Libano, Giordania.

David Shedd, vice direttore della U.S. Defence Intelligence Agency, ha pronosticato che la guerra in Siria potrebbe durare anni. A bassa intensità, senza dissanguare gli stati in armamenti e senza trascinarli in un confronto diretto. Ciò basta per accontentare superpotenze, commercianti d’armi, oligopolisti del mercato dell’energia. E se cessasse in Siria, dovrebbe infiammare in Iraq o deflagrare in Iran. Libano e Giordania a ruota. Grecia e Cipro sono già in stato di semi cattività. Ma in fondo, se si trova un equilibrio, basta bloccare un solo tratto del tubo per arrestare tutto il progetto.

E l’Europa? Già, l’Europa. Come in ogni occasione del genere, dimostra la sua pochezza sulle questioni cruciali: energia e difesa.
Gli stati vanno in ordine sparso. Gli uni contro gli altri. L’Italia brilla per inerzia. Anche se con la Saipem, dell’ENI, avrebbe tutto l’interesse a mettere in campo la candidatura dei migliori ingegneri e tecnici al mondo per la progettazione e costruzione del nuovo metanodotto.

L’unico interesse comune europeo, quello di avere approvvigionamenti energetici diversificati a costi concorrenziali per la politica industriale e sociale europea, non viene nemmeno menzionato.

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