Kerry e Lavrov come Kennedy e Krushev? Il Summit nucleare rischia di fallire

 

Scritto da: Dario Fazzi
Fonte:http://temi.repubblica.it/
Oltre 50 paesi si riuniscono all’Aja per discutere di sicurezza atomica. Come nel 1961, i contrasti politici tra Washington e Mosca ostacolano il cammino verso la de-nuclearizzazione del pianeta. Pechino potrebbe stare con gli Usa.


[Carta di Francesca La Barbera da “A qualcuno piace atomica”]

Il 24 marzo e 25 marzo l’Olanda ospiterà la più imponente conferenza internazionale che abbia mai organizzato nel corso della sua storia. Un migliaio di delegati provenienti da oltre 50 paesi si riuniranno all’Aia per discutere le nuove norme da adottare in materia di sicurezza nucleare.

L’incontro segue il solco tracciato da Barack Obama nell’aprile del 2009. Da Praga, il presidente statunitense presentò a un’opinione pubblica globale ancora profondamente sdegnata dall’ennesima provocazione missilistica nordcoreana la sua visione di un mondo libero dalle armi nucleari. In quell’occasione, Obama annunciò la creazione di un forum internazionale e di una nuova partnership globale, tesi tanto a prevenire la proliferazione degli armamenti nucleari quanto a scongiurare il rischio che organizzazioni criminali o terroristiche potessero impossessarsi di tali armi.

Obama sapeva che la completa de-nuclearizzazione del pianeta era fuori dalla portata politica e temporale del suo mandato, ma promise comunque di investire la sua autorevolezza internazionale nella negoziazione di un trattato che mettesse fuori legge la produzione di materiale fissile, in modo da rendere virtualmente impossibile la creazione di nuovi armamenti nucleari.

 

Il primo summit sulla sicurezza nucleare globale si è svolto a Washington nel 2010, mentre un secondo incontro multilaterale è stato organizzato due anni più tardi a Seul. I due meeting si sono conclusi con l’adozione di dichiarazioni congiunte che individuavano nel raggiungimento di tre obiettivi specifici la garanzia di un’adeguata sicurezza nucleare internazionale.

In primo luogo, gli Stati si sono impegnati a promuovere la riduzione del combustibile nucleare già presente in giro per il mondo. In secondo luogo, hanno promesso di rafforzare il controllo del materiale nucleare in loro possesso. Infine, avrebbero dovuto vincolarsi ad un più fitto scambio di informazioni, in modo da facilitare tanto la prevenzione di un’ulteriore proliferazione nucleare quanto il controllo sugli arsenali già esistenti.

Che dopo altri due anni gli obiettivi dell’incontro dell’Aia siano sostanzialmente immutati certifica quanto sia irta d’ostacoli la strada indicata da Obama all’inizio del suo primo mandato. I diplomatici impegnati nei lavori preparatori hanno cercato di concentrarsi su questioni prettamente tecniche. Hanno posto, ad esempio, enfasi particolare sulla gestione delle scorte di plutonio, sul passaggio dall’highly enriched al low enriched uranium come combustibile delle centrali nucleari nonché sul trattamento e controllo dello smaltimento degli isotopi radioattivi destinati all’uso terapeutico (fondamentali per la costruzione di quelle armi nucleari cosiddette “sporche”).

Probabilmente, saranno ancora una volta considerazioni di carattere politico a impedire il raggiungimento di un accordo in grado di garantire una reale sicurezza nucleare a livello internazionale. Il meeting olandese potrebbe rappresentare l’ultima possibilità per il presidente statunitense di portare a casa un risultato concreto in ambito nucleare, tenendo così fede agli impegni assunti all’inizio del suo primo mandato e dando più significato al Nobel per la pace. Tuttavia ci sono molti ostacoli e nodi da sciogliere affinché l’incontro dell’Aia non si risolva in un fallimento sostanziale.

L’Iran sembra interessato a ottenere delle garanzie formali sulla possibilità di procurarsi il propellente nucleare col quale attivare i propri reattori. Ciò lascia presagire che Teheran eviterà di allinearsi a politiche troppo restrittive in tal senso. Inoltre, paesi emergenti economicamente e geopoliticamente (come il Brasile e l’India) o dotati di capacità nucleari avanzate (come Pakistan e Francia) difficilmente saranno disposti a rinunciare al controllo delle loro risorse nucleari senza ricevere adeguate garanzie sui benefici di simili rinunce.

L’incognita più grande, visti anche gli sviluppi della crisi in Crimea, resta l’atteggiamento che adotterà la Russia nelle negoziazioni. Putin non si presenterà all’Aia: ha inviato al suo posto il ministro degli Esteri Sergey Lavrov. Questi potrebbe ricordare a un Occidente ipercritico nei confronti del Cremlino che la sicurezza nucleare globale passa inevitabilmente dalla capacità e dalla volontà di Mosca di tenere sotto controllo tanto i propri ingenti depositi nucleari quanto quelli ereditati dall’Ucraina, dal Kazakistan e dal vasto spazio post-sovietico. Lavrov dovrebbe avere un incontro riservato con il segretario di Stato Usa John Kerry.

Si potrebbe riproporre tra Usa e Russia una situazione simile a quella del giugno 1961, quando un incontro tra Kennedy e Kruscev tenutosi a Vienna, incentrato su questioni relative alla sicurezza collettiva e sulle possibilità di raggiungere un accordo in ambito nucleare, naufragò a causa della crisi sullo status di Berlino: crisi di carattere era squisitamente politico, che tuttavia finì col prevalere sulle questioni nucleari, cruciali ma di carattere meramente tecnico. [segue dopo foto]

 


[John Fitzgerald Kennedy e Nikita Krushev. Fonte: Latinamericanstudies.org]

Esigenze di realpolitik, la convinzione sovietica di poter approfittare di un’apparente debolezza statunitense e la volontà da parte di Mosca di perseguire una politica muscolare misero a repentaglio la sicurezza globale e avviarono una spirale di tensioni culminata nella crisi di Cuba.

La differenza, oggi, potrebbe giocarla un insospettabile e inatteso alleato di Obama. La Cina, infatti, non sta mostrando molto entusiamo nei confronti dell’unilateralismo russo in Ucraina.  Diversi analisti hanno posto l’accento sulla necessità, da parte delle élite cinesi, di non compromettere un delicato equilibrio politico ed economico che sembrerebbe raggiungibile con l’Occidente.

Inoltre, mentre la partecipazione cinese ai primi due summit sulla sicurezza nucleare era legata più a esigenze diplomatico-formali che a una reale percezione di insicurezza, gli ultimi attacchi di matrice terroristica, il mistero dell’aereo scomparso e l’urgenza di adeguare gli standard di sicurezza dei propri impianti nucleari ai livelli richiesti dalla comunità internazionale potrebbero spingere Pechino a maggiori aperture e concessioni.

Eppure, nonostante la possibile intesa tra Stati Uniti e Repubblica Popolare Cinese per raggiungere accordi più stringenti in materia nucleare, è improbabile che l’immagine del presidente Usa esca rafforzata dal meeting dell’Aia.

È molto più realistico ipotizzare che l’obiettivo di Obama di rendere il mondo un posto più sicuro venga ancora una volta mancato.

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