Marte, il vascello da guerra che conserva un tesoro

Scritto da: Jane J.Lee
Fonte:http://www.nationalgeographic.it/

Ricercatori e sommozzatori hanno cominciato a studiare i segreti che la Mars (Marte), l’orgoglio della marina militare svedese del Sedicesimo secolo, ha custodito per 450 anni

di Jane J.Lee

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La Marte oggi, sul fondale del mar Baltico, dove affondò nel 1564. Il sommozzatore che si vede in alto a destra dà un’idea delle dimensioni del relitto.
Immagine composita di Tomasz Stachura, Ocean Discovery

1564: nel corso del secondo giorno di una violenta battaglia navale, una nave da guerra si trasformò in una palla di fuoco e colò a picco, consegnando per sempre centinaia di marinai svedesi e tedeschi ai fondali del Mar Baltico insieme a un’immensa fortuna in monete d’oro e d’argento. La leggenda narra che uno spettro salisse dalle viscere dell’inferno per sorvegliare che la nave – orgoglio della marina svedese – non venisse scoperta.

Cacciatori di tesori, archeologi e appassionati di storia hanno cercato la Mars per anni senza successo. Fino alla primavera del 2011, quando un gruppo di sub localizzò a 75 metri di profondità i resti del vascello, in quella che presto si confermò essere una delle più grandi scoperte di archeologia marittima.

“È l’anello che ci mancava” dice Johan Rönnby, professore di archeologia marittima all’università di Södertörn in Svezia, che attualmente sta studiando il relitto di 60 metri di lunghezza. Se gli storici navali sanno quasi tutto sulle navi del Diciassettesimo secolo, le conoscenze delle navi da guerra del Sedicesimo secolo sono invece molto limitate. E il 1500 – continua Rönnby – è un periodo molto

importante perché è proprio in quest’epoca che si cominciarono a costruire le grandi navi da guerra a tre alberi.

Il professore spiega come questa prima generazione di navi a tre alberi abbia nella Marte uno dei migliori esempi. In passato i ricercatori hanno già ritrovato i carichi delle prime navi da guerra chiamate galeoni – imbarcazioni appena successive a quelle di cui fa parte la Marte. Sono stati anche trovati resti di navi come la Mary Rose, battente bandiera inglese, che si inabissò durante una battaglia navale nel 1545. Tuttavia, non era mai stato ritrovato nulla di così ben conservato come la Marte.

Questa scoperta è il punto culminante di 20 anni di ricerca condotta da Richard Lundgren, uno dei proprietari di Ocean Discovery, una società di sommozzatori professionisti che assiste il lavoro degli archeologi marittimi. Richard ha operato fianco a fianco con il fratello Ingemar e il loro collega Fredrik Skogh. I tre sognavano di ritrovare la Marte dal giorno in cui – da bambini – visitarono il museo di Stoccolma nel quale è esposta un’altra icona della marina militare svedese: il Vasa. Se Richard e Ingemar sono diventati subacquei professionisti, lo si deve anche a quel sogno.

Una macchina da guerra

La Marte affondò il 31 maggio del 1564 al largo dell’isola svedese di Öland. È rimasta a riposare sul fondale inclinata a tribordo (a destra). A conservare la nave in buone condizioni è stato un mix di coincidenze positive: pochi sedimenti, correnti piuttosto lente, acqua salmastra e l’assenza di un mollusco chiamato teredo navalis capace – in altri oceani – di far collassare i relitti in legno nel giro di appena cinque anni.

A rendere ancora più eccitante la scoperta, dice Lundgren, è che non furono né difetti di costruzione né errori di navigazione a far naufragare la Marte: “La Marte era una vera macchina da guerra che in battaglia si comportava egregiamente”, spiega Lundgren. La nave affondò stracarica di cannoni – ce n’erano persino sulle coffe – marinai e tutto l’armamentario che serviva ad equipaggiare una nave per la guerra (compresi otto diversi tipi di birra). Secondo Lundgren l’imbarcazione poteva contare su una potenza di fuoco “mai vista” per i suoi tempi. E proprio quei cannoni furono la rovina della Marte.


La zona del Mar Baltico dove è stato individuato il relitto
Ng Staff, Jamie Hawk. Source: Richard Lundgren, Ocean Discovery

Un impetuoso canto del cigno

La nave colò a picco mentre stava ingaggiando una battaglia con un’imbarcazione danese alleata con soldati tedeschi provenienti dalla città di Lubecca. Nel primo giorno di battaglia gli svedesi incalzarono i danesi. Così, il secondo giorno, i tedeschi decisero il tutto per tutto. Rönnby racconta che le forze tedesche presero a scagliare palle infuocate contro la Marte e alla fine riuscirono ad affiancarsi quel tanto che bastava per andare all’arrembaggio. La polvere da sparo di cui era stipata la nave scatenò un inferno e il calore divenne così intenso che i cannoni iniziarono ad esplodere. Furono proprio queste esplosioni a far inabissare la nave.
La tradizione, però, narra una storia leggermente diversa. Rönnby spiega che i sovrani svedesi, all’epoca, erano impegnati a consolidare la propria posizione. “Ma la chiesa cattolica, potente com’era, costituiva un grosso ostacolo”. Proprio nel tentativo di sminuire il potere della Chiesa, re come Erik XIV – colui che commissionò la Marte – confiscarono le campane delle chiese, le fusero e utilizzarono il metallo per forgiare i cannoni delle navi da guerra. A bordo c’erano oltre  cento cannoni di svariate dimensioni.Secondo il mito, proprio la “nuova vita” forzata di quelle che erano soltanto campane, portò la nave verso la rovina.

Una macchina del tempo

“Non è solo una nave. È un autentico campo di battaglia”, dice Rönnby.
Immergendosi e nuotando sul relitto “ci si sente vicinissimi al drammatico incendio che si scatenò a bordo, mentre i marinai si uccidevano a vicenda e tutto intorno bruciava ed esplodeva”. Infatti, quando Lundgren e i suoi colleghi portarono in superficie un pezzetto di scafo, notarono subito che il legno emanava un leggero odore di bruciato.
Lundgren, Ingemar e Skogh stanno aiutando Rönnby a ispezionare il luogo del ritrovamento, mettendo insieme – pezzo per pezzo – un fotomosaico e scansionando il relitto per produrre delle riproduzioni tridimensionali. Grazie ai fondi della National Geographic Foundation, quest’estate lavoreranno per completare le scansioni di tutta la nave. La loro intenzione è quella di lasciare la Marte sul fondo del mare utilizzando foto e riproduzioni 3D per condividere il relitto con tutto il mondo. Portare una nave in superficie è costoso e può metterne a repentaglio i manufatti. I laser scanner utilizzati da Lundgren e i suoi colleghi hanno una precisione entro i due millimetri. Più che sufficiente per soddisfare la maggior parte dei ricercatori in giro per il mondo. Secondo Rönnby, se non fosse per questi strumenti e questi metodi avanzati gli archeologi non sarebbero stati in grado di studiare la Marte così nel dettaglio. Ora, invece, è possibile ricostruire gli ultimi istanti della nave e degli uomini che erano a bordo e farsi un’idea di come ci si muoveva e ci si comportava durante una battaglia navale. “Questo, alla fine, è lo scopo dell’archeologia: mettere in discussione noi stessi e i risvolti umani di una scoperta”, conclude Rönnby.

 

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