Il Patto Veneto/ Carta straccia per una fuga di Stato

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Tra maggio e giugno del 1994, una serie di dispacci riservati, partirono dal Ministero degli Interni di Roma e dal capo della polizia Parisi. Destinatari dei fonogrammi furono prefetti, questori e strutture carcerarie del Veneto. L’oggetto era sempre lui, Felice Maniero.

I servizi d’intelligence, o per meglio dire una parte di essi, segnalarono un tentativo di fuga imminente. L’11 Aprile, l’intercettazione di una conversazione tra uno degli uomini di punta della Mala, Salvatore Trosa, e due cugini, entrambi agenti penitenziari nel carcere di San Pio X a Vicenza, portò alla luce un piano “alla Maniero” per rendere latitante il boss. Scaletta d’alpinista, seghetti speciali detti “capelli d’angelo” fatti arrivare dalla Germania e delle pistole. Questo era il materiale che doveva entrare in carcere a fronte di cocaina e duecentoventi milioni per i due cugini. Ma la coscienza o un “sesto senso” scombinò i piani e i due agenti svelarono il progetto last minute.

Vincenzo Parisi

Da quel momento iniziarono delle comunicazioni preventive sempre più dettagliate e delle contromisure sempre più attente nei confronti di “Felicetto”. Dispacci e fonogrammi che divennero “carta straccia” nella notte del 14 Giugno, quando le macchine della Mala con gli evasi all’interno, uscirono dal supercarcere Due Palazzi di Padova “senza colpo ferire”.

Nei primi giorni di Maggio, dal Ministero dell’Interno, partirono delle informative con fonogramma riservato n.22586 destinate al direttore del carcere di Vicenza, al Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e all’Ufficio di Coordinamento servizi di sicurezza di Roma. Il contenuto è riferito alla necessità di alzare al massimo la vigilanza sul detenuto Maniero. Sia in carcere, con controlli continui alla sua cella, sia sugli agenti che lo avrebbero trasferito per le udienze all’aula bunker di Mestre. Doveva essere certificata professionalità e affidabilità degli stessi.

Maniero e Pandolfo

Il 13 maggio, dopo la scoperta del piano “Trosa”, i componenti della Mala detenuti a Vicenza furono trasferiti d’urgenza in altre strutture. Il boss, tra lo stupore di tutti, fu mandato al carcere Due Palazzi a Padova. Nella sua città, tra la sua “gente”.   Il giorno dopo, il 14 maggio, dal Prefetto di Padova partì un “cifrato lampo, riservato” al questore della città del Santo:

“Estesi appreso imminente attuazione progetto fuga da carcere Padova di detenuti Felice Maniero detto boss Brenta et non meglio generalizzato Di Girolamo. Precitati reclusi godrebbero appoggio agenti di custodia in servizio presso menzionato istituto penitenziario che consentirebbero utilizzo apparecchi telefonici e cellulari per mantenere contatti con esterno. Premesso quanto sopra, le ss.vv sunt pregate disporre per adozione misure di vigilanza et per pronta attivazione servizi infoinvestigativi.Stop.”

Da Roma era rimbalzata la notizia che il pericolo fuga era ancora altissimo. Non si parlava più di un allarme generico. Erano indicazioni dettagliate e con riferimenti precisi.

Oreste Velleca

Quando il fonogramma arrivò sulla scrivania del direttore del “Due Palazzi”, Oreste Velleca, lo stesso seguì rigorosamente le indicazioni che arrivarono ed emanò subito delle contromisure tramite l’ordine di servizio n.106 per il comandante delle guardie e il responsabile dell’area sicurezza

“Tenuto conto della particolare personalità del detenuto Maniero Felice, qui momentaneamente ristretto si dispone che: a)il personale che dovrà essere adibito al servizio […] sarà scelto in numero ristretto tra quello che offre maggiori garanzie di professionalità e quindi in deroga al principio della rotazione. Non dovrà conoscere preventivamente di essere adibito a vigilanza di detta sezione e la destinazione dovrà essere fissata ogni volta dal Comandante immediatamente prima del turno: b) viceversa,massima dovrà essere la rotazione per quanto riguarda il personale da adibire al servizio di sentinella: c) i capiposto dovranno vigilare direttamente anche sulle modalità con cui gli agenti prestano servizio”

Oltre a questa disposizione, fece subito un telegramma al prefetto e al questore di Padova chiedendo che venisse rafforzata la vigilanza esterna del carcere “ onde prevenire aut scongiurare eventuali tentativi di evasione aut altro per l’intero periodo di permanenza presso questo istituto dello stesso”. Servizio in carico all’Arma dei carabinieri.

Raniero Erbì

LA LISTA DEGLI INDESIDERATI

Oreste Velleca, giudizioso funzionario dello Stato, il suo dovere, formalmente, lo fece fino in fondo quando arrivò il fonogramma firmato dal Prefetto e da Parisi. Fece stilare una lista di agenti che possiamo definire “indesiderati” per i servizi inerenti all’ordine  che emanò i primi giorni di Maggio. Non era un segreto che alcuni di questi frequentassero bar e personaggi legati alla Mala del Brenta. I vizi come il gioco d’azzardo, l’uso di cocaina, le corse dei cavalli erano e sono parte dell’essere umano, in divisa e non. Gli uomini di Maniero, quei vizi, li gestivano tutti e in tutta la città.

In testa a quella lista c’era il vicebrigadiere Raniero Erbì e, come segnalato dal Comandante delle guardie anche l’agente Luciano Serra. Entrambi presenti la notte della fuga ed entrambi in ruoli chiave per lo svolgersi della stessa.

Il 15 maggio, giorno successivo all’evasione dei detenuti, questa lista degli “indesiderati” sparì nel nulla.

Fonogrammi, dispacci, ordini di servizio, liste. Tutta carta straccia. Allarmi, avvertimenti, segnalazioni, prevenzione, intelligence. Tutte parole seguite dai fatti ma, solo fino al giorno prima della scandalosa fuga. Una preparazione minuziosa per un piano evidente: creare tutti gli alibi del caso in preparazione di quella che, erroneamente è definita evasione. Confezionare un solo responsabile che fungesse da capro espiatorio con quattrocentomilioni di buoni motivi: Raniero Erbì.

Non ci sono innocenti in questa storia, in questa fuga di Stato. Le prove del livello di favoreggiamento nell’uscita di un boss, che doveva essere in regime di 41 bis e non lo era, sono talmente evidenti da non essere state viste e perseguite. Troppo alto il coinvolgimento? Troppo importante il fine? La ragion di Stato ha prevaricato? Quale fu realmente il premio finale in questo gioco che, come vedremo, ha lasciato anche una scia di sangue e di carriere bloccate o stroncate?

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