UGO FOSCOLO

Fonte: http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=74&biografia=Ugo+Foscolo

Ugo_Foscolo

Ugo Foscolo nacque il 6 febbraio 1778 a Zante, una delle isole ioniche, da padre veneziano e madre greca. Dopo la morte del padre si trasferì a Venezia, dove partecipò ai rivolgimenti politici del tempo manifestando simpatie verso Napoleone, salvo pentirsene amaramente dopo il trattato di Campoformio.

E’ considerato il primo grande intellettuale dell’età neoclassica. Figlio naturale dell’illuminismo, incarna in sé tutti i fermenti culturali del mondo in cui visse. Nella sua opera si trovano tutti gli elementi culturali che caratterizzano l’età a lui contemporanea (Neoclassicismo, Illuminismo, Preromanticismo).

 

Detto questo, non è certo possibile analizzare l’opera di Foscolo attraverso un itinerario in cui si distingua una fase illuminista poi una fase neoclassica e infine una fase preromantica; troveremo soltanto opere in cui sono presenti insieme tutti e tre questi elementi (persino nelle “Grazie”, che sembrano un regresso culturale verso il neoclassicismo dopo gli slanci dei “Sepolcri”).

Sul piano strattamente personale invece, la nativa Zante, che definì “la culla della civiltà” restò sempre la sua patria ideale, tanto da dedicarle un bellissimo sonetto (il celeberrimo “A Zacinto“). Per Venezia provò sentimenti altrettanto intensi e, mentre se per l’isola greca subì il fascino del vagheggiamento malinconico, considerò la Serenissima come una seconda patria, di fatto quella reale, per la quale, non a caso, si lasciò coinvolgere nei suoi destini politici.

Infatti, istituito nel 1797 a Venezia un governo democratico in cui assunse cariche pubbliche, pochi mesi dopo, in seguito al trattato di Campoformio con cui Napoleone cedeva Venezia all’Austria, dovette fuggire, riparando a Milano (sottratta da Napoleone all’Austria), ove strinse rapporti di affettuosa amicizia col Monti ed ebbe modo di avvicinare il Parini.

A Milano fu redattore del “Monitore italiano”, ma l’anno dopo si trasferì a Bologna, ove ricoprì la carica di aiutante cancelliere di un tribunale militare. L’anno successivo lasciò l’incarico per arruolarsi col grado di luogo­tenente nella Guardia Nazionale e, a fianco dei Francesi, combatté contro gli Austro-russi (rimanendo anche ferito durante una battaglia). Al comando del generale francese Massena partecipò alla difesa di Genova e quando la città fu costretta alla resa, seguì il Massena nella fuga.

Nel 1804 si recò in Francia, per motivi militari, e qui ebbe l’opportunità di trascorrere due anni di relativa calma, che impiegò in gran parte in amori appassionati, fra cui quello con l’inglese Fanny Emerytt da cui nacque la figlia Floriana. Tornato in Italia, visse tra Venezia, Milano, Pavia (ove ottenne la cattedra di eloquenza presso l’Università), Bologna e di nuovo Milano, da dove fuggì nel maggio del 1815 per non dover giurare fedeltà agli Austriaci. Dopo una breve permanenza a Lugano ed a Zurigo, l’anno dopo si stabilì a Londra, accolto dall’alta società. Qui guadagnò abbastanza con la pubblicazione delle sue opere, ma sperperò tutto con le sue dissolutezze: iniziò pure la costruzione di una lussuosissima villa, che non riuscì a pagare totalmente nonostante il soccorso della figlia Floriana (che, ritrovata a Londra, gli offrì tremila sterline). Inse­guito dai creditori, subì anche il carcere, e fu poi costretto a ritirarsi nel villaggio di Turnham Green, ove visse gli ultimi suoi anni in compagnia della figlia.

Elementi autobiografici della vita del Foscolo sono presenti nelle “Ultime lettere di Jacopo Ortis“, anche se spesso e volentieri l’autobiografia cede il passo alla fantasia, presentandone quegli ideali (chiamati poi “illusioni”) che, secondo Foscolo, permettono all’uomo di vivere la propria interiorità in modo meno drammatico, essendo addirittura validi argini psicologici contro il suicidio. Nell’Ortis, ad ogni modo, troviamo abbozzati tutti gli elementi che verranno elaborati nelle opere successive (gli ideali della patria, della poesia, dell’amore….). Il protagonista segue una direzione diversa dallo scrittore: Ortis arriva al suicidio, Foscolo no pur sempre aspirando alla pace e alla tranquillità nella sua travagliata esistenza.

Profondamente materialista e credente nella natura “meccanica” dell’esistenza (il suo lato illuministico, potremmo dire), visse in modo lacerante il momento di crisi dell’illuminismo, tanto da determinare in lui una visione pessimistica della vita. Foscolo aspirava alla gloria, alla fama, all’eternità ma la concezione illuministica (che vedeva la vita fatta di movimenti meccanici) limitava di fatto la realizzazione di queste aspirazioni, essendo l’ottica di quella filosofia legata alla convinzione che l’uomo sia un essere finito e soggetto a scomparire dopo la morte. Tirate le file, è la realtà della morte che induce Foscolo a cadere nel pessimismo che lo attanagliava. In base a queste considerazioni, elabora come detto quella che sarà definita come “la filosofia delle illusioni” che si caratterizza più che altro come una presa di coscienza del soggetto e dell’artista più che come una svalutazione delle potenzialità e della validità della ragione.

“Le illusioni”, insomma, danno un senso all’intera esistenza e contribuiscono alla convinzione che vi sia pur qualcosa per cui valga la pena vivere invece che darsi la morte autonomamente. Le illusioni, in sostanza, sono la patria, la poesia, la famiglia, l’amore; nei Sepolcri, invece, troveremo la “sublimazione ” di questo processo, scoprendo che “l’illusione delle illusioni” è la stessa poesia civile.

Accanto alla produzione maggiore (Ortis, Odi, Sonetti, Grazie, Sepolcri) troviamo anche altre opere, in particolare la fase cosiddetta didimea; è la fase dell’anti-Ortis, del viaggio in Inghilterra, del Foscolo maturo che ha abbandonato la passionalità e guarda con occhio critico ed ironico le cose della vita.

Ugo Foscolo scrisse anche alcune tragedie (Aiace, Tieste e Ricciarda) ad imitazione dell’Alfieri, in cui ha forte prevalenza l’esaltazione dell’agire passionale.

Morì il 10 settembre 1827. Le sue ossa furono trasferite a Firen­ze solo nel 1871 e vennero tumulate nel tempio di S. Croce, che egli aveva così tanto esaltato nel carme “Dei Sepolcri”.

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