Benvenuti nel mondo in cui l’Europa non conta nulla (e vuole contare ancora meno)

Scritto da: Francesco Cancellato
Fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2017/04/12/benvenuti-nel-mondo-in-cui-leuropa-non-conta-nulla-e-vuole-contare-anc/33843/

I fatti, prima di tutto: Stati Uniti d’America, Russia (e Israele e Turchia e Arabia Saudita con annessi Emirati) decidono le sorti geopolitiche della Siria e del Medio Oriente. Sempre gli Stati Uniti, stavolta con la Cina (e il Giappone e la Corea del Sud) affrontano la crisi della Corea del Nord, del suo regime e dei suoi missili. E ancora: Donald Trump imprime una svolta protezionista alla sua economia, mentre il presidente cinese Xi Jinping viene a Davos, in Svizzera, a difendere la globalizzazione e del libero scambio mondiale.

In tutto questo, l’Europa non esiste. Irrilevante in Siria, dove si limita a condannare gli attacchi con armi chimiche di Assad e a lanciare utopiche richieste di tavoli e conferenze internazionale, cui far sedere gente che si prende a pallettate da qualche anno. Irrilevante pure nella crisi sino-americana in Corea del Nord, talmente lontana da non farci alzare nemmeno un sopracciglio, sebbene coinvolga le due più importanti economie del mondo. Persino su protezionismo e globalizzazione non siamo in grado di dare alcuna risposta. A parole, siamo quelli delle frontiere aperte e della libera circolazione di merci e fattori produttivi. Nei fatti, allo stato attuale, non abbiamo firmato trattati di libero scambio né con l’America, né con la Cina. In entrambi i casi, per paure contingenti, non per strategie di lungo periodo.

Eccola, la perdita di sovranità che ci costa più cara. Non quella degli Stati-nazione in Europa, ma dellEuropa nel mondo. Una perdita di sovranità figlia dell’assenza – attenzione: parolaccia in arrivo – di potere, inteso come la capacità di imporre, o perlomeno far valere, i nostri interessi e la nostra visione del mondo in qualunque ambito essa si declini: dall’economia alla politica, dall’energia all’ambiente, dai conflitti alla loro soluzione.

Un esempio su tutti: un’Europa davvero unita, autorevole, potente, anziché dividersi al suo interno tra chi vuole accogliere e chi vuole alzare muri, tra chi plaude alla realpolitik dell’accordo con la Turchia di Erdogan, e chi ne contesta l’ipocrisia, chiederebbe conto del caos siriano a Stati Uniti, Russia e a chiunque abbia concorso a generarlo. Non solo: legittimata dall’impatto sociale e politico che sta subendo a causa di questa crisi, e dalla sua prossimità con la stessa, dovrebbe imporre a muso duro la propria soluzione al problema.

Certo, servirebbe un governo europeo, un ministro degli esteri europeo, un budget europeo, un esercito europeo, una strategia politica europea, per farlo. Ma già il solo fatto che tutto questo ci appaia come un’utopia ci dà la misura del paradosso di cui siamo vittime. A guerra fredda finita, con l’Europa finalmente avviata verso l’Unione politica, la globalizzazione a portata dei nostri saperi, nel contesto del più lungo periodo di pace che il vecchio continente avesse mai vissuto, potevamo davvero imprimere il nostro passo alla globalizzazione.

Invece l’abbiamo semplicemente subita e continuiamo a farlo. Peggio ancora, stiamo tornando a dividerci come ai vecchi tempi, facendo riemergere antiche rivalità nazionali e antiche culture politiche che la Storia avrebbe dovuto seppellire. Posseduti da un hybris suicida che ci fa credere che tornando nani in mezzo ai giganti potremmo contare di più. Che farci eterodirigere di volta in volta da Obama, Trump, Putin o chi per loro possa farci tornare grandi. Auguri di cuore.

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