Dove seppelliamo le scorie nucleari?

Scritto da: Marco Cedolin
Fonte: https://www.dolcevitaonline.it/dove-seppelliamo-le-scorie-nucleari/

La gestione delle scorie nucleari, che è costata fino ad oggi al contribuente italiano circa 11 miliardi di euro sotto forma di addizionali nelle bollette dell’energia, è affidata alla Sogin che è la società statale responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi da essi derivati.

Le scorie nucleari di competenza italiana ammontano a circa 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, che resteranno dannosi per la salute e l’ambiente per un periodo di 300 anni, e 17mila metri cubi  di rifiuti a media ed alta attività, destinati a rimanere dannosi per migliaia o centinaia di migliaia di anni. Tali scorie fino ad oggi (tranne una piccola parte di esse che è stata trasferita all’estero per subire il processo di vetrificazione) sono state conservate all’interno delle quattro centrali nucleari dismesse, di quattro impianti del ciclo del combustibile, all’interno di centri di ricerca nucleare e centri di gestione dei rifiuti industriali.

La direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo imponeva però che entro il 2015 ogni Paese adottasse un programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi a bassissima e bassa intensità e si dotasse di un sito nazionale adatto a custodirli in sicurezza. L’Italia non ha rispettato questo termine, facendo sì che la Commissione europea abbia aperto formalmente una procedura d’infrazione. Dopo molti anni di ritardi, Sogin ha pubblicato solo di recente la mappa contenente le 67 aree all’interno delle quali si ritiene possano venire stoccate le scorie nucleari, unitamente al progetto della struttura studiata per contenerle.

Il sito unico occuperà una superficie di 110 ettari e sarà affiancato da un Parco tecnologico di 40 ettari, avrà un costo previsto di 900 milioni di euro e un tempo previsto di realizzazione quantificato in circa 4 anni. Al suo interno dovrebbero venire stoccati definitivamente i 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassissima e bassa intensità (scopo precipuo della sua costruzione) e provvisoriamente, per alcune decine di anni in attesa di un sito ad essi dedicato, anche i 17mila metri cubi di rifiuti radioattivi a media e alta intensità che saranno ospitati all’interno di quattro edifici specifici, in contenitori ad alta sicurezza conosciuti come cask.

Alla base della scelta dei siti ritenuti idonei per la costruzione del deposito vi sono tutta una serie di criteri che vanno dal rischio sismico e idrogeologico alla densità abitativa, dalla presenza di aree protette all’altitudine che non deve superare i 700 metri sul livello del mare. Nell’ambito delle 67 aree ritenute idonee, 12 di esse sono posizionate in classe A1 (molto buone), altre 11 in classe A2 (buone) e le restanti in classe B e C. In particolare due aree dell’alessandrino sembrano soddisfare maggiormente tutti i requisiti richiesti.

Dopo la pubblicazione della mappa dei siti, praticamente tutte le amministrazioni comunali interessate si sono affrettate ad esprimere il proprio diniego, sostenute anche dalle autorità provinciali e regionali di riferimento, molte delle quali in passato non avevano dimostrato la stessa sensibilità nel sostenere le battaglie dei cittadini che si opponevano alla distruzione del territorio in cui vivevano, come accadde ad esempio nella lotta contro il TAV in Val di Susa.

Nei prossimi mesi regioni, province e comuni potranno depositare osservazioni nel merito della mappa presentata ed entro il mese di marzo Sogin promuoverà un seminario all’interno del quale verranno approfonditi tutti gli aspetti tecnici della questione. Dopodiché verrà pubblicata la carta nazionale delle aree idonee (CNAI) che farà sintesi, riducendo i siti solamente a quelli ritenuti in assoluto più idonei. A quel punto Sogin sarà chiamata a promuovere trattative bilaterali, nel tentativo di trovare una qualche soluzione condivisa con eventuali comuni interessati a ospitare il sito, come contropartita di compensazioni e di una potenziale ricaduta occupazionale stimata in qualche centinaio di posti di lavoro. Nel caso le soluzioni condivise non arrivino sarà comunque il ministero dello Sviluppo economico ad individuare l’area ritenuta più consona, per mezzo di un decreto e nelle intenzioni del governo il nuovo deposito dovrebbe vedere la luce entro la fine del 2025.

Il vero problema purtroppo non riguarda l’ubicazione del sito in cui stoccare i rifiuti radioattivi, ma piuttosto l’evidenza di come l’unico mezzo per mettere realmente in sicurezza le scorie nucleari sia quello di non produrle affatto. Per quanto infatti si riesca ad essere meticolosi e preparati tecnicamente, sarà comunque sempre impossibile prevedere i mutamenti che interverranno in un determinato territorio all’interno di un arco temporale che spazia dai 300 ai centomila anni. Cambiamenti climatici, guerre, terremoti e ogni altro genere di evento catastrofico, potrebbero mutare radicalmente la morfologia di un territorio, con la conseguenza di contaminare pesantemente le persone e l’ambiente. A prescindere da quale sarà il cimitero in cui decideremo di seppellire i rifiuti radioattivi, questi rappresenteranno sempre e comunque una spada di Damocle sospesa sulla testa delle future generazioni e di quelle che le sostituiranno, a dimostrazione di quanto grande sia stata la nostra follia di piccoli uomini, infatuati di un atomo del quale possedevamo e possediamo solamente una conoscenza parcellare, del tutto inadeguata a maneggiarlo con disinvoltura così come purtroppo abbiamo invece fatto.

Giornali alla deriva: la crisi d’identità dell’informazione mainstream

Scritto da: Marco Cedolin
Fonte: https://www.dolcevitaonline.it/giornali-alla-deriva-la-crisi-didentita-dellinformazione-mainstream/

E’sufficiente leggere i dati pubblicati da ADS (Accertamenti Diffusione stampa) concernenti le vendite dei principali quotidiani nel mese di settembre 2020, per avere dinanzi agli occhi l’impietosa fotografia dello stato di profonda crisi in cui versano i giornali italiani.
I 59 quotidiani presi in esame hanno infatti venduto 1.879.909 copie, a fronte delle 2.222.294 di settembre 2019, palesando un calo del 15,4%, il dato è inferiore anche a quello delle vendite riscontrate nello scorso mese di agosto 2020, ma quello che più dovrebbe fare riflettere è il fatto che l’incidenza delle copie rese sia ormai giunta al 67,19%, con un incremento di oltre tre punti percentuali rispetto a settembre 2019. Sono molti i giornali che hanno un maggior numero di copie rese rispetto a quelle vendute, con il triste primato di Libero che vanta oltre due copie rese ogni copia venduta e Il Manifesto che supera perfino le tre copie rese per ciascuna venduta.

Senza dubbio nel creare una situazione di questo genere, che mese dopo mese sta diventando sempre più insostenibile, hanno contribuito, al di là delle contingenze legate al Coronavirus, l’inadeguatezza dei piani di diffusione e la situazione di profondo degrado in cui versa l’intera filiera editoriale, unitamente all’assistenzialismo statale che di fatto scarica sulle spalle del contribuente la cattiva gestione del giornalismo mainstream. Così come ha contribuito il sempre più grande interesse per l’informazione online da fonti alternative, a detrimento di quella cartacea tradizionale.

Ma tutti questi elementi da soli non basterebbero a spiegare un tracollo di questo genere, poiché si rischierebbe di trascurare quella che invece risulta essere la causa prima del crollo delle vendite: la sempre più marcata perdita di credibilità dei giornali presso i propri lettori, reali o potenziali che essi siano.

Negli ultimi anni infatti la stampa mainstream si è progressivamente appiattita sempre più su uno standard di bassa qualità, perdendo ogni capacità di spirito critico e limitandosi a un ruolo da cassa di risonanza per gli interessi dei grandi gruppi di potere alle dipendenze dei quali si è di fatto collocata. Il quotidiano, ben lungi dall’essere uno strumento d’informazione al “servizio della verità” nell’esclusivo interesse del lettore, così come vorrebbe il sano spirito giornalistico, si manifesta altresì sotto forma di orientamento del pensiero, portato con estrema ridondanza senza soluzione di continuità, non tenendo nella minima considerazione la ricerca di una posizione  imparziale e critica che per qualsiasi giornalista dovrebbe rappresentare un atteggiamento imprescindibile nel proprio mestiere.
Questa profonda incapacità di riuscire ad andare oltre il ruolo di acritico portavoce del pensiero dominante, di produrre inchieste realmente super partes, di mettere in discussione i dettami imposti dalle élite politiche e finanziarie, di farsi interpreti di un’autonomia di pensiero che non sia suddita del gruppo finanziario che controlla la testata, ha minato in profondità ogni credibilità dei giornali e dei giornalisti che contribuiscono a scriverli, allontanandoli sempre più tanto dal Paese reale quanto dai propri lettori.

Sempre più spesso nell’immaginario collettivo il “giornale” non costituisce più una fotografia della realtà, corredata di analisi e inchieste sugli accadimenti quotidiani, ma semplicemente una sorta di spot pubblicitario,  attraverso il quale si tenta di orientare la sensibilità del lettore nella direzione voluta, enfatizzando o nascondendo le notizie alla bisogna, quando non perfino creando delle vere e proprie fake news che possano servire allo scopo.

Quello fra informazione e orientamento del pensiero è un confine molto sottile, del quale il circo mediatico e più in particolare il mondo della carta stampata non si sono fino ad oggi curati molto, confidando sul fatto che il lettore assorbisse sempre e comunque come una spugna in maniera acritica qualunque messaggio venisse veicolato dallo scranno di chi l’informazione ritiene di essere deputato a crearla. In tutta evidenza però un numero sempre crescente di lettori sta iniziando a smettere di seguire in maniera fideistica tutto ciò che i giornali propinano spacciandolo come verità e come prima reazione abbandona i giornali in edicola, decidendo di informarsi altrove.

TREASURIES… ASTA STELLARE!

Fonte: https://icebergfinanza.finanza.com/2020/12/11/treasuries-asta-stellare/

Tenerezza, non esiste altra parola per descrivere il sentimento che provo nei confronti di coloro che nonostante tutto ancora oggi scommettono sulla reflazione, sull’inflazione, tenerezza…

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Basterebbe questo per far riflettere un bambino su cosa sia una deflazione da debiti, ma probabilmente non ci arrivano, per questo provo tenerezza.

Una simile dinamica in CINA, ripeto in CINA, ribadisco in CINA, dovrebbe far riflettere, ma inutile non ci arrivano!

Sette anni dopo la nostra previsione, gli amici di Machiavelli, ricordano il manoscritto su Forrest Gump, per la prima volta nella sua storia l’Australia ha emesso un bond a rendimento negativo… https://platform.twitter.com/embed/index.html?dnt=false&embedId=twitter-widget-0&frame=false&hideCard=false&hideThread=false&id=1337309905875820544&lang=it&origin=https%3A%2F%2Ficebergfinanza.finanza.com%2F2020%2F12%2F11%2Ftreasuries-asta-stellare%2F&theme=light&widgetsVersion=ed20a2b%3A1601588405575&width=550px

L’Australia ha venduto buoni del tesoro a breve termine con un rendimento negativo per la prima volta nella sua storia, unendosi al Giappone e a una serie di nazioni europee che vengono pagate per prendere in prestito denaro dagli investitori. Giovedì, gli investitori hanno guadagnato 1,5 miliardi di dollari australiani (1,1 miliardi di dollari) di note di tre mesi con un rendimento medio dello 0,01%, con alcuni acquirenti all’asta che hanno ricevuto un rendimento di meno 0,1%.

E si qualche illusionista oggi scommette sull’inflazione, scommette su un vaccino, come se i vaccini potessero risolvere una pandemia nel giro di qualche mese.

I titoli globali di debito a rendimento negativo hanno raggiunto un nuovo record, segno che la domanda di sicurezza è tanto intensa quanto quella di attività più rischiose.

Giovedì il valore di mercato dell’indice Bloomberg Barclays Global Negative Yielding Debt è salito a $ 18,04 trilioni, il livello più alto mai registrato.

Circa 1.000 miliardi di dollari di obbligazioni hanno visto i loro rendimenti diventare negativi questa settimana, il che significa che il 27% del debito mondiale di qualità per gli investimenti è ora sotto zero. Grazie alla gran quantità di emissioni globali nel 2020, mentre governi e aziende lottano con l’impatto del coronavirus, che rimane al di sotto del picco del 30% raggiunto lo scorso anno.

Nonostante l’ottimismo su una ripresa economica globale il prossimo anno che scatena una corsa verso attività più rischiose come azioni e debito societario, il continuo supporto monetario da parte delle banche centrali e la preoccupazione per l’inesorabile diffusione del coronavirus ha mantenuto l’interesse degli investitori per le obbligazioni sovrane.

Probabilmente serve ripartire da zero, un ripasso sarebbe necessario per tanti di coloro che lavorano nel mondo finanziario, acquistare l’abecedario della finanza non farebbe loro male!

L'offerta globale di obbligazioni con rendimenti negativi raggiunge il record di $ 18 trilioni

In mezzo ad un oceano di debito con famiglie e imprese indebitate all’inverosimile, c’è qualche giullare che scommette su un’esplosione dei fatturati e degli utili nel 2021, tenerezza, non c’è parola migliore, tenerezza. https://platform.twitter.com/embed/index.html?dnt=false&embedId=twitter-widget-1&frame=false&hideCard=false&hideThread=false&id=1337079086062178305&lang=it&origin=https%3A%2F%2Ficebergfinanza.finanza.com%2F2020%2F12%2F11%2Ftreasuries-asta-stellare%2F&theme=light&widgetsVersion=ed20a2b%3A1601588405575&width=550px

La speculazione più becera, quella suoi cereali e sul cibo, sofferenza per milioni e miliardi di esseri umani, grazie alle criminali politiche monetarie che offrono denaro gratuito alla speculazione più becera.

L’unica inflazione che le banche centrali sono in grado di scatenare è quella da asset, la più becera, la più sporca, la più pericolosa, una bolla che quando scoppierà amplierà ancora di più questa immensa deflazione da debiti…

Ieri la Lagarde faceva tenerezza, 500 miliardi di euro in più, liquidità all’infinito, sostegno incondizionato alle banche, solo alle banche, niente altro che alle banche, inflazione molto debole ha detto Cristina, terremo d’occhio il cambio perché ha implicazioni negative sull’inflazione. https://platform.twitter.com/embed/index.html?dnt=false&embedId=twitter-widget-2&frame=false&hideCard=false&hideThread=false&id=1337040759665479682&lang=it&origin=https%3A%2F%2Ficebergfinanza.finanza.com%2F2020%2F12%2F11%2Ftreasuries-asta-stellare%2F&theme=light&widgetsVersion=ed20a2b%3A1601588405575&width=550px

Perché continuare a coprirsi di ridicolo, 1 % non lo raggiungeranno nemmeno nei prossimi 3 anni, ecco perché fanno tenerezza!

Guardate qui sotto quanti fallimenti gli economisti della Banca centrale europea, uffici studi pagati milioni e milioni di euro per indovinare il nulla, infinita tenerezza!

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Perchè vi ostinate a non ascoltare la storia, a non studiare la storia, un semplice blogger di provincia nel 2009 ha semplicemente studiato la storia, ha letto quanto accadde nel 1929, raccontato da un certo Fisher, che perse tutto il patrimonio nel crollo di Wall Street, ha studiato quanto accade in Giappone, ha vivisezionato 800 anni di storia e ha semplicemente concluso che non c’è alcuna possibilità a medio termine di una ripresa dell’inflazione ZERO, la storia suggerisce che ci voglio da un massimo di 43 anni ad un minimo di 30, quelli attuali del Giappone.

Occupiamoci di cose serie, mentre il circo finanziario aspetta l’inflazione!

Ieri asta stellare dei nostri tesorucci, si quelli che nessuno vuole, addirittura, le banche americane si sono riempite i portafogli, dopo che Dimon di JPMorgan girava per i talkshow finanziari a suggerire a tutti che è una follia comprarli.

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Non un’asta qualunque ma quella a 30 anni, TRENTA non uno o due anni, un’asta spettacolare che ieri ha preso di sorpresa il mercato facendo cadere i rendimenti.

Domanda in forte aumento, nonostante tassi vicini ai massimi da agosto, la più alta copertura da luglio, con vendite stellari ai residenti USA, ma anche enormi richieste dall’estero, con i dealer che alla fine dell’esta detenevano solo il 17 % circa, la seconda percentuale minima mai registrata nella storia.

E meno male che nessuno li vuole. L’ultima occasione è ormai partita, non lo dico io, ma lo dice il mercato che si prende beffe delle parole di Dimon, un troll come mai nella storia.

Della Brexit parleremo in OUTLOOK 2021 ” LO STALLO ”

Ricordo a tutti coloro che avessero bisogno, che ICEBERGFINANZA è anche consulenza a 360 gradi, in mezzo a questa tempesta perfetta.

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L’Etiopia bombarda il Tigray e Roma firma un accordo militare con Addis Abeba

Scritto da: Antonio Mazzeo
Fonte: https://www.africa-express.info/2020/11/07/letiopia-bombarda-il-tigray-e-e-roma-firma-un-accordo-militare-con-addis-abeba/


Antonio Mazzeo

Chissà se adesso che nella regione del Tigray sono iniziati i bombardamenti da parte del governo di Addis Abeba, ci sarà qualcuno in Italia che s’interrogherà sull’opportunità di aver firmato e ratificato in fretta e furia un accordo di cooperazione militare con l’Etiopia.

L’accordo con le autorità etiopiche è stato sottoscritto il 10 aprile 2019 in occasione della visita in Corno d’Africa dell’allora ministra della Difesa Elisabetta Trenta (M5S) e del Capo di Stato Maggiore delle forze armate, generale Enzo Vecciarelli. “Si tratta di un’intesa storica che inaugura una nuova fase delle relazioni bilaterali tra Italia ed Etiopia”, aveva commentato la ministra subito dopo la firma con la titolare del dicastero della difesa etiope, Aisha Mohammed. “L’Accordo istituisce un quadro entro cui sviluppare nuove e maggiori iniziative nel campo della sicurezza e della difesa in aree di comune interesse quali la formazione; le operazioni di peace-keeping in cui sia l’Etiopia che l’Italia condividono un ruolo di leadership; il contrasto al terrorismo ed all’estremismo violento; la ricerca e lo sviluppo in ambito militare e la collaborazione in materia di industria della difesa”.

Il 26 giugno 2019 il Consiglio dei ministri presieduto da Giuseppe Conte, su proposta della ministra Trenta e dell’allora ministro degli Affari esteri Enzo Moavero Milanesi, approvava il disegno di legge di ratifica ed esecuzione dell’accordo di cooperazione militare e una ventina di giorni più tardi lo sottoponeva alle due Camere per la ratifica. Nonostante l’incalzante emergenza per la diffusione del Covid-19, la Camera dei deputati varava il testo il 5 febbraio 2020 (relatrice l’on. Mirella Emiliozzi di M5S, facente funzioni in una delle sedute l’on. Piero Fassino del Pd ), mentre il Senato della Repubblica lo approvava in via definitiva lo scorso 8 luglio (relatore il sen. Alessandro Alfieri del Pd). La legge è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 4 agosto 2020 ed è in vigore dal giorno successivo.

Nella scheda predisposta dall’esecutivo Conte uno sulle finalità generali dell’accordo di cooperazione militare Italia-Etiopia (rimasta la stessa anche dopo il ribaltone politico che ha portato al Conte bis), si enfatizza come il paese africano “sta conoscendo un accelerato ed intenso processo di riforma, dovuto principalmente al suo nuovo Primo Ministro Abiy Ahmed, unitamente ad una decisa crescita economica”. A capo del governo dall’aprile 2018 – aggiunge l’esecutivo – “il nuovo premier ha inaugurato una nuova fase politica di riforme e di riconciliazione nazionale, che ha ricevuto un significativo riconoscimento da parte della Comunità internazionale con il conferimento ad Abiy Ahmed del Premio Nobel per la pace nel 2019”.

“Apertura democratica e riformismo economico sono state le linee di politica interna, mentre sul piano regionale Abiy ha puntato sulla pace con l’Eritrea, sulla distensione dell’area e sul rafforzamento dei legami con alcuni Paesi del Golfo, i quali hanno fatto affluire ingenti capitali nel Corno d’Africa negli ultimi anni”, prosegue la scheda che accompagna la proposta di ratifica dell’accordo militare. “Il Primo Ministro ha varato negli ultimi mesi alcuni provvedimenti per superare le tensioni nel rapporto con alcuni gruppi etiopi di opposizione, anche armata, al governo di Addis Abeba, legati in passato ad Asmara. Ne sono testimonianza i decreti di liberazione di alcuni prigionieri politici; l’eliminazione della formazione para-militare Ginbot 7 e dell’Ogaden National Liberation Front dalla lista delle organizzazioni terroriste; la firma dell’accordo di pace con l’Oromo Liberation Front, che per anni ha condotto azioni di sabotaggio ai danni del Governo etiope godendo della protezione di Asmara, e con l’Amhara Democratic Front”.

Ciliegina sulla torta, le “eccellenti” relazioni economiche bilaterali. “L’Italia figura fra i primi partner commerciali dell’Etiopia: èl’8° fornitore a livello mondiale e il 1° a livello europeo nei primi 7 mesi del 2018”, concludono Conte & C. “Alcune delle maggiori imprese italiane sono coinvolte nell’opera di modernizzazione del Paese. Per l’export italiano, l’Etiopia costituisce il 4° mercato di destinazione nell’Africa sub-sahariana”.

Sarebbe però bastata un’occhiata ai più recenti report delle organizzazioni non governative internazionali in difesa dei diritti umani per rendersi conto che il quadro prefigurato dalle autorità italiane per giustificare la partnership militare con Addis Abeba era sin troppo enfatico non del tutto veritiero. Nel dossier 2020 di Amnesty International, ad esempio, l’Etiopia compare tra i paesi africani in cui “continuano numerosi gli attacchi da parte di gruppi armati e dalla violenza comune che causano morti, ferimenti e spostamenti forzati della popolazione”.

“Le risposte da parte delle forze di sicurezza sono state marcate da violazioni dei diritti umani molto diffuse e da crimini secondo le leggi internazionali”, riporta Amnesty. “E’ stato documentato un aumento della violenza etnica che ha condotto a migliaia di morti in tutto il paese e le forze di sicurezza hanno fallito nel loro compito di difesa e protezione della popolazione. Queste ultime, inoltre, specie i membri della polizia regionale e della milizia amministrativa locale, hanno avuto un ruolo attivo, schierandosi con i gruppi etnici d’appartenenza coinvolti nella violenza generale (…) In Etiopia, il governo non ha ancora condotto inchieste approfondite e imparziali sugli abusi degli attori non statali e delle forze di sicurezza – compresi gli assassinii di manifestanti e i numerosi casi di tortura e altri maltrattamenti  nelle prigioni”.

Ma cosa prevede l’accordo di cooperazione militare con l’Etiopia approvato dai disattenti parlamentari italiani? Il testo si apre con un preambolo dove le parti spiegano di voler “consolidare le rispettive capacità difensive” ed “indurre indiretti effetti positivi in alcuni settori produttivi e commerciali di entrambi i Paesi”. Tredici sono invece gli articoli che compongono l’accordo che avrà una durata di cinque anni,“automaticamente rinnovabili per ulteriori periodi di pari durata, sino a quando una delle Parti non decida, in qualunque momento, di denunciarlo, con effetto a 90 giorni”.

All’articolo 3, in particolare, si enumerano le materie della cooperazione: difesa e sicurezza; formazione, addestramento e assistenza tecnica; ricerca e sviluppo in ambito militare e supporto logistico; operazioni di supporto alla pace. All’articolo 4 si specificano invece le modalità con cui si espleterà la partnership tra le forze armate italiane e quelle del paese africano: scambi di visite e di esperienze; partecipazione a corsi, conferenze, studi, fasi di apprendistato e addestramento presso istituti di formazione militari; promozione dei servizi di sanità, compresa la ricerca medica; supporto ad iniziative commerciali relative ai prodotti e ai servizi connessi alle questioni della difesa; ecc..

E’ ovviamente al trasferimento di sistemi d’arma e apparecchiature belliche che si guarda con particolare attenzione. Così all’art. 9 viene auspita la promozione di “iniziative commerciali finalizzate a razionalizzare il controllo sui prodotti ad uso militare” attraverso la “ricerca scientifica, lo scambio di esperienze nel settore tecnico, l’approvvigionamento di equipaggiamento militare”.

L’Etiopia torna così ad essere, ottant’anni dopo la disastrosa disavventura coloniale del fascismo, meta del complesso militare-industriale di casa nostra. Sono gli stessi proponenti della legge di ratifica dell’accordo a sottolinearlo nella scheda tecnica presentata alle due Camere. “L’entrata in vigore dell’Accordo – si sottolinea – consentirà al Ministero della Difesa, d’intesa con il Ministero degli Esteri e della cooperazione internazionale, di svolgere attività di supporto in favore del Governo etiope in relazione all’eventuale acquisizione da parte dello stesso di materiali per la difesa prodotti dall’industria nazionale, nel rigoroso rispetto dei princìpi, delle norme e delle procedure in materia di esportazione di materiali d’armamento di cui alla legge 9 luglio 1990, n. 185, sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento”.

Un accordo tra Italia ed Etiopia sulla cooperazione nel settore della difesa era stato firmato a Roma il 12 marzo 1998 dall’allora ministro Beniamino Andreatta e dal generale Gebre Tsadkan, viceministro della difesa e Capo di Stato maggiore delle forze armate etiopi. Esso però non entrò in vigore perché non venne avviato il relativo iter parlamentare di ratifica per il sopraggiunto conflitto tra Etiopia ed Eritrea e il conseguente embargo disposto dal Consiglio di sicurezza dell’ONU sulla vendita e la fornitura di armi e materiale militare ai due Paesi belligeranti.

L’embargo fu revocato nel 2001 quando Eritrea ed Etiopia firmarono un accordo di cessazione delle ostilità. Ci sono volute due decadi perché a Roma si tornasse a puntare sugli affari armati con Addis Abeba.

TRUMP BIDEN: POLITICAL CIVIL WAR!

Fonte: https://icebergfinanza.finanza.com/2020/09/30/trump-biden-political-civil-war/

Partiamo dal nostro Keynes e il suo concorso di bellezza, non importa chi è il più bravo, chi più ci rappresenta, il più intelligente, il più adatto, importa solo come voteranno i giudici. Quindi evitate di fare commenti o scrivere fesserie su come finiranno queste elezioni al sottoscritto nulla importa se vince Trump o Biden, perché ambedue i personaggi, vista la loro storia, sono il peggio che l’America può ritrovarsi.

Con il livello di manipolazione mediatica di sondaggi e previsioni esistente, fa sorridere che qualcuno cerchi di suggerire chi ha vinto il dibattito di ieri.

Il dibattito di ieri ha fatto capire che tipo di elezioni saranno le prossime, frodi, manipolazioni e tanto altro ancora saranno all’ordine del giorno, il risultato sarà tale che ci vorranno giorni e forse mesi per conoscere il nuovo presidente degli Stati Uniti.

La prima sintesi unanime è che si tratta del peggior dibattito presidenziale della storia degli Stati Uniti, una serie di insulti e attacchi che prefigura la guerra civile politica che accompagnerà l’America nei prossimi mesi e forse anni.

Se qualcuno non ha ancora compreso l’aria che tira, suggerisco di ascoltare Trump, un assaggio ve lo abbiamo già dato nei giorni scorsi…

… potremmo non conoscere per mesi il risultato delle elezioni!

Dopo un inizio incoraggiante, slogan, insulti, interruzioni, sovrapposizioni, attacchi alle famiglie, nulla di più, se proprio vogliamo trovare un mossa sbagliata a testa per Trump è stata il rifiuto di negare il cosiddetto “suprematismo bianco” i pericolosi militanti armati, della destra più estrema, che porterà via parecchi voti dall’elettorato di colore, qualunque esso sia, mentre per Biden, quella di prendere le distanze dal Green NEW DEAL dell’ala sinistra radicale democratica.

Del resto, sull’economia nessuna novità, il NULLA da entrambi.

Quindi in attesa di valutare meglio quello che potrebbe accadere a novembre e nei mesi successi nel fine settimana, insieme al nostro Machiavelli, consiglio ancora una volta di non sottovalutare il caos che accadrà dopo le elezioni, visto che Trump ha invitato durante il dibattito la sua base a presidiare i seggi, dando per sicuri i brogli elettorali.

Ci vediamo nel fine settimana, noi insieme al nostro Machiavelli ci siamo già fatti un’idea di quello che accadrà, non nel concorso di bellezza, non su come voteranno i giudici, ma sul CAOS o meglio CHAOS che seguirà, per quello siamo già pronti, nuove strategie ci attendono nelle prossime settimane.

Gli scienziati cercheranno di aprire uno “STARGATE” verso Universi Paralleli

Fonte: https://www.segnidalcielo.it/gli-scienziati-cercheranno-di-aprire-uno-stargate-verso-universi-paralleli/

Gli scienziati dell’Oak Ridge National Laboratory metteranno alla prova una squadra di tecnici, ingegneri e fisici che li aiuterà a vedere gli universi paralleli per la prima volta, e forse uno potrebbe essere molto simile al nostro, con particelle, pianeti speculari e persino possibili specchi delle nostre vite.

Secondo un’intervista alla NBC di Leah Broussard, uno dei fisici a capo del progetto, questo sarà un tentativo di rivelare una realtà nascosta. La scoperta di universi paralleli potrebbe sembrare la storia di una serie di fantascienza, ma gli esperti hanno affermato in diverse occasioni che questo potrebbe essere un mezzo per spiegare i fenomeni fino ad ora rimasti senza spiegazione.

Tuttavia, ad oggi, non sono state trovate prove concrete dell’esistenza di un mondo parallelo ma ci si è limitati alle sole teorie. L’insieme di strani risultati che hanno ispirato questa nuova ricerca viene dagli anni Novanta, quando le particelle fisiche misuravano il tempo necessario a una particella di neutroni per decomporsi in protoni dopo aver eliminato il nucleo dell’atomo.

Due diversi studi hanno mostrato come i neutroni si sono decomposti a velocità diverse, piuttosto che alla pari, come è normale che accada. In uno, i neutroni liberi sono stati catturati dai campi magnetici e portati alle provette. Nell’altro, sono stati rilevati dall’aspetto di particelle di protoni da una corrente di reattore nucleare.

Queste particelle sparate nella corrente dal reattore nucleare hanno vissuto, in media, nove secondi in più rispetto a quelle rilevate nelle provette. Qualcosa che può sembrare minuscolo, ma per gli scienziati, è qualcosa che non dovrebbe accadere. Tuttavia, l’esistenza di un mondo speculare potrebbe offrire una spiegazione; che ci sono due vite di neutroni separate, e potrebbe essere che circa l’uno percento dei neutroni possa attraversare la “fessura” tra una realtà e l’altra ed emettere un protone rilevabile.

Il nuovo esperimento farà scoppiare un raggio di neutroni su un muro impenetrabile. Dall’altro lato, verrà posizionato un rilevatore di neutroni, che normalmente non dovrebbe rilevare nulla. Ma se fosse stato rilevato un neutrone, la teoria è che avrebbe potuto attraversare il muro “oscillando” da un mondo all’altro e apparire in questo universo, in particolare nel laboratorio del Tennessee. Il team installerà anche campi magnetici sui lati del muro, che potrebbero alterare la loro forza. Si prevede che alcune forze aiuteranno l’oscillazione delle particelle.

Sebbene la teoria e l’esperimento siano stati seriamente trattati, gli esperti non hanno speranza di trovare un universo parallelo. Tuttavia, se viene rilevato un neutrone sull’altro lato del muro, ciò potrebbe significare qualcosa di molto più profondo di quanto pensi. L’esistenza di universi paralleli, o mondi speculari, potrebbe anche spiegare altre anomalie, come la mancanza dell’isotopo di litio 7 nell’universo, che gli scienziati ritengono non essere fattibile con gli importi che il Big Bang avrebbe dovuto creare.

Gli immensi raggi cosmici di energia rilevati che provengono da oltre la nostra galassia, potrebbero anche essere spiegati attraverso gli universi paralleli. Anche se questa non è la prima volta che si fa un esperimento simile, è ancora incredibile che gli scienziati continuino a trovare modi per dimostrare l’esistenza di mondi paralleli

Coronavirus, e la deforestazione raddoppia

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/deforestazione/4537-coronavirus,-e-la-deforestazione-raddoppia.html

Mentre il virus COVID-19 si stava diffondendo in tutto il mondo, la deforestazione nelle foreste pluviali del mondo è cresciuta a un ritmo allarmante, ha affermato il braccio tedesco del World Wildlife Fund (WWF) in uno studio pubblicato la scorsa settimana. Il rapporto, che ha analizzato i dati satellitari di 18 paesi compilati dall’Università del Maryland, ha rilevato che nel marzo scorso la deforestazione è cresciuta del 150% a marzo alla media dello stesso mese nel 2017-2019.
Circa 6.500 chilometri quadrati (2.510 miglia quadrate) di foresta pluviale sono stati abbattuti solo nel mese di marzo.
“Ciò indica che abbiamo a che fare con un effetto coronavirus sui tassi di deforestazione che esplodono”, ha dichiarato Christoph Heinrich, responsabile della conservazione della natura con la Germania del WWF.

Le foreste indonesiane sono quelle più duramente colpite, con oltre 1.300 chilometri quadrati persi.
La Repubblica Democratica del Congo ha visto la seconda perdita di foreste, con 1.000 chilometri quadrati, seguita dal Brasile con 950 chilometri quadrati.
Secondo l”istituto di ricerca brasiliano Imazon, la deforestazione è aumentata anche ad aprile.Per tale messe Amazon ha registrato una perdita di 529 chilometri quadrati in Amazzonia, pari a un aumento del 171% rispetto allo scorso anno.

Il WWF ne deduce che  il boom della deforestazione nella foresta pluviale sia stato alimentato proprio dalla pandemia di COVID-19: i severi blocchi decretati in tutto il mondo ha impedito alle autorità di pattugliare riserve naturali e territori indigeni, mentre l’impennata degli ordini a domicilio ha aumentato la domanda di prodotti. Un paradiso per organizzazioni criminali e taglialegna illegali, che hanno sfruttato la situazione a proprio vantaggio.

Un rapporto indipendente conferma: i salvataggi bancari hanno distrutto la Grecia, ma hanno salvato l’Euro

Fonte: http://movisol.org/un-rapporto-indipendente-conferma-i-salvataggi-bancari-hanno-distrutto-la-grecia-ma-hanno-salvato-leuro/

Un rapporto indipendente commissionato dai governatori del MES ha evidenziato i gravi danni causati dal programma di salvataggi bancari dell’UE, che ha imposto all’economia greca un debito di 210 miliardi di euro e disastrose misure di austerità sociale. Il rapporto è stato preparato dall’ex commissario europeo Joaquín Almunia (foto), che ha ammesso che anche se i salvataggi hanno mantenuto la Grecia nell’Eurozona salvando l’Euro, “il Paese e i suoi cittadini hanno subìto le conseguenze di otto anni di duro aggiustamento economico”. Ciò solleva “preoccupazioni”, ha aggiunto che tali programmi debbano essere pensati con priorità sociali quando vengono stilati (fonte: Euractiv).

Il rapporto di 167 pagine chiarisce questo punto, affermando che l’Eurogruppo, assieme alla Commissione Europea, al MES, alla Banca Centrale Europea e al Fondo Monetario Internazionale, che ha progettato il programma, non prestarono “sufficiente attenzione alle esigenze sociali di fondo della popolazione greca”. Gli obiettivi fiscali non erano “favorevoli a una crescita inclusiva e mancavano di prospettive economiche a lungo termine”. Il programma del MES non è riuscito a perseguire in modo sistematico e vigoroso l’obiettivo della sostenibilità macroeconomica e della resilienza a lungo termine”.

In un ovvio riferimento alla prepotente influenza della Germania, dei Paesi Bassi e di altri Paesi, il rapporto ha rilevato le forti richieste di austerità di alcuni di essi, che “a volte hanno ostacolato la capacità delle istituzioni di progettare e negoziare efficacemente misure politiche”. Cercando di minimizzare, il rapporto afferma che la sostenibilità del debito greco non è stata “ripristinata completamente”, con il debito pubblico che quest’anno dovrebbe salire al 196% del PIL. Inoltre, il settore bancario rimane “debole” e la disuguaglianza tra i redditi è superiore alla media dell’area dell’euro, con tassi di povertà complessivi e disoccupazione che rimangono elevati.

La risposta dei governatori del MES nel loro comunicato stampa è stata tipicamente insensibile: “Pur rilevando i notevoli costi economici e sociali della crisi per la Grecia, essi sottolineano il beneficio complessivo del programma nel fornire un indispensabile sostegno finanziario alla Grecia a seguito della perdita di accesso al mercato e nel preservare l’integrità dell’area dell’Euro”. In altre parole, l’Euro è stato salvato, ma a spese della vita dei greci.

La lettera di Donald Trump all’OMS

Fonte: http://vocidallestero.blogspot.com/

L’originale della lettera di Donald Trump all’OMS in cui il Presidente USA formula le sue gravi accuse di collusione con la Cina e del conseguente fallimento nella prevenzione e nella risposta  alla pandemia.  
Traduzione di Rosa Anselmi


The White House Washington 18 maggio 2020

Sua Eccellenza Dr. Tedros Adhanom Ghebreyesus,
Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, Ginevra, Svizzera

Caro Dr Tedros:

il 14 aprile 2020 ho sospeso i contributi degli Stati Uniti all’Organizzazione Mondiale della Sanità in attesa di un’indagine della mia amministrazione sulla fallita risposta dell’organizzazione all’epidemia da COVID-19. Questa revisione ha confermato molte delle serie preoccupazioni che ho sollevato il mese scorso e ne ha identificato altre che l’Organizzazione mondiale della sanità avrebbe dovuto affrontare, in particolare l’allarmante mancanza di indipendenza dell’Organizzazione mondiale della sanità dalla Repubblica popolare cinese. Sulla base di questa revisione ora sappiamo quanto segue: 

L’Organizzazione mondiale della sanità ha costantemente ignorato le segnalazioni credibili del diffondersi del virus a Wuhan all’inizio di dicembre 2019 o anche prima, compresi i rapporti della rivista medica Lancet. L’Organizzazione mondiale della sanità non è riuscita a indagare in modo indipendente sui rapporti credibili che erano in conflitto diretto con i canali ufficiali del governo cinese, persino su quelli provenienti da fonti all’interno della stessa Wuhan.

Non più tardi del 30 dicembre 2019, l’ufficio dell’Organizzazione mondiale della sanità a Pechino sapeva che a Wuhan c’era una “grave preoccupazione per la salute pubblica”. Tra il 26 e il 30 dicembre, i media cinesi hanno sottolineato le evidenze di un nuovo virus emergente da Wuhan, sulla base dei dati dei pazienti inviati a diverse società cinesi di genomica. Inoltre, durante questo periodo, il dottor Zhang Jixian, un medico dell’ospedale provinciale dell’Hubei di medicina integrata cinese e occidentale, ha riferito alle autorità sanitarie cinesi che un nuovo coronavirus stava causando una nuova malattia che, all’epoca, stava affliggendo circa 180 pazienti.

Il giorno successivo, le autorità di Taiwan avevano comunicato all’Organizzazione mondiale della sanità informazioni che indicavano la trasmissione da uomo a uomo di un nuovo virus. Eppure l’Organizzazione mondiale della sanità ha scelto di non condividere nessuna di queste informazioni critiche con il resto del mondo, probabilmente per motivi politici.

I regolamenti sanitari internazionali impongono ai paesi di segnalare il rischio di un’emergenza sanitaria entro 24 ore. Ma la Cina non ha informato l’Organizzazione mondiale della sanità dei numerosi casi di polmonite a Wuhan, di origine sconosciuta, fino al 31 dicembre 2019, anche se probabilmente era a conoscenza di questi casi giorni o settimane prima.

Secondo il dott. Zhang Yongzhen del Centro clinico di sanità pubblica di Shanghai, egli ha riferito alle autorità cinesi di aver sequenziato il genoma del virus il 5 gennaio 2020. Non vi fu alcuna pubblicazione di questa informazione fino a sei giorni dopo, l’11 gennaio 2020, quando il Dr. Zhang la pubblicò da solo online. Il giorno successivo, le autorità cinesi hanno chiuso il suo laboratorio per “rettifica”. Come ha riconosciuto anche l’Organizzazione mondiale della sanità, la pubblicazione online del dott. Zhang è stata un grande atto di “trasparenza”. Ma l’Organizzazione Mondiale della Sanità è rimasta visibilmente silente sia per quanto riguarda la chiusura del laboratorio del Dr. Zhang sia per la sua affermazione di aver informato le autorità cinesi della sua scoperta sei giorni prima.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha ripetutamente fatto affermazioni sul coronavirus che erano o gravemente inaccurate o fuorvianti.

  • Il 14 gennaio 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha riaffermato senza ragione l’asserzione della Cina, ora sfatata, secondo cui il coronavirus non poteva essere trasmesso tra esseri umani, asserendo: “Le indagini preliminari condotte dalle autorità cinesi non hanno trovato prove chiare della trasmissione da uomo a uomo del nuovo coronavirus (2019-nCov) identificato a Wuhan, in Cina. Questa affermazione era in conflitto diretto con le notizie censurate di Wuhan. 
  • A quanto riferito, il 21 gennaio 2020 il presidente cinese Xi Jinping ha fatto pressioni su di lei perché non dichiarasse un’emergenza l’epidemia da coronavirus. Il giorno dopo lei ha ceduto a questa pressione e ha detto al mondo che il coronavirus non rappresentava un’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale. Poco più di una settimana dopo, il 30 gennaio 2020, prove schiaccianti del contrario l’hanno costretto a invertire la rotta. 
  • Il 28 gennaio 2020, dopo aver incontrato il presidente Xi a Pechino, ha elogiato il governo cinese per la sua “trasparenza” nei confronti del coronavirus, annunciando che la Cina aveva fissato un “nuovo standard per il controllo delle epidemie” e “acquistato tempo per il mondo “. Lei non ha menzionato che la Cina aveva ormai messo a tacere o punito diversi medici per aver parlato del virus e impedito alle istituzioni cinesi di pubblicare informazioni al riguardo. 
  • Anche dopo aver tardivamente dichiarato l’epidemia un’emergenza di salute pubblica di rilevanza internazionale il 30 gennaio 2020, non è riuscito a far pressioni sulla Cina per l’ammissione tempestiva di un team di esperti medici internazionali dell’Organizzazione mondiale della sanità. Di conseguenza, questo team critico non è arrivato in Cina fino a due settimane dopo, il 16 febbraio 2020. E anche in quel momento, al team non è stato permesso di visitare Wuhan fino agli ultimi giorni della loro visita. Sorprendentemente, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha taviuto quando la Cina ha negato del tutto l’accesso a Wuhan ai due membri americani del team. 
  • Ha anche molto elogiato le severe restrizioni sui viaggi interni in Cina, ma è stato inspiegabilmente contro la mia chiusura del confine degli Stati Uniti, o il divieto, rispetto alle persone provenienti dalla Cina. Ho messo il divieto in atto indipendentemente dai suoi desideri. Il suo gioco politico su questo tema è stato mortale poiché altri governi, basandosi sui suoi commenti, hanno ritardato nell’imporre restrizioni salvavita ai viaggi da e verso la Cina. Incredibilmente, il 3 febbraio 2020, ha rafforzato la sua posizione ritenendo che, poiché la Cina stava facendo un ottimo lavoro nel proteggere il mondo dal virus, le restrizioni ai viaggi “stavano causando più danni che benefici”. Ma a quel punto il mondo sapeva che, prima di bloccare Wuhan, le autorità cinesi avevano permesso a più di cinque milioni di persone di lasciare la città e che molte di queste persone erano dirette verso destinazioni internazionali in tutto il mondo. 
  • A partire dal 3 febbraio 2020, la Cina stava fortemente spingendo i paesi a revocare o prevenire le restrizioni sui viaggi. Questa campagna di pressione è stata rafforzata dalle sue dichiarazioni errate di quel giorno che hanno detto al mondo che la diffusione del virus al di fuori della Cina era “minima e lenta” e che “le possibilità di portarlo in qualsiasi luogo al di fuori della Cina [erano] molto basse”. 
  • Il 3 marzo 2020, l’Organizzazione mondiale della sanità ha citato i dati ufficiali cinesi per minimizzare il rischio molto grave di diffusione asintomatica, dicendo al mondo che il “COVID-19 non si trasmette in modo efficiente come l’influenza” e che a differenza dell’influenza questa malattia non era principalmente guidata da “persone che sono infette ma non ancora malate”. Le evidenze della Cina, ha dichiarato al mondo l’Organizzazione mondiale della sanità, “hanno dimostrato che solo l’uno per cento dei casi segnalati non presenta sintomi e la maggior parte di questi casi sviluppa sintomi entro due giorni”. Molti esperti, tuttavia, citando dati provenienti da Giappone, Corea del Sud e altrove, hanno fortemente messo in discussione queste asserzioni. E’ ora chiaro che le affermazioni della Cina, ripetute al mondo dall’Organizzazione mondiale della sanità, erano largamente inaccurate. 
  • Quando alla fine ha dichiarato la pandemia l’11 marzo 2020, il virus aveva ucciso più di 4.000 persone e infettato oltre 100.000 persone in almeno 114 paesi in tutto il mondo. 
  • L’11 aprile 2020, diversi ambasciatori africani hanno scritto al ministero degli Esteri cinese in merito al trattamento discriminatorio degli africani in relazione alla pandemia a Guangzhou e in altre città della Cina. Lei sapeva che le autorità cinesi stavano conducendo una campagna di quarantena forzata, sfratti e rifiuto di servizi contro i cittadini di questi paesi. Non ha commentato le azioni razzialmente discriminatorie della Cina. Tuttavia, senza fondamento ha etichettato come razziste le fondate lamentele di Taiwan riguardo alla sua cattiva gestione di questa pandemia. 
  • Durante questa crisi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha curiosamente insistito nel lodare la Cina per la sua presunta “trasparenza”. Lei si è sempre unito a questi tributi, nonostante la Cina sia stata tutt’altro che trasparente. Ai primi di gennaio, ad esempio, la Cina ha ordinato la distruzione di campioni del virus, privando il mondo di informazioni critiche. Persino ora la Cina continua a minare le norme sanitarie internazionali rifiutando di condividere dati precisi e tempestivi, campioni e isolati virali e trattenendo informazioni vitali sul virus e sulle sue origini. E, sino ad oggi, la Cina continua a negare l’accesso internazionale ai propri scienziati e alle relative strutture, il tutto dando la colpa in modo ampio e sconsiderato e censurando i propri esperti. 
  • L’Organizzazione Mondiale della Sanità non è riuscita a invitare pubblicamente la Cina a consentire un’indagine indipendente sulle origini del virus, nonostante la recente presa di posizione a favore da parte del suo stesso Comitato di emergenza. Il fallimento nel promuoverla da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità ha spinto i suoi Stati membri ad adottare la risoluzione “COVID-19 Response” in occasione dell’Assemblea mondiale della sanità di quest’anno, che fa eco alla richiesta degli Stati Uniti e di tanti altri per una revisione imparziale, indipendente e completa di come l’Organizzazione mondiale della sanità ha gestito la crisi. La risoluzione chiede anche un’indagine sulle origini del virus, che è necessaria affinché il mondo comprenda il modo migliore per contrastare la malattia. 

Forse peggio di tutte queste carenze è che sappiamo che l’Organizzazione mondiale della sanità avrebbe potuto fare molto meglio. Solo pochi anni fa, sotto la direzione di un diverso direttore generale, l’Organizzazione mondiale della sanità ha mostrato al mondo quanto ha da offrire. Nel 2003, in risposta all’epidemia da sindrome respiratoria acuta grave (SARS) in Cina, il direttore generale Harlem Brundtland dichiarò coraggiosamente il primo consiglio di emergenza per i viaggi dell’Organizzazione mondiale della sanità in 55 anni, raccomandando di non recarsi da e verso l’epicentro della malattia nel sud della Cina. Inoltre, non ha esitato a criticare la Cina per aver messo in pericolo la salute globale tentando di coprire l’epidemia attraverso il suo consueto copione di arresti di informatori e censura dei media. Molte vite avrebbero potuto essere salvate se avesse seguito l’esempio del Dr. Brundtland.

È chiaro che i ripetuti passi falsi da parte sua e della sua organizzazione nel rispondere alla pandemia sono stati estremamente costosi per il mondo. L’unica via da seguire per l’Organizzazione mondiale della sanità è poter effettivamente dimostrare l’indipendenza dalla Cina. La mia amministrazione ha già avviato discussioni con voi su come riformare l’organizzazione. Ma bisogna agire rapidamente. Non abbiamo tempo da perdere. Ecco perché è mio dovere, in qualità di Presidente degli Stati Uniti, informarla che, se l’Organizzazione mondiale della sanità non si impegnerà in sostanziali e significativi miglioramenti entro i prossimi 30 giorni, renderò permanente il congelamento temporaneo del finanziamento degli Stati Uniti all’Organizzazione mondiale della sanità e riconsidererò la nostra appartenenza all’organizzazione. Non posso permettere che i dollari dei contribuenti americani continuino a finanziare un’organizzazione che, allo stato attuale, così chiaramente non persegue gli interessi americani.

Cordiali saluti

Donald Trump

Coronavirus, e la deforestazione raddoppia

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/deforestazione/4537-coronavirus,-e-la-deforestazione-raddoppia.html

Mentre il virus COVID-19 si stava diffondendo in tutto il mondo, la deforestazione nelle foreste pluviali del mondo è cresciuta a un ritmo allarmante, ha affermato il braccio tedesco del World Wildlife Fund (WWF) in uno studio pubblicato la scorsa settimana. Il rapporto, che ha analizzato i dati satellitari di 18 paesi compilati dall’Università del Maryland, ha rilevato che nel marzo scorso la deforestazione è cresciuta del 150% a marzo alla media dello stesso mese nel 2017-2019.
Circa 6.500 chilometri quadrati (2.510 miglia quadrate) di foresta pluviale sono stati abbattuti solo nel mese di marzo.
“Ciò indica che abbiamo a che fare con un effetto coronavirus sui tassi di deforestazione che esplodono”, ha dichiarato Christoph Heinrich, responsabile della conservazione della natura con la Germania del WWF.

Le foreste indonesiane sono quelle più duramente colpite, con oltre 1.300 chilometri quadrati persi.
La Repubblica Democratica del Congo ha visto la seconda perdita di foreste, con 1.000 chilometri quadrati, seguita dal Brasile con 950 chilometri quadrati.
Secondo l”istituto di ricerca brasiliano Imazon, la deforestazione è aumentata anche ad aprile.Per tale messe Amazon ha registrato una perdita di 529 chilometri quadrati in Amazzonia, pari a un aumento del 171% rispetto allo scorso anno.

Il WWF ne deduce che  il boom della deforestazione nella foresta pluviale sia stato alimentato proprio dalla pandemia di COVID-19: i severi blocchi decretati in tutto il mondo ha impedito alle autorità di pattugliare riserve naturali e territori indigeni, mentre l’impennata degli ordini a domicilio ha aumentato la domanda di prodotti. Un paradiso per organizzazioni criminali e taglialegna illegali, che hanno sfruttato la situazione a proprio vantaggio.