è una situazione difficile, drammatica…provocata ? Virus trasmesso dai pipistrelli? Mah…non vogliamo schierarci per una tesi rispetto ad un’altra…ma, una cosa è certa, finalmente i “gestori” dell’Europa sono usciti allo scoperto… Traditori e massacratori dei popoli. Apolidi arrivisti, vili marrani assetati di potere, finanziatori di ONG patetiche e ruffiane.
Una cosa è certa, tutto è appena iniziato…i traditori “escono allo scoperto” e i patrioti si stanno “risvegliando”…
Sono molti, ormai è noto, gli effetti negativi dell’attività
antropica incontrollata degli ultimi duecento anni. Tra questi, vi è
l’incipiente Sesta estinzione di massa: per la prima
volta nella storia della vita sulla Terra, una sola specie ha sterminato
un numero elevatissimo di altre specie viventi: uno studio del 2018 ha
stimato che, dall’inizio della civilizzazione dell’uomo, è andato perduto l’83% dei mammiferi selvatici
– circa cinque su sei. Vi è un altro dato, tuttavia, che è stato a
lungo sottovalutato: il crescente tasso di estinzione che riguarda gli
invertebrati, e in particolare, negli ambienti terrestri, gli insetti.
Il Somerset Wildlife Trust ha dedicato il suo ultimo report,
pubblicato sul finire del 2019, ad una ricognizione della situazione a
livello globale, proponendo anche una serie di azioni che possono essere
messe in atto – sia a livello governativo, sia dai singoli cittadini –
per contrastare il fenomeno.
Le specie di insetti note sono circa un milione, di
cui spesso non conosciamo altro che l’esistenza, ignorandone invece le
particolarità fisiologiche, i comportamenti e le attività all’interno
dei propri ecosistemi; si stima, tuttavia, che ne esistano almeno altri quattro milioni
che la scienza non è ancora stata in grado di scoprire. Se gli attuali
tassi di estinzione dovessero confermarsi nei prossimi anni, è possibile
che molte di queste specie si estinguano senza che noi arriviamo anche
solo a sapere che siano esistite, in modo da poterne stimare la perdita.
Nell’ultimo decennio molti autorevoli studi si sono concentrati su tale muto dramma: tra questi, molto importante si è rivelato il report pubblicato nel 2017 dalla Entomological Krefeld Society, i cui dati, pur basati su esperimenti condotti solo in siti tedeschi e in un periodo di tempo limitato, mostrano dei trend incontrovertibili: la biomassa degli insetti, negli ultimi 30 anni, è vertiginosamente diminuita (con tassi del 75%). La tendenza è confermata anche da altre ricerche: nel 2018, i biologi Bradford Lister e Andres Garcia hanno pubblicato i risultati di una serie di misurazioni condotte nella foresta tropicale di Puerto Rico; a distanza di 35 anni dalle prime rilevazioni, la biomassa degli insetti era diminuita in modo verticale, con tassi che oscillavano tra il 70 e il 98% a seconda delle specie e del periodo dell’anno.
Somerset Wildlife Trust Report 2019
Le cause di questo declino sono molteplici; si tratta, per lo più, di fattori di disturbo di origine antropica, tra cui la perdita di habitat, l’esposizione cronica a cocktail letali di pesticidi e di altre sostanze chimiche, la diffusione di specie alloctone invasive, gli incipienti impatti del cambiamento climatico.
Recenti studi sembrano mostrare, in particolare, come quest’ultimo
fattore abbia un ruolo primario nella sparizione degli insetti, i quali
si trovano privi del loro habitat e incapaci di sopravvivere a fronte
dello sfasamento tra i propri ritmi riproduttivi e quelli delle piante
da cui sono, in molti casi, dipendenti. Le attività umane generano una
pluralità di fattori di disturbo secondari, tra cui le molteplici
sostanze chimiche di sintesi immesse involontariamente negli ecosistemi;
il crescente numero di specie invasive, diffuse mediante la rete
globale dei trasporti, che hanno ridotto la biodiversità di molti
ecosistemi; l’inquinamento luminoso, che ha ricadute significative
soprattutto sugli insetti notturni.
La tragedia nella tragedia è che l’opinione pubblica ignora l’enorme importanza degli insetti.
Essi forniscono numerosi servizi ecosistemici fondamentali: sono cibo
per molte specie di uccelli e piccoli mammiferi, che in loro assenza si
estinguerebbero; compiono l’impollinazione, funzione necessaria per l’87% di tutte le specie vegetali e per i tre quarti delle coltivazioni umane, fornendo così un servizio il cui valore è stimato tra i 235 e i 577 miliardi di dollari l’anno in tutto il mondo;
svolgono un’importante azione di controllo biologico; aiutano a
riciclare i nutrienti, coadiuvando i processi di decomposizione dei
materiali organici. È stato stimato che, attribuendo a tutto questo un
valore economico, esso sarebbe pari ad almeno 57 miliardi di dollari l’anno nei soli Stati Uniti.
Vi sono tuttavia molti insetti di cui non conosciamo le funzioni, né siamo in grado, in parecchi casi, di comprendere la moltitudine di interazioni complesse che intercorrono tra i diversi organismi all’interno di un ecosistema. Per rendere ragione del valore di questi esseri viventi, dunque, non possiamo rimetterci al loro supposto valore economico: un argomento da tenere in considerazione è quello che sostiene che gli esseri viventi non umani hanno diritto di essere qui tanto quanto noi. “Non abbiamo forse il dovere morale -si legge nel documento – di prenderci cura dei nostri compagni di viaggio sul pianeta Terra, che essi siano pinguini, panda o insetti?”.
Da una prospettiva antropocentrica – che dobbiamo inevitabilmente adottare – siamo di fronte ad un problema che mette a serio rischio la sopravvivenza e il benessere della nostra società; il declino degli insetti è già oggi una realtà, ma non è ancora irreversibile.
I governi e la società civile devono dunque assumersi la responsabilità
di agire per contrastare questo fenomeno. Come sottolinea il rapporto, esistono molte soluzioni di non difficile attuazione, e che non comportano costi alti né dal punto di vista economico né sul piano culturale.
Tra le proposte del Somerset Wildlife Trust – originariamente pensate
per l’Inghilterra, ma facilmente estensibili su una scala ben più ampia
– vi è la necessità di una netta diminuzione del ricorso a pesticidi (che non solo sono sempre più utilizzati, ma sono molto più potenti e dannosi di quelli sintetizzati alcuni decenni fa), il cui uso va regolamentato con precise norme e sanzioni, e un impegno a creare un “Nature Recovery Network”
rendendo più verdi i nostri giardini e le città, creando habitat che
favoriscano la crescita della biodiversità vegetale ed animale. Un altro
mutamento sostanziale dovrà riguardare l’ambito agricolo: è necessario
modificare l’attuale sistema – basato su monocolture che hanno bisogno,
per sostenere gli alti ritmi di produzione e i bassi costi richiesti dal
mercato, di un massiccio ricorso a pesticidi e fertilizzanti – ad un nuovo modello colturale che si basi sui principi dell’agroecologia, ritenuta da eminenti organizzazioni come la FAO e l’UNEP il metodo agricolo migliore dal punto di vista della sostenibilità ambientale, economica e sociale.
La situazione è critica: per questo è necessario un piano d’azione concertato e condiviso tra amministratori e società civile
che promuova un nuovo approccio, all’insegna della sostenibilità, nello
sfruttamento della natura; senza una tale consapevolezza, e senza la
tempestiva assunzione di questo impegno, è probabile che la condizione
attuale, ora eccezionale, diventi non solo normale, ma irreversibile.
Carlo
Collodi (il cui vero nome è Carlo Lorenzini), nasce a Firenze il 24 novembre
1826. La madre, Angelina Orzali, benché diplomata come maestra elementare, fa
la cameriera per l’illustre casato toscano dei Garzoni Venturi – la cui tenuta
a Collodi rimarrà uno dei ricordi più cari del piccolo Carlo – e in seguito
presso la ricca famiglia Ginori di Firenze. Il padre Domenico Lorenzini, di più
umili origini, debole di carattere e fragile di salute, lavora come cuoco per
gli stessi marchesi Ginori.
Primogenito
di una numerosa e sventurata famiglia (dei dieci figli, sei ne muoiono in
tenera età), Carlo frequenta le elementari a Collodi, affidato ad una zia.
Malgrado il carattere vivace, inquieto e propenso all’insubordinazione, viene
avviato agli studi ecclesiastici presso il Seminario di Val d’Elsa e poi dai
Padri Scolopi di Firenze.
Quando il
fratello Paolo Lorenzini diventa dirigente nella Manifattura Ginori, la
famiglia acquista finalmente un po’ di serenità e di agiatezza, e Carlo può
iniziare la carriera di impiegato e di giornalista.
Abbracciando le idee mazziniane, partecipa alle rivolte risorgimentali del 1848-49. Negli anni Cinquanta , nel suo ruolo appunto di giornalista, descrive la realtà toscana cogliendone i lati spiritosi e bizzarri, fatta di intrighi e storielle da caffè per mezzo di fulminanti invenzioni linguistiche. Tutto materiale che confluirà nel suo capolavoro, l’intramontabile Pinocchio.
Stimolato
dalle esperienze come giornalista, comincia a scrivere intensamente, esercitando
la sua capacità di dar vita, per mezzo della sua poetica, alle novità della
vita contemporanea. Ne sono testimonianze i suoi primi romanzi “Un romanzo
in vapore” e “Da Firenze a Livorno”, pubblicati intorno al 1856
e in cui l’autore fu tra i primi a evidenziare la novità tecnologica apportata
della ferrovia.
Di ingegno
versatile, creativo, spiritoso, Lorenzini fondò in seguito il periodico
“Il Lampione” che si prefiggeva di “far lume a chi brancolava
nelle tenebre“;
dopo la (temporanea) restaurazione granducale “Il Lampione” dovette
chiudere (riaprirà undici anni dopo) e Lorenzini si dedicò al giornale
“Scaramuccia” (soprattutto di critica teatrale) collaborando ad altri
periodici fra cui il “Fanfulla”.
Ma la sua
vera strada la trova quando, già avanti con gli anni, si dedica alla
letteratura per l’infanzia. Come funzionario al servizio dello stato unitario
appena formato, inizia con la traduzione dei racconti delle fate di Perrault, per poi lavorare a vari libri
pedagogici per la scuola. Per questa attività adotta il nome di Collodi che non
è altro che il nome del paese originario della madre (all’epoca in provincia di
Lucca, mentre dal 1927 si trova in provincia di Pistoia).
Dopo
“Giannettino” (1875) e “Minuzzolo” (1877) scrive il suo
capolavoro “Le avventure di Pinocchio“, apparse per la prima volta sul
“Giornale dei bambini” nel 1881 con il titolo “La storia di un
burattino” facendole terminare con il quindicesimo capitolo. Dopo pochi
mesi Collodi riprese la narrazione del libro con il nuovo titolo per portarlo a
termine nel 1883 anno in cui viene raccolto in volume dall’editore Felice Paggi
di Firenze.
Originariamente
le avventure di Pinocchio si concludevano
nell’episodio dell’impiccaggione, con la morte del burattino. Le proteste dei
piccoli lettori del “Giornale dei bambini” indussero però l’autore a
proseguire il racconto, che si concluse definitivamente, con la trasformazione
del burattino in bambino. Qualche anno dopo la sua apparizione in volume,
“Le avventure di Pinocchio” divennero un testo vendutissimo,
un classico che indubbiamente oltrepassa i confini della mera letteratura per
l’infanzia. L’opera è stata pubblicata in 187 edizioni e tradotta in 260 lingue
o dialetti.
Prima di aver goduto del meritato successo, Carlo
Collodi muore, improvvisamente, il 26 ottobre 1890 a Firenze. Le sue carte,
donate dalla famiglia, sono conservate nella Biblioteca Nazionale Centrale di
Firenze
Trenta bare intatte, sigillate e dipinte,
appartenute a un gruppo di sacerdoti e sacerdotesse della XXII
dinastia, sono state rinvenute nella necropoli di el-Assasif, presso
l’antica città di Tebe, oggi Luxor. «È il primo grande deposito di bare
umane mai scoperto dalla fine del XIX secolo», ha dichiarato il ministro
delle antichità egiziano Khaled El-Enany. A distanza di 3000 anni, le
bare mostrano ancora i loro eccezionali colori e le iscrizioni
geroglifiche.
(Ministro delle Antichità d’Egitto)
Pericolo dei tombaroli
Mostafa Waziri, segretario generale del
Consiglio supremo delle antichità egiziane, ha riferito che le bare
erano in due livelli: 18 bare sopra e 12 sotto. Alcune delle persone
inumate erano sacerdoti. In totale sono state trovate le mummie di
ventritré maschi adulti, cinque femmine adulte e due bambini dell’antico
Egitto. Secondo Waziri, le bare vennero raggruppate e nascoste verso la
fine della XXII dinastia da un sacerdote egizio, al fine di proteggerle
dai disordini e dai predatori di tombe dell’epoca.
Decifrazione in corso
Durante la conferenza stampa di sabato,
gli archeologi hanno aperto le bare di un maschio e di una femmina
adulti. Le due mummie sono sembrate ben conservate: gli involucri
esterni erano ancora intatti e coprivano completamente i volti e i
corpi. Non c’era alcun manufatto, ma è possibile che fossero stati
avvolti negli involucri. Lo scavo è ancora in corso e gli archeologi
stanno decifrando i geroglifici: i dipinti sul legno sono così ben
conservati che si possono distinguere le divinità e le scritture, le
scene dal Libro dei Morti e i titoli dei defunti. L’analisi potrebbe
identificare e datare esattamente queste persone. A novembre, le bare
saranno spostate da Luxor al Cairo per essere restaurate e infine
esposte presso il Grande Museo Egizio, che dovrebbe aprire il prossimo
anno vicino alle piramidi di Giza.
(Ministro delle Antichità d’Egitto)
Per la prima volta nella sua storia, ha
aggiunto Waziri, il Ministero delle Antichità sta dirigendo circa 40
missioni puramente egiziane. El-Assasif è una grande necropoli antica in
cui sono state fatte numerose scoperte recenti. L’anno scorso, a poca
distanza da qua, gli archeologi avevano trovato altre sepolture ben
conservate in due tombe (la TT33 e quella di Thaw-Irkhet-if).
Il direttore degli scavi archeologici di Luxor, Salah El Masekh, ha
affermato che la necropoli di Assasif ospita anche tombe della XVIII,
XXV e XXVI dinastia.
La richiesta di prodotti vegani è in continuo aumento, perché una
dieta priva di carne, pesce uova, latte e miele è considerata più sana e
sopratutto più ecologica. Ma “vegano” è sempre sinonimo di
“ecofriendly”?
Formaggio vegan, cotoletta vegetariana, hamburger senza carne: sugli
scaffali dei supermercati le alternative alla carne e ad altri prodotti
di origine animale vanno a ruba. Il numero dei nostri connazionali
esclusivamente vegani non ancora è altissimo in rapporto alla
popolazione, ma è in costante crescita e a essi si affiancano i clienti
che non fanno completamente a meno della carne e non vogliono
demonizzare altri alimenti di origine animale, ma semplicemente vogliono
consumarne una minore quantità. Dei benefici della dieta vegana abbiamo
parlato in questo articolo e ribadiamo che sicuramente dal punto di vista ecologico, tutto ciò che tra i nostri alimenti non
proviene dalla zootecnica è sicuramente più rispettoso dell’ambiente.
Uno studio dell’Università di Oxford ha dimostrato che la produzione di
cibo nel mondo causa l’emissione di un quarto di tutti i gas serra, ma
l’80% di questi hanno origine nei processi di allevamento. Adottare una
dieta vegana è probabilmente la leva in assoluto più potente per ridurre
la propria impronta ecologica, ben più che comprare un’auto elettrica o
usare meno l’aereo.
Tuttavia, permetteteci di dire che l’etichetta “vegan” che ora si trova su molti alimenti (inclusi insospettabili prodotti come succo di mela, vino o cioccolato fondente) non è automaticamente garanzia di una dieta rispettosa dell’ambiente. Occorre porsi delle domande importanti, prima tra tutte: Da dove proviene la derrata e come viene realizzata?
Occorre sempre verificare l’origine e gli ingredienti. C’è una bella
differenza nel bilancio di produzione CO2 tra una fetta di carne
biologica prodotta nella propria regione e in quello di una cotoletta
vegan prodotta all’estero (se non addirittura) oltreoceano, magari con
soia proveniente da una monocoltura OGM, tenuta insieme da sofisticati
additivi chimici, e trasportata su gomma o in aereo in Italia, oppure
infarcita di conservanti e trasportata via mare! Certo, stiamo
esagerando poiché esistono molte ottime vie di mezzo – ma lo facciamo
esclusivamente per chiarire il punto che ci interessa sottolineare… A
ben guardare, se mangiamo la carne di un’azienda agricola ubicata non
lontano dal luogo di acquisto, che alleva le mucche al pascolo,
nutrendole di erba proveniente da aree inutilizzabili per l’agricoltura e
contribuendo così alla conservazione dell’ecosistema dei pascoli –
allora anche i gas dannosi per il clima prodotti da questi animali
durante la digestione rimangono in equilibrio in un ciclo naturale.
Le raccomandazioni del Gruppo intergovernativo sui
cambiamenti climatici (IPCC) sono di consumare molta meno carne, ma
anche di non rinunciare completamente ai prodotti animali, bensì di
tornare al principio della carne di ottima qualità (magari venduta a un giusto prezzo) e mangiata non tutti i giorni, ma solo in giorni “speciali”, ad esempio la domenica o due volte la settimana.
A questa raccomandazione va aggiunta quella di prediligere le derrate
conservate nella minore quantità di imballaggi possibile (specie se si
tratta di plastica). E poi la regola sempre valida di evitare in ogni
modo lo spreco del cibo, visto che secondo le stime il 30% di quello
prodotto nel mondo finisce tra i rifiuti.
Che bella l’Unione Europea, dove tutti i paesi sono uguali e con gli
stessi diritti… oppure no? Secondo quanto riportato dal FAZ la
Commissione Europea si appresta ad approvare la ricapitalizzazione delle
banca tedesca Nord LB effettuata con fondi pubblici per 3,6 miliardi.
L’analisi di questa decisione ha impiegato ben 9 mesi dato che
l’operazione è stata svolta quasi un anno fa, ma alla fine l’esamina
termina con un ok su tutta la linea.
La crisi inizia della Nord LB diventa non più affrontabile con mezzi
ordinari a fine 2018 quando il peso degli NPL, dei crediti inesigibili,
diventa tale da portare a 2 miliardi di perdite, dando un potente colpo
alla capitalizzazione della banca. A giugno 2019 siamo in una situazion
in cui, potenzialmente, la banca dovrebbe essere chiusa perchè non
rispetta i coefficienti minimi di capitalizzazione CET1, del 10,57%. La
Banca però non chiude perchè i land della Bassa Sassonia e della
Sassonia-Anhalt , insieme ad altre casse di risparmio della Germania del
Nord, avevano già concordato un’operazione di rifinanziamento per 3,6
miliardi. Ora questa operazione viene approvata dalla Commissione e può
passare alla fase finale, cioè l’approvazione dei parlamenti dei land e
l’esecuzione dell’iniezione di capitali.
La Commissione della concorrenza di Bruxelles può approvare i
contributi in conto capitale di enti del settore pubblico solo se si
giunge alla conclusione che un investitore privato avrebbe fornito tale
capitale alle condizioni concordate. Questa affermazione è risibile,
francamente, per la Nord LB sia perchè la banca era già decotta da
tempo, sia perchè due investitori privati Centerbridge e
Cerberus avevano presentato due offerte per Nord LB, ma a condizioni ben
diverse e che erano stati respinti dagli attuali proprietari pubblici.
Proprio perchè la condizioni attuali sono diverse da quelle offerte dal
mercato, in teoria, non sarebbe stata autorizzabile, ma.. è la Germania,
volete che la Commissione dica di no? Non scherziamo.
Di questa decisione saranno molto soddisfatti sia gli ex Azionisti e
creditori delle Banche dell’Italia centrale (Etruria, Marche, Carife
etc) e delle due venete, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, che videro
invece i propri istituti ammazzati per rispettare le regole della
concorrenza. Potrebbe rendere più contenti invece i lavoratori dell’ILVA
perchè, ora, ci sono più possibilità di autorizzazione per un diretto
intervento statale.
Sull’Espresso on -line di ieri (clicca per leggere) Gianfrancesco Turano
si diletta nel dipingere la “galassia nera” che agiterebbe il web al
fine di turbare il “meraviglioso” e “paradisiaco” ordine attuale,
fondato sui pilastri della globalizzazione politica e del liberismo
economico. Questi “cattivoni” che non amano Merkel e Draghi, che contestano l’austerità e le politiche infami di quella Ue che – parole di Vincenzo Visco
– , ha organizzato un “olocausto in Grecia”, sono naturalmente
“fascisti”. In realtà tante dinastie che furono naziste per davvero –
penso alla famiglia Quandt che controlla il colosso
automobilistico tedesco Bmw- continuano ancora oggi a dominare la
Germania e quindi l’Europa, ma non importa. Per i giornalisti di
Repubblica-l’Espresso l’accusa di fascismo è un moto “pavloviano”, un
riflesso automatico che demonizza e delegittima tutti i non allineati.
Avremmo volentieri trascurato il pezzo confuso di Turano, ma sfortunatamente non possiamo. Nel pezzo in questione infatti, Turano tira in ballo pure Vox Italia
quel tanto che basta per giustificare le vergognose prassi censorie che
il nostro partito ha subito e subisce fin dalla sua nascita. Non
contento il giornalista manda un “messaggio” (non ho scritto “pizzino”)
pure a Byoblu, denotando fastidio per la crescita di un
canale che ospita di frequente (questo aspetto è effettivamente grave)
perfino “pericolosi figuri” del calibro di Bagnai e Rinaldi. Byoblu ha osato sentire l’opinione di Alberto Micalizzi
che, condannato in primo grado a 6 anni per truffa, andrebbe forse nel
frattempo “ibernato” e ridotto in una condizione di meditabondo silenzio
(ma di Adriano Sofri condannato in via definitiva per l’omicidio Calabresi
che scrive sul Foglio Turano che dice?). Ma tutti questi peccati sono
poca cosa rispetto alla colpa di avere ospitato il politologo Dugin,
vera ossessione del gruppo Repubblica/l’Espresso che vede nel barbuto
pensatore russo la quintessenza di un pensiero eretico e pericoloso,
incarnazione vivente del fascismo eterno che ritorna in forme
dissimulate. Siccome non conosciamo il nome di un bravo psicologo
esperto in psicopatie ricorrenti, rispondiamo a Turano brevemente nel
merito delle cose dette. Vox Italia non ha nulla a che vedere con il
nazismo o con il fascismo; Vox Italia è un partito che
si riconosce completamente nei valori impressi nella nostra Costituzione
nata sulle ceneri dei totalitarismi novecenteschi. Vox Italia contesta
gli attuali assetti di potere, fondati sul predominio del denaro e sulla
mercificazione dell’Uomo ridotto a mero strumento di produzione e di
consumo, servo muto e inconsapevole da sacrificare sull’altare del
dio-mercato. Si può dire tutto questo, o Turano e
compagnia ci devono far bere l’olio di ricino per così poco? Turano
dovrebbe semmai approfondire il profilo di chi lo paga, ovvero di Carlo De Benedetti, uomo già coinvolto in vicende poco edificanti al tempo di Mani Pulite;
finanziere molto potente già affiliato alla loggia “Cavour” di Torino
che – a proposito di Russia- qualcuno ha accostato alle vicende
cristallizzate dentro il dossier Mitrokhin(clicca per leggere).
Per non parlare, per ora, del caso “Banco Ambrosiano”. Ora domando:
visto che i vostri stipendi sono pagati da un editore così, siete
proprio sicuri di avere i titoli per fare di continuo la morale agli
altri? Non è meglio che cominciate a guardarvi allo specchio prima di
concentrarvi sul mondo circostante? Se non riuscite a farvi da soli una
seduta di autoanalisi vorrà dire che vi aiuteremo noi.