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La Germania si radicalizza sempre di più

Scritto da: Fabio Lugano
Fonte: https://scenarieconomici.it/la-germania-si-radicalizza-sempre-di-piu/

La politica tedesca indica un andamento sempre più polarizzato dell’elettorato ed i partiti centristi appaiono sempre più spiazzati e messi da parte.

Se valutiamo l’andamento dei sondaggi nel tempo questo trend è chiaramente visibile:

Orami l’andamento è piuttosto chiaro: CDU e SPD in calo verdi e AfD in crescita, addirittura con un andamento dei primi quasi superiore a quello dei secondo. Paradossalmente i due partiti si sostengono: maggiore  è il supporto per un partito pro immigrazione come  i Verdi, maggiore è quello per AfD ed in mezzo si resta schiacciati. Un certo risveglio lo ha avuto anche la Linke, di sinistra, con il nuovo leader anti immigrazione vista come “Esercito proletario di riserva”.

Come indica questa tabella il gioco del secondo posto, dietro ad una barcollante CDU, è ormai a tre, con verdi, AfD e SPD che si giocano il posto, ma con la SpD che sembra leggermente in difficoltà rispetto agli altri due.

Si voterà domenica 14  in Baviera e ci sarà da ridere perchè CDU e SPD uniti perdono il 20% dei voti…

Ora in Baviera assisteremo all’improbabile nascita di una coalizione Nero-Verde (la CSU ha il colore nero) e probabilmente vedremo mettere un altro chiodo alla bara politica della Merkel. La teorica alternativa sarebbe CSU+AfD+FdP, ma siamo vicini alla fantascienza, proprio perchè segnerebbe la legittimità di AfD.

A livello nazionale rischia di riproporsi, dopo l’ennesima debacle della SPD una coalizione Giamaica, cioè CDU+Verdi+Liberali, ma è tutto da vedere. Probabilmente la Merkel, già sconfitta nel partito, cercherà salvezza a livello europeo.

 

EMANUEL MACRON & L’ ELISEO / UN COVO DI MASSONI, AFFILIATI DELL’ISIS O COSA ?

Scritto: Andrea Cinquegrani
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/2018/07/26/emanuel-macron-l-eliseo-un-covo-di-massoni-affiliati-dellisis-o-cosa/

Un clamoroso autogol dopo la sbornia per la vittoria al Mondiale pallonaro? Una improvvisa passione tra padrone e bodyguard come nei copioni degli Studios? O cosa altro dietro   quell’incrocio tra spy story e una sceneggiata con stracci che volano insieme a documenti più che bollenti?

E’ la story estiva che fa andare in tilt non solo il gossip di mezzo mondo, ma anche in fibrillazione Cancellerie e Palazzi che contano: stiamo parlando, of course, del personaggio del giorno, il guardaspalle (e chissà cos’altro) più gettonato sui social, Alexandre Benalla, alto il doppio del suo buana, il presidente dell’Eliseo Emanuel Macron, che in una delle tante foto dei paparazzi lo rimira estasiato e accoccolato alla sua spallona destra.

Gossip a parte che certo non fa andare su tutte le furie l’algida Brigitte, ne stanno volando di tutti i colori, soprattutto sul fronte politico, perchè in questo momento ribollente sullo scacchiere internazionale il ruolo della Francia è assolutamente strategico, e le fresche fibrillazioni con l’Italia e la Germania non sono roba da poco.

Partiamo dalla polpa, la sostanza, lasciando da parte il gossip, che riduciamo alla prima dichiarazione al vetriolo rilasciata dal prefetto di Parigi, Michel Delpuech: “Derive individuali, inaccettabili, condannabili, in un quadro di favoritismi malsani”.

Certo, riferiti all’erede di Hollande e Sarkozy, non sono latte e miele.

UN BODYGUARD MASSONE E CON AMICI BORDER LINE ?

Eccoci ai fatti. Che pubblichiamo per un preciso dovere di cronaca, ma andranno con attenzione verificati e valutati dalla magistratura transalpina e dalle autorità competenti. Se basta.

Lo storico Maurizio Blondet la spara grossa: “Benallà era affiliato al Grande Oriente di Francia, collegato con la Loggia Emir Abder Kader”. Un eroe della storia egiziana, quest’ultimo, un ‘indipendentista’. Per capirne di più sulla massoneria egiziana, nordafricana e di tutto il bacino del Mediterraneo conviene consultare studi e ricerche condotte in modo molto minuzioso da Emanuela Locci, autrice de “La Massoneria nel Mediterraneo”, ricercatrice al DISPI, ossia il Dipartimento di Scienze Politiche all’Università di Cagliari.

Sintetizzando il tutto, la massoneria egiziana è in qualche modo una costola, ‘un esperimento’ all’interno al corpo massonico francese, in genere restio ad inclusioni indigene. E infatti, la prima versione della Loggia Regolare d’Egitto” finì nel 1954. Per poi rinascere oltre mezzo secolo dopo, nel 2007. Ma nel frattempo s’è registrata un’inversione di 180 gradi: se infatti la prima Loggia era d’ispirazione transalpina, la seconda è di marcata ispirazione britannica.

Prima di tornare agli incroci massonici internazionali, altre news non da poco su Benallà E la sua band. Fonti investigative internazionali riferiscono di un legame tra lo stesso Benallà e alcuni personaggi che direttamente o indirettamente sono stati coinvolti nelle stragi che hanno insanguinato la Francia, come quella del Bataclan e quella (mancata) allo Stadio di Parigi. Se provato, una bomba.

Non bastava, evidentemente, un solo body guard al delicato Macròn. E a reclutarne un secondo provvede proprio Nembo Benallà che chiama un altro fedelissimo, tale ‘Markao’. A quanto pare un personaggio dal pedigree non proprio adamantino: risulta, infatti, a sua volta legato ad Award Bendaud, un ‘delinquente comune’ che ha ammesso davanti agli inquirenti di aver ospitato in un appartamento a Saint Denis due tipi appena conosciuti: “non sapevo nemmeno chi fossero”, ha confessato candido come un giglio. Ed invece ruotavano intorno al gruppo di fuoco del Bataclan. Seconda bomba più forte della prima. Ma in che razza di Eliseo – se anche solo qualcuna di queste  circostanza venisse confermata – ci troviamo?

Un covo massonico, una succursale dell’Isis o cosa?

Uno che aveva tutte le porte aperte e gli accessi più facili al mondo, l’onnipresente Benallà. Poteva entrare e uscire tranquillamente dalla sontuosa Villa Touque, la maison d’amour di Brigitte ed Emanuel: e lui, il bodyguard “viveva in perfetta intimità con la coppia presidenziale”, sparano i gossippari transalpini.

Forse più strategico il libero accesso alla “Assemblea Nazionale”. Consentitogli da un personale bedge ricevuto dal DGSI (il servizio di spionaggio interno) che fornisce una sorta lasciapassare di Secret Defense, del quale possono godere i parlamentari.

Racconta Giorgio Sapelli, l’economista e candidato in pectore per una nottata alla premiership, poi scavalcato da Giuseppe Conte: “ho seguito a lungo le mosse pre presidenziali e poi presidenziali di Macròn. La newsletter ufficiale inviata ogni mattina dallo staff di Macron aveva nel suo indirizzario anche quello del Grande Oriente di Francia. Mi sono fatto una certa convinzione, ossia che Macròn abbia seguito fino ad un certo punto il cammino del Grande Oriente, che ha una spiccata connotazione socialista, per poi virare a destra e rispondere ai desiderata dei gruppi forti del potere francese. Più precisamente mi sono reso conto che Macròn esprime una parte del potere francese legato ad altri circuiti massonici più conservatori, come il Rito Scozzese Antico e Accettato, che è la massima espressione inglese legata alla Casa Reale”.

IL GRANDE AMICO INCAPPUCCIATO, JACQUES ATTALI

Ancora più esplicito l’economista transalpino Jacque Attali, il quale a botta calda, dopo l’ascesa all’Eliseo del 23 aprile 2017, sostenne: “Vi spiego io chi è Macròn, un supermassone oligarchico di livello internazionale”.

Secondo Giole Magaldi, autore di un’autentica enciclopedia sulle più potenti logge massoniche mondiali (le cosidette UR Lodgdes), Macròn fa capo alla Three Eyes, una delle più influenti, fondata da Henry Kissinger ed alla quale, tra gli illustri italiani, farebbe capo anche l’ex presidente della repubblica Giorgio Napolitano.

Una splendida carriera nella superbrocrazia francese, quella griffata Macròn, sempre al seguito del maestro Attali che lo ha introdotto negli ambienti che contano dell’Eliseo, dopo la laurea all’ENA, ossia la super Università per la burocrazia. Il suo cursus honorum, infatti, pur giovanissimo, è inarrestabile: consigliere economico dell’Eliseo, poi direttamente ministro dell’Economia. Senza dimenticare qualche consulenza prestigiosa che non fa mai male, come al super gruppo statunitense  Rotschield o la partecipazione a qualche super summit, come quello dei Bilderberg, i potenti della terra, tenutosi quest’anno ai primi di giugno a Torino.

Gioele Magaldi

Chiudiamo con qualche piccolo ‘segnale’ e due battute.

Tra i primi c’è chi fa notare la presenza costante, sulla sua scrivania presidenziale, di due oggetti: sullo schermo del suo I Phone c’è l’immagine di un gallo, che secondo gli esoteristi è un tipico simbolo massonico. Sulla stessa scrivania fa poi capolino un orologio “a quadrante doppio”. Senza dimenticare quell’Inno alla Gioia intonato nella notte della vittoria che ha fatto andare in visibilio non solo i parigini e gli amanti della musica, ma anche folte schiere massoniche.

La prima battuta, invece, venne pronunciata a Attali a proposito delle polemiche continue sull’euro: “Ma cosa credono, che l’euro l’abbiamo inventato per la felicità della plebaglia europea?”.

Eccoci poi alla gaffe in diretta, nel salotto di Otto e Mezzo, sotto gli occhi sgranati di Lilli Gruber, pronunciata da un altro economista, Marc Lazard, invitato a commentare il dopo voto, una sorta di gioco di parole un po’ complesso da afferrare-tradurre ma che suonava in questo modo: “Macròn? Machone? Ah, massone”.

Il mondo ha bisogno di nemici: perché Trump e Putin fanno paura

Scritto da: Lorenzo Vita
Fonte: http://www.occhidellaguerra.it/trump-putin-nemico/

 

Il mondo ha sempre bisogno di un nemico. È questo il duro insegnamento della nostra Storia. Ed è su questa base che si fonda gran parte della politica estera delle potenze, che senza un avversario esistenziale rischiano di veder fallire un’intera strategia costruita per decenni.

Per molti, questa situazione è un pericolo. Ma per molti altri, specialmente nei grandi apparati militari, avere un nemico, soprattutto se tradizionalmente tale, è una garanzia. Serve per mettere a frutto la propria politica di alleanze. Perché avere un nemico comune aiuta più che avere interessi in comune. Serve a trovare fondi utili ai segmenti politici e della Difesa più interessati a un determinato fronte. Ma serve anche come assicurazione che tutto resti immutato.

Ogni Stato ha un suo nemico. E per molti decenni le potenze hanno costruito un sistema internazionale basato su solide alleanze, ma anche su storiche inimicizie. Conflitti freddi o meno freddi all’apparenza interminabili. Nemici esistenziali che hanno reso impossibile sganciare la politica estera di uno Stato dal suo avversario, che ne è diventata la nemesi.

Le grandi crisi internazionali della nostra epoca si fondano su rivalità strategiche risalenti negli anni e che hanno superato cambi di governi ma anche grandi mutamenti politici. E se la volontà politica c’era, è mancata la volontà di molti apparati che ruotano intorno a quelle scelte. Perché avere un nemico aiuta anche a legittimare se stessi. Prova ne è il vertice fra Donald Trump e Vladimir Putin che ha visto molti, soprattutto in America, tremare di fronte alla possibilità che i due leader si incontrassero.

Perché il vertice di Helsinki pone tutti di fronte a un interrogativo. Ed è un interrogativo che preoccupa: se tutto questo finisse? Se Washington e Mosca appianassero le divergenze, cosa avremmo di fronte a noi? Una frase di Putin, durante la conferenza stampa finale, è emblematica: “Dobbiamo lasciare alle spalle il clima da Guerra fredda e le vestigia del passato“. Un passato che però rappresenta il motivo per cui esistono tutti i grandi apparati militari creati nel Novecento così come le loro strategie.

Trump, più di Putin, sta rappresentando per certi versi la fine di un’epoca. È un presidente diverso che, con metodi bruschi, sta realizzando una politica estera diversa dal solito. Non è un rivoluzionario, ma il frutto di una particolare teoria politica americana, che già da anni teorizza un’America diversa, meno invasiva, meno attenta all’Europa, desiderosa anche di rapportarsi in maniera positiva alla Russia. Ed è per certi versi la stessa teoria che ha portato Trump a incontrare Kim Jong-un a Singapore: trovare una via per fermare conflitti che trovano radici solo nel passato.

Questo non significa che Trump sia un pacifista. Il presidente degli Stati Uniti sta però cambiando i suoi nemici. La Russia non interessa perché ora il problema è la Cina, con uno sguardo sempre molto attento sull’obiettivo Iran. E questo, per molti, implica non solo la fine di un’epoca, ma anche la fine di un mondo.

Se Trump e Putin appianano le divergenza sul fronte orientale, che senso ha per Trump mantenere in vita, ad esempio, la Nato, quando il suo solo scopo cessa di esistere? E se per Trump l’Unione europea è un problema, come giustificare o anche sostenere la presenza di truppe al confine con la Russia quando i suoi nemici sono dentro la stessa Europa? E si torna di nuovo a parlare di nemici.

Questo chiaramente implica dei cambiamenti radicali. Che molti non sono disposti ad accettare. Per ideologie, per convinzione, per semplice pragmatismo ma anche per puro calcolo personale, esistono strategia quasi intoccabili. Al Pentagono, a Mosca, ma anche nelle varie sedi in cui si decidono le strategie militari a medio e lungo termine di un Paese. Cosa si fa senza un nemico? Sembra paradossale, ma molte strutture si reggono sull’esistenza di un avversario. E Trump rischia di modificare parametri che da decenni sostengono la politica strategica americana.

 

Siria, il generale Camporini: molto rumore, ma solo teatro

Fonte: http://www.libreidee.org/2018/04/siria-il-generale-camporini-molto-rumore-ma-solo-teatro/

Il generale Vincenzo CamporiniMolto rumore, ma pochi danni. E nessun rischio di un vero scontro fra Usa e Russia, anche se le difese russe, in caso di attacco, intercetteranno sicuramente molti missili americani, inglesi e francesi scagliati contro obiettivi siriani.

Lo afferma il generale dell’aeronatica Vincenzo Camporini, già capo di stato maggiore delle forze armate italiane: «In questo momento quello che posso prevedere è un attacco dimostrativo limitato e senza finalità politico-militari, quindi un attacco non in grado di cambiare gli scenari siriani, né di mettere a rischio la sopravvivenza del regime». L’intensità dell’eventuale raid, dichiara Camporini (intervistato dal “Giornale”) dipenderà sostanzialmente dal numero di lanciamissili già in posizione e in grado di portare a termine l’attacco. «Sappiamo che davanti alle coste siriane c’è la Donald Cook, un cacciatorpediniere lanciamissili salpato recentemente dal porto di Larnaka a Cipro. Non siamo a conoscenza di portaerei pronte a far decollare i loro aerei. Quindi ritengo che assisteremo ad un attacco-fotocopia, molto simile a quello lanciato lo scorso anno, quando Donald Trump decise di punire Bashar Assad per un altro presunto attacco chimico contro le zone dei ribelli».

Intervistato da Gian Micalessin, Camporini non prevede un intervento di grande portata contro la Siria. E soprattutto, non vede alcun rischio di coinvolgimento del nostro paese: «Non siamo di fronte a un’operazione concordata in sede Nato», sottolinea l’alto ufficiale: «Siamo di fronte ad una azione unilaterale decisa dalla presidenza degli Stati Uniti». In queste ore si parla di aerei Poseidon P8 decollati dalla base di Sigonella. «I Poseidon sono aerei antisommergibile – spiega Camporini – e di certo non parteciperanno a questo tipo di attacchi». Non solo: «Per usare le basi di Aviano o Sigonella, gli americani dovrebbero chiedere l’autorizzazione del nostro governo. E un esecutivo dimissionario come quello del premier Paolo Gentiloni, chiamato soltanto a sbrigare gli affari correnti, non potrebbe concederla». Inoltre, ipotizzare una partecipazione italiana «significherebbe prefigurare un intervento molto più ampio di quello previsto dalla Casa Bianca». Dunque sarebbe un atto solo dimostrativo? «Sì, assolutamente», risponde Camporini. «Non siamo di fronte ad un raid in grado di cambiare la situazione sul terreno. Trump quasi sicuramente si limiterà a dimostrare di aver punito una nazione colpevole di esser andata oltre i limiti».

Si parla, però, di un possibile intervento concordato con l’Inghilterra e la Francia: pronte a partecipare all’azione. «La natura dell’operazione dal punto di vista militare non cambierebbe», chiarisce il generale. «Gli inglesi potrebbero utilizzare le basi di Cipro e i francesi degli aerei decollati da una loro portaerei nel Mediterraneo. Potrebbero venir utilizzati dei missili Storm Shadow con un raggio di 560 chilometri utilizzati a suo tempo anche dall’Italia per colpire le installazioni militari di Gheddafi in Libia». Diretti contro quali obbiettivi? «Gli americani preferiranno basi militari per evitare perdite civili collaterali», dice Camporini. «Poi bisogna vedere quanti missili Tomahawk riusciranno a superare le difese dell’antiaerea». Dunque i russi parteciperanno alle operazioni di difesa del territorio siriano? «Su questo ho pochi dubbi», afferma il generale. «I radar e i missili russi garantiranno la copertura delle installazioni militari siriane». C’è il rischio che vengano colpite basi in cui sono presenti militari russi o iraniani? «Non penso siano previsti attacchi rivolti a colpire direttamente personale non siriano». E la reazione russa? «Ritengo che Putin, per quanto abbia minacciato di reagire, preferisca lasciar sfogare gli americani nella consapevolezza che la loro azione non cambierà gli scenari», sostiene Camporini. «Quindi non vedo il rischio di un allargamento dello scontro e tantomeno il rischio di un conflitto mondiale».

La guerra di Libia entra in Stallo davanti a Tripoligrad. Causa “the human factor”

Fonte: https://corrieredellacollera.com/2011/03/31/la-guerra-di-libia-entra-in-stallo-davanti-a-tripoligrad-causa-the-human-factor/

La Guerra  di Libia sta diventando  la  dimostrazione che la teoria del generale Giulio Douhet sulla supremazia aerea, ha una falla di recente costruzione.

Per chi non lo sapesse, Douhet è un generale italiano  ( di Caserta, classe 1869) che negli anni trenta ha scritto un bel libro in cui ha spiegato che nella guerra  moderna la supremazia aerea sarebbe stato  l’elemento fondante di ogni vittoria.

Questo stesso concetto è stato espresso negli anni cinquanta da Alexander De Severesky ( origine russa, americano,  progettista di elicotteri) che scrisse il libro :  “Supremazia aerea chiave della sopravvivenza” in cui identificò  per primo anche  il fenomeno de “l’isterismo atomico”  basandosi sulle foto di Hiroshima e Nagasaki  che mostrano   manufatti in cemento a seicento metri dal punto di scoppio erano rimasti quasi intatti.

Non teneva conto che i giapponesi dentro l’edificio erano morti comunque. Non aveva considerato il “fattore Umano”.

E’ stata la prima di una serie di sottovalutazioni delle persone cui la politica USA ci ha abituato, specie se si tratta di arabi. ( vedi blog di ieri sulla galassia degli arabi).

La falla che ha causato il buco strategico alleato in Libia,  si chiama l’esmpio della  Serbia.

Gli alleati – tra cui l’Italia –  piegarono la Serbia  con una serie di bombardamenti mirati a infrastrutture, impianti industriali, ponti  e persino l’ambasciata cinese che un analista della CIA  non sapeva avesse traslocato.  La guerra di Serbia si esaurì senza morti per l’alleanza. Questo portò alle stelle l’entusiasmo USA circa le lezioni da infliggere ai  “dittatori prepotenti”.

La Serbia, guidata da un mezzo dittatore, era comunque  un paese industrializzato , antiquato, ma industrializzato. I serbi, europei non rozzi.  Il dittatore, privo di carisma ed assurto ai fasti del potere attraverso la trafila della nomenclatura del partito  unico.  Per far carriera non ebbe bisogno di carisma o delle doti, anche militari,  che fanno di  un uomo, un uomo  di carattere.

Vedendosi impotente a reagire militarmente e non riuscendo a difendersi dalla guerra elettronica a distanza ,  Milosevic si arrese. Anche nei Balcani  la popolazione non fu entusiasta del trattamento, ma  il prezzo della libertà prima o poi si deve pagare.  Pagarono, sia pure imbrogliando sul resto. All’appello manca  ancora Mladic e qualche altro spiccio.

La lezione era servita e l’obbiettivo di ottenere la resa,  raggiunto. La coalizione inviò le truppe a occupare Serbia  e Kosovo  facendo la cosiddetta “guerra col gesso” ( il detto  nasce dalla invasione di Carlo VIII di Valois  in Italia, che richiese – all’andata – solo lo sforzo logistico di segnare col gesso i luoghi di rifornimento delle truppe).

Nel caso libico, il fatto che delle persone avessero in animo di resistere, fu considerata una stranezza da dittatore folle, che sarebbe presto stato abbandonato  dai più, sotto la pressione psicologica creata dalle defezioni provocate  dall’intelligence e dell’opinione pubblica mondiale guidata dall’ONU, con una buona dose di bombe.

La  situazione libica si è invece mostrata  radicalmente diversa:

  •  intanto non è un paese industriale e  i soli impianti petroliferi sono proprio quelli che servono intatti agli attaccanti, che tendono a risparmiarli.
  •  non ci sono ponti abbattuti  che non si possano aggirare con i 4X4 che tutti posseggono , bombardare il deserto è come bombardare il mare.
  •  l’idea della strategia di  guerra con zero morti  – lanciata durante la campagna di Serbia –  ha fatto invece  due vittime: una è la verità e l’altra è la strategia stessa. Infatti la pubblica opinione mondiale,  adesso vuole sempre bombardamenti senza vittime e questo ha rallentato la forza di persuasione dei bombardamenti, che è forte su territori industrializzati e ricchi di infrastrutture e debole in zone popolate e inermi.  La foto di un bambino morto tra le braccia di una mamma può far cadere un governo.

Alla coalizione è mancata la corretta valutazione del fattore umano: hanno sottovalutato il nemico e sopravvalutato gli “alleati”, inrealtà un branco di “smandrappati” e mi si perdoni la definizione romanesca. Quella letteraria : “putant quod cupiunt” In italiano: sono poco realistici.

I caratteri  valutati realisticamente sono i seguenti:

Il dittatore : non è un  burocrate anche se la sua carriera militare non annovera impegni superiori all’accompagnamento della nazionale militare ai giochi militari del Mediterraneo. Però già allora dimostrò di non essere sciocco.

Realizzò un colpo di Stato senza sparare un colpo e con quattro gatti. Si impose col carisma, non con le primarie o lanci di palloncini colorati  o, peggio  con un   grigio congresso di partito. In più , da bravo arabo innamorato dell’idea del nomadismo, ha uno spiccato  senso dell’onore ( vedi “la galassia degli arabi alla voce beduini, sottovoce, Sharaf) e qualcuno non ha calcolato che Gheddafi  poteva decidere di resistere per dignità ( tema  peraltro già accennato da Mubarak , dal presidente yemenita e culminato ieri dalla frase di Assad ” se ci sarà da combattere, combatteremo”).  L’ex allenatore della nazionale sportiva militare, si è rivelato un buon motivatore e un tattico furbo e deciso. Il suo esempio – anche questo lo avevamo scritto – è stato contagioso.

Il popolo: i libici hanno notoriamente un carattere non facile, negli affari sono dei ricattatori, sono rozzi,  ma  hanno dimostrato di sapersi battere e di saper incassare colpi senza afflosciarsi.  Hanno  fatto una guerra sgangherata,  ma  l’hanno fatta.   La  strategia di Gheddafi   è semplice : sa che le democrazie non possono permettersi perdite umane e non vogliono scendere a terra per combattere  e sa che alla fine di ogni bombardamento la fanteria deve avanzare occupando. Ha convinto i suoi ad aspettarli con le armi in pugno.

In Serbia ci vollero 60mila soldati  NATO sia pure  in assenza di cenni  resistenza. Quanti ce ne vogliono per snidare i libici? Lui ha persone disposte a morire, magari solo i suoi figli, ma li ha. Anche chi si sentiva suddito , adesso si sente un patriota che combatte da uomo contro quelli che Omero chiamerebbe “guerrieri da balestra” che non osano affrontare il corpo a corpo e fidano nel potere della guerra a distanza.

La pubblica opinione internazionale: viziata oltremisura da una comunicazione globale ,  specie pubblicitaria,   che privilegia i punti di vista culturali femminili. Le donne  sono le responsabili degli acquisti delle famiglie  e il mondo si regola ormai  quasi solo sui consumi e l’individualismo che non premia i sacrifici per idealità , i governi  della coalizione non riescono a  imporre una linea di sacrifici e di guerra, sia pure temporanea e a basso costo di vite: La pubblica opinione  vuole la pace a gratis e non  in offerta speciale.

I governi della coalizione, comprati molti diplomatici in sedi estere – in saldo anche il ministro degli Esteri –  bombardate le truppe, devono  fare l’ultimo sforzo per vincere questa guerra per procura, ma   – causa la sopravvalutazione degli alleati locali – sembra che ormai  debbano decidere di  farsi avanti di persona con truppe NATO.   Le foto dei morti, deprimono le vendite al consumo e  fanno cadere i governi. E’ per queste ragioni che la “conferenza di Londra” è stata un minuetto privo di  senso.

La politica estera del presidente Macron

Scritto da: Thierry Meyssan
Fonte: http://www.voltairenet.org/article200046.html

Quando Macron era candidato alla presidenza della repubblica ignorava tutto delle relazioni internazionali. Il suo mentore, il capo dell’Ispezione Generale delle Finanze (corpo di 300 alti funzionari), Jean-Pierre Jouyet, lo beneficiò d’una formazione accelerata.

I predecessori di Macron, Nicolas Sarkozy e François Hollande, avevano considerevolmente indebolito il prestigio della Francia. Per mancanza di obiettivi prioritari e per i numerosi voltafaccia, la posizione della Francia era percepita come “inconsistente”. Macron ha iniziato il proprio mandato incontrando il maggior numero possibile di capi di Stato e di governo per dimostrare che la Francia sta rioccupando un ruolo di potenza mediatrice, capace di dialogare con tutti.

Dopo le strette di mano e gli inviti a pranzo, Macron ha dovuto dare un contenuto alla propria politica. Jean-Pierre Jouyet [1] propose di rimanere nel campo atlantico, pur contando sui Democratici che, secondo lui, dovrebbero riprendersi la Casa Bianca, forse in anticipo sulle elezioni del 2020. Così, mentre i britannici lasciavano l’Unione Europea, la Francia rinserrava saldamente l’alleanza con Londra, pur mantenendo rapporti con Berlino. L’Unione dovrebbe ricentrarsi sul nodo centrale costituito dalla governance dell’euro. Dovrebbe mettere un termine al libero-scambio con partner che non lo rispettano e creare una grande imprenditoria su internet, in grado di fare concorrenza al GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon). Dovrebbe dotarsi di una difesa comune contro il terrorismo. Dovrebbe, insieme agli alleati, impegnarsi nel contrastare l’influenza russa. La Francia dovrebbe infine proseguire l’azione militare in Sahel e in Medio Oriente.

A settembre 2017 Jouyet fu nominato ambasciatore di Francia a Londra. A gennaio 2018 Francia e Regno Unito hanno dato nuovo impulso alla loro cooperazione diplomatica e militare [2]. E, sempre a gennaio, i due Stati hanno dato il via a un’iniziativa segreta, il “Gruppo Ristretto”, per rilanciare la colonizzazione franco-britannica del Medio Oriente [3].

Questa politica, mai pubblicamente discussa, non tiene conto né della storia della Francia né della richiesta tedesca di svolgere un ruolo internazionale più rilevante. Infatti, la quarta economia del mondo, settant’anni dopo la propria disfatta, continua a essere relegata in un ruolo secondario [4].

Riguardo al mondo arabo, il presidente Macron – enarca [ex allievo della Scuola Nazionale d’Amministrazione, l’ENA, ndt] ed ex Rothschild & Cie – ha fatto proprio il punto di vista dei suoi due consulenti in materia: il franco-tunisino Hakim El Karoui, ex Rothschild & Cie, per il Maghreb e l’ex ambasciatore a Damasco, Michel Duclos, pure enarca, per il Medio Oriente. El Karoui non è un prodotto dell’integrazione repubblicana, bensì dell’alta borghesia transnazionale. Egli alterna un orientamento repubblicano sul piano internazionale a un orientamento comunitario sul piano interno. Duclos è un autentico neoconservatore, formato negli Stati Uniti di George W. Bush da Jean-David Levitte [5].

Ebbene, El Karoui non ha mai capito che i Fratelli Mussulmani sono strumento dell’MI6 britannico, mentre Duclos non ha mai capito che Londra non ha digerito gli accordi Sykes-Picot-Sazonov, che le fecero perdere metà del proprio impero in Medio Oriente [6]. Ragion per cui i due non scorgono alcun problema nella nuova “intesa cordiale” con Theresa May.

Sin da ora si possono valutare alcune incoerenze di questa politica. In omaggio alle decisioni del “Gruppo Ristretto”, la Francia ha ripreso l’abitudine dell’équipe del presidente Hollande di riportare all’ONU le posizioni degli oppositori siriani al proprio soldo (quelli che rivendicano la bandiera del mandato francese sulla Siria [7]). I tempi però sono cambiati. La lettera dell’attuale presidente della “Commissione Siriana di Negoziazione”, Nasr al-Hariri, trasmessa in nome della Francia al Consiglio di Sicurezza, insulta non soltanto la Siria, ma anche la Russia [8]. Accusa una delle due principali potenze militari al mondo [9] di perpetrare crimini contro l’umanità, il che trasgredisce alla posizione “mediatrice” che dovrebbe avere un membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Mentre Mosca ha preferito ignorare questo linguaggio offensivo, Damasco invece vi ha risposto seccamente [10].

In definitiva, la politica di Macron non differisce molto dalla politica di Sarkozy e di Hollande, sebbene, con Trump alla Casa Bianca, si appoggi più sul Regno Unito che sugli Stati Uniti. L’Eliseo persegue l’obiettivo di una ripresa delle multinazionali francesi non in Francia ma in quello che fu il suo impero coloniale. Si tratta delle stesse scelte del socialista Guy Mollet, uno dei fondatori del Gruppo Bilderberg [11]. Nel 1956, Mollet, presidente del consiglio francese, si alleò con Londra e Tel-Aviv per mantenere le quote del Canale di Suez, nazionalizzato dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. Propose che la Francia entrasse nel Commonwealth, giurando fedeltà alla corona, e che venisse adottato per i francesi statuto di cittadinanza analogo a quello degli irlandesi del nord [12]. Questo progetto di abbandonare la repubblica per incorporarsi al Regno Unito, sottomettendosi all’autorità della regina Elisabetta II, non fu mai pubblicamente discusso.

Poco importano l’ideale di uguaglianza nei diritti espresso nel 1789 e il rifiuto del colonialismo, manifestato dal popolo francese dopo il fallito colpo di Stato del 1961 [13]: per il Potere, la politica estera non scaturisce dalla democrazia.

Traduzione
Rachele Marmetti
Il Cronista

[1] « De la Fondation Saint-Simon à Emmanuel Macron », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 16 avril 2017.

[2] “L’“Intesa amichevole” franco-britannica”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Al-Watan (Siria) , Rete Voltaire, 30 gennaio 2018.

[3] « Syrieleaks : un câble diplomatique britannique dévoile la “stratégie occidentale” », par Richard Labévière, Observatoire géostratégique, Proche&Moyen-Orient.ch, 17 février 2018.

[4] Questo vale anche per il Giappone.

[5] Jean-David Levitte, alias “Diplomator” fu, dal 2000 al 2002, rappresentante permanente della Francia alle Nazioni Unite, a New York, poi, dal 2002 al 2007, ambasciatore a Washington.

[6] Dal punto di vista britannico, gli accordi Sykes-Pico-Sazonov del 1916 non furono una spartizione equa del mondo tra i tre imperi, ma una concessione del Regno Unito per garantirsi il sostegno della Francia e della Russia (Triplice Intesa) contro il Reich tedesco, l’Austria-Ungheria e l’Italia (Triplice Alleanza).

[7] « La France à la recherche de son ancien mandat en Syrie », par Sarkis Tsaturyan, Traduction Avic, Oriental Review (Russie), Réseau Voltaire, 6 octobre 2015.
Nel 1932 la Francia concesse alla Siria una nuova bandiera, fatta di tre strisce orizzontali, che rappresentano le dinastie Fatimida (verde), Omeyyadi (bianco) e Abbasidi (nero), simboli, la prima, dei mussulmani sciiti, la seconda e la terza, dei sunniti. Le tre stelle rosse rappresentano le tre minoranze: cristiana, drusa e alauita. Questa bandiera resterà in uso fino all’inizio della Repubblica Araba Siriana e tornerà nel 2011 con l’Esercito Libero Siriano.

[8] « Accusation de la Syrie et de la Russie par la France », par François Delattre, Réseau Voltaire, 9 février 2018.

[9] “Il nuovo arsenale nucleare russo ristabilisce la bipolarità nell’assetto mondiale”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 6 marzo 2018.

[10] « Réponse de la Syrie à la France », par Bachar Ja’afari, Réseau Voltaire, 28 février 2018.

[11] “Quel che non sapete del Gruppo Bilderberg”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 10 aprile 2011.

[12] “When Britain and France nearly married”, Mike Thomson, BBC, January 15, 2007. « Frangland? UK documents say France proposed a union with Britain in 1950s : LONDON: Would France have been better off under Queen Elizabeth II? », Associated Press, January 15, 2007.
Guy Mollet non stava rispolverando la proposta d’Unione franco-britannica, formulata da Winston Churchill e Anthony Eden nel 1940, di fusione provvisoria dei due Paesi per lottare contro il Reich nazista dopo la disfatta francese. S’ispirava invece alla proposta, formulata undici anni prima nel contesto della crisi di Suez, di Ernest Bevin, che sperava di salvare l’impero francese creando un terzo blocco da contrappore agli USA e all’URSS, fondendo gli imperi britannico, francese e olandese in un’Unione Occidentale. Questo progetto fu abbandonato da Londra a favore della CECA (precorritrice dell’Unione Europea) sul piano economico, e della NATO sul piano militare.

[13] Nel 1961 un colpo di Stato militare, organizzato sottomano dalla NATO, tentò di rovesciare il generale-presidente Charles De Gaulle per mantenere la politica coloniale francese. I francesi rifiutarono in massa di riconoscerlo. « Quand le stay-behind voulait remplacer De Gaulle », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 10 septembre 2001.