Oslo, strana strage 48 ore dopo il test antiterrorismo

Scritto da: Pino cabras
Fonte:
http://www.megachip.info/

Perfino a Oslo, ancora una volta, un evento terroristico di grande portata si è dispiegato a ridosso di un’esercitazione di sicurezza che aveva ad oggetto proprio un grande attentato: la polizia di Oslo appena 48 ore prima delle stragi stava conducendo un massiccio wargame ubicato nei pressi della Operahuset, il Teatro dell’Opera della capitale norvegese. Le stragi di Oslo si mostrano subito con uno scenario pieno di piste contrastanti. A caldo, così come è accaduto per lo stragismo italiano e per le stragi del decennio post 11 settembre, si creano e si cancellano rivendicazioni e ipotesi che si rincorrono: dal presunto comunicato islamista fino all’ipotesi investigativa sulla pista interna. Rimane questo fatto – l’esercitazione – che in sé non basta ancora a dimostrare nulla, ma che sarebbe sbagliato ignorare, dati i precedenti.

Come riferisce il quotidiano norvegese Aftenposten, nuclei della «polizia antiterrorismo hanno fatto esplodere delle cariche esplosive in un’esercitazione al centro di Oslo, a duecento metri dall’Opera, ma si sono dimenticati di avvisare il pubblico».

L’esercitazione, svoltasi mercoledì 20 luglio, ruotava intorno all’azione di unità anti-terrorismo che attaccavano un edificio in disuso ai margini del molo Bjørvika con bombe e armi da fuoco.

«Gli uomini si sono calati dal tetto e sono entrati dalla finestra appena esplosa, intanto che sparavano». L’efficacia scenica era tale che – riferisce Aftenposten – si udivano “scoppi violenti”, sotto lo sguardo attonito degli spettatori del vicino Teatro dell’Opera.

Il video dell’esercitazione dà un’idea del grado di realismo della simulazione.

In casi precedenti, riferibili ad analoghe esercitazioni, abbiamo visto numerosissimi punti di contatto con gli eventi in corso, fino al punto di sovrapporsi con essi. È possibile ripercorrere molti di questi casi, che mostrano sbalorditive coincidenze con la tortuosa scena del delitto, regolarmente accompagnata dai giochi di ruolo messi in campo da interi apparati coperti legalmente.

Durante gli attentati di Londra del 7 luglio 2005, ad esempio, un’agenzia di sicurezza che si curava della metropolitana stava conducendo un’esercitazione con eventi terroristici simulati che dovevano svolgersi nei medesimi orari ed esattamente negli stessi luoghi in cui accaddero per davvero. Una sfida impossibile alla statistica, su cui né Scotland Yard né il giornalismo britannico – istituzioni regolarmente sopravvalutate – hanno provato a fare obiezioni di sorta.

Dobbiamo intanto chiederci a chi giovi il massacro nella tranquilla città scandinava. La Norvegia, sebbene abbia un peso demografico molto modesto (poco più degli abitanti del Piemonte distribuiti su un territorio più vasto dell’Italia), e sebbene appaia a uno sguardo superficiale come un Paese periferico, ha in realtà una fortissima proiezione geopolitica, presentandosi come un paese chiave della NATO in vista dell’imminente corsa all’Artico, un’area che si libera sempre più dei ghiacci e “scopre” immense risorse su cui stanno puntando le grandi potenze.

È inoltre un paese petrolifero di prima grandezza, che ha nei suoi forzieri sovrani un cumulo di risorse gestite finora con oculatezza e con un’attenzione costante alla coesione sociale legata al modello scandinavo, qualcosa che non piace agli avvoltoi della finanza internazionale. È infine un comitato di emanazione parlamentare norvegese ad assegnare il Nobel per la Pace: il fatto riflette una secolare vocazione delle classi dirigenti della Norvegia a partecipare attivamente nello scenario internazionale, come ad esempio con gli “accordi di Oslo” fra israeliani e palestinesi negli anni novanta del XX secolo, e ultimamente con qualche ripensamento rispetto all’impegno militare in Libia nonché con il possibile riconoscimento dell’indipendenza palestinese.

Mettendoci nei panni dei politici norvegesi, il messaggio degli attentati che ci arriva è chiaro: in quest’epoca di caos finanziario, di intensificazione delle guerre, di lotta più aspra per le risorse energetiche e minerali, non esistono porti franchi per la nostra tranquillità, né per le nostre casseforti piene, né per i nostri pozzi petroliferi non ancora esausti come quelli britannici, e saremo anche noi chiamati a schierarci dolorosamente, perché siamo lungo le linee di frattura dei poteri imperiali in lotta per sopravvivere. Non è stata fatta una strage in un giorno di punta, ma in un momento in cui i palazzi erano semivuoti. Furia omicida, sì, ma a suo modo molto contenuta, come se si dovesse economizzare e ottimizzare il messaggio, sufficientemente spietato, ma militarmente contenuto. Non c’è più nemmeno l’icona di Bin Laden a fare da schermo. Si potrà capire meglio il messaggio.

Antartide, scoperti 12 vulcani sottomarini di dimensioni stratosferiche

Scritto da: Roberto Mattei
Fonte: http://2duerighe.com/

Sono alti circa 3000 metri e presentano crateri fino a 5 chilometri di diametro. La scoperta permetterà di far luce sullo sviluppo di alcuni eventi naturali catastrofici come gli tsunami.

Scoperta sensazionale in Antartide. Gli scienziati della British Antarctic Survey (BAS), l’ente di ricerca che da oltre 60 anni ha condotto la maggior parte delle esplorazioni scientifiche intorno al continente antartico, hanno rinvenuto 12 enormi vulcani sottomarini in prossimità delle isole Sandwich Australi, un arcipelago disabitato situato nell’Oceano Atlantico meridionale. Il team di ricercatori si è spinto in queste zone remote della Terra a bordo della James Clark Ross, una nave da ricerca, in grado di operare aprendosi varchi fra i ghiacci con spessore fino a 1 metro, alla velocità costante di due nodi, attrezzata con sofisticate apparecchiature scientifiche per la conduzione di studi geofisici e biologici che hanno permesso di stabilire l’altezza dei rilievi (circa 3000 metri), il diametro dei crateri (5 Km) e il numero dei vulcani attivi (7 su 12).

Alcuni coni inoltre, affioravano leggermente dal mare dando la parvenza di trovarsi dinanzi a una catena di isole, creando così uno scenario unico e suggestivo. La scoperta permetterà di studiare da vicino cosa accade nei fondali quando colossi come questi eruttano sott’acqua e capire quando tali attività possano generare rischi seri come gli tsunami. Ma non solo. Le acque riscaldate dall’attività vulcanica creano un habitat ricco di specie variegate di fauna selvatica e di conseguenza sarà possibile acquisire nuove preziose conoscenze in campo biologico.

«Ci sono tante cose che non riusciamo a comprendere sulle attività vulcaniche – ha affermato il dottor Phil Leat del BAS durante il Simposio Internazionale di Scienze della Terra in Antartide tenutosi a Edimburgo – Le tecnologie che oggi gli scienziati sono in grado di utilizzare dalle navi non solo ci offrono l’opportunità di ricostruire la storia dell’evoluzione della Terra, ma ci aiutano anche a far luce sullo sviluppo degli eventi naturali che comportano pericoli per le persone che vivono nelle regioni più popolate del pianeta»

Obama vuole scaricare il crack USA sul resto del mondo

Scritto da: Filippo Ghira
Fonte: http://fantpolitik.blogspot.com/2011/07/obama-vuole-scaricare-il-crack-usa-sul.html

L’economia mondiale, trainata dalla inevitabile bancarotta degli Stati Uniti, si avvia verso un crollo generalizzato con una progressione che sembra inarrestabile. Una bancarotta che Washington vorrebbe che si verificasse in presenza di una situazione di quasi bancarotta nell’Unione Europa. Non è certo un caso che dopo gli attacchi speculativi a Paesi economicamente marginali come Portogallo, Irlanda e Grecia, siano arrivati ora quelli a Paesi di peso del sistema dell’euro come Spagna e Italia.
Se saltiamo noi, pensano a Washington, dovete saltare pure voi europei, in maniera tale che il nostro crollo venga in parte ammortizzato dal vostro e che al momento che i nostri e i vostri titoli di Stato vengano dichiarati carta straccia, non ci sia un euro che possa presentarsi come moneta alternativa al dollaro sui mercati internazionali. Un ragionamento ineccepibile quello di Barack Obama e del suo degno compare Timothy Geithner (nella foto), segretario al Tesoro, che stanno svolgendo in maniera ottimale il compito che gli è stato assegnato dagli ambienti finanzieri.
Il maggiordomo di Wall Street, dopo aver salvato dal fallimento la Goldman Sachs che gli aveva finanziato la campagna elettorale, sta trattando con la minoranza repubblicana al Congresso un massiccio taglio alla spesa pubblica che nelle intenzioni iniziali avrebbe dovuto essere accompagnata da aumenti delle tasse per i cittadini con redditi sopra i 250 mila dollari. Una ipotesi questa finora respinta con forza dai repubblicani maggioritari alla Camera (242 contro 189) e minoritari al Senato (51 a 47). Il tempo comunque stringe, ci sono vincoli legali che impongono che il nodo del debito pubblico debba essere risolto entro il 2 agosto, pena la bancarotta, che si avrebbe una volta superato il 100%.
Così una delle ipotesi allo studio è quella di trovare un escamotage, ossia una legge truffa che veda concordi democratici e repubblicani, per alzare legalmente il tetto del debito pubblico Usa, e rimandare l’inevitabile regolamento dei conti, che non è una battuta in chiave western. Geithner ha fatto capire che questo sarà il traguardo finale e che il fallimento non è un’opzione. Fallire oggi non si può, nel 2012 ci sono le presidenziali, meglio farlo più in là.
In effetti il livello del debito è altissimo, A fine marzo era pari a 14.260 miliardi di dollari, che è pari al 97,3% del Prodotto interno lordo. Ma contando anche i debiti degli enti locali, il suo livello è pari al 130% del Pil, cifra che fa impallidire l’attuale 120% italiano. Se poi si tiene conto che anche la bilancia commerciale Usa è in profondo rosso (600 miliardi di dollari nell’intero 2010 e 50 miliardi solo nel maggio scorso, il record degli ultimi tre anni) si ha una chiara idea del fatto che i cittadini degli Stati Uniti vivono ben al di sopra delle proprie possibilità e che i costi del loro sostentamento sono scaricati sul resto del mondo.
Questo è possibile soltanto in virtù del fatto che il dollaro, nonostante le debolezze del sistema economico che rappresenta (tra debito pubblico e commerciale e debito delle famiglie), resta la moneta per eccellenza negli scambi internazionali e soprattutto è la moneta di riferimento nell’acquisto delle materie prime, da quelle energetiche, petrolio e gas, fino a quelle alimentari, come il grano. Se si ponesse come forte e reale un’alternativa al dollaro, rappresentata da un’altra moneta, sia essa l’euro o lo yuan cinese, per il biglietto verde sarebbe notte fonda. Oggi però, e non ci stancheremo mai di ricordarlo, il dollaro continua ad imporre la sua supremazia in quanto rappresenta la prima potenza militare del globo che, avendo centinaia di migliaia di suoi cittadini sotto le armi, deve poter disporre di una moneta con la quale poter sancire il proprio ruolo di Paese occupante. E questo vale sia per i Paesi in cui sono in corso conflitti, sia per i tradizionali alleati degli Stati Uniti che gli hanno concesso l’utilizzo di basi militari sul proprio territorio, dalle quali partire per una delle tante crociate che sono la caratteristica degli Usa a partire dalla guerra dei primi del Novecento contro la Spagna per il controllo di Cuba.
E poiché stiamo parlando di corsi e ricorsi storici c’è da ricordare che il 15 agosto del 1971, a Borse chiuse, Richard Nixon decretò la fine della convertibilità del dollaro in oro, prendendo atto che era così alta la quantità di banconote verdi in circolazione, derivanti dal commercio di greggio, i cosiddetti “petrodollari”, pompati dalla Casa Bianca e dal Tesoro per tenere bassi i prezzi praticati dai Paesi produttori, da rischiare di vedere prosciugate le riserve auree Usa. Quest’anno Ferragosto cade di lunedì ed essendo gli uffici pubblici in molti Paesi chiusi per festa, alla Casa Bianca si offrirebbero tre giorni buoni per fare un annuncio eclatante e tentare di ammortizzarne i contraccolpi.

Archeologia- scoperta tomba del VII sec A.C. a Caporciano

Scritto da: Angela Ciano
Fonte: http://www.giornaledimontesilvano.com/cultura/

Nuove scoperte archeologiche sull’altopiano di Caporciano a cura dell’archeologo Vincenzo D’Ercole – il 4 agosto un incontro pubblico al Municipio di Caporciano.

L’Aquila 19 luglio 2011 – Una grande tomba a fossa risalente al VII secolo a.C. di tre metri per cinque è l’ultima scoperta effettuata dall’equipe dell’archeologo della Soprintendenza abruzzese Vincenzo d’Ercole nella piana di Caporciano. Si tratta di un rinvenimento molto importante perché dal ricco corredo funebre rinvenuto si può ipotizzare che il defunto fosse un guerriero di rango. La tomba, infatti, ci ha restituito due pugnali, cinque lance, una mazza ferrata come oggetti da guerra; sono stati puoi rinvenuti un grande “dolio” per il vino con una capienza di almeno un ettolitro, due brocche in bronzo provenienti dal sud dell’Etruria, dei bastoncini con i resti di scarponi o ramponi per potersi spostare agevolmente sulla neve o sul ghiaccio.

“Si tratta di una scoperta molto importante – spiega Vincenzo D’Ercole – perché tombe di questa grandezza, fino ad ora, le abbiamo trovate solo nella necropoli di Campovalano e mai qui nell’area dei Vestini. Essa ci conferma però alcune teorie che avevamo ipotizzato dopo i primi ritrovamenti in questa area: intanto che questa era un’area molto popolata, vista l’ampiezza della necropoli che stiamo studiando – abbiamo scoperto circa trecento tombe – poi che erano dei popoli guerrieri che combattevano anche per razzie di bestiame tra le varie etnie che popolavano quest’area, inoltre che erano abituati a vivere in condizioni climatiche d’alta montagna, perché resti di scarponi o bastoncini da neve sono stati rinvenuti solo in Sassonia o in aree alpine”.

Gli scavi archeologici in questa area hanno preso il via con i lavori di ampliamento della strada statale, poi si sono fermati a seguito del sisma del 2009 e finalmente, come un preciso segnale di ritorno alla normalità, sono ripresi a fine giugno grazie ad un programma di restauro della Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Abruzzo risalente al marzo 2009, che utilizza fondi dell’otto per mille, che prevede il restauro delle Chiese di Santa Maria in Centurelle, Santa Maria Assunta a Bominaco nel comune di Caporciano e Santa Maria di Civitaretenga, nel comune di Navelli. Lo scavo viene seguito da allievi restauratori archeologici della scuola di Venaria Reale a Torino che a settembre si alterneranno con studenti dell’Istituto Superiore del Restauro e i risultati di questa prima campagna saranno al centro di un incontro pubblico che l’archeologo Vincenzo D’Ercole terrà il 4 agosto prossimo presso il municipio di Caporciano.

 

Metropolitana di Napoli… altro che spazzatura!

Fonte: http://www.buonenotizie.it/misc/cultura/2011/07/08/metropolitana-di-napoli%E2%80%A6-altro-che-spazzatura/

In un periodo di grave difficoltà per la città partenopea, c’è un’altra Napoli di cui nessuno parla: l’altro lato della medaglia di una città che non può essere riassunta nello spinoso e purtroppo sempre attuale problema dei rifiuti. A dieci anni dagli esordi l’esperimento può dirsi riuscito: dal 2001, la metropolitana di Napoli è stata progressivamente trasformata in un vivace e sorprendente museo sotterraneo in continuo rinnovamento.

La linea 1 della metropolitana partenopea ha costituito il “contenitore” ideale di un progetto ad ampio raggio, fornendo un’ambientazione di per se stessa fortemente innovativa e caratterizzata da ambienti ampi e luminosi. Su questo sfondo, è spiccato negli anni l’apporto di architetti ed artisti di fama internazionale come Gae Aulenti, Alessandro Mendini, Jannis Kounellis e Alan Fletcher, giusto per citare alcuni nomi. Qualche esempio? La fermata Dante (progettata nel 2001 da Gae Aulenti), dove le scritte luminose del neon tubolare di Kosuth, dialogano liberamente con l’enigmatica accozzaglia di materiali accorpata da Kounellis nel suo “Senza titolo”; più avanti, la scala mobile si affaccia su uno specchio dipinto in metacrilicato da Michelangelo Pistoletto e un coloratissimo mosaico in pasta vitrea di Nicola De Maria evoca un utopico “Universo senza bombe”.

È solo un esempio, che trova peraltro ampia eco in altre fermate della linea 1 e della linea 6… e che – aspetto non meno importante – connette positivamente Napoli a una realtà non solo europea: alla fermata Chatêlet della metropolitana di Parigi, capita di poter ascoltare i concerti per violino di Bach suonati da una vera e propria orchestra e nel lontano emisfero sud – a Santiago del Cile – il frenetico caos metropolitano è talvolta inciampato allegramente in una sequenza di cortometraggi di Charlie Chaplin. Oggi, così come dieci anni fa, Napoli segue con tenacia e testardaggine ammirevoli lo stesso filone di pensiero: trascinare l’arte fuori dai musei e dai teatri e – con un tuffo nella quotidianità – portarla in mezzo alla gente. Con le sue Stazioni dell’Arte, Metronapoli è quindi tutt’altro che un’utopia. Le Stazioni dell’Arte di Metronapoli mostrano chiaramente come – al di là di facili generalizzazioni – la realtà partenopea costituisca un universo sfaccettato. E vitale.

La fine della sovranità italiana

Scritto da: Pino Cabras
Fonte:
http://www.megachip.info/tematiche/guerra-e-verita/5851-la-fine-della-sovranita-italiana.html

Trovarsi in guerra senza nemmeno sapere perché. Questo ormai tocca in sorte a milioni di persone, milioni di telespettatori che prima assistevano ai salamelecchi pro Gheddafi e ora vedono le immagini dell’attacco militare occidentale, poi vedranno una guerra ancora più grande e catastrofica. Era un’altra musica nell’ottobre 2008, quando Giulio Andreotti, Nicola Latorre, Vittorio Sgarbi, Beppe Pisanu, erano al cospetto del Colonnello con la loro brava fascia verde e il cappello bipartisan in mano, grati per il fresco impegno libico che salvava la banca Unicredit dal disastro innescato dagli scricchiolii finanziari dell’Impero in crisi. La spola di politici italiani per Tripoli era continuata per anni, sotto l’occhio benevolo di Re Bunga Bunga. Ma ora hanno tutti votato per la guerra. Perché?

Escludiamo i motivi umanitari. Nicolas Sarkozy solo pochi mesi fa offriva aiuti militari a Ben Alì per soffocare nel sangue l’inizio della rivolta tunisina. David Cameron e Barack Obama non hanno mica bombardato i carri armati del re del Barhein, che invece continua a sparare sulla gente che protesta, mentre l’Onu dorme. Zapatero e Berlusconi non hanno offerto le loro basi per imporre un’urgente No Fly Zone sopra il cielo di Gaza mentre Israele bruciava la popolazione civile con il fosforo bianco e le bombe DIME. Piero Fassino, responsabile esteri del PD, durante la strage di Gaza, esprimeva solidarietà a Israele. Nessuno convoca il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite per ordinare lo stop ai droni di Obama che un giorno sì e l’altro pure fanno strage fra i civili in Pakistan. Gli esempi diventerebbero decine, a cercarli, ma la facciamo breve: le guerre non sono mai mosse da motivi umanitari. Le guerre “umanitarie” sono così umanitarie che bombardano gli ospedali, sempre. Stavolta persino dal primo giorno. I moventi, se non siamo gazzettieri a rimorchio delle bugie del potere, li dobbiamo cercare altrove. Suggerisco in proposito l’interessante lettura geopolitica offerta da Piero Pagliani, che racconta bene il ruolo cruciale della strategia africana degli USA.

Perché l’Italia ha dunque scelto la guerra?

La Storia a volte si presenta con il volto dell’ironia e del paradosso delle date. Proprio appena passata la festa del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, ossia un giorno che dovrebbe esaltare la sovranità nazionale, abbiamo fatto vedere al mondo che viceversa siamo definitivamente un paese senza sovranità, senza più i distinguo del passato, né le navigazioni ambigue democristiane, le fiammate di autonomia di certe nostre aziende, le impuntature di certi nostri apparati. Senza più la guardinga sottomissione atlantica di un tempo, quando si battevano lo stesso anche le strade sgradite a Washington, Londra e Parigi, in nome di interessi da non liquidare: in nome cioè di una sovranità limitata ma non azzerata. L’attacco alla sovranità della Libia coincide con la fine della sovranità italiana. Due piccioni con una fava, con la desolante complicità del sistema politico, dal Quirinale ai peones di Montecitorio, fino alle redazioni, con qualche spaesata eccezione.

Quali pressioni sono intervenute per spingere questa classe dirigente a non far più valere un trattato di fresca firma come quello fra Italia e Libia? Si tratta di pressioni enormi, in tutta evidenza. L’Italia ha rinunciato di colpo a ogni sua politica autonoma nel Mediterraneo, l’unico suo spazio agibile, e in campi cruciali: l’energia, l’immigrazione, l’influenza geopolitica. Prosegue (anzi,precipita) la linea di ritirata della nostra sovranità economica, lungo quello stesso tracciato che negli anni novanta ha portato alle privatizzazioni selvagge e al vistoso declino della posizione italiana nella divisione internazionale del lavoro. Per entrare in Libia dovremo chiedere permesso ad altri soggetti.

Nel 1998, quando cadde il primo governo Prodi, il governo D’Alema si formò grazie a massicci via vai di deputati e senatori (da Cossiga a Cossutta), che spaccavano e ricomponevano i gruppi parlamentari: insieme garantirono agli USA la stabilità di governo indispensabile per usare in tutta tranquillità le basi militari da cui partivano gli aerei anche italiani che pochi mesi dopo bombardarono la Jugoslavia. È un precedente che ci permette di leggere quanto è avvenuto recentissimamente. Non credo che il rientro sfacciato e perfino precipitoso nel PDL da parte di decine di parlamentari che lo avevano abbandonato per il nuovo partito di Gianfranco Fini sia stato tutto frutto di una compravendita. È più probabile che molti siano stati soggetti a un contrordine, qualcosa che – superata la stoffa dei loro cappucci – dev’essere suonata più o meno così: «non è più il momento di far cadere il governo, stiamo per fare una guerra in Libia; Silvio, che pure manderemo via, ora ci serve, e sarà ben contento di tirare a campare ancora, non è mica uomo di principio; fate la vostra parte». E quelli hanno ottemperato alle loro Obbedienze. È gente con molto pelo sullo stomaco: al Caimandrillo concedono le acrobazie giudiziarie più indecenti; lui, in cambio, concede loro la guerra che piace colà dove si puote ciò che si vuole.

E mentre nel 1999 Cossutta faceva sì che in piazza non si facessero troppe manifestazioni contro la guerra, oggi non c’è più nemmeno bisogno di pompieri. La capacità di comprensione della situazione internazionale dell’elettorato di opposizione è stata nel frattempo desertificata. I partiti che ancora prendono i voti di questa opposizione sono invece seduti alla tavola di chi si è mangiato persino le vestigia della sovranità nazionale. Un Paese così decapitato sarà più esposto alle tragedie di una transizione geopolitica che si presentava già difficilissima.

Hadzic, il boia di Vukovar

Scitto da: Vita Lo Russo
Fonte:
http:http://www.lettera43.it

Preso l’ultimo criminale di guerra dei Balcani.

La strada che separa Belgrado a Bruxelles si accorcia. Dopo giorni di voci non confermate il 20 luglio 2011, a due mesi dall’arresto di Ratko Mladic, il boia responsabile del massacro di 8 mila musulmani a Srebrenica, è terminata la latitanza dell’ultimo criminale della guerra dei Balcani.
Goran Hadzic, 53 anni, ex presidente della Repubblica Serba di Krajina, accusato dal Tribunale dell’Aja per crimini di guerra e contro l’umanità, è stato arrestato e sta per essere estradato in Olanda.
Hadzic è considerato il responsabile della strage di Vukovar del 20 novembre 1991, quando i serbi uccisero 261 persone con un colpo alla nuca e le seppellirono in una discarica. E di aver ordinato il bombardamento su Zagabria.

20 Luglio 1944: l’attentato che «doveva» riuscire

Scritto da: Marco Innocenti
Fonte: http://www.ilsole24ore.com/a

Estate 1944. In un’Europa insanguinata da cinque anni di guerra il nazismo è vicino al collasso. A est l’Armata rossa avanza come un rullo compressore, disintegrando le difese tedesche e avvicinandosi ai confini del Reich. A ovest gli Alleati hanno conquistato la Francia mentre sul fronte italiano la Wehrmacht si ritira combattendo verso nord. La guerra è persa, è solo questione di tempo. Solo un uomo è ancora convinto della vittoria finale, Adolf Hitler, il “caporale boemo”, come lo chiamano gli ufficiali aristocratici che si stanno organizzando per eliminarlo.

Claus von Stauffenberg
L’uomo chiave della congiura è il giovane tenente colonnello, conte Claus von Stauffenberg, 37 anni, eroe di guerra, pluridecorato, brillante ufficiale di Stato maggiore: un uomo colto, raffinato, amante della poesia e della musica, fervente cattolico, idealista, poliglotta, ostile alla mentalità conservatrice degli alti gradi dell’esercito. Ha combattuto in Polonia, in Francia, sul fronte russo, in Tunisia: ha perso l’occhio sinistro e la mano destra. L’opposizione a Hitler è nata alla vista delle atrocità commesse dai nazisti. Il disgusto è diventato ribellione, e la ribellione cospirazione. La coscienza ha il sopravvento sull’obbedienza. Nel settembre del ’43 entra nel complotto che altri ufficiali stanno portando avanti da tempo, per una “questione di onore” ma senza fortuna. Alla moglie Nina, madre dei loro quattro figli, dice: “Sento di dover fare qualcosa per salvare la Germania”. Non sopporta la vergogna di sentirsi tedesco. E’ un uomo alto, eretto, l’occhio sinistro coperto da una benda nera, una figura piena di fascino e di fierezza. Assume la leadership della congiura, da uomo pronto ad arrivare al limite. E il limite è l’uccisione del Fuehrer.

La bomba
Rastenburg, 20 luglio 1944. Quartier generale di Hitler, detto la “Tana del lupo”. E’ una giornata calda e serena d’estate, il giorno scelto per colpire il tiranno. La conferenza di Hitler, nella sala riunioni, inizia alle 12,30. Stauffenberg rompe la capsula del detonatore, entra nella sala, colloca la borsa con la bomba il più vicino possibile a Hitler, esce dalla stanza: il tutto con la massima calma. Ha commesso un errore, però: non è riuscito a innescare la seconda carica di esplosivo. Come non può immaginare che un colonnello sposti la borsa un po’ più in là, accanto al massiccio zoccolo del tavolo di quercia, perché non intralci il Fuehrer, salvandogli così la vita. Alle 12,42 la stanza viene squassata da una spaventosa deflagrazione. Una fiammata e una nera nube di fumo si alzano dall’edificio. Stauffenberg riesce ad allontanarsi con la (falsa) certezza che il colpo sia riuscito e il Fuehrer eliminato. Non è così e l’Operazione Valchiria, il colpo di stato per neutralizzare i gerarchi nazisti, è destinato al fallimento. Mal condotto, poco tempestivo, incapace di isolare Berlino, “salta” quando la voce di Hitler sopravvissuto cancella ogni residua speranza.

La vendetta
Il complotto è soffocato in un bagno di sangue. Stauffenberg e alcuni congiurati sono fucilati la sera stessa, alla luce dei fari dei camion. Altri sono catturati. La vendetta di Hitler è feroce. Molti uomini che incarnano il meglio della Germania sono condannati a morte e impiccati a ganci di macellaio. “Dobbiamo essere crudeli – aveva detto Hitler anni prima – Dobbiamo compiere efferatezze senza rimorsi di coscienza”. “Chi agirà – aveva confessato Stauffenberg prima di quel 20 luglio fatale – entrerà nella storia tedesca col marchio del traditore. Se invece rinuncerà ad agire, sarà un traditore davanti alla propria coscienza”. Ora, la strada dove Stauffenberg quella sera gridò “Viva la Sacra Germania” mentre il plotone d’esecuzione faceva fuoco, si chiama Stauffenbergstrasse. Un monumento ricorda un uomo coraggioso che morì per una Germania diversa.

 

IL SACCO D’ITALIA

Fonte: http://www.stavrogin2.com/2011/06/il-sacco-ditalia.html

Dedichiamo questo post al prossimo governatore della BCE Mario Draghi,detto anche Mr.Britannia.Complimenti e auguri

Era il 1992, un anno decisivo per la recente storia italiana.
All’improvviso un’intera classe politica dirigente crollava sotto i colpi delle indagini giudiziarie. Da oltre quarant’anni era stata al potere. Gli italiani avevano sospettato a lungo che il sistema politico si basasse sulla corruzione e sul clientelismo. Ma nulla aveva potuto scalfirlo.
Né le denunce, né le proteste popolari  né i casi di connivenza con la mafia, che di tanto in tanto salivano alla cronaca,immaginiamoci un semplice mariuolo alla Mario Chiesa. Ma ecco che, improvvisamente, il sistema crollava.
Mentre l’attenzione degli italiani era puntata sullo scandalo delle tangenti, il governo italiano stava prendendo decisioni importantissime per il futuro del paese.
Con l’uragano di “Tangentopoli” gli italiani credettero che potesse iniziare un periodo migliore per l’Italia
Ma in segreto, il governo stava attuando politiche che avrebbero peggiorato il futuro del paese.
Numerose aziende saranno svendute, persino la Banca d’Italia sarà messa in vendita.
La svendita venne chiamata “privatizzazione”.

E ancora.Nel maggio del 1992, Giovanni Falcone venne ucciso dalla mafia. Egli stava indagando sui flussi di denaro sporco, e la pista stava portando a risultati che potevano collegare la mafia ad importanti circuiti finanziari internazionali.
Su Falcone erano state diffuse calunnie che cercavano di capovolgere la realtà di un magistrato integro.
Probabilmente, le tecniche d’indagine di Falcone non piacevano a certi personaggi con cui il governo italiano ebbe a che fare quell’anno.
L’omicidio di un simbolo dello Stato così importante come Falcone,significava qualcosa di nuovo.
Erano state toccate le corde dell’élite di potere internazionale.
Ciò è stato intuito anche da Charles Rose, Procuratore distrettuale di New York, che notò la particolarità degli attentati (anche Borsellino 19 luglio ) : “Neppure i boss più feroci di Cosa Nostra hanno mai voluto colpire personalità dello Stato così visibili come era Giovanni, perché essi sanno benissimo quali rischi comporta attaccare frontalmente lo Stato. Quell’attentato terroristico è un gesto di paura… Credo che una mafia che si mette a sparare ai simboli come fanno i terroristi… è condannata a perdere il bene più prezioso per ogni organizzazione criminale di quel tipo, cioè la complicità attiva o passiva della popolazione entro la quale si muove”.

Quell’anno l’élite anglo-americana voleva rendere l’Italia un paese completamente soggiogato e dominato dal potere finanziario.
2 giugno del 1992, panfilo Britannia, in navigazione. A bordo c’erano alcuni appartenenti all’élite di potere anglo-americana, e i grandi banchieri a cui si rivolgerà il governo italiano durante la fase delle privatizzazioni (Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers).
In quella riunione si decise di acquistare le aziende italiane e la Banca d’Italia, e come far crollare il vecchio sistema politico per insediarne un altro, completamente manovrato dai nuovi padroni. A quella riunione parteciparono anche diversi italiani, tra i quali Mario Draghi, allora direttore delegato del ministero del Tesoro, il dirigente dell’Eni Beniamino Andreatta e il dirigente dell’Iri Riccardo Gall.
Gli intrighi decisi sulla Britannia avrebbero permesso agli anglo-americani di mettere le mani sul 48% delle aziende italiane.
La stampa martellava su “Mani pulite”, facendo intendere che da quell’evento sarebbero derivati grandi cambiamenti.Un grande cambiamento in effetti ci fu.
I banchieri angloamericani erano venuti a “fare la spesa”, ossia a comprarsi i gioielli dell’industria pubblica italiana a buon mercato.In lire svalutate lorsignori comprarono i gioielli dell’industria italiana,IRI in testa.
Insomma: una strategia concertata.
Cominciò il  Fondo Monetario Internazionale (altro organismo che mette sul lastrico interi paesi) che, come aveva fatto da altre parti,voleva privatizzare selvaggiamente e svalutare la nostra moneta, per agevolare il dominio economico-finanziario dell’élite.La Standard & Poor’s declassò il debito italiano.
L’incarico di far crollare l’economia italiana venne dato a George Soros, un cittadino americano che tramite informazioni ricevute dai Rothschild, con la complicità di alcune autorità italiane, riuscì a far crollare la nostra moneta e le azioni di molte aziende italiane.A causa di questi attacchi, la lira perse il 30% del suo valore, e anche negli anni successivi subì svalutazioni.Le reti della Banca Rothschild, attraverso il direttore Richard Katz, misero le mani sull’Eni, che venne svenduta. Il gruppo Rothschild ebbe un ruolo preminente anche sulle altre privatizzazioni, compresa quella della Banca d’Italia. C’erano stretti legami fra il Quantum Fund di George Soros e i Rothschild. Ma anche numerosi altri membri dell’élite finanziaria anglo-americana, come Alfred Hartmann e Georges C. Karlweis, furono coinvolti nei processi di privatizzazione delle aziende e della Banca d’Italia.
Qualche anno dopo la magistratura italiana procederà contro Soros, ma senza alcun successo.
Su Soros indagarono le Procure della Repubblica di Roma e di Napoli, che fecero luce anche sulle attività della Banca d’Italia nel periodo del crollo della lira. Soros venne accusato di aggiotaggio e insider trading, avendo utilizzato informazioni riservate che gli permettevano di speculare con sicurezza e di anticipare movimenti su titoli, cambi e valori delle monete.

Nel giugno 1992 si era intanto insediato il governo di Giuliano Amato. Si trattava di un personaggio in armonia con gli speculatori che ambivano ad appropriarsi dell’Italia. Infatti, Amato, per iniziare le privatizzazioni, si affrettò a consultare il centro del potere finanziario internazionale: appunto le tre grandi banche di Wall Street, Merrill Lynch, Goldman Sachs e Salomon Brothers.(strano che il braccio destro di Craxi,uscìsse indenne dalla bufera mani pulite.Il non poteva non sapere per lui non valeva)
Appena salito al potere, Amato trasformò gli Enti statali in Società per Azioni, valendosi del decreto Legge 386/1991, in modo tale che l’élite finanziaria li potesse controllare, e in seguito rilevare.
Il 31 luglio 1992 viene abolita la scala mobile.Il 9 settembre il governo chiede al Parlamento di approvare una legge delega che gli consenta di cancellare spese, aumentare tasse, bloccare i salari pubblici ogni volta che la Banca d’Italia dichiari l’emergenza economica.
Il 13-17 settembre,si è in piena crisi : svalutazione della lira e successiva uscita dallo SME, il sistema monetario europeo.Per arginarla il governo Amato è costretto a varare una legge finanziaria da 100.000 miliardi (aumento dell’età pensionabile, aumento dell’anzianità contributiva, blocco dei pensionamenti, minimum tax, patrimoniale sulle imprese, prelievo sui conti correnti bancari, introduzione dei ticket sanitari, tassa sul medico di famiglia, imposta comunale sugli immobili (Ici), blocco di stipendi e assunzioni nel pubblico impiego, privatizzazioni ecc..)
A fine anno l’ineffabile Scalfaro annuncia “un nuovo rinascimento”. Roba da non credere!!!

Come già accennato,a seguito dell’attacco speculativo contro la lira e della sua successiva svalutazione, le privatizzazioni sarebbero state fatti a prezzi stracciati, a beneficio della grande finanza internazionale e a discapito degli interessi dello stato italiano e dell’economia nazionale e dell’occupazione. L’agenzia stampa EIR (Executive Intelligence Review) ha denunciato pubblicamente questa sordida operazione alla fine del 1992 provocando una serie di interpellanze parlamentari e di discussioni politiche che hanno avuto il merito di mettere in discussione l’intero procedimento di privatizzazione.
Il 28 giugno 1993, il Movimento Solidarietà svolse una conferenza a Milano, in cui rese nota a tutti la riunione sul Britannia e quello che ne era derivato
I complici italiani furono il ministro del Tesoro Piero Barucci, l’allora Direttore di Bankitalia Lamberto Dini e l’allora governatore di Bankitalia Carlo Azeglio Ciampi. Altre responsabilità vanno all’allora capo del governo Giuliano Amato e al Direttore Generale del Tesoro Mario Draghi. Alcune autorità italiane (come Dini) fecero il doppio gioco: denunciavano i pericoli ma in segreto appoggiavano gli speculatori.
Amato aveva costretto i sindacati ad accettare un accordo salariale non conveniente ai lavoratori, per la “necessità di rimanere nel Sistema Monetario Europeo”, pur sapendo che l’Italia ne sarebbe uscita a causa delle imminenti speculazioni.
Gli attacchi all’economia italiana andarono avanti per tutti gli anni Novanta, fino a quando il sistema economico- finanziario italiano non cadde sotto il completo controllo dell’élite finanziaria.
Nel 1996, il governatore della Banca d’Italia, Antonio Fazio, riferiva che l’Italia non poteva far nulla contro le correnti speculative sui mercati dei cambi, perché “se le banche di emissione tentano di far cambiare direzione o di fermare il vento (delle operazioni finanziarie) non ce la fanno per la dimensione delle masse in movimento sui mercati rispetto alla loro capacità di fuoco”.
Denuncia  dell’élite internazionale,e getto della spugna, ritenendo inevitabili quegli eventi. Era in gioco il futuro economico-finanziario del paese, ma nessuna autorità italiana pensava di poter fare qualcosa contro gli attacchi destabilizzanti dell’élite anglo-americana.

Anche negli anni successivi,avvennero altre privatizzazioni, senza regole precise e a prezzi di favore.
Pensate che  l’Italia conquistò il record mondiale delle privatizzazioni: sui 460 miliardi di dollari del giro d’affari planetario di questo business negli anni ’90,circa 100 miliardi di dollari erano imputabili a noi.
La vendita Telecom fu l’operazione piu’ grossa mai conclusa in Europa
Nel settore del gas e dell’elettricità apparvero numerose aziende private, oggi circa 300.
Dal 24 febbraio del 1998, anche le Poste Italiane diventarono una S.p.a. In seguito alla privatizzazione delle Poste, i costi postali sono aumentati a dismisura e i lavoratori postali vengono assunti con contratti precari. Oltre 400 uffici postali sono stati chiusi, e quelli rimasti aperti appaiono come luoghi di vendita più che di servizio.
Le nostre autorità giustificavano la svendita delle privatizzazioni dicendo che si doveva “risanare il bilancio pubblico”, ma non specificavano che si trattava di pagare altro denaro alle banche, in cambio di banconote che valevano come la carta straccia. A guadagnare sarebbero state soltanto le banche e i pochi imprenditori già ricchi (Benetton, Tronchetti Provera, Pirelli, Colaninno, Gnutti e pochi altri).
Si diceva che le privatizzazioni avrebbero migliorato la gestione delle aziende, ma in realtà, in tutti i casi, si sono verificati disastri di vario genere, e il rimedio è stato pagato dai cittadini italiani.
Le nostre aziende sono state svendute ad imprenditori che quasi sempre agivano per conto dell’élite finanziaria, da cui ricevevano le somme per l’acquisto. La privatizzazione della Telecom avvenne nell’ottobre del 1997. Fu venduta a 11,82 miliardi di euro, ma alla fine si incassarono soltanto 7,5 miliardi.
La società fu rilevata da un gruppo di imprenditori e banche., e al Ministero del Tesoro rimase una quota del 3,5%.
Il piano per il controllo di Telecom aveva la regia nascosta della Merril Lynch, del Gruppo Bancario americano Donaldson Lufkin & Jenrette e della Chase Manhattan Bank.
Dopo dieci anni dalla privatizzazione della Telecom, il bilancio era disastroso sotto tutti i punti di vista: oltre 20.000 persone sono state licenziate, i titoli azionari hanno fatto perdere molto denaro ai risparmiatori, i costi per gli utenti sono aumentati e la società è in perdita.
La privatizzazione, oltre che un saccheggio, veniva ad essere anche un modo per truffare i piccoli azionisti.
La Telecom , come molte altre società, ha posto la sua sede in paesi esteri, per non pagare le tasse allo Stato italiano.
Oltre a perdere le aziende, gli italiani sono stati privati anche degli introiti fiscali di quelle aziende. La Bell, società che controllava la Telecom Italia, aveva sede in Lussemburgo, e aveva all’interno società con sede alle isole Cayman, che, com’è noto, sono un paradiso fiscale.
Mettere un’azienda importante come quella telefonica in mani private significa anche non tutelare la privacy dei cittadini, che infatti è stata più volte calpestata, com’è emerso negli ultimi anni.
Anche per le altre privatizzazioni, Autostrade, Poste Italiane, Trenitalia ecc., si sono verificate le medesime devastazioni: licenziamenti, truffe a danno dei risparmiatori, degrado del servizio, spreco di denaro pubblico, cattiva amministrazione e problemi di vario genere.
La famiglia Benetton è diventata azionista di maggioranza delle Autostrade. Il contratto di privatizzazione delle Autostrade dava vantaggi soltanto agli acquirenti, facendo rimanere l’onere della manutenzione sulle spalle dei contribuenti..
Nonostante i disastri delle privatizzazioni, le nostre autorità governative sono disposte ad utilizzare denaro pubblico per riparare ai danni causati dai privati.
Dietro tutto questo c’era l’élite economico finanziaria (Morgan, Schiff, Harriman, Kahn, Warburg, Rockfeller, Rothschild ecc.) che ha agito preparando un progetto di devastazione dell’economia italiana, e lo ha attuato valendosi di politici, di finanzieri e di imprenditori.
Nascondersi è facile in un sistema in cui le banche o le società possono assumere il controllo di altre società o banche.Esemplare il caso Parmalat e Cirio.
Queste aziende hanno truffato i risparmiatori vendendo obbligazioni societarie con un alto margine di rischio. La Parmalat emise bonds per un valore di 7 miliardi di euro, e allo stesso tempo attuò operazioni finanziarie speculative, e si indebitò. Per non far scendere il valore delle azioni (e per venderne altre) truccava i bilanci.
Le banche nazionali e internazionali sostenevano la situazione perché per loro vantaggiosa, e l’agenzia di rating, Standard & Poor’s, si è decisa a declassare la Parmalat soltanto quando la truffa era ormai nota a tutti.
Alla fine,questi complici della truffa non han pagato praticamente nulla,con tanti saluti alla giustizia italiana

Grazie alle privatizzazioni, un gruppo ristretto di ricchi italiani ha acquisito somme enormi, e ha permesso all’élite economico-finanziaria anglo-americana di esercitare un pesante controllo, sui cittadini, sulla politica e sul paese intero.
Agli italiani venne dato il contentino di “Mani Pulite”, che si risolse con numerose assoluzioni e qualche condanna a pochi anni di carcere.Un polverone che è servito solo a consentire il saccheggio e a rimuovere un sistema politico che lo ostacolava o comunque non in linea con i desiderata angloamericani.

Il nostro paese è oggi controllato realmente da un gruppo di persone, che impongono, attraverso istituti propagandati come “autorevoli” (Fondo Monetario Internazionale e Banca Centrale Europea), di privatizzare quello che ancora rimane e di attuare politiche non convenienti alla popolazione italiana. I nostri governi operano nell’interesse di questa élite, e non in quello del paese.

Questo,a grandi linee, è quanto veramente successo in quel 1992 che ha cambiato in peggio tutta la storia italiana.Il resto sono solo chiacchiere di stampa e politica,entrambe asservite,buone solo per la credulità del parco buoi,quello che in fondo paga sempre per tutti.

Uno dei pochi articoli di giornale di quell’anno che  parla  del convegno sul Britannia,lo presenta ovviamente  quasi come un convegno istruttivo o stage per giovani managers!!!.
(3 giugno 1992 -http://archiviostorico.corriere.it/1992/giugno/03/Inglesi_cattedra_privatizzazioni_fate_come_co_0_92060319034.shtml
A distanza di tempo,stessa cosa per il Club Bilderberg.
Libertà dalla stampa!!!!
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Ci vuole in cieco per non vedere come tutti gli avvenimenti di quell’anno non siano in qualche modo collegati.Troppe coincidenze,e tutte nella stessa direzione.
Resta il fatto, che Draghi tenne un discorso a quella riunione, in cui disse esplicitamente che il principale ostacolo ad una “riforma” del sistema finanziario in Italia era rappresentato dal sistema politico.

Guarda caso, dopo la crociera sul Britannia partì l’attacco speculativo contro la lira e  l’uragano di Mani Pulite che proprio quel sistema politico abbatté.
Certo è che lo svegliarsi improvviso della magistratura, che per anni aveva ignorato e insabbiato, sembra sia avvenuta proprio in un momento opportuno per fare “PiazzaPulita” di una classe politica con velleità italiote, e per ottenere le “ManiLibere” di fare entrare i governi dei “tecnici”, gli amici della Goldman e soci.
E qua,consentiteci anche di tirar in ballo il tanto vituperasto Craxi.

Di sicuro un Craxi, per quanto corrotto, non avrebbe mai siglato un patto così scellerato, quello di svendere tutto il comparto nazionale produttivo del paese,lui che tenne testa agli americani nella vicenda dell’Achille Lauro, negando loro l’accesso al nostro territorio per attaccare i sequestratori della nave,  e portando avanti le trattative con i terroristi nonostante il veto del presidente Reagan,sempre lui che negò agli Usa la base di Sigonella.
E, infatti, proprio qualche anno prima Craxi era stato duramente criticato dagli ambienti angloamericani,quegli stessi che non si privano mai d’interferire nella nostra politica interna per salvaguardare i loro interessi.

Chi tocca i fili Usa muore!
Ed è bene anche ricordare al solito popolo cornuto,mazziato e festante, che quando Craxi in Parlamento (mica ad annozero) invitò in pratica ad alzarsi chi non avesse preso tangenti,nessun prode mezzacartuccia italiota si alzò.
Questo tanto per fare un po’ di storia che le ipocrite tricoteuses attuali dimenticano.

Con l’aiuto della stampa iniziò una campagna martellante per incutere il timore nel popolo italiano di “non entrare in Europa”, manco non fossimo stati tra i Sei paesi fondatori…
Una campagna a cui presero parte attva “The Economist” e “Financial Times,fogli al servizio dei saccheggiatori.Ora come allora.
Te la raccomando la stampa inglese e i soliti fessi,o molto interessati,laudatores nostrani!
E questa è ormai storia, tant’è vero che sull’episodio del “panfilo Britannia” vi furono anche alcune interrogazioni parlamentari rimaste naturalmente senza risposta .
Fu l’inizio dell’era dei governi tecnici, dopo 40 anni di regime DC, con il “tecnico” Ciampi, il tecnico Amato, il tecnico Prodi.
Il governo doveva, a tutti i costi essere “tecnico”, pur di non fare arrivare al potere neanche un’idea, che fosse tale e che lo fosse per il bene del paese.
In questo “bene ” invece rientrò  l’allontanamento di Enrico Cuccia,Mediobanca,che si oppose alla svendita di Sme caldeggiata da Prodi.Si è poi visto come é finito questo colosso alimentare.
Lo stesso Prodi, che dal 1990 al 1993 fu consulente della Unilever e della Goldman Sachs, quando nel maggio del 1993 ritornò a capo dell’IRI riuscì a svendere la Cirio Bertolli alla Unilever al quarto del suo prezzo.Indovinate chi furono gli advisors!
Uomini della Goldman,che vi hanno lavorato sono, oltre a Costamagna e Prodi, Monti(catapultato alla carica di Commissario), Letta, Tononi e naturalmente Draghi. Sicuramente ce ne sono altri; molti nostri uomini politici se non hanno lavorato per la Goldman, lavoravano per l’FMI, come Padoa Schioppa, presidente della BEI, Banca europea per gli Investimenti

La classe dei tecnici, fedeli servitori delle banche e dei circoli finanziari angloamericani, il cui motto era “privatizzare per saccheggiare”. Quella della condizione di tecnicità per accedere al potere fu un imperativo talmente tassativo, da riuscire nell’intento di dividere il PCI, con una fetta che divenne sempre più “tecnica”, sempre più British, sempre più amica delle banche, sempre più PD.
Il premio di tutta questa svendita, prevista per filo e per segno,  fu la nostra “entrata in Europa”, ovvero la cessione della nostra già minata sovranità monetaria dalla Banca d’Italia alla Banca centrale europea,per una moneta, l’euro che, con il tasso iniziale di cambio imposto e troppo elevato, è all’origine di tante attuali sciagure.

Queste sono informazioni che dovrebbero essere divulgate e spiegate in lungo e in largo dalla stampa,ma che invece ha sempre occultato.

Le anime belle e buone parleranno di complottismo,che vediam  congiure dappertutto…
Rassicuriamole,questi marpioni possono fare,hanno fatto e faranno anche di più e di meglio…

La scorta delle escort

Scritto da: Gabriella Colarusso
Fonte: http://www.lettera43.it/attualita/2086/la-scorta-delle-escort.htm

Ore 22.30 di un normalissimo venerdì. «Speravo che il turno fosse finito, dopo dodici ore di lavoro e invece…». L’uomo a cui è stata assegnata l’auto blu ha appuntamento per una festa privata. Ad attenderlo «amiche e ragazze appariscenti». Perciò «tocca stargli dietro», racconta Fabio (nome di fantasia), da 15 anni agente della scorta di parlamentari, vip, personalità più e meno note.
Voleva difendere i servitori dello Stato, Fabio, e invece si ritrova a fare la “scorta delle escort”, con politici di destra e di sinistra: «Mi è capitato decine di volte. A fine giornata credi di doverli accompagnare a casa e invece ti chiedono di portarli nei posti più impensabili. In discoteche di Parma, Padova o Milano. In appartamenti privati alla periferia di Roma, negli hotel di lusso, dove ad attenderli spesso ci sono ragazze appariscenti. E tu resti ad aspettare fuori finché tutto è finito, al freddo, al caldo, con o senza cena, poco importa». Ma può persino andare peggio. Può accadere «che qualcuno», per esempio un ex ministro della prima Repubblica, politico ancora molto in voga, «amante delle discoteche, si faccia accompagnare in questi locali e ti “costringa” ad assistere a scene imbarazzanti», confida Fabio non senza mostrare il suo disgusto. Donne, donne giovani, effusioni.

Quelli che un poliziotto vale un portaborse.

Ma capita anche che ci si «ritrovi ad aspettare ore nel giardino di una casa sconosciuta mentre dentro il vip di turno si diverte». Perché a utilizzare uomini e mezzi dello Stato per i propri, privatissimi, interessi, non sono solo politici. Sono anche critici d’arte, esuberanti uomini televisivi, organizzatori di festival ed eventi.
Per gli agenti, che siano showman o parlamentari poco importa, perché la storia è sempre la stessa: «Molti di loro neanche ti degnano di un saluto e poi ti chiedono di portargli, che so, le valigie. Ma noi non siamo portaborse, dobbiamo garantire la loro sicurezza, è un lavoro delicato. Il Governo taglia i fondi per le forze dell’ordine, non abbiamo i soldi per le uniformi, non ci pagano gli straordinari e poi ci tocca assistere in silenzio agli sprechi di questi signori. Per esempio, se due o tre parlamentari devono partire da Roma e raggiungere la stessa località, nello stesso giorno, credi che prendano lo stesso volo di Stato? Macché. Due, tre voli diversi, solo perché, magari, hanno appuntamenti in orari differenti della giornata. Per non parlare di barche, ristoranti a cinque stelle. Chi credi che paghi? Noi contribuenti».

Quelli che l’auto blu non è abbastanza chic.

Spesso poi professionisti come Fabio sono impegnati in scorte quantomeno «discutibili», dice a Lettera43.it Franco Maccari, segretario nazionale del Coisp, sindacato di polizia indipendente, vicino comunque all’area del centrodestra. Riferimento neanche troppo velato a scortati del calibro di «Irene Pivetti, Vittorio Sgarbi, Marcello Dell’Utri».(condannato in primo grado per concorso esterno in associazione mafiosa)
Per non parlare di quelli che la scorta ce l’hanno pure “post-mortem”. «Non siamo costretti solo ad accettare le scorte alle “escort”», spiega Maccari. «Ci sono anche casi di personaggi morti la cui abitazione ha continuato a essere sorvegliata per due anni dopo il decesso», o la sorveglianza a «cariatidi che non sai neanche chi siano, magari membri di un sottocomitato, di una sottocommissione, di un sottosegretariato…».
Insomma il ritratto desolante di un potere spendaccione, capriccioso e anche arrogante.
«Sa cosa intasa i centralini delle Questure?», rivela il segretario del Coisp, «le telefonate dei politici, quotidiane, costanti, che si lamentano delle auto utilizzate per il servizio scorta! “Volevo l’Audi, non voglio la Croma…”». Fino ad arrivare al paradosso «di Ghedini, che si è «comprato una Lancia Thesis, l’ha data in comodato d’uso al ministero che la utilizza per la sua scorta. Lui dice di averlo fatto per dare un contributo alle spese dello Stato. Ma non sarà che anche l’avvocato non gradiva una “normale” auto blu?».
Sulla correttezza nell’utilizzo delle auto blu, Renato Brunetta, ministro della Funzione Pubblica, ha anunciato più volte controlli severi. Ma Maccari non ci sta: «Il folcloristico Brunetta di recente ha detto che avrebbe chiesto numeri e verifiche dettagliate su come vengono utilizzate le auto blu. Peccato che i dati ci siano già. Nei cassetti del ministero competente, il suo».