Otto motivi per odiare la Siria

Fonte:   http://rt.com;       http://byebyeunclesam.wordpress.com/

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Perché USA, Gran Bretagna, Unione Europea e Israele odiano la Siria
di Adrian Salbuchi, analista politico e commentatore a radio e televisione in Argentina, per rt.com

Una ragazza giovane e dai toni delicati che sta vivendo la tragedia siriana e ne parla con maggiore buon senso e rispetto della verità di quanto non facciano i potenti governi occidentali ed i pupazzi dei mass media controllati con i loro soldi.
Presentandosi solo come una “siriana, patriottica, anti–Neocon, anti–Nuovo Ordine Mondiale, anti-sionista, l’anno scorso ha creato il suo canale su Youtube (YouTube/User/SyrianGirlpartisan).
In un breve video (di nove minuti) lei spiega “gli otto motivi per cui il Nuovo Ordine Mondiale odia la Siria”. Faremmo tutti molto bene ad ascoltare…
Il suo “Le principali otto ragioni per cui ci odiano” è un eccellente riepilogo applicabile a qualsiasi nazione che abbia il rispetto di se stessa: Banca centrale non controllata dai Rotschild, nessun debito con il Fondo Monetario Internazionale, cibo non geneticamente modificato, anti-sionismo, secolarismo e nazionalismo.
Il suo breve messaggio si presenta come una sorta di manuale del buon senso che spiega perché gli Stati Uniti d’America, il Regno Unito, l’Unione Europea (specialmente la Francia) e Israele sono così portati a distruggere la Siria, una nazione la cui leadership semplicemente non vuole inchinarsi alle elites del Nuovo Ordine Mondiale, ben inserite all’interno del potere pubblico occidentale e nelle strutture di potere private (multinazionali/banche).
Lei descrive queste otto ragioni in maniera succinta e convincente, dando al mondo più alimento per il pensiero e si spera anche ispirando la messa in discussione di molte opinioni. Specialmente tra le popolazioni di USA, Gran Bretagna, UE e Israele che sono le uniche a poter esercitare una pressione diretta verso i propri politici eletti a Washington, Londra, Parigi, Tel Aviv e in altre capitali occidentali, per far sì che la finiscano di comportarsi come folli criminali e comincino a dar retta alla parola Noi il Popolo, in una maniera democratica e responsabile.

1) La Banca Centrale Siriana è posseduta e controllata dallo Stato – In altre parole essa gestisce la valuta nazionale così che questa serva il popolo siriano e non i banchieri globali controllati dai Rotschild e operanti dai loro nascondigli di New York, Londra, Francoforte, Tel Aviv, Basilea e Parigi.
Questo significa che il volume di valuta emesso è coerente con le reali necessità dell’economia reale del lavoro, della produzione e di tutto ciò che è utile alla popolazione siriana, invece di esserlo con i parassitici, usurai e speculatori finanzieri internazionali. Questi ultimi cercano di controllare le banche centrali locali così da poter artificialmente limitare il volume di valuta disponibile per le reali esigenze economiche, specialmente i crediti che non garantiscono interessi che servono per finanziare cose utili per finanziare l’economia reale: centrali elettriche, strade, impianti di gas, costruzione di case, imprese ed iniziative private. Ciò forza le attività produttive –pubbliche o private che siano- a dover ricorrere a interessi mortali e a prestiti dal sistema basato sull’usura delle banche private, da cui scaturisce la catena dell’eterno debito che cresce e cresce, come la cosiddetta “crisi dei debiti sovrani” che ha colpito Paese dopo Paese negli ultimi decenni eloquentemente dimostra.
Vedendo artificialmente alterato il volume della “valuta pubblica” che non genera interesse emesso dalle banche centrali sovrane, i Paesi sono perciò forzati a ricorrere alla “valuta privata” (prestiti), che comporta alti tassi di interesse ed è gestito dagli interessi della cabala di banksters privati e monopolistici, nelle mani di Rotschild, Rockfeller, Warburg, Goldman Sachs, HSBC, CitiCorp e JP Morgan Chase.
Chiaramente, è una ottima ragione per cui questi banksters vogliono conquistare la Siria.
2) La Siria non ha un debito con l’FMI (Fondo Monetario Internazionale). Ciò significa che la leadership siriana comprende che l’FMI –una agenzia pubblica multilaterale composta da membri di governi– è in realtà controllata dai mega banchieri e agisce come loro controllore e come esattore dei loro crediti ogni volta che uno dei suoi Stati membri più deboli finisce nella spirale del “debito sovrano”, che è un altro modo per esprimere il concetto che questi Paesi non riescono a sottrarre alle loro economie reali –dal lavoro duro delle loro popolazioni– abbastanza denaro per i banchieri privati, globali e parassitici.
In un certo senso, il vero lavoro dell’FMI è di agire come l’ufficio delle tasse dell’elite globale, solo che non tassa direttamente la gente, quanto piuttosto i governi fantoccio e gli uffici delle tasse degli Stati medesimi. La schiavitù globale non sarebbe potuta essere pensata e pianificata meglio!
Stiamo cominciando a capire le vere radici delle “crisi del debito” che hanno colpito Grecia, Cipro, Irlanda, Argentina, Spagna, Italia, Gran Bretagna, USA, Portogallo, Francia?
In realtà, le vere nazioni islamiche correttamente rigettano i prestiti frazionari e la pratica degli interessi come immorale. Ciò è quanto faceva anche la Libia di Gheddafi e ciò che Iran e Siria fanno ora.
Chiaramente, un’ottima ragione per i banksters parassitici per voler conquistare la Siria, proprio come hanno fatto con la Libia e come stanno puntando l’Iran.
3) La Siria ha vietato i semi geneticamente modificati (OGM) – Bashar Assad ha vietato gli OGM per “salvaguardare la salute umana”, pur sapendo molto bene che le varie Monsanto di questo mondo sono intenzionate a controllare l’intera fornitura mondiale di cibo, perchè le prossime crisi globali non riguarderanno solo il petrolio, ma la quantità di cibi che i Paesi saranno capaci di mettere sulle tavole dei propri abitanti.
Questo è il motivo per cui, dopo aver invaso l’Iraq, gli USA ordinarono che solo i semi di Monsanto dovevano essere usati. Perciò Stati remissivi come l’Argentina stanno avvelenando la propria terra e la propria popolazione, inchinandosi in maniera incondizionata alle richieste della Monsanto.
Chiaramente, una ragione molto buona per Monsanto per voler prendere il controllo della Siria.
4) La popolazione siriana è bene informata sul Nuovo Ordine Mondiale – I suoi media e le sue università parlano apertamente dell’influenza che l’elite mondiale ha su tutte le cose. Ciò significa che essi comprendono pienamente il fatto che il potere reale non sia alla Casa Bianca o al 10 di Downing Street, Congresso o Parlamento, ma piuttosto nella complessa e potente rete di think-tanks guidati dal Council on Foreign Relations di New York, la Bilderberg Conference, la Trilateral Commission, l’Americas Society, il World Economic Forum e il London’s Royal Institute of International Affairs, che interagiscono con i mega banchieri, i media, le università, i comandi militari e con le imprese multinazionali di tutto il mondo.
Come la nostra ragazza adeguatamente spiega, i siriani osano parlare di società segrete come la massoneria e come la loggia Skull & Bones della Yale University tra i cui membri ci sono personaggi di tutto rilievo come l’ex Presidente George W. Bush e l’attuale Segretario di Stato, John Kerry.
Chiaramente, un’ottima ragione per questi ‘pesci grossi’ di ordinare al loro fattorino Obama di conquistare la Siria.
5) La Siria ha ingenti reserve di gas e petrolio – Eccoci di nuovo qui! Ogni volta in cui l’Occidente va alla guerra per proteggere “la libertà, I diritti umani e la democrazia”, c’è sempre la nauseabonda puzza di petrolio; che sia l’Iraq, la Libia, il Kuwait, le isole Falkland, l’Afghanistan… La Siria ha riserve di gas e petrolio sia offshore che onshore, e sta contribuendo alla creazione di una grande conduttura insieme all’Iran, ma senza il controllo dei giganti occidentali del petrolio.
Ovviamente, la piena militarizzazione di tutte le zone di riserva e produzione petrolifera, e di tutte le rotte “per portare il petrolio a casa” da ogni luogo del mondo, è un passaggio cruciale dell’attuale strategia condivisa da USA e Gran Bretagna.
Chiaramente, un’ottima ragione per BP, Exxon, Royal Dutch Shell, Texaco, Total, Repsol e Chevron per voler conquistare la Siria.
6) La Siria apertamente e inequivocabilmente si oppone al Sionismo e Israele – Israele mette in atto un apartheid razzista e criminale nei confronti dei Palestinesi dei territori occupati. La leadership siriana non ha remore nell’accusare Israele per ciò che è: un’entità razzista, imperialista, genocida, come il Muro dell’Odio che Israele ha eretto intorno alla Palestina apertamente dimostra. Israele gestisce in Palestina ciò che può essere descritto solo come un immenso campo di concentramento in stile Auschwitz con milioni di prigionieri maltrattati, umiliati e spesso assassinati.
Una visione geopolitica così chiara è stata condivisa dalla Libia di Gheddafi e dall’Iraq di Saddam ed oggi anche dall’Iran, dalla Cina, dalla Russia e dall’India.
Chiaramente, un’ottima ragione per bestioni politici come l’AIPAC (American-Israeli Public Affairs Committee), il Congresso Mondiale Ebraico, l’ADL (Anti-Defamation League), i partiti Likud, Kadima e Netanyahu/Lieberman per voler conquistare la Siria.
7) La Siria è uno degli ultimi Stati musulmani secolari del Medio Oriente, mentre i sionisti ebrei suprematisti – in linea in Occidente con gli stravaganti Cristiani del genere Rinati-IsraelePrimaDiTutto-Bushisti – hanno bisogno che ognuno si conformi alla volontà del loro dio demiurgo che ha il suo ‘popolo eletto’.
L’implicito ordine dell’elite globale è chiaro: ognuno deve credere nella supremazia israeliana, mentre la nostra giovane amica siriana ci indica che la Siria, come l’Iraq di Saddam, la Libia di Gheddafi e l’Iran, proprio non può essere convinta di ciò.
Lei aggiunge che in Siria “chiedere della religione non è educato” perchè la Siria ha visto nascere molte delle prime religioni per migliaia di anni e questi millenni hanno insegnato ai siriani ad essere sensibili, tolleranti e rispettosi di tutte le credenze… Qualcosa che invece non troviamo negli sceiccati filo-occidentali, né negli USA, nella Gran Bretagna o nella UE, con le loro paranoie anti-islamiche, e dove le leggi sono passate imponendo le più evidenti bugie culturali, politiche e storiche, richieste da bigotti religiosi che insistono sul fatto che il loro dio accetterà solo le offerte del loro olocausto.
Chiaramente, un’altra ottima ragione per i fanatici neocon e la loro orwelliana Polizia del Pensiero, per conquistare la Siria.
8) La Siria orgogliosamente mantiene e protegge la propria identità politica e culturale nazionale – Lei sottolinea come la Siria “mantiene la sua unicità, mentre rispetta l’unicità degli altri”. Il governo del futuro mondo standardizzato aborrisce chiunque resista all’imposta standardizzazione di pensiero, comportamenti e valori, laddove i grandi marchi globali occidentali, i centri commerciali e le dittature della moda e dello stile “rendono ogni posto quasi uguale all’altro, il che porta ad un mondo davvero noioso”.
Oggi il pensiero rivoluzionario in Occidente, anche tra i più giovanni, si reduce alla scelta tra Coca Cola e Pepsi.
Chiaramente, un’ottima ragione per Coca Cola, Pepsi, McDonald’s, Levi’s, Lauder, Planet Hollywood e Burger King per conquistare la Siria.

La nostra giovane amica siriana chiude il suo messaggio ricordandoci che “se la Siria cade, questo potrebbe essere il punto di svolta verso la vittoria finale del Nuovo Ordine Mondiale”, aggiungendo che in questo momento “la Siria è la prima linea contro il Nuovo Ordine Mondiale”.
Sagge parole da parte di una giovane ragazza che comprende il catastrofico fallimento della classe politica delle potenze occidentali, che hanno completamente messo sottosopra il nostro mondo; dove i peggiori e più maligni criminali hanno infettato i governi e le strutture di potere private, sia a Washington, New York, Londra e Parigi che a Berlino, Roma, Bogotà, Madrid, Tokyo, Seul, Amsterdam, Buenos Aires o Riyadh.
Se qualche volta Hollywood serve come vetrina che rivela i più oscuri recessi della psiche delle elite di potere occidentali, potremmo anche dire che stanno mettendo in scena la saga “Il Pianeta degli Scimmioni”, in cui una strana e diabolica inversione di geni porta degli animali orrendi e distruttivi nei posti del potere mondiale, mentre degli uomini nobili e sconfitti sono schiavizzati e costretti dentro delle gabbie.
Riesce a descrivere meglio questa metafora odierna il dramma degli USA contro la Siria?
Gli otto punti menzionati sopra sono una guida altrettanto valida per riportare tutti i nostri Paesi nella giusta rotta arruolando il mondo odierno, travagliato e fuori controllo.
Che siamo americani, europei, arabi, musulmani, cristiani, ebrei, buddisti, induisti o scintoisti, è giunta l’ora per “Noi Il Popolo” di far sentire le nostre voci per le strade, con i vicini, con le famiglie, gli amici, con i colleghi di scuola e lavoro, attraverso le reti sociali, chiedendo che i governi cosiddetti “eletti democraticamente” –ognuno dei quali è il diretto risultato della volontà delle elites dispensatrici di soldi che hanno finanziato la loro ascesa ai posti di comando attraverso la loro bugia preferita che chiamano “democrazia”- di smetterla di fare ciò che stanno facendo e di cominciare a fare ciò che noi chiediamo loro. Adesso; immediatamente: dobbiamo riprenderci i nostri Paesi.
La nostra giovane amica siriana ha sicuramente dato un esempio da seguire a noi tutti.

Traduzione di M. Janigro

Verso una generazione di lampadine a LED doppiamente efficienti

Scritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it

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Abbiamo ribadito più volte sulle nostre pagine quanto i LED sono efficienti dal punto di vista energetico e durevoli. Una buona alternativa è costituita dalle lampade fluocompatte (o FLC). Delle lampadine a incandescenza non si parla più perché sono state messe al bando nell’Unione Europea.

Un’analisi del Dipartimento dell’Energia statunitense ora resa di pubblico dominio, ha confrontato LED e FLC per valutare quale dei due tipi presenta maggiori vantaggi, non soltanto in termini di efficienza nel rapporto lumen-per-watt, ma anche in termini di analisi del ciclo di vita completo: costruzione, trasporto, utilizzo ecc. I risultati sono interessanti e possono essere riassunti così:

* i consumi di LED e FLC sono assimilabili: circa 3900 MegaJoule per 20 milioni di lumen-ora (circa un quarto di quanto consumavano le lampadine a incandescenza).

* i LED presentano però il vantaggio di essere meno fragili delle FLC e di non rilasciare mercurio quando si rompono e si accendono più rapidamente.

Per ora, comunque le differenze in termini energetici non sono significative. Il vero passo avanti si farà con la prossima generazione di LED, che arriverà tra circa due anni: Philips promette ad esempio una lampadina che può produrre 200 lumen/watt. Stiamo parlando di prestazioni raddoppiate. Se questi standard saranno realmente raggiunti, dovrebbero segnare la vittoria definitiva dei LED sulle fluorescenti.

Appello del vescovo di Vinh: Preoccupati dagli attacchi del regime, chiediamo sostegno internazionale

Fonte: http://www.asianews.it/notizie-it

VIETNAM_-_vinh_updateIn un’intervista ad AsiaNews, mons. Paul Nguyen Thai Hop parla di “situazione pericolosa e preoccupante” per i cristiani della diocesi, finita nel mirino delle autorità vietnamite. Egli auspica il rispetto dei diritti umani e la liberazione dei parrocchiani. E invoca “sostegno e solidarietà” perché finiscano “menzogne e calunnie”.

Vinh (AsiaNews) – “Siamo molti preoccupati per la situazione della diocesi di Vinh. Non possiamo dire per quanto ancora gli attacchi, le menzogne, le calunnie andranno avanti. È una situazione pericolosa e preoccupante per i cristiani”. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Paul Nguyen Thai Hop, vescovo di Vinh, diocesi nel nord del Paese al centro nelle ultime settimane di una violenta aggressione – non solo verbale – da parte dei media e delle autorità vietnamite. I vertici cattolici non nascondono il rischio di nuove rappresaglie; i fedeli si stringono attorno al prelato e partecipano in massa alle funzioni religiose, sottolineando il valore di unità che caratterizza e contraddistingue la Chiesa locale. “Noi vogliamo la pace, la libertà e la dignità dei diritti dell’uomo” spiega mons. Paul ad AsiaNews, ma “sfortunatamente tutto questo non dipende dalla nostra volontà”.

Il 16 settembre scorso vescovi, sacerdoti e migliaia di fedeli vietnamiti (nella foto) fra bandiere vaticane e preghiere hanno celebrato una messa “per la pace e la giustizia”, in risposta alle calunnie di tv e giornali governativi che promuovono da giorni una campagna diffamatoria verso la diocesi di Vinh. La funzione si è tenuta al santuario di Sant’Antonio, centro di pellegrinaggi della diocesi di Vinh poco lontano dal luogo in cui è avvenuta la violenta repressione della polizia il 4 settembre scorso.

Al centro della controversia fra Stato e cattolici, la vicenda legata alla parrocchia di My Yen che chiede la liberazione di due fedeli in carcere dal giugno scorso senza un capo di accusa. Il sostegno dei vertici cattolici ha scatenato la reazione delle autorità locali e centrali, che hanno minacciato di intervenire con durezza per sedare le proteste o le manifestazioni di dissenso.

“Pare che la salute dei due fedeli arrestati sia buona” conferma mons. Paul ad AsiaNews, ma “in un regime totalitario non si può sapere nulla sulla loro liberazione”. Solo il governo, aggiunge il prelato, “sa quando saranno rilasciati, ma non dobbiamo smettere di chiedere la loro liberazione”.

La diocesi di Vinh, continua il vescovo, è “una diocesi povera a livello economico ma ricca in tradizione cristiana e cultura. Per vivere abbiamo bisogno di pace e di libertà – aggiunge – soprattutto per poter dar fondo al compito di evangelizzare”. Per questo “abbiamo bisogno del sostegno e della solidarietà internazionale, perché il governo metta fine alla repressione, all’attacco, alla menzogna e alla calunnia”. Dobbiamo pretendere dalle autorità, conclude mons. Paul, “il rispetto dei diritti umani e di tutte le convenzioni internazionali che ha sottoscritto. E chiediamo inoltre la liberazione dei due parrocchiani e risarcimenti alle vittime delle violenze a My Yen”.

Da tempo il governo vietnamita ha lanciato una campagna di repressione verso blogger, attivisti e dissidenti che chiedono libertà religiosa, il rispetto dei diritti civili o la fine dell’egemonia del partito unico, per la quale è stata anche lanciata una petizione. Solo nel 2013, Hanoi ha arrestato oltre 40 attivisti per crimini “contro lo Stato”, in base a una norma che gruppi pro diritti umani bollano come “generiche” e “vaghe”. Anche la Chiesa cattolica deve sottostare a vincoli e restrizioni e i suoi membri sono vittime di persecuzioni: a gennaio un tribunale vietnamita ha condannato 14 persone, fra cui cattolici, al carcere con l’accusa di aver tentato di rovesciare il governo, in una sentenza criticata con forza da attivisti e movimenti pro diritti umani. (DS)

(Ha collaborato J.B. An Dang)

 

Libri sotto l’ombrellone: Il caso Parolisi, sesso droga e Afghanistan

Scritto da: Alessandro Ambrosini
Fonte: http://www.nottecriminale.it/

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Cosa lega un viaggio a Kabul di due giornalisti italiani, gli sterminati campi di papaveri afghani,la camorra e l’omicidio di Melania Rea? Donna e madre uccisa nel 2011 con un colpevole già condannato in primo grado, il marito: il caporalmaggiore dell’Esercito Salvatore Parolisi ?

La risposta è nel libro che da oggi è distribuito in tutte le librerie: Il caso Parolisi, sesso droga e Afghanistan. Scritto da Alessandro De Pascale e Antonio Parisi per Imprimatur Editore. E’ il viaggio intorno a un caso che ha infiammato l’Italia e che non ha dato ancora tutte le risposte nella prima sentenza. Un viaggio che, trattando anche di ambienti militari è stato complesso e ardimentoso. Ma che presenta risvolti inaspettati.

Partendo da quell’omicidio, così pieno di misteri e dubbi, i due giornalisti si pongono il quesito su chi ha effettivamente ucciso Melania e il perché. Potrebbe essere il frutto di una vendetta? O di un fortissimo avvertimento al marito, a conoscenza di inconfessabili segreti acquisiti nella sua missione militare in Afghanistan? 

 Seguendo questo ragionamento, De Pascale e Parisi, hanno ripercorso un filo rosso sangue che porta al paese dell’Asia Centrale. Un paese che ha con alcuni componenti dei contingenti militari dell’Isaf, nei campi di papaveri e nell’omicidio di Melania degli inquietanti legami.

«Alla nostra fonte a Kabul, un agente dell’antidroga, chiediamo cosa ha scoperto sui presunti traffici degli italiani. “ A Kabul è arrivata persino la camorra”risponde lui. Poco dopo questa affermazione la conversazione termina all’improvviso, perché appena usciti dalla capitale afghana un razzo viene sparato in direzione della nostra auto. Acceleriamo, mentre dall’altra vettura di scorta rispondono al fuoco»

Cosa lega un viaggio a Kabul di due giornalisti italiani, gli sterminati campi di papaveri afghani,la camorra e l’omicidio di Melania Rea? Donna e madre uccisa nel 2011 con un colpevole già condannato in primo grado, il marito: il caporalmaggiore dell’Esercito Salvatore Parolisi ?
La risposta è nel libro che da oggi è distribuito in tutte le librerie: Il caso Parolisi, sesso droga e Afghanistan. Scritto da Alessandro De Pascale e Antonio Parisi per Imprimatur Editore. E’ il viaggio intorno a un caso che ha infiammato l’Italia e che non ha dato ancora tutte le risposte nella prima sentenza. Un viaggio che, trattando anche di ambienti militari è stato complesso e ardimentoso. Ma che presenta risvolti inaspettati.
Partendo da quell’omicidio, così pieno di misteri e dubbi, i due giornalisti si pongono il quesito su chi ha effettivamente ucciso Melania e il perché. Potrebbe essere il frutto di una vendetta? O di un fortissimo avvertimento al marito, a conoscenza di inconfessabili segreti acquisiti nella sua missione militare in Afghanistan?
Seguendo questo ragionamento, De Pascale e Parisi, hanno ripercorso un filo rosso sangue che porta al paese dell’Asia Centrale. Un paese che ha con alcuni componenti dei contingenti militari dell’Isaf, nei campi di papaveri e nell’omicidio di Melania degli inquietanti legami.
«Alla nostra fonte a Kabul, un agente dell’antidroga, chiediamo cosa ha scoperto sui presunti traffici degli italiani. “ A Kabul è arrivata persino la camorra”risponde lui. Poco dopo questa affermazione la conversazione termina all’improvviso, perché appena usciti dalla capitale afghana un razzo viene sparato in direzione della nostra auto. Acceleriamo, mentre dall’altra vettura di scorta rispondono al fuoco»

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Cosa lega un viaggio a Kabul di due giornalisti italiani, gli sterminati campi di papaveri afghani,la camorra e l’omicidio di Melania Rea? Donna e madre uccisa nel 2011 con un colpevole già condannato in primo grado, il marito: il caporalmaggiore dell’Esercito Salvatore Parolisi ?
La risposta è nel libro che da oggi è distribuito in tutte le librerie: Il caso Parolisi, sesso droga e Afghanistan. Scritto da Alessandro De Pascale e Antonio Parisi per Imprimatur Editore. E’ il viaggio intorno a un caso che ha infiammato l’Italia e che non ha dato ancora tutte le risposte nella prima sentenza. Un viaggio che, trattando anche di ambienti militari è stato complesso e ardimentoso. Ma che presenta risvolti inaspettati.
Partendo da quell’omicidio, così pieno di misteri e dubbi, i due giornalisti si pongono il quesito su chi ha effettivamente ucciso Melania e il perché. Potrebbe essere il frutto di una vendetta? O di un fortissimo avvertimento al marito, a conoscenza di inconfessabili segreti acquisiti nella sua missione militare in Afghanistan?
Seguendo questo ragionamento, De Pascale e Parisi, hanno ripercorso un filo rosso sangue che porta al paese dell’Asia Centrale. Un paese che ha con alcuni componenti dei contingenti militari dell’Isaf, nei campi di papaveri e nell’omicidio di Melania degli inquietanti legami.
«Alla nostra fonte a Kabul, un agente dell’antidroga, chiediamo cosa ha scoperto sui presunti traffici degli italiani. “ A Kabul è arrivata persino la camorra”risponde lui. Poco dopo questa affermazione la conversazione termina all’improvviso, perché appena usciti dalla capitale afghana un razzo viene sparato in direzione della nostra auto. Acceleriamo, mentre dall’altra vettura di scorta rispondono al fuoco»

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Stritolati da debito pubblico, corruzione ed evasione

Scritto da: Torquato Cardilli
Fonte: http://www.litaliano.info/Stritolati-da-debito-pubblico.htm

debito

Come risparmiare almeno 50 miliardi all´anno
Le tre piaghe italiane sono la corruzione che secondo la Corte dei Conti vale non meno di 60 miliardi ogni anno, l´evasione e la frode fiscale che secondo le stime del Tesoro si aggirano sui 120 miliardi all´anno e il debito pubblico che ci costa oggi 100 miliardi all´anno di soli interessi.
Eliminare la corruzione? Figuriamoci! Nessun governo è stato capace di sradicare il fenomeno diventato sistema. Eliminare l´evasione e la frode fiscale? Manco a parlarne. Politici di ogni provenienza, giuristi improvvisati, garantisti solo per i malfattori, stanno avvitandosi sul destino di Berlusconi, condannato in via definitiva per frode fiscale a 4 anni di reclusione perdendo tempo per stabilire se sia ancora degno di stare al Senato della Repubblica. Solo per questo all´estero ci paragonano al paese delle banane.
Abbordiamo almeno il tema del debito pubblico che (tra titoli a breve, a medio termine ed a lunga scadenza) a metà agosto 2013 ammontava a 2.075 miliardi di euro pari al 130% del prodotto interno lordo, con una costante tendenza a crescere irrimediabilmente al di là di quanto il paese e la sua popolazione siano in grado di sopportare. Né l´ultimo governo Berlusconi, né quello di Monti (salvo i primi due mesi), né l´attuale di Letta sono riusciti a fermare questa folle corsa senza freni verso il precipizio, nonostante il reale impoverimento del popolo italiano e le ripetute spoliazioni delle varie “finanziarie” a danno dei contribuenti (vedi riepilogo qui sotto).
L´interesse che lo Stato si è impegnato a pagare per questo debito mostruoso, calcolato mediamente al 4,5%, comporta a questo livello un´ulteriore spesa di 100 miliardi ogni anno. Cifra enorme e insostenibile, che brucia i sacrifici del popolo onesto che paga le tasse e che per giunta non riceve i servizi ad esse commisurati.
Come vengono pagati gli interessi? Con la stampa di nuove emissioni di titoli, per importi sempre più robusti e con scadenze più frequenti, che si sommano al debito principale anziché eroderlo. Di questo passo, possiamo starne certi, ad agosto 2014 il nostro debito pubblico sarà superiore a quello attuale di un centinaio di miliardi, mentre si avvicina sempre di più il giorno in cui il cappio si stringerà definitivamente al collo degli italiani. Sarebbe questa la capacità di chi ci governa? Qualunque buon padre di famiglia o donna di casa, abituata alle economie domestiche, saprebbe fare meglio.
Poniamoci la domanda su chi determini il livello degli interessi e dove questi finiscano. Sono le società di rating, enti privati compenetrati nel mondo bancario e nella speculazione internazionale (i casi Lehman Brothers, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Standard & Poor´s sono stati eloquenti) che, incuranti dei disastri economici inflitti a chi non ne ha colpa, rispondono solo alla logica del profitto.
E´ qui che entra in gioco lo spread, cioè il differenziale che il mercato dei prestatori impone al debitore come sovrapprezzo di interessi rispetto a chi è ritenuto più affidabile. In Europa, per convenzione, lo spread viene calcolato rispetto ai titoli tedeschi. Esso è soggetto alle dinamiche tipiche del mercato che sconta la capacità del debitore di fare fronte agli impegni in relazione alle prospettive economiche, alla stabilità politica e sociale ed all´andamento dei tassi interni.
Alcuni esempi servono a chiarire meglio la questione della relatività dello spread.
Paragoniamo il nostro stipendio a quello del vicino di pianerottolo. Noi riceviamo uno stipendio di 1.000 euro e il nostro vicino di 900. Lo spread è 100 in nostro favore. Improvvisamente il nostro vicino viene licenziato e rimane con la cassa integrazione di 500 euro. Lo spread sale immediatamente a 500 in nostro favore. Forse che siamo diventati più ricchi? Forse che abbiamo più soldi da spendere? Certamente no. Abbiamo sempre i nostri 1.000 euro ed è con quelli che dobbiamo fare i conti. Poi accade che il vicino trovi un altro impiego a 1.400 euro; in questo caso lo spread diventerebbe di 400 in suo favore. Per questo cadiamo in miseria? No, stiamo esattamente nelle stesse condizioni di prima. Quindi lo spread non impatta direttamente sul tenore di vita.
Adattiamo questo esempio alle dinamiche tra Stati.
Posto che l´interesse in Italia è del 5%, e in Germania dell´1%, lo spread è 4. Se in Italia l´interesse sale dal 5% al 7% immediatamente avremmo un costo aggiuntivo di interessi del 2%, e questo indipendentemente dallo spread che potrebbe anche restare immutato se anche in Germania il costo del denaro passasse dall´1% al 3%. Analogamente, se l´interesse sul debito italiano restasse al 5% ma i titoli tedeschi passassero dall´1% al 3%, lo spread si ridurrebbe da 4 a 2, senza alcun giovamento immediato sulle finanze pubbliche italiane e sulla montagna del debito.
Dunque è chiaro che lo spread ha un valore relativo, è un parametro poco efficiente per calcolare la salute dell´economia di un paese, esso serve solo come strumento alla grande finanza manipolatrice del mercato per incassare profitti enormi. E´ perciò più importante prestare attenzione al reale tasso di interesse.
Se i politici ed i media italiani capissero questa semplice verità eviterebbero di riempire ogni giorno la testa degli elettori con i grafici sullo spread, attribuendo il merito o il demerito della sua altalena a questa o a quell´altra azione del Governo. Sarebbe molto più didattico ed onesto se indicassero chiaramente, volta per volta, quanto ci costa realmente in interessi, non solo in valore percentuale, ma anche in cifra assoluta, ogni emissione del Tesoro e se indicassero a quale scopo la raccolta della sottoscrizione è destinata. Perché non lo fanno? Perché se l´elettore fosse correttamente informato sull´imbecillità dei propri governanti e sulla loro incapacità di gestire la cosa pubblica, li manderebbe tranquillamente a quel paese.
Si potrebbe obiettare che un altro indicatore utile per conoscere la sostenibilità del debito è il rapporto tra debito (da non confondere con il deficit) e PIL. In realtà c´è un altro indicatore più adatto: è molto più utile conoscere la spesa effettiva per gli interessi piuttosto che il debito in termini assoluti.
Supponiamo che vi siano due paesi in concorrenza: il paese A con un debito di 1.000 miliardi al tasso di interesse medio del 5% e il paese B con un debito di 2.000 miliardi al tasso medio di interesse dell´1%. Il debito del paese A costa 50 miliardi all´anno, mentre quello del paese B, pur essendo doppio in valore assoluto, costa meno della metà, solo 20 miliardi all´anno.
Se la virtù consiste nell´avere un debito minore come si spiega che il paese A più virtuoso spreca, ogni anno, 30 miliardi di interessi in più rispetto al paese B meno virtuoso cha ha un debito doppio e che quei miliardi li risparmia?
Quale paese tra i due sopra citati è in migliore situazione per gli investimenti e per i servizi? Ovviamente il secondo che può investire 30 miliardi senza aumentare il debito, nonostante che il primo sia indebitato per la metà.
Quando si va a chiedere un mutuo in banca il primo scrutinio avviene sulle garanzie solide, ossia quanto sia consistente lo stipendio o il reddito in modo da garantire il rimborso.
Se una famiglia ha un mutuo di 2.000 euro al mese (1.000 di interessi e 1.000 di capitale) rispetto ad un reddito di 3.000 euro al mese, si trova certamente in una situazione difficile. Se la rata fosse poniamo di 1.200 (di cui 200 di interessi e 1000 di capitale) la situazione sarebbe più florida. Come si vede, il fattore che gioca di più è l´entità dell´interesse.
Calare questo esempio alla situazione di uno Stato significa adottare come indicatore il rapporto tra il peso degli interessi sul debito e i proventi del gettito fiscale anziché quello del rapporto debito/pil, al centro dei trattati europei, sfruttato dalle società di rating e che diventa causa dei molti problemi che dobbiamo affrontare.
Se per un attimo facessimo finta di non avere il debito, o di avere un debito a costo zero (com´è nell´Islam) risparmieremmo immediatamente 100 miliardi di interessi. Quindi il primo problema da affrontare non è tanto l´esistenza del debito, quanto il gravame degli interessi, che a livello privato è quello che differenzia lo strozzinaggio dal tasso di legge.
Il Giappone, per ritornare all´esempio di prima, ha un debito pubblico che supera di 2 volte il PIL ma con un tasso di interesse prossimo allo zero. La Germania ha un debito pubblico in valore assoluto simile a quello italiano, ma con un tasso di interesse molto inferiore.
A questo punto è facile intuire come la questione del debito deve essere aggredita non solo sul fronte del capitale per le spese ingiustificate e improduttive di tutti i governi che invece le foraggiano per acquisire il consenso (si parla tanto di spending review, ma alla fine le lobby e i centri di potere annullano ogni sforzo), ma soprattutto sul fronte degli interessi.
Dunque l´Italia è sotto il giogo di 100 miliardi di euro l´anno di interessi contro un gettito fiscale di 800 miliardi di euro con un rapporto di 100 a 800. Se riducessimo l´onere per gli interessi potremmo avere un rapporto di 30 a 800, liberare enormi risorse per investimenti produttivi, dare una decisiva spinta per la crescita senza gravare sulle tasche dei contribuenti e sfatare il tabù dell´indicatore Debito/PIL.
Come si riducono gli interessi sul debito?
Prima di rispondere a questa domanda è necessario fare un passetto indietro per capire chi sia il detentore di questo credito. Il debito pubblico italiano in piccola parte (il 14% pari a 290 miliardi) è in mano dei risparmiatori privati italiani, mente la maggior parte (86%) è posseduta per il 45% (pari a 934 miliardi) dalle banche italiane e per il 41% (pari a 851 miliardi) dalle banche straniere, istituti finanziari, fondi di investimento.
Quindi dei 100 miliardi pagati per gli interessi il 14%, cioè 14 miliardi ritornano ogni anno nelle tasche delle famiglie italiane, 45 miliardi vanno nei forzieri delle banche italiane e 41 miliardi se ne partono per l´estero.
Con quale capitale le banche italiane comprano il debito pubblico italiano? Con il denaro prestato all´1% dalla Banca Centrale Europea, lucrando un profitto del 4%, cioè un investimento praticamente esente rischi. Quindi possiamo calcolare che su questi 45 miliardi di euro di interessi 4,5 miliardi tornano alla BCE e 41,5 miliardi restano come profitto delle nostre banche. E dove finiscono? Si volatilizzano in fidi agli amici per avventure finanziarie spericolate e truffaldine come hanno insegnato i vari crack Parmalat, Monte dei Paschi, Antonveneta, Unipol. San Paolo, ecc.
Ora una persona ragionevole potrebbe chiedersi ma perché la BCE invece di prestare i soldi alle banche per comprare titoli di stato italiani all´1% non presta direttamente i soldi all´Italia consentendole di risparmiare questi 41,5 miliardi all´anno di interessi?
La risposta negativa è che lo proibisce il trattato dell´Unione Europea, sottoscritto dai governi e non approvato dai popoli (art.123, comma 1 del trattato di Lisbona) che vieta la concessione di scoperti di conto o qualsiasi altra forma di facilitazione creditizia, da parte della Banca Centrale Europea a istituzioni, organi od organismi dell´Unione, alle amministrazioni statali, agli enti regionali, locali o altri enti pubblici, ad altri organismi di diritto pubblico o a imprese pubbliche degli Stati membri, così come l´acquisto diretto presso di essi di titoli di debito da parte della Banca centrale europea o delle banche centrali nazionali.
A parte la follia di voler persistere nell´impoverire un intero popolo per un articolo di un trattato (imposto dalla Germania) che dovrebbe essere modificato, va considerato che il comma successivo dello stesso articolo dice che le disposizioni che precedono non si applicano agli enti creditizi di proprietà pubblica che, nel contesto dell´offerta di liquidità da parte delle banche centrali, devono ricevere dalle banche centrali nazionali e dalla Banca centrale europea lo stesso trattamento degli enti creditizi privati.
Dunque lo stesso articolo che vieta alla BCE di prestare denaro direttamente agli Stati, offre la scappatoia consentendo alla BCE di prestare denaro agli enti creditizi di proprietà pubblica. Quindi la BCE invece di prestare denaro alle banche private all´1% perché acquistino i titoli di stato italiani al 5% può prestare queste somme ad un ente creditizio pubblico come la Cassa Depositi e Prestiti (si potrebbe anche istituire un Ente di Credito Pubblico ad hoc per evitare opacità e confusioni di ruoli e capitali). Questo Ente di Credito Pubblico invece di dividere gli utili miliardari tra gli azionisti li riverserebbe interamente nelle casse pubbliche. Risultato? Il costo del debito pubblico italiano piazzato in questo modo si riduce all´1%. Infatti: la BCE presta all´1% all´ECP che acquista titoli di stato all´interesse del 5%, ma il 4% di spread lo restituisce al suo azionista che è il Tesoro.
In questo modo l´onere effettivo del debito pubblico crollerebbe e lo Stato Italiano otterrebbe un risparmio gigantesco come se il debito pubblico costasse l´1%.
Uovo di Colombo? Macché semplice buon senso e assenza di speculazione a danno di tutti per favorire pochi.E invece che cosa si inventa il pregiudicato di Arcore, con i suoi giannizzeri? La questione dell´IMU sulla prima casa che non intacca gli interessi miliardari dei gruppi di potere e che, con la scusa di favorire il popolo, in realtà arreca il maggiore vantaggio proprio ai ricchi.
Forse non sarebbe un male se la Magistratura, svillaneggiata di continuo da una certa parte politica che vorrebbe togliergli poteri, strumenti e mezzi di investigazione, andasse ad indagare perché non sia stato attivato questo meccanismo e dove siano andati a finire i miliardi così sprecati.


COME E´ CRESCIUTO IL DEBITO PUBBLICO ITALIANO

dal 2009 al 2013 in miliardi di euro (dal bollettino della Banca d´Italia)

Anno 2009: governo Berlusconi, da gennaio a dicembre + 61 miliardi
Gennaio 1.700,256
Febbraio 1.708,060
Marzo 1.741,257
Aprile 1.750,392
Maggio 1.752,188
Giugno 1.751,632
Luglio 1.753,520
Agosto 1.757,534
Settembre 1.786,841
Ottobre 1.804,541
Novembre 1.783,858
Dicembre 1.761,191

Anno 2010: governo Berlusconi, da dicembre a dicembre + 82 miliardi
Gennaio 1.787,846
Febbraio 1.795,066
Marzo 1.797,672
Aprile 1.812,790
Maggio 1.827,104
Giugno 1.821,982
Luglio 1.838,296
Agosto 1.843,006
Settembre 1.844,817
Ottobre 1.867,398
Novembre 1.869,924
Dicembre 1.843,227

Anno 2011: governo Berlusconi, da dicembre a ottobre (10 mesi) + 66 miliardi
Gennaio 1.879,926
Febbraio 1.875,965
Marzo 1.868,060
Aprile 1.890,622
Maggio 1.897,472
Giugno 1.909,919
Luglio 1.911,807
Agosto 1.899,553
Settembre 1.883,749
Ottobre 1.909,192

Anno 2011: governo Monti, da novembre a dicembre (2 mesi) – 12 miliardi

Novembre 1.905,012
Dicembre 1.897,946

Anno 2012: governo Monti, da dicembre a dicembre + 91 miliardi

Gennaio 1.935,829
Febbraio 1.928,211
Marzo 1.946,083
Aprile 1.948,584
Maggio 1.966,303
Giugno 1.972,940
Luglio 1.967,480
Agosto 1.975,631
Settembre 1.995,143
Ottobre 2.014,693
Novembre 2.020,668
Dicembre 1.988,363

Anno 2013: governo Monti, da dicembre ad aprile (4 mesi) + 53 miliardi
Gennaio 2.022,665
Febbraio 2.017,644
Marzo 2.034,763
Aprile 2.041.293

Coca-Cola inganna ancora i consumatori con un opuscolo su Famiglia Cristiana e una pubblicità su Panorama

Scritto da: Agnese Codignola
Fonte: http://www.ilfattoalimentare.it/coca-cola-inganna-consumatori-opuscolo-famiglia-cristiana-pubblicita-panorama.html

coca-cola

La Coca-Cola ci ricasca. Nonostante le ripetute sanzioni, i richiami, le multe accumulate in tutto il mondo per pubblicità ingannevole, continua la sua politica di marketing molto aggressiva sperando di passare inosservata. Non accade quasi mai. L’ultimo episodio risale allo scorso mese di luglio, quando l’Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) ha diffuso un parere  in cui si dice che l’azienda, per evitare sanzioni nei confronti di alcuni messaggi ingannevoli, ha ammesso i propri errori e ha promesso di modificare il testo.

 

La pietra dello scandalo è un opuscolo pubblicitario allegato al settimanale Famiglia Cristiana alla fine di luglio del 2012, e un messaggio promozionale apparso su Panorama alla fine di agosto dello stesso anno. Le informazioni nutrizionali contenute erano alquanto discutibili. Un capitolo del testo elencava gli ingredienti utilizzati per la preparazione della Coca-Cola, con l’accattivante titolo: “Sveliamo gli ingredienti”. Per ogni categoria, il testo offriva un insieme di motivi per i quali la bevanda dovrebbe essere considerata sana e anzi – conclusione sottintesa anche se non dichiarata espressamente – perfino salutare. Secondo il Garante le informazioni “risultavano fuorvianti in quanto non chiare e/o incomplete sulle caratteristiche del prodotto e dei suoi ingredienti“.

 

 

 

In particolare, l’opuscolo affermava che i cibi e le bevande contenenti zucchero sono sicuri e nutrienti, e proponeva arditi paralleli tra la bibita e la frutta, attraverso richiami che, “letti combinatamente, risultavano idonei quantomeno a generare confusione in ordine al reale valore nutrizionale del prodotto“.

 

 

 

 

L’Agcm ha chiesto e ottenuto di modificare radicalmente questa spiegazione. L’azienda deve precisare la tipologia e la quantità di zucchero presente (il saccarosio), facendo un confronto con la dose giornaliera consigliata e proporre una tabella nutrizionale con il contenuto completo degli ingredienti e dei nutrienti riferiti a una porzione in termini sia assoluti che relativi, nonché il potere calorico.

 

 

 

Un altro aspetto su cui l’Autorità è intervenuta riguarda l’acqua: Coca-Cola, insistendo molto sull’indispensabilità dell’acqua per il corpo umano, azzardava indirettamente un paragone con la bibita. Secondo l’Autorità nell’informazione manca un dettaglio fondamentale: bevendo una Coca-Cola, insieme all’acqua si assumono molte calorie da inquadrate nell’ambito dell’apporto dietetico giornaliero. La stessa ambiguità caratterizza la descrizione della caffeina, spacciata come sostanza del tutto sicura. Anche qui, è stato chiesto di dire che la caffeina va assunta con attenzione.

 

 

 

 

È stata chiesta e ottenuta anche la modifica della descrizione degli altri ingredienti quali il caramello, gli aromi e l’acido fosforico presentati come sostanze naturali (“il caramello come lo si fa in casa” e simili). Ultimo punto emendato, il riferimento a malattie quali il diabete e al fatto che l’assunzione di Coca-Cola non avrebbe comportato particolari effetti. L’azienda ha dunque cambiato in modo sostanziale il testo originale del testo e presentato una nuova versione che è stata accettata. A questo punto però bisogna capire se e quando Coca-Cola proporrà la nuova edizione dell’opuscolo.

 

 

 

L’altro elemento da considerare è che negli Stati Uniti, in Gran Bretagna e in altri paesi si susseguono i moniti e talvolta le sanzioni per la pubblicità scorretta delle bevande del colosso di Atlanta. In un mercato dove la vendita di  bibite risulta in crescita solo nei paesi emergenti e in calo in quelli industrializzati (dove l’opinione pubblica ha ormai acquisito la consapevolezza dei rischi associati a un consumo regolare ed eccessivo di bevande zuccherate), i produttori di bibite non cercano di riformulare le bevande e di proporne altre più in linea con le necessità nutrizionali.

 

 

 

Il tentativo sembra quello di nascondere verità assodate, per arginare la riduzione dei consumi. Questa strategia di solito non è premiante, poiché ogni volta che la furbizia viene scoperta, il consumatore diventa più diffidente. Per dovere di cronaca va detto che l’azienda ha sottoscritto negli ultimi anni più volte impegni in difesa della salute dei consumatori, ma questo non le ha impedito di accumulare numerose sentenze negative sui messaggi pubblicitari.

 

 

 

Agnese Codignola

 

© Riproduzione riservata

 

Foto: Photos.com, Coca-colaitalia.it

 

 

La straordinaria storia di Macao (e il primo turista italiano)

Scritto da: Angelo Paratico
Fonte: http://lanostrastoria.corriere.it/2013/09/12/la-straordinaria-storia-di-macao-e-il-primo-turista-italiano/

barcamacao

Da Angelo Paratico, giornalista italiano residente a Hong Kong, riceviamo e volentieri pubblichiamo questo articolo su Macao. Paratico ha rielaborato e ampliato per i nostri lettori una sua recensione al libro di Rogério Miguel Puga, “The British presence in Macau 1635-1793″ (Hong Kong University Press), pubblicata dall’Asian review of books.

La città di Macao si trova alla foce del Fiume delle Perle, a circa un’ora di battello da Hong Kong, nella Cina meridionale. Nel 1999 era ritornata senza grossi traumi alla Cina Popolare, mantenendo per cinquant’anni la propria autonomia. Di Hong Kong si parla spesso in televisione e sui giornali, essendo un grosso centro finanziario, industriale e turistico ma poco si sente nominare Macao che pure, per secoli, fu la porta d’entrata alla Cina per noi europei. Oggi Macao è una città famosa per le ragioni sbagliate: gioco d’azzardo e prostituzione, eppure, accanto a questi vizi, si scorgono ancora le vestigia d’un glorioso passato.
I primi navigatori portoghesi presero possesso di quella piccola penisola a partire dal 1535 ma ottennero il permesso di residenza dalle autorità cinesi di Canton solo nel 1557. Fra portoghesi e spagnoli – i due stati sono stati spesso uniti sotto a un’unica corona – numerosi furono gli italiani. Non a caso il primo europeo che pose piede in Cina dopo l’occupazione mongola fu, nel 1514, l’ammiraglio Raffaele Perestrello al servizio dei portoghesi. La sua famiglia originava da Piacenza e sua cugina sposò Cristoforo Colombo. Un altro famoso italiano fu Giovanni da Empoli, forse il primo banchiere viaggiante della storia, impiegato dalla Gualtierotti & Frescobaldi e al seguito di Alfonso di Albuquerque. Fu quasi certamente sepolto vicino a dove oggi sorge Macao, nel 1518, crudelmente lontano dalla sua Firenze.
Ancor oggi il simbolo di Macao è la facciata della cattedrale di San Paolo, costruita nei prima anni del seicento e che fu progettata dal gesuita Carlo Spinola, poi martirizzato in Giappone.
Un carattere straordinario – il mio preferito – fra coloro che passarono per Macao fu il nobiluomo partenopeo Francesco Gemelli Careri, considerato il primo vero turista della storia e secondo alcuni la fonte d’ispirazione per Jules Verne per il suo libro ‘Il Giro del Mondo in 80 giorni.’ Entrato in possesso d’una notevole somma di denaro, Gemelli Careri, calabrese di nascita, s’imbarcò con l’intenzione di compiere il giro del mondo per puro diporto, pagando di volta in volta il biglietto. Passò per Macao nel 1695 dove i gesuiti lo scambiarono per una spia papale. Per ingraziarselo gli spalancarono tutte le porte, portandolo anche a Pechino, fissandogli un’udienza con l’imperatore Kangxi, poi lo portarono a visitare la Grande Muraglia prima di reimbarcarsi e proseguire per il suo viaggio. Al suo rientro a Napoli, Gemelli Careri pubblicò le proprie memorie che furono tradotte in inglese e francese, qualcuno dubitò della veridicità delle sue parole eppure basta leggere anche solo una pagina e notare la finezza della sua narrazione per capire che egli dice solo la verità. Gli riuscì sempre di cavarsela grazie alle sue grandi doti di raconteur: in un’epoca in cui non esistevano giornali e televisione, le sue capacità evocative valevano più dell’oro. Mi piace immaginarlo come una sorta di forbitissimo Totò, al quale peraltro somigliava.
I mercanti di Macao a Canton acquistavano seta, tè e porcellana, pagandoli in argento e poi li trasportavano in Europa. La strada era lunga e pericolosa, tifoni e scogli erano in agguato e dovevano pure fare i conti con i pirati olandesi e inglesi. I maggiori profitti li fecero però esportando quelle stesse merci in Giappone, dove avevano stabilito basi a Yokohama e a Nagasaki. La loro opera d’intermediazione fra Cina e Giappone in questo caso era vitale, dato che gli scambi diretti fra i due paesi erano stati proibiti dall’imperatore cinese per scoraggiare la pirateria. I giapponesi, che i cinesi chiamavano sprezzantemente ‘i ladri nani’, erano avidissimi di beni cinesi ed erano disposti a pagare prezzi altissimi con lingotti d’argento. Purtroppo per Macao, questa grande abbondanza finì nel 1640 par vari motivi, una di queste era fu che i giapponesi avevano saputo dell’occupazione delle Filippine e temevano di dover subire la stessa sorte, inoltre olandesi e inglesi soffiavano sul fuoco, per volgere le cose a proprio favore.
Nel 1622 gli olandesi si presentarono davanti a Macao con quattordici vascelli e gli inglesi si associarono fornendone due ma furono respinti con gravi perdite da portoghesi e cinesi. I gesuiti italiani per respingere quegli eretici impugnarono le armi, il milanese Giacomo Rho con una precisa cannonata centrò la Santa Barbara olandese, costringendoli alla ritirata. I rapporti fra britannici e olandesi si fecero burrascosi dopo il massacro di Ambon perpetrato dagli olandesi contro inglesi e giapponesi nel 1623, nelle isole Molucche in Indonesia, fu così che la prima nave britannica, la London, nel 1635 fu in grado d’attraccare tranquillamente a Macao.
La convivenza fra portoghesi e britannici fu sempre difficile e non solo per motivi religiosi. I britannici mantenevano una linea molto aggressiva nei confronti della Cina mentre i portoghesi, non disponendo più di una forza navale adeguata, erano sempre inclini al compromesso. Dapprima i britannici pensarono di impadronirsi di Macao ma di fronte all’intransigenza cinese che privilegiava i portoghesi, dovettero desistere. A partire dal 1700, con la caduta del lucrativo traffico con il Giappone i macanesi furono costretti ad accettare i residenti Britannici che, forti del loro commercio d’oppio (da loro coltivato in India) disponevano di grosse risorse finanziarie. L’opposizione cinese alla vendita del narcotico, venduto legalmente in Europa ma che in Cina provocava grossi disastri, portò uno scontro armato. Le tecniche belliche cinesi erano inadeguate e i britannici ebbero la meglio, ottenendo la colonia di Hong Kong nel 1841, seguita poi dall’apertura dei porti di Amoy, Shanghai e Weihaiwei. Da lì in poi iniziò una corsa folle a strappare concessioni alla Cina, vista come un pachiderma morente. Anche l’Italia s’associò a questa corsa ma con scarsi risultati. La Cina ci dichiarò guerra e fummo costretti a inviare 3.600 soldati e varie navi da guerra nel luglio del 1900 con altre 8 nazioni per liberare le legazioni diplomatiche.

 

Il pensiero unico

Scritto da: Piero Cammerinesi
Fonte: http://www.coscienzeinrete.net/spiritualita/item/1533-il-pensiero-unico

La globalizzazione ha un solo vero retroscena: la creazione di un ‘pensiero unico’.

Pensare

L’informazione addomesticata ad opera del potere economico-politico dominante sta prendendo piede ormai non solo negli USA, da dove scrivo, ma a livello mondiale.

Le notizie diffuse dal circo mediatico sono sempre di più manipolate e viziate dalla spettacolarizzazione, di fatto prioritaria rispetto ai contenuti delle notizie.
L’alterazione delle informazioni è particolarmente evidente se consideriamo che le agenzie internazionali dalle quali provengono i lanci delle notizie sono poche ed affiancate da vere e proprie agenzie di propaganda.
Aspettarsi dai telegiornali una reale verifica delle fonti è una vera e propria utopia. Il dilagare della notizia-spettacolo, del voyeurismo morboso, distoglie l’attenzione dai reali problemi della gente, mentre i fatti occultati – ad esempio le vere ragioni all’origine di guerre e miserie – non vengono approfonditi.
Siamo di fronte ad un impoverimento culturale globalizzato, teso ad appiattire ogni pensiero che possa mettere in dubbio le idee-guida dei poteri forti che controllano i media.
Con buona pace della democrazia.

Le immagini trasmesse hanno finalità chiaramente manipolative, tendono a generare emozioni che ci distolgono dal domandarci quali siano le vere cause delle sofferenze cui assistiamo. Non a caso i fatti di sangue che hanno come vittime bambini occupano spazi sempre maggiori all’interno dei telegiornali.

Notizie amplificate ed altre ignorate, un oltraggio alla nostra intelligenza e soprattutto alla nostra libertà di decidere quale posizione prendere, dato che, in modo più o meno sottile, le posizioni sono tutte già preconfezionate.
Così l’informazione globalizzata è finalizzata al consolidarsi del ‘pensiero unico’ il cui scopo è quello di rendere difficile – se non impossibile – la comprensione di ciò che sta dietro gli accadimenti del nostro tempo, dalle guerre ‘preventive’ alla fame ‘inevitabile’, dalle fantomatiche pandemie alle strategie degli opposti estremismi, dal terrorismo allo ‘scontro di civiltà’.
E se tentiamo timidamente di mettere in dubbio il ‘pensiero unico’? Chi è contrario alla guerra viene tacciato di ‘estremismo radicale’ e chi mette in dubbio la legittimità della tortura diventa automaticamente ‘antiamericano’.
Eppure la Storia ha ampiamente dimostrato che ogni volta che si è cercato di indirizzare il pensiero dei popoli in una certa direzione sono nati dei mostri.

Il nostro passato è lastricato di idee negate, di pensieri vietati, di ‘verità di Stato’ e ciò non ha mai prodotto risultati positivi. Le idee proibite si sono sempre più fortemente radicate, tanto da far sì che i loro fautori si sentissero dei perseguitati, dei martiri. Quante vittime hanno provocato le ideologie represse e negate, quelle stesse da cui sono nati gli integralismi e gli estremismi che ancora oggi insanguinano il mondo?

In realtà lo Zeitgeist, lo Spirito del Tempo, ha sempre prodotto dei pensieri dominanti, delle concezioni assimilabili senza sforzo dalle masse; quante persone sono riuscite a mettere in questione gli ideali della propria epoca? Spesso solo dopo decenni ci si rende conto della profonda fallacia di certe ideologie contemporanee.
Se il dubitare cartesiano fa parte dell’autentico retaggio culturale dell’occidente, viene da chiedersi il motivo del dilagare del ‘politically correct’ o di ideologie ‘vere per definizione’ visto che oggi gli strumenti per poter imparare a comprendere meglio se stessi ed il mondo dovrebbero essere a disposizione di tutti.

Ma quanto li sappiamo usare questi strumenti?
Fin da bambini il nostro primo sforzo è quello di apprendere e anche chi nasce con una disposizione sportiva o artistica, dovrà tuttavia faticosamente dedicarsi all’esercizio ed allo studio della propria disciplina per anni. Pertanto è difficile poter ritenere di saper fare qualcosa senza averla prima imparata.

Eppure c’è una attività che reputiamo di saper usare alla perfezione senza averla mai di fatto imparata. Mi riferisco all’attività più immediata ed intima, che ha, peraltro, i maggiori effetti su tutta la nostra esistenza: il pensiero. Eh già, perché nessuno ci ha mai davvero insegnato ad usarlo questo strumento con cui gestiamo tutta la nostra vita.
Ci è mai venuto in mente di chiederci veramente perché siamo di destra o di sinistra, di quella o quell’altra squadra di calcio, o perché abbiamo fatto tale o tal’altra scelta professionale? Potremo rispondere che è per via degli orientamenti della nostra famiglia o dei nostri amici, o magari – al contrario – per reazione a quelli. Ma perché in noi c’è stata adesione a certi modelli mentre in altre persone a noi vicine ha, invece, prevalso la reazione? Chi ci ha insegnato ad usare lo strumento con cui abbiamo portato a coscienza noi stessi ed il mondo, e preso poi quelle decisioni che hanno di fatto modificato il nostro destino?
E non si dica che il pensiero non c’è bisogno di impararlo dato che è già bell’e pronto dentro la nostra testa, perché allora dentro la propria testa non ci si è mai gettato uno sguardo!

Se persino le cose più elementari dobbiamo apprenderle con fatica perché mai lo strumento da cui dipende la nostra coscienza e le nostre scelte nella vita, quello no, non ci sarebbe bisogno di studiarlo?
Se usiamo male i nostri strumenti di lavoro, sicuramente danneggiamo noi stessi e gli altri. Come possiamo allora credere che il principale strumento mediante il quale abbiamo una immagine di noi stessi e prendiamo le nostre decisioni, non abbia bisogno di apprendimento?

Cerchiamo allora di imparare ad usarlo, questo pensiero, in modo da smascherare le opinioni preconfezionate che ci vengono quotidianamente proposte dalla televisione – la peggiore tra i ‘cattivi maestri’ – e sapremo non solo cogliere il senso della nostra vita, ma anche riconoscere i retroscena di quelle ‘false verità’ che ci inoculano idee che non ci appartengono.

Un calice di 1600 anni fa rivela che gli antichi romani usavano ‘nanotecnologie’

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it/03/09/2013/un-calice-di-1600-anni-fa-rivela-che-gli-antichi-romani-usavano-nanotecnologie/

coppa-di-licurgoI romani sapevano come fare e come utilizzare le nanoparticelle per creazioni artistiche. Non è la prima volta che la tecnologia romana sorprende i ricercatori moderni, superando il livello attuale di conoscenza.

Il meraviglioso calice che vedete nella foto (sopra) possiede una intrigante caratteristica: quando è illuminato da una fonte diretta, esso appare di color verde-giada, mentre se la fonte di luce è posta dietro l’oggetto, esso apparirà di colore rosso sangue.

Si tratta di un calice di vetro, conosciuto come ‘La Coppa di Licurgo’, poichè riporta una scena che coinvolge il re Licurgo di Tracia, importante personaggio della mitologia greca.

Acquistato nel 1950 dal British Museum, l’enigmatica proprietà del calice ha sconcertato gli scienziati per decenni. Una prima risposta arrivò solo nel 1990, quando un team di ricercatori inglesi, esaminando alcuni frammenti del calice al microscopio, scoprirono che gli artigiani romani furono pionieri nell’utilizzo di nanotecnologie.

La tecnica consisteva nell’impregnare il vetro con una miscela di particelle di argento e oro, fino a farle raggiungere le dimensioni di 50 nanometri di diametro, meno di un millesimo delle dimensioni di un granello di sale.

La precisione del lavoro e la miscela esatta dei metalli preziosi suggerisce che gli artigiani Romani sapessero esattamente quello che stavano facendo e che non si tratta di un effetto accidentale. “Si tratta di un’impresa straordinaria”, spiega Ian Freestone, archeologo presso l’ University College di Londra.

La vetusta nanotecnologia funziona in questo modo: quando il calice viene colpito con la luce, gli elettroni delle particelle metalliche vibrano in maniera tale da alterarne il colore, a seconda della posizione dell’osservatore.

Ma una nuova ricerca, di cui dà notizia lo Smithsonian Magazine, rivela alcune novità davvero sorprendenti. Logan Gang Liu, ingegnere presso l’Università dell’Illinois, si è dedicato per anni allo studio del manufatto, fino a capire che questa antica tecnologia romana può avere utilizzi nella medicina, favorendo la diagnosi di alcune malattie e l’individuazione di rischi biologici ai controlli di sicurezza.

“I romani sapevano come fare e come utilizzare le nanoparticelle per creazioni artistiche”, spiega il ricercatore. “Noi abbiamo cercato di capire se fosse possibile utilizzarla per applicazioni scientifiche”.

Il mistero irrisolto del ‘Dodecaedro Romano’. A che diavolo serviva?
L’enigma del doppio frontone del Pantheon di Roma

Dal momento che non era possibile utilizzare il prezioso manufatto, il team guidato da Liu ha condotto un esperimento nel quale sono stati creati una serie di recipienti in plastica intrisi di nanoparticelle d’oro e d’argento, realizzando degli equivalenti della Coppa di Licurgo.

Una volta riempito ciascun recipiente con i più diversi materiali, come acqua, olio, zucchero e sale, i ricercatori hanno osservato diversi cambiamenti di colore. Il prototipo è risultato 100 volte più sensibile dei sensori utilizzati per rilevare i livelli salini in soluzione attualmente in commercio.

Secondo i ricercatori, un giorno questa tecnica potrà essere utilizzata per rilevare agenti patogeni in campioni di saliva o di urina, e per contrastare eventuali terroristi intenzionati a trasportare liquidi pericolosi a bordo degli aerei.

Non è la prima volta che la tecnologia romana sorprende i ricercatori moderni, superando il livello attuale di conoscenza. Un esempio è dato dallo studio sulla composizione del calcestruzzo romano, rimasto sommerso nelle acque del Mediterraneo per 2 mila anni. I ricercatori hanno scoperto che la sua composizione è decisamente superiore al calcestruzzo moderno, sia in termini di durata che di ecocompatibilità.

Le conoscenze acquisite dai ricercatori vengono oggi utilizzate per migliorare il cemento che oggi utilizziamo. Non è ironico che gli scienziati si rivolgano alle tecniche utilizzate dai nostri antenati ‘primitivi’ per lo sviluppo di nuove tecnologie?

Chi ha utilizzato armi chimiche in Siria? Una possibile, inquietante “altra verità”

Scritto da: Alfatau
Fonte:http://www.clarissa.it/

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Mentre il presidente americano Obama cerca di ottenere un voto dal Congresso che giustifichi politicamente dinanzi al popolo americano ed all’opinione pubblica mondiale l’azione militare contro la Siria, spunta un’ennesima “soffiata” in rete che, se confermata, aprirebbe scenari davvero singolari su chi potrebbe avere utilizzato armi chimiche lo scorso 21 agosto in Siria.
Tutto parte da una serie di e-mail che un hacker avrebbe intercettato e rese pubbliche on-line, secondo la nuova moda resa celebre da Wikileaks. Si tratta dello scambio di comunicazioni fra un ex-ufficiale americano, il col. Anthony J. MacDonald, da pochissime settimane ritiratosi dal servizio attivo, ed un funzionario civile del Ministero della Difesa statunitense. Proprio nelle ore immediatamente successive al tragico affaire che in Siria ha portato alla morte di molti civili innocenti, il funzionario Usa, Eugene Furst, il 22 agosto scorso si congratula con il colonnello del suo “più recente successo”, allegando per l’appunto il link all’articolo del Washington Post del 21 agosto che dà notizia appunto del terribile episodio che rischia oggi di provocare una nuova guerra in Medio Oriente.
Un’altro scambio di e-mail, forse ancora più inquietante, è poi quello tra la moglie del colonnello Usa, Jennifer, ed un’amica, Mary Shapiro, alla cui preoccupazione per quanto accaduto in Siria, la sig.ra MacDonald risponde così:
“Ciao Mary,
ho visto e mi sono spaventata molto. Ma Tony mi ha rassicurato. Mi ha detto che i ragazzi non sono stati colpiti, è stato fatto per le telecamere. Quindi non ti preoccupare, mia cara”
.
Il colonnello MacDonald è un ufficiale americano con una vasta esperienza operativa nel settore dell’intelligence militare, come si ricava dai brani del suo curriculum militare pubblicati in rete, avendo operato fra l’altro in Iraq con compiti di human intelligence, lo spionaggio classico, anche presso la base di Abu Graib, relazionandosi anche con servizi stranieri e supportando, sempre per compiti di intelligence, come vice-comandante di brigata, il comando del V Corpo americano, operativo sia nella guerra contro Saddam Hussein del 2003 che nell’occupazione successiva del paese mediorientale, nonché nel conflitto afghano, dal 2012 fino allo scorso giugno 2013. Poche settimane dopo, lo scorso luglio, MacDonald si sarebbe dimesso, per essere poi assunto nel giro di pochi giorni dalla TechWise, una società di contractors, costituita nel 1994 da Shawnee Huckstep, dalla quale sarebbe stato reclutato con compiti di consulente per l’addestramento, specializzato ovviamente nel settore dell’intelligence, nell’ambito di un progetto di addestramento per un “cliente militare” collocato negli Emirati Arabi Uniti, progetto approvato dal governo americano nell’ambito della sua politica mediorientale: si tratta, con ogni probabilità, dell’addestramento che gli Usa stanno fornendo al Consiglio di Cooperazione del Golfo, una mini-Nato che riunisce i regimi conservatori arabi di orientamento sunnita del Golfo Persico, che gli Stati Uniti armano da anni in funzione anti-iraniana. Il Consiglio di Cooperazione del Golfo, infatti, viene indicato nel sito della TechWise come uno delle sue principali referenze, vale a dire come un primario cliente della società.
Tutto questo sarebbe quindi parte di un contesto che merita approfondire: vi è infatti nella e-mail di Eugene Furst al col. MacDonald un riferimento che difficilmente potrebbe essere stato fabbricato ad hoc. Il funzionario scrive:
“Dobbiamo lavorare sia con il teatro per le sue esigenze sia con l’organizzazione che detiene il contratto per garantire di non avere né troppo pochi né troppi contractors”.
Seguono le indicazioni, apparentemente criptiche:
“CITP – Rock Island Contract
CIAT – DIA Contract”.
Proviamo a cercare di capire di cosa stanno parlando qui i due personaggi, in modo da poter collocare nel suo contesto i “complimenti” per il “successo” che il col. MacDonald avrebbe ottenuto il 21 agosto scorso in Siria in una non meglio precisata operazione.
Come ormai è ben noto, gli Usa da decenni utilizzano contractors (vale a dire personale esterno a contratto) per svolgere una serie di attività militari che vanno dal supporto logistico fino all’impiego in combattimento, al punto che questo settore è da tempo divenuto un business molto redditivo per una serie di aziende, in genere fondate da ex-militari, che acquisiscono contratti milionari, reclutando personale sia di nazionalità americana che estera.
I dati forniti ad aprile 2013 dal solo U.S. Centcom, il comando operativo statunitense responsabile per il teatro mediorientale, indicano un totale di oltre 133.000 contractors, dei quali oltre 107.000 impiegati in Afghanistan, 7.900 in Iraq e oltre 17.000 in non meglio specificate “altre collocazioni”: sul totale, ben 42.000 sono cittadini Usa.
Fatta questa premessa, si comprendono facilmente i riferimenti citati: infatti il Rock Island Contract è lo Army Contracting Command di Rock Island (ACC-RI), che, come spiega il suo sito web, dispone di 550 dipendenti che gestiscono oltre 80 miliardi di contratti della difesa Usa, pari all’11% dei compiti annuali dell’esercito americano. Fra le attività cui sono destinati questi veri e propri “mercenari” del governo Usa, troviamo: “Enterprise Contracting (Ammunition, Chemical Demilitarization, Installations, and Information Technology); Field Support Contracting (Logistics Civil Augmentation Program (LOGCAP), Army Prepositioned Stocks (APS), Global Reachback Contracting, the Enhanced Army Global Logistics Enterprise Program (EAGLE), and Sustainment) and Contract Operations (Business Operations, Contracting Support, and Contract Pricing)”.
La sigla CITP sta poi per Counter Insurgency Targeting Programme: si tratta di una delle componenti fondamentali dei programmi di contro-insurrezione, come vengono chiamate da anni le operazioni che gli Usa e le altre forze internazionali svolgono in Afghanistan per contrastare la guerriglia di quelle forze irregolari islamiste genericamente conosciute in Occidente come “talebani”. Così un’altra società di contractors spiega cosa fanno gli esperti di CITP: “gli analisti CITP conducono ricerche e analisi, raccolgono, valutano, addestrano e integrano ogni tipo di fonte di intelligence, concentrandosi su aree riferibili alle priorità nazionali e di teatro statunitensi: analisi e individuazione di reti di contro-insurrezione, individuazione di IED (ordigni esplosivi improvvisati) e attacchi alle reti (Attack the Network, AtN)”. Infine, l’altra sigla, CIAT, sta per “Counter Insurgency/IED Analytical Team”, vale a dire un’altra branca delle stesse attività di contro-insurrezione, messe a contratto in questo caso dal servizio di spionaggio militare Usa, appunto la Defense Intelligence Agency (DIA).
Sembra quindi del tutto plausibile che il funzionario del ministero della difesa Usa discuta con il col. MacDonald della situazione dei contractors assegnati allo US CentCom per le specifiche attività legate in particolare all’intelligence nell’ambito delle operazioni di contro-insurrezione: in entrambe i casi sono infatti attività del tutto coerenti con il curriculum militare del col. MacDonald, quale esperto di spionaggio militare, da parecchi anni operanti nel contesto mediorientale.
Si tratta ora di capire se, tra le attività che questo tipo di specialisti stanno svolgendo in Medio Oriente per conto del governo Usa, anche se formalmente con contratti presso agenzie private, non ci siano anche attività di destabilizzazione dei paesi considerati nemici, come nel caso della Siria. Un’ipotesi che abbiamo spesso avanzato nelle pagine di clarissa.it e che sarebbe ora davvero confermata nella maniera più drammatica, se queste e-mail si dimostrassero autentiche.
L’insolita durezza con cui il governo russo, questa volta, ha duramente stigmatizzato le informazioni fornite dal ministro della difesa Usa John Kerry (“mente sapendo di mentire”) avrebbe dovuto far riflettere quei governi, tra cui quello italiano, che sono servilmente corsi a sottoscrivere un documento di sostegno agli Usa contro l’uso di armi chimiche da parte del regime siriano.
Ancora una volta, come nel caso dell’11 settembre 2011 e dell’attacco all’Iraq è quindi del tutto legittimo il sospetto che la verità che viene raccontata all’opinione pubblica mondiale dai mass-media sia stata anche questa volta spregiudicatamente fabbricata e manipolata: basare su questa non-verità l’ennesimo impiego della forza in Medio Oriente contro un paese arabo come la Siria, laico multiconfessionale e multietnico, sarebbe veramente un ennesimo errore, di incalcolabile portata per l’Occidente.