I Caimani del Piave

 

card1(Immagine: http://digilander.libero.it/freetime1836/cinema)

Nota della Redazione: Qualche tempo fa avevamo pubblicato alcune notizie relative ai “Caimani del Piave”, tra i primi reparti speciali al mondo in epoca moderna.

Un nostro gentile lettore vedendo l’articolo ci ha contattato.

Riportiamo qui sotto fedelmente quanto da lui inviato:

Buongiorno, mi chiamo Fiorello Rizzo.
Sono nipote del 2° Capo Cannoniere Vincenzo Campisi, caduto nel Basso Piave, Cortellazzo, il 24 Giugno 1918.
Totalmente privi di notizie, se non poche cose a volte ornate di fantasia, mia madre morì con il desiderio, insoddisfatto, di sapere dove fosse sepolto il padre.
Saputo del Cimitero di Cà Gamba, ho saputo che era stato dismesso.
Ho fatto molte ricerche, anche se tardive, e sono riuscito ad avere delle notizie che pian piano mi portano a conoscenza della figura di mio nonno: 2 volte decorato con M.B.V.M.
Sono riuscito a trovare il luogo della sepoltura: riesumato é stato posto nel “Tempio Votivo” di Venezia Lido, dove ho potuto, finalmente, recarmi e deporre un piccolo mazzo di fiori, con i sentimenti di mia madre.
Proprio alcuni giorni addietro, sono venuto in possesso di un “Atto di Morte”, redatto da un Ufficiale di Stato Civile del Comune di Palermo, che riporta fedelmente quanto scritto sull’Atto Originale, redatto dal Comandante: “Capitano di Corvetta” Vittorio Turr.
Le Istituzioni delegate ad onorare la memoria dei Caduti, solo dopo molte insistenze, fino alla minaccia di denuncia per omissione di atti d’Ufficio, mi hanno fatto avere (molto scocciati, perfino!) copia di un paio di pagine del Foglio Matricolare, molto povero di notizie (perché due pagine e non tutte e quattro, non mi e’ dato saperlo!).
Dalle letture da me fatte, avevo intuito, per comparazione delle date delle azioni per le quali meritò le decorazioni con i luoghi di presenza degli uomini della Regia Marina, che doveva essere un uomo del “Caorle”… oggi, la copia dell’Atto di Mlorte, seppure mal copiato dall’Ufficiale di Stato Civile, me lo ha confermato.
La firma del Comandante Vittorio Turr, mi farebbe, ora, supporre che mio nonno fosse un “Caimano del Piave”.
Potete aiutarmi ad avere qualche ulteriore notizia?
Ve ne sarei grato.
Attendo e ringrazio per l’attenzione.
Cordialità.
Fiorello Rizzo
fiorriz@tin.it

 

Può esserci solo amicizia tra uomo e donna?

Scritto da: Anna carderi
Fonte: http://www.italiasalute.it/copertina.asp?Articolo_ID=12277

Sessualità_12277CLa domanda è da 10 milioni di dollari. Ebbene si! Sicuramente non tutti ci riescono ma l’amicizia tra uomo e donna può esistere. Tutto dipende dalla struttura di personalità e da un labile quanto stabile e sereno equilibrio che si instaura all’interno della coppia amicale fatto di chiarezza, stima e rispetto reciproco, condivisione di interessi, maturità. Tutto ciò ci tutela almeno in parte dalla possibilità che questo sentimento possa mutare per uno dei due amici in qualcosa di diverso. Le minacce risiedono proprio in ciò che lega i due amici. La condivisione degli hobby, dei momenti piacevoli e di quelli spiacevoli, la giocosa complicità uniti all’istintiva attrazione fisica, il poter contare sempre e comunque su l’altro sono degli incentivanti che ci legano sempre di più e possono trascendere l’amicizia e sfociare nel desiderio dell’altro o in un sentimento più profondo e inaspettato. È innegabile tra amicizia e amore il passo è breve anche perché le emozioni sono simili e possono confondersi e confonderci!
Ma come nasce l’amicizia tra uomo e donna?
L’amicizia ad esempio si presenta nella prima infanzia, quando ancora non si presta attenzione al sesso del proprio compagno e per uno strano teorema relazionale rimane così vita natural durante. Giocano un ruolo anche le differenze di ruolo che rendono la relazione amicale tra due persone del sesso opposto di gran lunga più stabile delle amicizie con persone dello stesso sesso. Le donne vedono i loro amici uomini come più onesti e diretti rispetto alle amiche donne con cui possono instaurarsi rivalità e invidie.
Di contro gli uomini vedono le loro amiche donne come più attente, ma meno oneste con se stesse. La combinazione di queste caratteristiche rende la relazione più soddisfacente e quindi più duratura, e fa sì che sempre più persone preferiscano avere amici del sesso opposto. Ancora l’amicizia si instaura tra due persone in cui c’è una leggera avversione fisica. Un amore mancato può essere il movente. Nella maggior parte dei casi la persona sentimentalmente coinvolta preferisce non dichiararsi, ma al contrario nasconde ciò che prova, preferisce accontentarsi di un “amore platonico e inconfessato”, coltivando nel tempo l’amicizia nell’illusoria speranza che l’altro si innamori. Tutti questi aspetti possono concorrere a rendere l’amicizia indissolubile.

 

Reddito garantito: 1300 euro in Danimarca, 460 in Francia. In Italia giacciono in Parlamento proposte di legge mai discusse

Fonte: http://odiolacasta.blogspot.it/
2008-07-29-pochi-soldi
L’ultima ad entrare nel club è stata l’Ungheria, nel 2009. Tutti gli altri paesi dell’Europa a 28 (tranne Italia e Grecia) hanno adottato da tempo forme di reddito minimo garantito per consentire ai loro cittadini più deboli di vivere una vita dignitosa, così come l’Europa chiede fin dal 1992. Strumento pensato per alleviare la condizione di insicurezza di chi vive al di sotto della soglia di povertà, in caso di perdita del lavoro il reddito minimo scatta quando è scaduta l’indennità di disoccupazione (che in Italia è l’ultima tutela disponibile) e il disoccupato non ha ancora trovato un nuovo impiego. Ma nell’Ue ne beneficia anche chi non riesce a riemergere dallo stato di bisogno nonostante abbia un lavoro. Negli ultimi anni la tendenza generalizzata, secondo il rapporto The role of minimum income for social inclusion in the European Union 2007-2010 stilato dal Direttorato generale per le politiche interne del Parlamento Ue, è stata quella di razionalizzare i vari sistemi, cercando di legare più che in passato il sostegno a misure per rafforzare il mercato del lavoro in modo da creare occupazione e ridurre il numero dei beneficiari. Ma il reddito minimo continua ad assolvere alla sua funzione: quella di ultimo baluardo garantito dagli Stati contro l’indigenza.
DANIMARCA – Il modello scandinavo. Informato ai principi dell’universalismo, il sistema danese è tra i più avanzati del continente ed è basato su un pilastro principale: il Kontanthjælp, l’assistenza sociale. Il sussidio è tra i più ricchi: la base per un singolo over 25 è di 1.325 euro (escluso l’aiuto per l’affitto, che viene elargito a parte), che arrivano a 1.760 per chi ha figli. I beneficiari che non hanno inabilità al lavoro sono obbligati a cercare attivamente un’occupazione e ad accettare offerte appropriate al loro curriculum, pena la sospensione del diritto. A differenza della maggior parte degli altri paesi, il sussidio è tassabile. E se ci si assenta dal lavoro senza giustificati motivi, viene ridotto in base alle ore di assenza. Fino al febbraio 2012, poi, esisteva lo Starthjælp, letteralmente “l’indennità di avviamento ad una vita autonoma”, il cui contributo minimo era di 853 euro: il beneficio è stato abolito in un tentativo di riorganizzazione e razionalizzazione del sistema.
GERMANIA – Il modello centroeuropeo. In Germania lo schema di reddito minimo è basato su 3 pilastri: l’Hilfe zum Lebensunterhalt, letteralmente un “aiuto per il sostentamento“, un assegno sociale per i pensionati in condizioni di bisogno (Grundsicherung im Alter) e un sostegno ai disoccupati con ridotte capacità lavorative (Erwerbsminderung). Dal 1° gennaio 2013 il contributo di primo livello (il più alto) è di 382 euro per un singolo senza reddito. Sussidi per l’affitto e ilriscaldamento vengono elargiti a parte, come le indennità integrative per i disabili, i genitori soli e le donne in gravidanza. Lo Stato pensa anche alla prole: 289 euro per ogni figlio tra i 14 e i 18 anni, 255 euro tra i 6 e i 14 anni, 224 euro da 0 a 5 anni. La durata è illimitata, con accertamenti ogni 6 mesi sui requisiti dei beneficiari, a patto che chi è abile al lavoro segua programmi di reinserimento e accetti offerte congrue alla sua formazione. Ne hanno diritto i cittadini tedeschi, gli stranieri provenienti da paesi Ue che hanno firmato il Social Security agreement e i rifugiati politici.
REGNO UNITO – Il modello anglosassone. Oltremanica il reddito minimo è garantito da un complesso sistema di sussidi basati sulla “prova dei mezzi”, la misura del reddito dei richiedenti. L’Income Support è uno schema che fornisce aiuto a chi non ha un lavoro full time (16 ore o più a settimana per il richiedente, 24 per il partner) e vive al di sotto della soglia di povertà. Il sostegno ha durata illimitata finché sussistono le condizioni per averlo e varia in base ad età, struttura della famiglia, eventuali disabilità, risorse che i beneficiari hanno a disposizione: chi ha in banca più di 16mila sterline non può accedervi e depositi superiori alle 6mila riducono l’importo del sostegno. Le cifre: i single tra i 16 e i 24 anni percepiscono 56,80 pound a settimana, gli over 24 arrivano a 71,70 (per un totale di circa 300 sterline al mese, pari a 330 euro, contro le 370 del 2007). Un aiuto dello stesso importo garantisce la Jobseeker Allowance, riservata agli iscritti nelle liste di disoccupazione: “Per riceverlo il candidato deve recarsi ogni due settimane in un Jobcenter e dimostrare che sta attivamente cercando lavoro”. Lo Stato aiuta chi ha bisogno anche a pagare l’affitto e garantisce alle famiglie assegni per il mantenimento dei figli.
FRANCIA – Esperimento di reddito modulare. A due diversi tipi di sostegno rivolti ai disoccupati, si è aggiunto nel 1988 il Revenu Minimun d’Insertion, sostituito nel giugno 2009 dal Revenu de Solidarité Active. Ne ha diritto chi risiede nel paese da più di 5 anni, ha più di 25 anni, chi è più giovane ma ha un figlio a carico o 2 anni di lavoro sul curriculum. Un singolo percepisce 460 euro mensili (in aumento dai 441 del 2007), una coppia con 2 figli 966 euro. E il sussidio, che dura 3 mesi e può essere rinnovato, aumenta con l’aumentare della prole. Perché il sostegno non si trasformi in un disincentivo al lavoro, il beneficiario deve dimostrare di cercare attivamente un’occupazione, partecipare a programmi di formazione e l’importo del beneficio è modulare: man mano che cresce il reddito da lavoro, diminuisce il sussidio, ma in questo modo il reddito disponibile aumenta.
BUONE PRATICHE
Belgio. Quello belga è un sistema rigido, ma generoso: 725 euro il contributo mensile per un singolo. Con l’inizio della crisi Bruxelles ha, inoltre, aumentato le tutele, adottando nel luglio 2008 per gli anni 2009-2011 l’Anti-Poverty Plan, un’ulteriore serie di misure per garantire il diritto alla salute, al lavoro, alla casa, all’energia, ai servizi pubblici. Inoltre il Belgio è tra i paesi che, con Germania e Danimarca, consentono di rifiutare un lavoro perché non congruo al proprio livello professionale senza vedersi sospeso il sussidio (idea affine a quella proposta in Italia da M5S e Sel): un meccanismo studiato per contrastare quella fascia di lavori a bassa qualificazione che prolifera in conseguenza dell’obbligo di accettare un impiego per non perdere il sostegno.
Irlanda. Anche quello irlandese figura tra i sistemi più generosi: 849 euro il contributo massimo per un singolo. E grazie al Back to Work Allowance nell’isola un disoccupato che intraprende un’attività lavorativa continua ad usufruire dei sussidi per diversi mesi dopo l’avvio del lavoro. Anche se si riprendono gli studi si può richiedere un sostegno al reddito grazie al Back to study Allowance.

Olanda.
 I Paesi Bassi, invece, oltre ad avere un sistema di manica larga con singoli (617 euro il contributo mensile massimo) e famiglie (1.234 euro, sia che si tratti di coppie sposate che di coppie di fatto, con figli e senza) hanno messo a punto il Wik, una misura specifica per gli artisti, studiata per garantire una base economica a chi si dedica alla creazione artistica.
RISULTATI. Secondo uno studio commissionato dalla Commissione Europea basato sui report nazionali dello Eu Network of National Independent Experts on Social Inclusion, sono rari i casi in cui il reddito minimo “riduce sensibilmente i livelli aggregati di povertà”: “i paesi che meglio riescono ad elevare le condizioni dei loro cittadini più deboli verso la soglia di povertà sono Irlanda, Svezia, Paesi Bassi e Danimarca”. Svolge, invece, un ruolo importante “nel ridurre l’intensità della povertà”.
ESPERIMENTI NEL MONDO: IL REDDITO DI CITTADINANZA IN ALASKA E BRASILE. A differenza del reddito minimo, il reddito di cittadinanza, in inglese basic income, è una forma universalistica di sostegno del reddito garantita dallo Stato a tutti i cittadini maggiorenni a prescindere dai loro averi e dalla loro disponibilità a lavorare. Secondo la Global Basic Income Foundation, l’unico paese al mondo in cui esiste un reddito di cittadinanza è l’Alaska. Dal 1982 l’Alaska Permanent Fund, nel quale confluisce almeno il 25% dei proventi dei giacimenti di petrolio e gas dello Stato, garantisce un dividendo a tutti i cittadini residenti da almeno un anno. L’importo varia in base a proventi annui del settore minerario: nel 2011 è stato di 1.174 dollari, nel 2008 aveva toccato i 2.100. E si tratta di un sostegno individuale, quindi una famiglia composta da 5 persone riceverà 5 sussidi. Il Brasile, invece, si è dotato di un basic income, la Bolsa Familia, con la legge n. 10.835/2004 promulgata dal presidente Lula l’8 gennaio 2004. In base ai dati della Banca Mondiale, in questi anni la percentuale di persone che vivevano sotto la soglia della povertà (fissata nelle parti più ricche del mondo emergente a 4 dollari al giorno) è scesa dal 42.84%, del 2003 al 27.60% del 2011. E, secondo il Ministero per lo Sviluppo Sociale, il budget per il programma sarà portato dai 10,7 miliardi di dollari del 2012 a 12,7 nel 2013.

Avorio, l’oro bianco del jihad

Scritto da: Massimiliano Ferraro
Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/avorio-loro-bianco-del-jihad/55207

non_solo_sabbia_500[Carta di Laura Canali tratta da Limes 10/13 “Il circuito delle mafie“; per ingrandire, scarica il numero su iPad]

Il contrabbando di zanne di elefanti prospera grazie alla grande richiesta proveniente dalla Cina e dal resto dell’Asia. Per la fortuna di alcuni dei gruppi terroristi più pericolosi dell’Africa, da al-Shabaab ai Janjaweed

In Africa subsahariana l’avorio è diventato una merce preziosa contrabbandata da terroristi, bande criminali e contadini alla disperata ricerca di una fonte di sostentamento.

 

A farne le spese sono gli elefanti africani, abbattuti per le loro zanne al ritmo di 30 mila esemplari ogni anno e ormai sull’orlo dell’estinzione.

Lanciando l’allarme sulle dimensioni assunte dal fenomeno, il New York Times ha pubblicato lo scorso marzo un lungo reportage dalla Cina, che per via della forte domanda interna rappresenta la principale destinazione dell’avorio illegale.

«I cinesi hanno in mano il futuro agli elefanti» – ha dichiarato Iain Douglas-Hamilton, fondatore dell’organizzazione Save the Elephants – «perché se non cambieranno le loro abitudini riguardo all’avorio, molti paesi africani potrebbero veder presto scomparire questa specie».

Se il 70% delle zanne trafugate finisce sul mercato cinese, il motivo è soprattutto culturale. La Cina ha alle spalle una lunga tradizione nella lavorazione dell’avorio, che viene trasformato in sculture, suppellettili, anelli, spille, tazze, pettini eccetera.

Un business divenuto irresistibile per gli estremisti islamici di al-Shabaab, come per le milizie Janjaweed del Sudan e per i guerriglieri ugandesi del Lord’s resistance army (Lra). Sono loro che, per soddisfare la richiesta asiatica, si stanno imponendo a suon di mitragliatrice come i principali protagonisti del commercio illecito, provocando un’ecatombe di elefanti mai vista da quando negli anni Ottanta venne introdotto il divieto internazionale sul commercio di avorio.

La situazione appare talmente disperata da far nascere una semplice quanto inquietante domanda: fino a quando la Cina sarà disposta a rimanere legata a una tradizione che, sterminando gli elefanti, finanzia indirettamente il terrorismo?

Tutto per il maledetto avorio

Se lo chiamano “oro bianco” ci sarà un perché. Il prezzo di un chilo di avorio sul mercato nero può raggiungere i 3 mila dollari. Significa che il valore di una sola zanna d’elefante equivale a circa 10 volte il salario medio percepito dai cittadini di molti paesi africani. Sono dati di fatto che hanno portato a risultati impietosi: nel solo 2011 sono state sequestrate in tutto il mondo quasi 40 tonnellate di avorio, che certificano l’uccisione di almeno 4 mila elefanti per mano di bande armate che agiscono impunemente in molte riserve africane.

Questi numeri non rivelano che la parte emersa di questo grave problema. Il mercato sommerso dell’avorio è infatti infinitamente più grande e il suo sviluppo non mette in pericolo solo la fauna africana.

La sicurezza globale è infatti legata a doppio filo all’andamento di questo commercio illegale, più che raddoppiato dal 2007 a oggi. Al-Shabaab, Janjaweed e Lra si contendono il controllo del contrabbando tra Africa e Asia, sfruttando la corruzione dilagante dei funzionari pubblici. Come per la droga, per spostare da un continente all’altro centinaia di chili di zanne, i trafficanti utilizzano navi mercantili in partenza soprattutto dai porti di Mombasa, in Kenya, e Dar es Salaam, in Tanzania.

«Cambiano costantemente le rotte e il modo in cui muovono la merce per beffare la legge» ha spiegato al New York Times Tom Milliken, direttore dell’Elephant Trade Information System, un progetto nato per monitorare il commercio mondiale di avorio. I professionisti del terrore sembrano aver capito che è più redditizio dare la caccia agli elefanti piuttosto che ad altri uomini armati.

L’avorio è perfetto per finanziare il terrorismo, perché per averlo c’è chi è disposto a pagare molti soldi, ma all’occorrenza può essere anche utilizzato come merce di scambio per ottenere armamenti e viveri. Così terroristi e guerriglieri sfoderano sempre più spesso i mitra nella savana e nelle riserve, dove le poche guardie, mal pagate e mal armate, non possono arginare il loro strapotere.

Falcidiando i pachidermi con sventagliate di proiettili, fanno diventare lo sterminio una routine: gli AK-47 dei bracconieri-terroristi mirano agli animali più piccoli, ben sapendo che gli esemplari anziani, invece di scappare, non esiteranno a mettere a rischio la loro vita per cercare di proteggerli.

I mammiferi più imponenti crollano a terra solo dopo diversi colpi. Muoiono infine tra immense sofferenze, quando l’ultimo atto della barbarie sta per essere compiuto: la testa degli elefanti viene amputata con i machete per avere le zanne. In questo modo sono scomparsi centinaia di branchi di elefanti africani.

Le zanne del terrorismo

Al-Shabaab, il gruppo islamista somalo legato ad al Qaida divenuto tristemente noto per l’assalto al centro commerciale Westgate a Nairobi costato la vita a oltre 70 persone, si finanzia anche con il bracconaggio. Una stima fornita dall’Elephant action league (Eal) indica che l’uccisione degli elefanti assicura ad al-Shabaab «fino al 40% dei fondi necessari per la sua attività criminale». Il dato non può essere verificato. Tuttavia, secondo l’Eal, il reddito mensile della milizia islamista ottenuto dal contrabbando di avorio si aggirerebbe tra i 200 mila e i 600 mila dollari.

Una cosa è certa: la preoccupazione degli ambientalisti per i risvolti incontrollabili del bracconaggio è condivisa anche da Barack Obama, che ha recentemente firmato un ordine esecutivo che innalza il livello di attenzione sul commercio di fauna selvatica.

Il fenomeno è stato descritto dalla Casa Bianca come una «piaga internazionale che continua a crescere», che genera «miliardi di dollari di ricavi illeciti ogni anno, contribuendo all’economia illegale, alimentando l’instabilità e minando la sicurezza». Ottanta milioni di dollari sono stati stanziati dall’amministrazione Usa per combattere il bracconaggio e il traffico di avorio, visto ora come una minaccia diretta agli interessi degli Stati Uniti.

Paese che vai massacro che trovi

Nel suo complesso, il mercato nero delle specie selvatiche (elefanti, rinoceronti, grandi felini, scimmie e altri animali meno conosciuti) vale 19 miliardi di dollari all’anno. Sono stati proprio gli elefanti ad aver subito negli anni la più veloce e inesorabile decimazione.

L’associazione keniota David Sheldrick wildlife trust sostiene che ogni 15 minuti, in Africa, un elefante viene ucciso per le sue zanne. La Cina rimane senza dubbio il paese più affamato di avorio illegale, ma la smania di “oro bianco” ha contagiato anche la Thailandia, le Filippine e gli stessi Stati Uniti.

Ecco perché sono in molti a volersi spartire i guadagni di questo crudele commercio milionario. Oltre ai già citati gruppi criminali, sono impegnati nel bracconaggio vari soggetti che bramano questa insperata fonte di ricchezza, come alcune frange degli eserciti regolari ugandesi, congolesi e del Sud Sudan, che si convertono per soldi in cacciatori di frodo. E se in Tanzania anche molti semplici contadini diventano bracconieri attirando in trappola gli elefanti con delle zucche avvelenate, in Gabon la miseria trasforma i ragazzi del luogo in spietati cacciatori, assoldati al volere dei clan che speculano sull’avorio illegale.

Lo sterminio degli elefanti interessa ormai quasi tutto il continente. Sono stati 650 gli elefanti uccisi in Camerun nel 2012, mentre in una sola notte nel sud del Ciad sono stati uccisi lo scorso marzo ben 89 animali, tra cui 30 femmine in stato di gravidanza. In Kenia, nei primi 8 mesi del 2013, sono stati sterminati 190 pachidermi, che arrivano quasi a mille se si estende il calcolo agli anni compresi tra il 2009 e il 2013. Ne deriva che in meno di 30 anni la popolazione di elefanti che abita il paese è passata da 167 mila ad appena 35 mila esemplari.

La Tanzania ha perso in 3 anni la metà dei suoi elefanti. Oltre 2.500 esemplari sono finiti preda dei bracconieri in Mozambico negli ultimi 4 anni e altri mille sono stati trucidati nella Repubblica Democratica del Congo. Il governo di Kinshasa ha riferito che gli elefanti rimasti allo stato selvatico nelle foreste del paese non sono più di 7 mila: erano 100 mila nel 1980. In Sierra Leone e Senegal le cose vanno anche peggio: l’avidità dei trafficanti di oro bianco ha già portato gli elefanti all’estinzione.

L’esercito dei “poveri” bracconieri

Una somma che va dai 50 ai 100 dollari al chilogrammo è la ricompensa che spetta ai cacciatori impegnati in prima linea. Tantissimo per la povertà in cui sono costretti a vivere molti individui in Africa, un’inezia se si pensa all’incremento di prezzo che l’avorio subisce man mano che si avvicina all’ultimo compratore.In Zimbabwe ad esempio, dove è avvenuto il peggior massacro di elefanti del 2013 (oltre 300 esemplari sterminati nel Hwange National Park), i clan di bracconieri sono in grado di vendere le zanne sottratte agli animali uccisi a 482 dollari al chilo.

A questo punto la via dell’avorio insanguinato porta in Sudafrica, dove secondo il tribunale che sta indagando sull’orribile episodio avvenuto nel Hwange Park, le stesse zanne possono essere rivendute per oltre mille e 600 dollari al chilo, prima di finire nuovamente sulla piazza in attesa di un compratore, solitamente asiatico, disposto a pagarle ancora di più.

Nell’ultimo anno, ben 150 cittadini cinesi sono finiti sotto accusa in vari paesi africani per aver acquistato dell’avorio frutto di contrabbando. Se la caveranno, così come i bracconieri sorpresi in flagranza di reato, con delle piccole multe o delle brevi pene detentive. Proprio come nel caso di Ghislain “Pepito” Ngondjo, boss dei cacciatori di elefanti congolesi, condannato per aver ucciso centinaia di animali ad appena 5 anni di reclusione.

La guerra è guerra…

L’avvenire degli elefanti africani è cupo. Le stime non concordano, ma confermano che la conservazione della specie è sempre più a rischio.

Tra gli ambientalisti c’è chi ritiene che questi mammiferi scompariranno dal loro ambiente naturale nel giro di 50 anni e chi afferma che la caccia illegale anticiperà la loro estinzione al 2025. La variabile che potrebbe anche raddoppiare o triplicare il tasso di mortalità degli elefanti è la mancanza di misure idonee per arginare la piaga del bracconaggio. Per John Scanlon, segretario generale della Convenzione sul commercio internazionale delle specie minacciate di estinzione, è necessario «trattare i crimini compiuti ai danni della fauna selvatica come dei reati gravi, al pari del traffico di stupefacenti e di armi».

Pene più severe fin da subito dunque. In alcune parti dell’Africa, dove quella ai trafficanti d’avorio è una guerra vera, c’è persino chi propone misure shock. La proposta di Khamis Kagasheki, ministro del governo della Tanzania, è quella di permettere alle guardie forestali di «sparare per uccidere» i bracconieri «sul posto». Tra chi appoggia l’iniziativa, vista come un deterrente necessario, e chi si oppone per timore di un inasprimento della violenza, emerge un altro lato del problema finora non considerato.

Il ministro ha spiegato che i provvedimenti da lui richiesti al governo Dar es Salaam non avrebbero come unico scopo quello di frenare la strage di elefanti, ma anche e soprattutto di proteggere l’incolumità degli agenti attivi contro i bracconieri. Nella sola Tanzania, infatti, sono morti nei conflitti a fuoco circa mille guardie forestali negli ultimi dieci anni.

Esseri umani ed elefanti, entrambi vittime della guerra per l’oro bianco.

Movimento di protesta

Italy_flags

 

La nostra redazione è solidale verso tutti i cittadini Italiani e Stranieri che in forma non violenta stanno manifestano in varie zone del nostro bel paese.

Contro tutti i politici e i poteri corrotti che in questi decenni hanno sporcato e infamato il più bel paese del mondo!

W L’ITALIA!!!

Impianti solari: quando il risparmio energetico vuol dire meno tasse

Scritto da: Daniele Grattiei
Fonte: http://www.soloecologia.it/

solar-coolingNon solo bollette meno salate e maggior disponibilità di energia pulita per case private ed aziende. Gli ecobonus introdotti a giugno 2013 e prorogati dalla recente legge di stabilità permettono delle agevolazioni fiscali che arrivano fino al 65% delle spese intese a migliorare le funzionalità energetiche di edifici ed abitazioni. La misura delle detrazioni verrà dunque estesa a tutto il 2014, per poi decrescere al 40% nel 2015 ed attestarsi all’usuale 36% l’anno successivo, anche se negli ultimi giorni si fanno sempre più accreditate le ipotesi di proposte volte a dilatare i benefici dell’ecobonus addirittura fino al 2020.

Visti i presupposti, non stupisce il fatto che sempre più italiani si stiano informando sui vantaggi dell’installazione di impianti solari e su tutte le differenti tipologie di intervento coperte dagli incentivi, oltre che sui termini e sui requisiti indispensabili per poter accedere alle agevolazioni fiscali.

Sulla carta, per detrarre da Irpef ed Ires  i costi delle ristrutturazioni degli impianti è sufficiente effettuare lavori di riqualificazione energetica sugli involucri degli edifici e sugli interni delle abitazioni, o provvedere alla sostituzione dei sistemi di climatizzazione invernale. Risulta dunque evidente come l’estensione del provvedimento avrebbe anche il positivo effetto di sostenere uno dei settori maggiormente in difficoltà negli ultimi anni, come quello dell’edilizia.

Ad attirare l’interesse di privati e aziende sono soprattutto le possibilità di accedere alle detrazioni installando pannelli solari volti alla produzione di acqua calda: in questo caso è da notare che gli ambiti di utilizzo, oltre a quello domestico e a quello industriale, riguarderebbero il fabbisogno di scuole, università, istituti di pubblica assistenza, ma anche strutture sportive e piscine. Un bacino di intervento molto ampio, con una copertura effettiva che garantirebbe al nostro Paese un netto incremento nella diffusione dell’energia ricavata da fonti rinnovabili ed ecosostenibili.

Grazia Deledda a Hong Kong

Scritto da: Ciriaco Offeddu
Fonte: http://piras-sassari.blogautore.repubblica.it/2013/12/07/grazia-deledda-a-hong-kong/

 

grazia-deledda«La City University di Hong Kong ha messo in calendario una settimana di visite e studi in Sardegna per approfondire le opere di Grazia Deledda e conoscere una terra, la Barbagia, così antica e segreta». A dare la notizia ci ha pensato Angelo Paratico, scrittore italiano dal 1983 nella città della Repubblica popolare cinese. Paratico ha mandato un post al blog La nostra storia di Dino Messina (sul sito del Corriere della Sera) e Messina ha giustamente pubblicato. Scrive Paratico:

 

Tutto nasce dal Master in Creative Writing, Department of English. Uno dei laureati del 2013 è Ciriaco Offeddu, ingegnere, manager e consulente con esperienza ventennale in Asia, nato a Nuoro. Offeddu, durante i suoi studi, presenta la sua illustre concittadina Grazia Deledda. Il premio Nobel riveste in ambito accademico un’importanza straordinaria: da ciò un grande interesse presso la facoltà di Hong Kong, anche perché la scrittrice sarda non è molto conosciuta e promossa.

 

Ebbene: ho rintracciato Offeddu nell’ex colonia inglese (via mail, naturalmente!). E Offeddu (figlio di Nannino), gentilissimo, ha accettato di rispondere a una domanda:

Perché Hong Kong guarda con attenzione a Grazia Deledda?

La cultura a Hong Kong è una cosa molto seria e il riferimento culturale e artistico italiano sempre forte anche se non così presente. In letteratura i giovani cinesi imparano a discutere Seneca e adorano Calvino. Sono affamati di letture, novità e manifestazioni che riguardino l’Italia. E’ sorprendente osservare il pubblico che assiste alle opere di Verdi, ai vecchi film in bianco e nero di De Sica (il neorealismo è studiato e venerato, le pellicole sono seguite in lingua italiana, con sottotitoli in Inglese e Cinese), sino alle presentazioni letterarie sui missionari italiani in Cina dal 1500 in poi. La maggior parte dei presenti è inevitabilmente composta da cinesi, attenti, rapiti, poi da appassionati di ogni parte del mondo. Gli italiani sono stretta minoranza.

Il Dipartimento di Inglese della City University di Hong Kong è una delle facoltà migliori al mondo per la letteratura e quanto qui è chiamato “Creative Writing,” ovvero l’arte di scrivere. I professori sono internazionali, ovviamente scrittori titolati e anche famosi – io stesso ho avuto lezioni e i miei scritti sono stati commentati da uno dei vincitori del premio Pulitzer. Pur rispettando una predominanza cinese, anche gli studenti provengono ormai da ventun paesi diversi, creando un ambiente culturale variegato e veramente aperto e prolifico. Bisognerebbe andare in facoltà il sabato o la domenica per scoprire quante aule e librerie siano occupate da gruppi di studio, lezioni aggiuntive, proiezioni. Come dicevo, la cultura è una cosa seria – e, se seguita seriamente, diventa anche una fonte di ricchezza e di business.

In questo mondo, il premio Nobel per la letteratura riveste un’importanza a dir poco straordinaria. Si è molto attenti alle varie correnti letterarie, al declino di alcune scuole e all’emergere di nuovi paesi e voci, agli scrittori ‘etnici’, a tutto quanto rappresenti vera letteratura e non opera di consumo. Su tutto, il Nobel incombe come sommo risultato e riconoscimento. Penso che Hong Kong sarebbe disposta a pagare miliardi per avere un proprio scrittore insignito di tale premio, o almeno nella “short list” dei candidati. Con la capacità di valorizzazione che contraddistingue questa regione, l’investimento si ripagherebbe in pochissimo tempo.

Bene, scoprire che Nuoro, dove sono nato, è la patria di un Nobel è stata intanto una grandissima sorpresa per l’università di Hong Kong. L’Italia non valorizza i propri patrimoni culturali, questa è la verità che si coglie soprattutto all’esterno come impietoso confronto. Grazia Deledda è purtroppo una sconosciuta (ma anche Pirandello, Quasimodo, Montale, ecc.) mentre persino scrittori inglesi o americani di seconda levatura sono lanciati, letti e commentati. Per inciso, ma è importante, i programmi scolastici che ho seguito a Nuoro sino alla Maturità non hanno mai contemplato lo studio di Grazia Deledda! Grazia Deledda appartiene alla mia personale cultura. Averla portata in Asia, aver convinto professori e studenti a leggere e interessarsi a questa sconosciuta scrittrice è stata la mia piccola-grande vittoria.

Scoprire che esiste una Sardegna e una Barbagia è stata la seconda, folgorante sorpresa a Hong Kong. Il discorso si fa difficile e non vorrei approfittare dello spazio così gentilmente concessomi da Luciano Piras. Invece è facile commentare che ancora non abbiamo interiorizzato che la vera chiave d’ingresso e di successo nel mondo è proprio la cultura. La cultura della Sardegna non è mai stata presentata; la Barbagia, patria di un Nobel e di altri grandi e grandissimi scrittori, semplicemente non esiste.

Per arrivare dunque a rispondere alla domanda iniziale: l’attenzione deriva da tre precisi fattori. E’ necessario innanzitutto un substrato altamente preparato e ricettivo (il mondo accademico internazionale di Hong Kong); ci vuole un’occasione (la mia appartenenza al Master e la mia testardaggine anche, la voglia di non scomparire come sardo, come nuorese); e un pizzico di fortuna, ovvio. Il Dipartimento di Inglese stava accarezzando l’idea di una maggiore localizzazione, ovvero di settimane di studio portate nei luoghi storici di alcuni significativi scrittori. Mi è stato chiesto se era possibile scoprire Grazia Deledda in Barbagia, portandovi professori e studenti, tenendo in loco lezioni e anche esami.

A fronte dell’entusiasmo dimostrato (con i miei partner culturali di Hong Kong stiamo organizzando non solo la settimana in Sardegna, ma anche tre bellissimi eventi ‘di avvicinamento’ da tenersi a Hong Kong e Macao – vi prego di tenervi aggiornati in proposito leggendo il sito beyondthirtynine.com), mi è stato poi chiesto di far diventare questa occasione un appuntamento fisso annuale.

Nel nome di Grazia Deledda l’università di Hong Kong è pronta a stabilire un ponte culturale stabile con la Sardegna. Il resto dipende da noi.

 

Smog: polveri sottili pericolose anche sotto i limiti imposti dall’Ue

Scritto da Francesca Bagioli
Fonte: http://www.greenme.it/

inquinamento_aria_europa_2013Ormai è risaputo che l’inquinamento e più nello specifico le polveri sottili sono pericolose per la nostra salute e provocano gravi malattie. Proprio per questo l’Ue ha stabilito dei limiti, ovvero un quantitativo nell’atmosfera di queste sostanze che non andrebbe mai superato, adottando immediatamente in caso di sforamento i giusti provvedimenti per abbassarlo. Ebbene tutto questo, a detta di un nuovo studio europeo, serve a ben poco dato che le polveri sottili sono molto pericolose anche in quantitativo inferiore ai limiti imposti dall’Ue.

 A dirlo lo studio internazionale Escape (European Study of Cohorts for Air Pollution Effects), coordinato dalla Università di Utrecht in Olanda e pubblicato su The Lancet, che ha riunito ed analizzato 22 studi europei compiuti su un totale di oltre 360mila persone in Europa tutte residenti in città e monitorate per circa 14 anni. Quello che si voleva valutare era l’effetto delle polveri e degli ossidi di azoto sulla mortalità a lungo termine.

Ciò che è emerso non è certo rincuorante: per ogni aumento nella media annuale di 5 µg/m3 (microgrammi per metro cubo) di esposizione a particolato fino, ovvero quelle particelle che misurano un diametro inferiore a 2,5 micron, PM2.5, si ha come conseguenza un aumento di rischio morte del 7%. Una differenza di 5 µg/m3 è molto bassa e può essere ad esempio quella che intercorre tra una zona molto trafficata e una più tranquilla. Senza contare poi che in molte città si arriva anche a picchi di 30 mg/m3, ciò si traduce in un rischio di morte precoce aumentato del 30% circa.

Tra le città coinvolte ci sono anche Roma, Torino e Varese dove sono state prese in esame complessivamente 31mila persone. I risultati ottenuti sono simili a quelli del resto d’Europa e così li ha commentati Francesco Forastiere, epidemiologo che ha partecipato al progetto: “i risultati suggeriscono un effetto del particolato anche per concentrazioni al di sotto dell’attuale limite annuale europeo di 25 µg/m3 per il PM2,5. L’Organizzazione Mondiale della Sanità propone del resto come linea guida 10 µg/m3 e i nostri risultati supportano l’idea che avvicinandoci a questo target si potrebbero raggiungere grandi benefici per la salute delle persone“.

Sembra dunque che i limiti di legge debbano essere abbassati perché gli attuali non ci proteggono affatto dagli effetti dannosi dell’inquinamento. “L’Ue avrebbe dovuto modificare quest’anno con una direttiva la soglia dei 25 ma gli Stati membri ancora non l’hanno fatto. – continua Forastiere – Chissà se l’Italia nel suo semestre di presidenza dell’Unione nel 2014 sarà capace di dare priorità ai temi ambientali’‘.

Ce lo auguriamo!

Napolitano contestato duramente a Milano: il video che nessun tg ha fatto vedere

Fonte: http://www.controcopertina.com/napolitano-contestato-duramente-milano-il-video-che-nessun-tg-ha-fatto-vedere/

napolitano-contestato-Milano-660x371

Nessun tg ne ha parlato – ovviamente – ma il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è stato duramente contestato a Milano dove si era recato per presenziare ad un evento mondano al Teatro La Scala. Il consenso nei confronti del capo dello Stato è ai minimi storici, ed esattamente due giorni fa, mentre usciva dall’Hotel De Milan in via Manzoni per percorrere poche centinaia di metri che lo dividevano dal teatro, ha dovuto ricorrere ad una camionetta della polizia.

[youtube clip_id=”UgkQnu6GJ1E”]

Fischi e urla ironiche lo hanno accolto all’uscita: “complimenti”, “bravo bravo”, “vergogna” gli hanno urlato cittadini qualunque, le cui contestazioni erano già in atto da prima. Per tal motivo, Napolitano ha ritenuto non fosse il caso di percorrere a piedi il tragitto che lo divideva dalla Scala. Il segno tangibile che ormai si tratti di una vera e propria monarchia, totalmente staccata dalla gente e indifferente alle gente che non ne può più dei politici ladri ed eletti per giunta con una legge incostituzionale.

pertini-passeggia-romaScene come queste, purtroppo, non le rivedremo mai più. Sandro Pertini era IL PRESIDENTE di tutti gli italiani. Giorgio Napolitano è il presidente ormai solo della propria scorta.

Che grandi origini che hai, Cappuccetto Rosso!

Scritto da: Rachel Hartigan Shea
Fonte: http://news.nationalgeographic.com   Tradduzione:http://ilfattostorico.com/

cappuccetto-rosso-e-il-lupo-in-unillustrazione-di-j-w-smithÈ una storia raccontata in tutto il mondo. Cappuccetto Rosso va a visitare sua nonna solo per scoprire che un lupo l’aveva mangiata e si era vestita con i suoi abiti, e ora voleva mangiare pure la bambina.

Cosa succede dopo dipende dalla versione che ascoltate: Cappuccetto Rosso viene divorata? Un cacciatore di passaggio taglia la pancia del lupo? Lei inganna il lupo che la lascia andare via?

In alcune parti dell’Iran, ad essere in pericolo è un bambino, perché le piccole ragazze non potrebbero uscire da sole. In Africa, il cattivo sarebbe una volpe o una iena. In Asia orientale, il predatore sarebbe più probabilmente un grande felino.

Da dove proviene la storia originale? Gli studiosi se lo chiedono da anni. Jamie Tehrani, antropologo presso l’Università di Durham, pensa di aver trovato una risposta.

In uno studio pubblicato sul giornale PLOS ONE, Tehrani sostiene che i metodi usati per registrare l’evoluzione delle specie biologiche possono essere applicati anche all’evoluzione dei racconti popolari. National Geographic ha parlato con lui riguardo la sua ricerca sulle origini di questa famosa storia.

Perché pensi che un metodo scientifico potrebbe funzionare per determinare l’evoluzione delle fiabe popolari?

I racconti popolari sono come specie biologiche: si evolvono letteralmente con delle modifiche. Vengono raccontate e ri-raccontate con piccole alterazioni, e poi passano di generazione e vengono alterate ancora. In molti modi, il problema di ricostruire la tradizione del folklore è molto simile al problema di ricostruire la relazione evoluzionistica delle specie. Abbiamo poche prove riguardo l’evoluzione delle specie perché i resti fossili sono frammentari. Allo stesso modo, i racconti popolari sono molto raramente scritti. Dobbiamo usare una sorta di metodo per ricostruire quella storia in assenza di testimonianze fisiche.

Hai usato una metodologia chiamata filogenetica. Puoi spiegarci cos’è?

Quello che fai con la filogenetica è ricostruire la storia deducendo il passato che si è conservato attraverso l’eredità. I discendenti di una specie assomiglieranno ai loro antenati in qualche modo. Per un gruppo di organismi o racconti affini, puoi scoprire quali caratteristiche possono essere fatte risalire a un comune antenato.

cappuccetto-rosso-e-il-lupo-in-unillustrazione-di-j-w-smithLa ricerca si basa su 58 varianti della storia (Tehrani, PLOS ONE)

Quali sono alcune delle teorie riguardo le origini di Cappuccetto Rosso?

È stato suggerito che il racconto fosse un’invenzione di Charles Perrault, che lo scrisse nel 17º secolo. Altre persone hanno insistito che Cappuccetto Rosso avesse origini antiche. Esiste un poema dell’11º secolo proveniente dall’odierno Belgio riportato da un prete, che dice, oh, c’è questa storia raccontata dai contadini locali riguardo una ragazza che veste una tunica rossa da battesimo che passeggia e incontra questo lupo. I miei risultati dimostrano che, sebbene la maggior parte delle versioni a cui siamo familiari oggi discendono dalla racconto di Perrault, lui non l’ha inventato. La mia analisi ha confermato che è il poema dell’11º secolo uno dei primi antenati del moderno racconto.

Alcuni studiosi non sostengono che il racconto provenga dall’Asia?

È stato suggerito che la storia potrebbe essersi originata in Asia orientale e diffusa verso occidente e, come si diffondeva in Occidente, si divise in due distinti racconti, Cappuccetto Rosso e Il lupo e i bambini. Le persone hanno a lungo riconosciuto che c’era un qualche tipo di relazione tra le due storie, ma nessuno è mai stato realmente in grado di dimostrare la natura della relazione. Una teoria popolare è che entrambi discendessero dalla tradizione cinese, perché questi racconti cinesi hanno elementi di entrambi.

La mia analisi mostra che, in effetti, le versioni dell’Asia orientale non sono la fonte. Se i racconti dell’Asia orientale fossero stati veramente ancestrali, dovrebbero assomigliare alle varianti più antiche e ancestrali de Il lupo e i bambini e Cappuccetto Rosso. Ma invece sembrano più le versioni moderne. Per esempio, nei racconti in Asia orientale troviamo una versione del famoso dialogo tra la vittima e il cattivo che dice “Che grandi occhi che hai!”. Ma le mie ricostruzioni della preistoria del racconto suggeriscono che questo dialogo si sia evoluto relativamente recentemente. Questo è supportato dal fatto che questo dialogo manca dal poema dell’11º secolo, che è la variante più antica conosciuta.

Qual è la storia de Il lupo e i bambini?

Una nonna capra lascia i suoi bambini a casa e gli dice di non aprire la porta nessuno. Quello che non sa è che un lupo è fuori dalla casa e l’ascolta. Mentre lei esce, il lupo viene alla porta e finge di essere la capra. Quando entra, mangia tutti i bambini. Alla fine della storia, la capra lo insegue, lo uccide, e gli apre la pancia e libera i suoi bambini.

Cosa c’è di così attraente per le diverse culture di tutto il mondo nelle storie su dei predatori mascherati come parenti amati?

Alla fine, il predatore è metaforico. Le storie raccontano come le persone non sono sempre quelle che sembrano, che è una lezione molto importante nella vita. Persino le persone di cui pensiamo di poterci fidare di più possono farci molto male. Ed è proprio perché ci fidiamo di loro che siamo vulnerabili alle intenzioni dannose verso di noi.

Perché è importante conoscere le origini di questa storia?

Potremmo considerare le fiabe popolari come delle indicazioni della storia umana che ci mostrano quanto le diverse società abbiano interagito l’una con l’altra e come le persone si siano mosse nel mondo. Penso ci sia una questione più importante e più interessante riguardo l’immaginazione umana. Questi racconti popolari contengono fantasie, esperienze e paure. Sono un modo veramente buono di leggere, attraverso i prodotti della nostra immaginazione, quello a cui noi diamo più importanza.