Le origini della Pasqua

Le origini della Pasqua

La Pasqua cristiana
Il nome “Pasqua” deriva dal latino pascha e dall’ebraico pesah.
E’ la massima festività della liturgia cristiana, perchè celebra la passione, morte e resurrezione di Gesù Cristo
Il fatto che il Signore decise di riportare in vita Gesù, ingiustamente ucciso, per i fedeli significa che Dio approvò le scelte di vita di Cristo.
Ossia l’aiuto ai poveri, la solidarietà, la fraternità e l’amore per gli altri, tanto da sacrificare la propria vita per questi ideali.
La datazione della Pasqua
Il Nuovo Testamento narra che Gesù fu crocifisso alla vigilia della Pasqua ebraica.
Nei primissimi tempi del cristianesimo, i cristiani di origine ebraica celebravano la Resurrezione di Cristo subito dopo la Pasqua ebraica, che veniva calcolata in base al calendario lunare babilonese e cadeva ogni anno in un diverso giorno.
I cristiani di origine pagana celebravano la Pasqua ogni domenica.
Nacquero così gravi controversie all’interno del mondo cristiano, che si risolsero nel 325 con il concilio di Nicea in cui si stabilì definitivamente che la Pasqua doveva essere celebrata da tutta la cristianità la prima domenica dopo la luna piena seguente l’equinozio di primavera. Inoltre nel 525 si stabilì che la data doveva trovarsi fra il 22 marzo e il 25 aprile.
La Pasqua ebraica
La Pasqua è una festa molto importante anche per gli ebrei. Probabilmente alle sue origini era una festa pastorale praticata dalle popolazioni nomadi del Vicino Oriente. Quando le tribù semite divennero più sedentarie si trasformò in una festa agricola, in cui si offrivano le primizie della mietitura dell’orzo, attraverso la cottura del pane azzimo.
Mosé diede un nuovo significato a questa festa, perchè la fece coincidere con la fuga del popolo ebraico dall’Egitto.
Nel capitolo 12 dell’Esodo, Mosè ordina ad ogni famiglia, prima di abbandonare l’Egitto, di immolare un capo di bestiame piccolo (agnello, pecora o capra) senza difetto, di un anno di età, e di bagnare col suo sangue gli stipiti e il frontone delle porte delle case. I membri delle famiglie consumarono il pasto in piedi, con il bastone in mano, pronti per la partenza, che avvenne in quella stessa notte, dopo che l’angelo di Dio passò per uccidere tutti i primogeniti egiziani, risparmiando i primogeniti ebrei le cui abitazioni erano segnate col sangue.
Nel corso dei secoli, il rituale della Pasqua, pur sottoposto a variazioni e a modifiche, rimase sostanzialmente sempre uguale e la festa è tuttora celebrata da tutti gli Ebrei con la massima solennità e per la durata di sette giorni.
Fu nel corso di una celebrazione pasquale che Gesù Cristo, secondo la narrazione evangelica, istituì il sacramento dell’eucarestia.
La celebrazione della Pasqua oggi
La Pasqua cristiana, come viene festeggiata in Italia, è preceduta da un periodo di penitenza: si tratta della Quaresima, che dura 40 giorni e va dal mercoledì delle Ceneri al Sabato Santo, cioè il sabato prima di Pasqua.

Durante la Settimana Santa nei paesi cattolici si svolgono diversi riti che rievocano la Passione di Cristo: si benedicono le case, si consuma l’agnello pasquale, si distribuiscono uova e dolci a forma di colomba.

Un rito molto diffuso in Spagna e in diverse città italiane è quello della “Processione del Cristo Morto”, che si svolge di solito il Venerdì Santo.
In molti paesi si effettuano due processioni in contemporanea: una con il Cristo morto, l’altra con la Vergine Addolorata.
Le processioni partono da due chiese diverse e si incontrano in un luogo preciso, in cui avviene ciò che viene chiamato “l’affrontata”, ossia l’incontro di Maria con il figlio defunto.
La Pasqua viene celebrata anche attraverso la cucina: ogni regione ha le proprie ricette, come la torta pasqualina ligure o la pastiera napoletana.

La Pasqua è una delle Feste cristiane per eccellenza, ma incorpora tradizioni precristiane legate alla primavera e alla fertilità.
Per i greci antichi, infatti, il mito del ritorno dal mondo sotterraneo alla luce del giorno di Persefone, figlia di Demetra, dea della terra, simboleggiava il rinascere della vita a primavera, dopo la desolazione dell’inverno.
I frigi credevano che la loro divinità principale si addormentasse all’arrivo dell’inverno e durante l’equinozio primaverile celebravano cerimonie con musiche e danze per risvegliarla.
Il nome “Pasqua”, deriva dal latino pascha e dall’ebraico pesah, per effettuare un esame etimologico della parola Pasqua, però, dobbiamo rifarci al termine inglese “Easter” che ci riporterebbe ad antichi culti legati al sopraggiungere della primavera e in particolare ad una antica divinità pagana, la Dea Eostre.
Questa antica Dea della mitologia nordica, viene menzionata per la prima volta dal Venerabile Bede

 (679-735) nel suo “De Temporum Ratione” dove è messa in relazione alla primavera e alla fertilità dei campi.

Infatti il nome sembrerebbe provenire da aus o aes e cioè Est, dunque è una divinità legata al sole nascente e al suo calore, del resto il tema dei fuochi e del ritorno dell’astro sarà un tema ricorrente nel proseguo delle tradizioni pasquali.
Il Grimm, noto studioso di mitologia nordica nel suo “Teutonic Mythology” descrive Eostre come una divinità pagana portatrice di fertilità e la collega alla luce dell’Est e in particolare all’equinozio di Primavera che veniva chiamato dai popoli celti “Eostur-Monath” e successivamente di “Ostara”.

Anche nel simbolismo della croce di Cristo si ritrovano elementi che rimandano a culti antichi: la croce, come simbolo, è in relazione col numero 4, che è il numero tradizionale dell’universo terreno, degli elementi, del quadrato, delle stagioni, dei fiumi del Paradiso, delle virtù cardinali, degli evangelisti. La croce rappresenta la doppia congiunzione di punti diametralmente opposti, è il simbolo dell’unità degli estremi , come cielo e terra, in essa si congiungono tempo e spazio, ancor prima di Cristo è il simbolo universale della mediazione.
Presso diverse tradizioni la croce viene paragonata “all’albero del mezzo”, come rappresentazione dell’asse del mondo, è la linea verticale a rappresentare quest’asse, essa è rappresentata dal tronco dell’albero, mentre i rami raffigurano l’asse orizzontale.
Secondo il simbolismo biblico è “l’albero della Vita” ad essere nel centro del giardino dell’Eden, insieme all’albero della Conoscenza del bene e del male.
Con la caduta, all’uomo viene impedito l’accesso al centro, cioè all’albero della Vita, l’uomo perde così il senso dell’eternità, ritornare al centro significa riacquistare il senso dell’eternità.
Sul Golgota, la croce di Cristo, ossia l’albero della Vita, è raffigurata fra le croci del ladrone buono e cattivo ossia l’albero del bene e del male, la dualità.
Si schiude come per incanto la spiegazione di un rituale creduto cristiano ma che affonda le sue radici nel paganesimo, i “sepolcri”, realizzati il Venerdì Santo per il Cristo con piante, spighe e fiori, sembrano veri “giardini” come quelli che venivano realizzati sulla tomba del dio morto.

Anche la simbologia dell’agnello o meglio del “capretto” sarebbe strettamente legata al culto arboreo nello stesso significato della lepre per la Dea Eostre: la capra infatti, errando nei boschi, rosicchia le cortecce degli alberi danneggiandoli notevolmente, ma solo al dio della vegetazione era permesso nutrirsi della pianta da esso personificata, e dunque lo stesso animale non può che essere sacro.
Come nel caso delle uova, l’uomo antico mangiando la carne dell’animale crede di acquistare e assorbire una parte di divinità, pertanto il cibarsi di animali sacri per il dio è un sacramento solenne come la celebrazione di Gesù, rappresentato da un Agnello che ancora oggi, in molte parti di Italia si consuma”…io sono l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo…”.
L’uovo, infatti, rappresenta la Pasqua nel mondo intero: c’è quello dipinto, intagliato, di cioccolato, di terracotta e di carta pesta, ma mentre le uova di cartone o di cioccolato sono di origine recente, quelle vere, colorate o dorate hanno un’origine radicata nel lontano passato.
Le uova, forse per la loro forma e sostanza molto particolare, hanno sempre rivestito un ruolo unico, come simbolo della vita in sé, ma anche del mistero, quasi della sacralità.
Già al tempo del paganesimo in alcune credenze, il Cielo e la Terra erano ritenuti due metà dello stesso uovo e le uova erano il simbolo del ritorno della vita, gli uccelli infatti si preparavano il nido: a quel punto tutti sapevano che l’inverno ed il freddo erano ormai passati.
I Greci, i Cinesi ed i Persiani se li scambiavano come dono per le feste Primaverili, così come nell’antico Egitto le uova decorate erano scambiate all’equinozio di primavera, data di inizio del “nuovo anno”, quando ancora l’anno si basava sulle le stagioni.

L’uovo era visto come simbolo di fertilità e quasi di magia, a causa dell’allora inspiegabile nascita di un essere vivente da un oggetto così particolare.
Le uova venivano pertanto considerate oggetti dai poteri speciali, ed erano interrate sotto le
fondamenta degli edifici per tenere lontano il male, portate in grembo dalle donne in stato interessante per scoprire il sesso del nascituro e le spose vi passavano sopra prima di entrare nella loro nuova casa.
Le uova, associate alla primavera per secoli, con l’avvento del Cristianesimo divennero simbolo della rinascita non della natura ma dell’uomo stesso, della resurrezione del Cristo: come un pulcino esce dell’uovo, oggetto a prima vista inerte, Cristo uscì vivo dalla sua tomba.
Nella simbologia, le uova colorate con colori brillanti rappresentano i colori della primavera e la luce del sole, quelle colorate di rosso scuro sono invece simbolo del sangue del Cristo.

L’usanza di donare uova decorate con elementi preziosi va molto indietro nel tempo e già nei libri contabili di Edoardo I di Inghilterra risulta segnata una spesa per 450 uova rivestite d’oro e decorate da donare come regalo di Pasqua.
Ma le uova più famose furono indubbiamente quelle di un maestro orafo, Peter Carl Fabergé, che nel 1883 ricevette dallo zar Alessandro, la commissione per la creazione di un dono speciale per la zarina Maria.
Il primo Fabergé fu un uovo di platino smaltato bianco che si apriva per rivelare un uovo d’oro che a sua volta conteneva un piccolo pulcino d’oro ed una miniatura della corona imperiale. Gli zar ne furono così entusiasti che ordinarono a Fabergé di preparare tutta una serie di uova da donare tutti gli anni.

L’uovo diventa così un potente talismano di fertilità e vita come testimoniato dalle usanze delle uova sacre Russe o Ucraine ove il cibarsi di questo alimento celebrerebbe la rinascita del sole e il ritorno delle stagioni dell’abbondanza.
Inoltre sappiamo che Pasqua può essere fino a tre settimane lontano dal Passover, letteralmente “passare oltre” riferendosi all’Angelo della morte che “passò oltre” le porte delle case che gli Ebrei avevano segnato col sangue.

Le nostre Bibbie traducono semplicemente “Pasqua”, perché la festa pagana è regolata sempre come la prima domenica dopo la prima luna piena dopo l’equinozio di primavera.

– See more at: http://apocalisselaica.net/varie/miti-misteri-e-poteri-occulti/origini-pagane-della-pasqua#sthash.rYj4Bd8A.dpuf

La Pasqua è una delle Feste cristiane per eccellenza, ma incorpora tradizioni precristiane legate alla primavera e alla fertilità.
Per i greci antichi, infatti, il mito del ritorno dal mondo sotterraneo alla luce del giorno di Persefone, figlia di Demetra, dea della terra, simboleggiava il rinascere della vita a primavera, dopo la desolazione dell’inverno.
I frigi credevano che la loro divinità principale si addormentasse all’arrivo dell’inverno e durante l’equinozio primaverile celebravano cerimonie con musiche e danze per risvegliarla.
Il nome “Pasqua”, deriva dal latino pascha e dall’ebraico pesah, per effettuare un esame etimologico della parola Pasqua, però, dobbiamo rifarci al termine inglese “Easter” che ci riporterebbe ad antichi culti legati al sopraggiungere della primavera e in particolare ad una antica divinità pagana, la Dea Eostre.
Questa antica Dea della mitologia nordica, viene menzionata per la prima volta dal Venerabile Bede

 (679-735) nel suo “De Temporum Ratione” dove è messa in relazione alla primavera e alla fertilità dei campi.

Infatti il nome sembrerebbe provenire da aus o aes e cioè Est, dunque è una divinità legata al sole nascente e al suo calore, del resto il tema dei fuochi e del ritorno dell’astro sarà un tema ricorrente nel proseguo delle tradizioni pasquali.
Il Grimm, noto studioso di mitologia nordica nel suo “Teutonic Mythology” descrive Eostre come una divinità pagana portatrice di fertilità e la collega alla luce dell’Est e in particolare all’equinozio di Primavera che veniva chiamato dai popoli celti “Eostur-Monath” e successivamente di “Ostara”.

Anche nel simbolismo della croce di Cristo si ritrovano elementi che rimandano a culti antichi: la croce, come simbolo, è in relazione col numero 4, che è il numero tradizionale dell’universo terreno, degli elementi, del quadrato, delle stagioni, dei fiumi del Paradiso, delle virtù cardinali, degli evangelisti. La croce rappresenta la doppia congiunzione di punti diametralmente opposti, è il simbolo dell’unità degli estremi , come cielo e terra, in essa si congiungono tempo e spazio, ancor prima di Cristo è il simbolo universale della mediazione.
Presso diverse tradizioni la croce viene paragonata “all’albero del mezzo”, come rappresentazione dell’asse del mondo, è la linea verticale a rappresentare quest’asse, essa è rappresentata dal tronco dell’albero, mentre i rami raffigurano l’asse orizzontale.
Secondo il simbolismo biblico è “l’albero della Vita” ad essere nel centro del giardino dell’Eden, insieme all’albero della Conoscenza del bene e del male.
Con la caduta, all’uomo viene impedito l’accesso al centro, cioè all’albero della Vita, l’uomo perde così il senso dell’eternità, ritornare al centro significa riacquistare il senso dell’eternità.
Sul Golgota, la croce di Cristo, ossia l’albero della Vita, è raffigurata fra le croci del ladrone buono e cattivo ossia l’albero del bene e del male, la dualità.
Si schiude come per incanto la spiegazione di un rituale creduto cristiano ma che affonda le sue radici nel paganesimo, i “sepolcri”, realizzati il Venerdì Santo per il Cristo con piante, spighe e fiori, sembrano veri “giardini” come quelli che venivano realizzati sulla tomba del dio morto.

Anche la simbologia dell’agnello o meglio del “capretto” sarebbe strettamente legata al culto arboreo nello stesso significato della lepre per la Dea Eostre: la capra infatti, errando nei boschi, rosicchia le cortecce degli alberi danneggiandoli notevolmente, ma solo al dio della vegetazione era permesso nutrirsi della pianta da esso personificata, e dunque lo stesso animale non può che essere sacro.
Come nel caso delle uova, l’uomo antico mangiando la carne dell’animale crede di acquistare e assorbire una parte di divinità, pertanto il cibarsi di animali sacri per il dio è un sacramento solenne come la celebrazione di Gesù, rappresentato da un Agnello che ancora oggi, in molte parti di Italia si consuma”…io sono l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo…”.
L’uovo, infatti, rappresenta la Pasqua nel mondo intero: c’è quello dipinto, intagliato, di cioccolato, di terracotta e di carta pesta, ma mentre le uova di cartone o di cioccolato sono di origine recente, quelle vere, colorate o dorate hanno un’origine radicata nel lontano passato.
Le uova, forse per la loro forma e sostanza molto particolare, hanno sempre rivestito un ruolo unico, come simbolo della vita in sé, ma anche del mistero, quasi della sacralità.
Già al tempo del paganesimo in alcune credenze, il Cielo e la Terra erano ritenuti due metà dello stesso uovo e le uova erano il simbolo del ritorno della vita, gli uccelli infatti si preparavano il nido: a quel punto tutti sapevano che l’inverno ed il freddo erano ormai passati.
I Greci, i Cinesi ed i Persiani se li scambiavano come dono per le feste Primaverili, così come nell’antico Egitto le uova decorate erano scambiate all’equinozio di primavera, data di inizio del “nuovo anno”, quando ancora l’anno si basava sulle le stagioni.

L’uovo era visto come simbolo di fertilità e quasi di magia, a causa dell’allora inspiegabile nascita di un essere vivente da un oggetto così particolare.
Le uova venivano pertanto considerate oggetti dai poteri speciali, ed erano interrate sotto le
fondamenta degli edifici per tenere lontano il male, portate in grembo dalle donne in stato interessante per scoprire il sesso del nascituro e le spose vi passavano sopra prima di entrare nella loro nuova casa.
Le uova, associate alla primavera per secoli, con l’avvento del Cristianesimo divennero simbolo della rinascita non della natura ma dell’uomo stesso, della resurrezione del Cristo: come un pulcino esce dell’uovo, oggetto a prima vista inerte, Cristo uscì vivo dalla sua tomba.
Nella simbologia, le uova colorate con colori brillanti rappresentano i colori della primavera e la luce del sole, quelle colorate di rosso scuro sono invece simbolo del sangue del Cristo.

L’usanza di donare uova decorate con elementi preziosi va molto indietro nel tempo e già nei libri contabili di Edoardo I di Inghilterra risulta segnata una spesa per 450 uova rivestite d’oro e decorate da donare come regalo di Pasqua.
Ma le uova più famose furono indubbiamente quelle di un maestro orafo, Peter Carl Fabergé, che nel 1883 ricevette dallo zar Alessandro, la commissione per la creazione di un dono speciale per la zarina Maria.
Il primo Fabergé fu un uovo di platino smaltato bianco che si apriva per rivelare un uovo d’oro che a sua volta conteneva un piccolo pulcino d’oro ed una miniatura della corona imperiale. Gli zar ne furono così entusiasti che ordinarono a Fabergé di preparare tutta una serie di uova da donare tutti gli anni.

L’uovo diventa così un potente talismano di fertilità e vita come testimoniato dalle usanze delle uova sacre Russe o Ucraine ove il cibarsi di questo alimento celebrerebbe la rinascita del sole e il ritorno delle stagioni dell’abbondanza.
Inoltre sappiamo che Pasqua può essere fino a tre settimane lontano dal Passover, letteralmente “passare oltre” riferendosi all’Angelo della morte che “passò oltre” le porte delle case che gli Ebrei avevano segnato col sangue.

Le nostre Bibbie traducono semplicemente “Pasqua”, perché la festa pagana è regolata sempre come la prima domenica dopo la prima luna piena dopo l’equinozio di primavera.

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La Pasqua è una delle Feste cristiane per eccellenza, ma incorpora tradizioni precristiane legate alla primavera e alla fertilità.
Per i greci antichi, infatti, il mito del ritorno dal mondo sotterraneo alla luce del giorno di Persefone, figlia di Demetra, dea della terra, simboleggiava il rinascere della vita a primavera, dopo la desolazione dell’inverno.
I frigi credevano che la loro divinità principale si addormentasse all’arrivo dell’inverno e durante l’equinozio primaverile celebravano cerimonie con musiche e danze per risvegliarla.
Il nome “Pasqua”, deriva dal latino pascha e dall’ebraico pesah, per effettuare un esame etimologico della parola Pasqua, però, dobbiamo rifarci al termine inglese “Easter” che ci riporterebbe ad antichi culti legati al sopraggiungere della primavera e in particolare ad una antica divinità pagana, la Dea Eostre.
Questa antica Dea della mitologia nordica, viene menzionata per la prima volta dal Venerabile Bede

 (679-735) nel suo “De Temporum Ratione” dove è messa in relazione alla primavera e alla fertilità dei campi.

Infatti il nome sembrerebbe provenire da aus o aes e cioè Est, dunque è una divinità legata al sole nascente e al suo calore, del resto il tema dei fuochi e del ritorno dell’astro sarà un tema ricorrente nel proseguo delle tradizioni pasquali.
Il Grimm, noto studioso di mitologia nordica nel suo “Teutonic Mythology” descrive Eostre come una divinità pagana portatrice di fertilità e la collega alla luce dell’Est e in particolare all’equinozio di Primavera che veniva chiamato dai popoli celti “Eostur-Monath” e successivamente di “Ostara”.

Anche nel simbolismo della croce di Cristo si ritrovano elementi che rimandano a culti antichi: la croce, come simbolo, è in relazione col numero 4, che è il numero tradizionale dell’universo terreno, degli elementi, del quadrato, delle stagioni, dei fiumi del Paradiso, delle virtù cardinali, degli evangelisti. La croce rappresenta la doppia congiunzione di punti diametralmente opposti, è il simbolo dell’unità degli estremi , come cielo e terra, in essa si congiungono tempo e spazio, ancor prima di Cristo è il simbolo universale della mediazione.
Presso diverse tradizioni la croce viene paragonata “all’albero del mezzo”, come rappresentazione dell’asse del mondo, è la linea verticale a rappresentare quest’asse, essa è rappresentata dal tronco dell’albero, mentre i rami raffigurano l’asse orizzontale.
Secondo il simbolismo biblico è “l’albero della Vita” ad essere nel centro del giardino dell’Eden, insieme all’albero della Conoscenza del bene e del male.
Con la caduta, all’uomo viene impedito l’accesso al centro, cioè all’albero della Vita, l’uomo perde così il senso dell’eternità, ritornare al centro significa riacquistare il senso dell’eternità.
Sul Golgota, la croce di Cristo, ossia l’albero della Vita, è raffigurata fra le croci del ladrone buono e cattivo ossia l’albero del bene e del male, la dualità.
Si schiude come per incanto la spiegazione di un rituale creduto cristiano ma che affonda le sue radici nel paganesimo, i “sepolcri”, realizzati il Venerdì Santo per il Cristo con piante, spighe e fiori, sembrano veri “giardini” come quelli che venivano realizzati sulla tomba del dio morto.

Anche la simbologia dell’agnello o meglio del “capretto” sarebbe strettamente legata al culto arboreo nello stesso significato della lepre per la Dea Eostre: la capra infatti, errando nei boschi, rosicchia le cortecce degli alberi danneggiandoli notevolmente, ma solo al dio della vegetazione era permesso nutrirsi della pianta da esso personificata, e dunque lo stesso animale non può che essere sacro.
Come nel caso delle uova, l’uomo antico mangiando la carne dell’animale crede di acquistare e assorbire una parte di divinità, pertanto il cibarsi di animali sacri per il dio è un sacramento solenne come la celebrazione di Gesù, rappresentato da un Agnello che ancora oggi, in molte parti di Italia si consuma”…io sono l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo…”.
L’uovo, infatti, rappresenta la Pasqua nel mondo intero: c’è quello dipinto, intagliato, di cioccolato, di terracotta e di carta pesta, ma mentre le uova di cartone o di cioccolato sono di origine recente, quelle vere, colorate o dorate hanno un’origine radicata nel lontano passato.
Le uova, forse per la loro forma e sostanza molto particolare, hanno sempre rivestito un ruolo unico, come simbolo della vita in sé, ma anche del mistero, quasi della sacralità.
Già al tempo del paganesimo in alcune credenze, il Cielo e la Terra erano ritenuti due metà dello stesso uovo e le uova erano il simbolo del ritorno della vita, gli uccelli infatti si preparavano il nido: a quel punto tutti sapevano che l’inverno ed il freddo erano ormai passati.
I Greci, i Cinesi ed i Persiani se li scambiavano come dono per le feste Primaverili, così come nell’antico Egitto le uova decorate erano scambiate all’equinozio di primavera, data di inizio del “nuovo anno”, quando ancora l’anno si basava sulle le stagioni.

L’uovo era visto come simbolo di fertilità e quasi di magia, a causa dell’allora inspiegabile nascita di un essere vivente da un oggetto così particolare.
Le uova venivano pertanto considerate oggetti dai poteri speciali, ed erano interrate sotto le
fondamenta degli edifici per tenere lontano il male, portate in grembo dalle donne in stato interessante per scoprire il sesso del nascituro e le spose vi passavano sopra prima di entrare nella loro nuova casa.
Le uova, associate alla primavera per secoli, con l’avvento del Cristianesimo divennero simbolo della rinascita non della natura ma dell’uomo stesso, della resurrezione del Cristo: come un pulcino esce dell’uovo, oggetto a prima vista inerte, Cristo uscì vivo dalla sua tomba.
Nella simbologia, le uova colorate con colori brillanti rappresentano i colori della primavera e la luce del sole, quelle colorate di rosso scuro sono invece simbolo del sangue del Cristo.

L’usanza di donare uova decorate con elementi preziosi va molto indietro nel tempo e già nei libri contabili di Edoardo I di Inghilterra risulta segnata una spesa per 450 uova rivestite d’oro e decorate da donare come regalo di Pasqua.
Ma le uova più famose furono indubbiamente quelle di un maestro orafo, Peter Carl Fabergé, che nel 1883 ricevette dallo zar Alessandro, la commissione per la creazione di un dono speciale per la zarina Maria.
Il primo Fabergé fu un uovo di platino smaltato bianco che si apriva per rivelare un uovo d’oro che a sua volta conteneva un piccolo pulcino d’oro ed una miniatura della corona imperiale. Gli zar ne furono così entusiasti che ordinarono a Fabergé di preparare tutta una serie di uova da donare tutti gli anni.

L’uovo diventa così un potente talismano di fertilità e vita come testimoniato dalle usanze delle uova sacre Russe o Ucraine ove il cibarsi di questo alimento celebrerebbe la rinascita del sole e il ritorno delle stagioni dell’abbondanza.
Inoltre sappiamo che Pasqua può essere fino a tre settimane lontano dal Passover, letteralmente “passare oltre” riferendosi all’Angelo della morte che “passò oltre” le porte delle case che gli Ebrei avevano segnato col sangue.

Le nostre Bibbie traducono semplicemente “Pasqua”, perché la festa pagana è regolata sempre come la prima domenica dopo la prima luna piena dopo l’equinozio di primavera.

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Pasqua: festa Pagana o Cristiana?

 

Fonte: http://aliceoltrelospecchio.blogspot.it/2010/04/pasqua-festa-pagana-o-cristiana.html

uova_di_pasqua[a sinistra tipiche uova di pasqua di cioccolata: antica reminiscenza di arcaiche tradizioni simboleggianti la rinascita della Natura e l’Uovo Cosmico]
Visto che il discorso sulle influenze pagane che si sono unite nei secoli al Cristianesimo sarebbe immenso, cercherò di concentrarmi solo su simboli e rituali precristiani presenti nella tradizione pasquale, evitando anche di andare a impelagarmi in scivolose questioni come l’esistenza storica di Gesù Cristo (in questo articolo per semplicità appoggerò l’ipotesi che per adesso mi sembra più plausibile: cioè quella di un’esistenza storica della figura del Cristo che è stata poi sia mitizzata che meticciata con influssi provenienti da svariate altre religioni e con modifiche arbitrarie decise dai vertici ecclesiastici nel corso dei secoli).
Premetto che talvolta userò per semplicità il termine “pagano” per riferirmi genericamente ai culti precristiani, anche se tale termine non mi è mai piaciuto visto che ha connotazioni negative dovute al fatto che fu coniato dai cristiani per definire tutte le religioni secondo loro errate e malefiche, cioè tutte le religioni non cristiane.
Quini quando si parla di paganesimo in senso storico (poi che in epoca odierna molti New Ages, Satanisti, neo-finto-druidi, neo-finto-streghe ecc si definiscano “pagani” è secondo me un aberrazione oltre che un errore grossolano di termini) si fa un calderone di culti estremamente variegati fra cui ad es culti sciamanici di vario tipo, culti animisti, riti misterici di vario tipo, religioni organizzate come quella egizia, quella greco-romana, quella babilonese ecc…
Gran parte delle festività dei riti e dei simboli cristiani sono stati presi a prestito dal paganesimo, semplicemente perchè quando una religione si espande e diventa religione di stato assorbe le influenze culturali e teologiche precedenti anche al fine di essere resa più accettabile per la popolazione.
La corruzione del cristianesimo primitivo avvenne soprattutto ad opera del Concilio di Costantino, che la dichiarò religione di stato dellì Impero Romano, ma moillti tratti appartenenti al Mitraismo, ai riti misterici egizi e greci ecc penetrarono probabilmente ancor prima e in particolare sembra che fu l’apostolo Paolo (ammesso che i vangeli “canonici” siano realmente stati scritti tutti dai veri apostoli e ammesso che gli apostoli siano esistiti nel modo in cui ci vengono descritti) a inserire nel Cristianesimo elementi del culto di Mitra.
Altre manipolazioni furono poi aggiunte ad ogni Concilio e ad ogni traduzione della Bibbia; per non parlare della diatriba presente soprattutto nei primi II-V secolo d.C. che vede un confronto diretto fra Gnostici e Cristiani in cui entrambe le fazioni si dichiarano le vere depositarie dell’autentica parola del Cristo e dichiarano l’avversario un culto Satanico (c’è da dire che lo Gnosticismo NON è un culto unitario ma un insieme estremamente variegato e cangiante di culti che vanno da posizioni moderate fino a posizioni estreme e inquietanti come gli Gnostici Luciferini Antinomisti; inoltre non tutti gli Gnostici sono dualisti e non tutti sono cristiani: forse l’unico dato che li accomuna è il considerare il mondo materiale assolutamente corrotto e da distruggere più che da salvare-migliorare. Personalmente nella diatriba fra Gnostici e Cristiani io penso che nessuna delle sue fazioni riporti gli insegnamenti del Cristianesimo Originale se non in minima parte).
Quindi ciò che adesso chiamiamo Cristianesimo è un qualcosa di molto molto distante da ciò che doveva essere originariamente 
Tornando alla Pasqua essa è per i Cristiani la festa della Resurrezione del Cristo, Crocifisso per lavare i peccati del Mondo e poi Risorto.
Riguardo alla data è interessante notare che essa si svolge sempre durante la domenica del primo plenilunio dopo l’Equinozio di Primavera. Gli Equinozi si hanno in primavera e in autunno il 21 del mese, e rappresentano i 2 giorni dell’anno in cui le ore di buio equivalgono esattamente alle ore di luce; sempre il 21 del mese ma in inverno ed estate abbiamo i solstizi: durante il solstizio d’inverno le religioni precristiane celebravano la vittoria della luce sule tenebre per via dell’allungarsi delle giornate (per questo ad es la festa romana del Sol Invictus era il 25 dicembre e per questo Mitra, simbolo del Sole, si dice che fosse nato lo stesso giorno..e per questo i Cristiani hanno arbitrariamente fissato la Nascita del Cristo il 25 dicembre nonostante nella Bibbia non ci sia menzione di questa data).
Con l’avvento dell’agricoltura per l’uomo fu di vitale importanza misurare lo scandire delle stagioni al fine di piantare le sementi nel periodo migliore: da qui naquero i culti che festeggiano Equinozi e Solstizi, e i misteri che venerano il ciclico risvegliarsi della Madre Terra (gran parte dei culti precristiani di popolazioni agricole associano le festività di rinascita primaverile della natura al concetto di Madre Terra o di una dea che ne fa le veci); per questo ad esempio i misteri Eleusini e quelli in onore di Demetra (ma gli esempi sono molto più numerosi e presenti in gran parte delle società agricole del passato) festeggiavano la metafora della Morte e Rinascita Iniziatica con il simbolo della spiga di grano: la spiga compie il suo ciclo vitale in estate per poi morire e il chicco di grano sotterrato nel grembo della Terra rinasce a primavera, Morte e Rinascita della natura insomma, quella stessa natura che in inverno pareva morta sotto la neve e a primavera rifiorisce rigogliosa ogni anno…
Da qui quale miglior giorno per festeggiare la Morte e Rinascita del Cristo?
Difatti appare evidente che la Crocifissione del Cristo con successiva Rinascita nel quale egli purifica NON se stesso (come faceva l’Iniziato agli antichi misteri pagani nei riti di Morte e Rinascita) ma il Mondo è assimilabile a livello archetipico-simbolico-esoterico alla morte e rinascita della Madre Terra e alla Morte e Rinascita dell’Iniziato agli antichi Misteri (ad es Eleusino o di Demetra ecc). Ciononostante c’è una nota nuova data dalla peculiarità della storia secondo la quale la morte e resurrezione di un uomo monda gli altri uomini dai peccati (concetto di peccato originale), mentre nelle antiche tradizioni si parlava genericamente o di Morte e Rinascita ciclica-annuale della Natura o, seguendone la metafora, di Morte e Rinascita Iniziativca di un singolo che moriva solo metaforicamente (anche se alcuni dei rituali dei riti misterici prevedevano tecniche capaci di provocare esperienze psichedeliche, esperienze estatiche, NDE, OBE ecc) per poi rinascere metaforicamente con una nuova profonda intuizione sulla vita propria e del cosmo (gli iniziati ai Misteri Eleusini, che probabilmente usavano prodotti derivati della segale cornuta dall’effetto psichedelico simile al moderno LSD, dichiaravano che dopo l’iniziazione non vi era più paura della morte esattamente come in alcune sperimentazioni con LSD su malati terminali di cancro essi dopo l’esperienza sembrano non temere più la morte e sopportare estremamente meglio la sofferenza anche dopo la fine dell’effetto del farmaco); è interessante rilevare che nei “Riti di Passaggio” (in cui il soggetto passa ad es dal ruolo di fanciullo a quello di adulto) e nei “Riti Iniziatici” (in cui il soggetto entra a far parte di un gruppo dotato di particolari conoscenze esoteriche, ruoli e regole) di tutte le culture, sia moderni che antichi, il concetto di Morte e Rinascita metaforica intesa come esperienza più o meno vivida di morte del “vecchio se/Ego” e rinascita di un nuovo se purificato è pressochè costante (esso è presente anche nella moderna Massoneria: nell’Iniziazione al III grado infatti si compie un vero e proprio rito di Morte e Rinascita anche se oramai molto stilizzato).
[a sinistra uova colorate di pasqua, simbolo di rinascita]
Sempre per questo motivo uno dei simboli Pasquali più comuni è l’uovo, primitivamnte di uccello o di gallina, magari decorato e oggi di cioccolata: l’uovo è un naturale simbolo di rinascita, inoltre presso molte culture simboleggia l’Uovo Cosmico che lo fa diventare simbolo di rinascita del mondo, concetto questo adattissimo a simboleggiare la rinascita primaverile di Madre Terra . Dall’uovo all’uovo con pulcino il passo è fin troppo breve.

[a destra un coniglio, altro simbolo di fertilità pasquale]

Riguardo ai conigli ho trovato varie dichiarazioni che li collegano come simboli di fertilità egizi (ancor oggi si usa dire “figliare come conigli” per via della loro incredibile prolificità) o come animali cari a divinità greche, babilonesi o nordiche. Inoltre il Coniglio Pasquale è comunque diventato comune solo in tempi relativamente recenti.

[a sinistra l’agnello, altro simbolo pasquale associato al sacrificio del Cristo]

L’agnello pasquale (che viene mangiato come pranzo tradizionale di Pasqua) invece proviene dalla cultura ebraica che usava sacrificare un agnello o un capretto durante la festa di Passover (che celebra la liberazione degli Ebrei dall’Egitto), e visto che i primi Cristiani erano in gran parte Ebrei convertiti è probabile che abbiano cominciato ad associare l’agnello sacrificale al sacrificio del Cristo “Agnello di Dio“; inoltre secondo la teoria di De Santillana (che ha fatto un lungo lavoro di decifrazione simbolica dei miti antichi delle varie culture secondo schemi comuni) le costellazioni delle varie ere precessionali si riscontrano nei simboli delle religioni di quelle epoche, e il Cristianesimo concluse l’era dell’Ariete (agnello) e cominciò l’era dei Pesci, per questo nei vangeli ci sarebbero numerosi riferimenti sia all’essere Buoni Pastori di anime/pecore/fedeli che ai pescatori di anime/pesci, e per questo il primitivo simbolo del Cristianesimo non era la Croce ma la Vescica Piscis.

[in basso a destra la “Vescica Piscis“, anticho simbolo del Cristianesimo]

Riguardo alla Croce non mi dilungherò  più di tanto visto che essa è un simbolo non propriamente pasquale e che una sua analisi richiederebbe come minimo un post a se stante: divenne simbolo del Cristianesimo solo dopo il Concilio di Costantino (325 d.C.) ed in generale si può dire che croci in varie fogge siano fra i simboli più presenti nelle varie religioni visto che archetipicamente ed esotericamente simbolizzano sia un collegamento fra cielo e terra e fra gli opposti che il moto del Sole e il moto precessionale che i punti cardinale ecc, mentre comunemente per i Cristiani simbolizzano la Passione del Cristo Crocifisso [trovo personalmente l’abitudine Cristiana ad usare come proprio simbolo una Croce/strumento di tortura-esecuzione con attaccato il proprio Dio-Messia moribondo, assolutamente assurda e ripugnante da ogni punto di vista ed esotericamente errata o peggio].
Da questo breve excursus si capisce come la Pasqua Cristiana sia in pratica una rivisitazione di antichi culti e simboli precristiani riciclati con un significato cristiano.
Con ciò non voglio offendere i lettori Cristiani ma solo invitarsi a riflettere insieme agli altri sulle origini dei simboli e delle tradizioni e su come esse si muovono lungo la storia, e su come molte tradizioni religiose abbiano poco a che fare con ciò che poteva essere in origine una religione.
I simboli i riti, i miti ecc sono da sempre passati lungo i secoli da una religione all’altra forse anche perchè almeno alcuni di essi sono legati agli archetipi umani; inoltre le religioni sono sempre state manipolate da chi ha potere per assoggettare i popoli; per questo credo che sia impoirtante non fermarsi ai dogmi di un credo o di un altro, ma studiarne la storia, la simbologia e le tradizioni confrontandoli anche con quelli di altre religioni, in modo da discernere gli insegnamenti corretti dai dogmi arbitrari stratificatisi lungo i secoli.
Spero inoltre di non essermi inimicata troppi lettori con questo articolo..

Il cervello che prova dolore

Scritto da: Eleonora Viganò
Fonte: http://oggiscienza.wordpress.com/2014/04/07/il-cervello-che-prova-dolore/

4480361923_229a1eb003_bAPPROFONDIMENTO – Il dolore ha a che fare con il nostro cervello e per questo chi se ne occupa e si prende in cura pazienti che soffrono di dolore cronico ha solitamente l’aspetto del neurologo, o dell’algologo, il medico specializzato nella terapia del dolore, sia acuto sia cronico. Abbiamo visto su OggiScienza le implicazioni farmacologiche e le terapie possibili (ne abbiamo parlato qui e qui), la necessità di creare una rete per diffondere la conoscenza di un problema e la sua possibile soluzione, a prescindere da una cultura che vede nel dolore una sorta di processo di fortificazione. Chiudiamo la panoramica chiedendo a Paolo Marchettini, responsabile del Centro di medicina del dolore all’interno della neurologia del San Raffaele di Milano di entrare un po’ nel nostro cervello, durante il dolore.

Qual è il meccanismo alla base del dolore cronico?

In natura il dolore origina dall’eccitazione di cellule nervose specializzate a percepire stimoli di elevata intensità. In alcuni casi particolari dopo una lesione grave queste cellule continuano a scaricare in modo autonomo. Una sorta di cambiamento rispetto al programma abituale: la cellula nervosa della via del dolore scarica ad alta frequenza, eccitando in modo permanente le cellule con cui è in contatto nel sistema nervoso centrale. In pratica il sistema nervoso della via della trasmissione del dolore risulta sempre attivato. In alcuni modelli sperimentali sono state isolate delle cellule nervose che dopo stimolazione ripetuta scaricavano anche a riposo, come se fossero diventate epilettiche. Questi fenomeni sono spesso responsabili di dolori persistenti (cronici.)

Qual è la differenza tra dolori?

La prima differenza riguarda il dolore cronico e quello acuto. La più ovvia definizione è temporale: il primo si protrae per più di 3-6 mesi, mentre il secondo è di durata limitata. In realtà il dolore cronico in molti casi è una condizione complessa che comporta un cambiamento nell’architettura e funzione del sistema nervoso. Il dolore cronico altera le attività di scarica dei neuroni, modificando quindi il sistema nervoso. Purtroppo non esiste ancora una completa conoscenza sui meccanismi di queste condizioni, che sono diversi e complicati, per questo non tutti sono d’accordo nel considerare sempre valida la teoria che tutti i dolori di lunga durata siano la conseguenza di modifiche nel sistema nervoso. Molti scienziati ritengono che la sede principale delle alterazioni nel sistema nervoso non sia il solo midollo spinale, ma la corteccia che elabora le emozioni, la parte psicologica. Il dolore creerebbe uno stato emotivo depressivo che altera umore e ciclo del sonno e alimenta il dolore stesso.

Quindi il dolore non è sempre uguale …

No, esistono diversi tipi di dolore, in relazione alle diverse cause che lo scatenano (neuropatici e non neuropatici o nocicettivi) e in relazione alla loro durata (acuti e cronici). Quando la lesione colpisce direttamente il sistema nervoso siamo di fronte al dolore neuropatico, questo significa che la lesione avviene a carico del sistema nervoso stesso e le scariche neuronali possono essere permanenti. Si tratta sempre di una lesione a livello di nervi periferici o del sistema nervoso centrale. Nel caso dell’artrosi, il dolore di lunga durata ha origine da ossa e articolazioni alterate che stimolano in modo del tutto naturale i nocirecettori, sensori periferici del dolore, senza intaccare il sistema nervoso. Permane per anni, ma compare ciclicamente e non è presente 24 ore su 24. Nel dolore cronico più grave si modifica invece il modo stesso in cui viene processato il dolore, con la produzione di nuove vie eccitatore. Nel dolore acuto invece, che spesso è conseguente a un trauma oppure a un’infiammazione, abbiamo una lesione all’esterno del sistema nervoso: questa innesca una cascata chimica che eccita le cellule nervose dedicate alla percezione del dolore, ma non ci sono cambiamenti a lungo termine.

Qual è il senso di questa eccitazione permanente?

Il dolore acuto ha lo scopo di proteggerci da tutto ciò che può danneggiarci: il dolore per una bruciatura, quello provato per tagli, ferite, urti. Il dolore cronico non ha questo scopo protettivo ma è una condizione che fa sì che il sistema nervoso manifesti la sua plasticità. La causa che ha generato il dolore passa o è eliminata, ma il sistema nervoso continua a produrre gli stessi segnali, esattamente come avviene per i ricordi, si è generata una memoria del dolore e lo si continua ad avvertire. Le modifiche nel sistema nervoso sono la conseguenza di un dolore acuto molto intenso e producono il suo perpetuarsi, ossia il dolore cronico.

Quindi come va trattato questo problema?

Modificando il modo in cui si comporta il sistema nervoso, per esempio trattando il paziente con antiepilettici e antidepressivi che sono farmaci che riducono le scariche dei neuroni o potenziano i sistemi inibitori. Contro l’iperattività del cervello utilizziamo gli stessi farmaci che curano problemi in apparenza di natura differente come epilessia, amnesia, depressione, ma accomunati da un cambiamento nella struttura del sistema nervoso lesionato. Si utilizzano farmaci che modificano quindi le scariche nervose. Nel dolore acuto invece le vie del sistema nervoso sono intatte e quindi la terapia deve essere diversa, si ricorre agli antinfiammatori, eventualmente anche agli oppioidi in particolari condizioni di gravità.

Sono farmaci che vanno assunti per tutta la vita?

Non sempre, in alcuni casi si riescono a ripristinare i circuiti neuronali grazie a trattamenti comunque lunghi e prolungati. Purtroppo si tratta di un evento raro, ma succede.

Il dolore non è uguale per tutti …

La soggettività del dolore è una leggenda metropolitana. Non esistono grandi differenze tra le persone nella soglia del dolore percepito, e anche meno considerando la soglia di attivazione dei recettori. Questa soglia critica può essere misurata con degli strumenti e noteremmo subito quanto siano simili tra individui diversi. Quello che varia è la capacità di sopportare il dolore. Lo stesso individuo nel corso della sua vita può avere momenti diversi in cui lo stesso stimolo non viene tollerato nella stessa misura. Questa capacità, che varia non solo tra individui, ma all’interno della vita di una sola persona, è influenzata dallo stato emotivo di quel momento, dalle motivazioni che ci spingono a sopportare, dal contesto e da ciò che stiamo vivendo, come in caso di interventi chirurgici che possiamo vivere con maggiore o minore coraggio se crediamo che ci possano guarire o se sono tappa del calvario di una grave malattia. Nel dolore cronico lo stress emotivo gioca quindi un ruolo fondamentale, che è molto meno evidente nel dolore acuto.

Crediti immagine: Britt-knee, Flickr

Sale Himalayano: tutta la verita’ sul sale rosa dell’Himalaya

Scritto da: Marta Albè
Fonte: http://www.greenme.it/

sale_himalayaIl sale rosa dell’Himalaya è ben diverso dal comune sale da cucina, che è costituito essenzialmente da cloruro di sodio. Il sale himalayano è puro, molto antico, privo di tossine e di sostanze inquinanti che possono contaminare le tipologie di sale che provengono da mari e oceani.

 

Il sale rosa sull’Himalaya è conosciuto anche come “oro bianco”. Si tratta infatti di una risorsa davvero preziosa. E’ ricchissimo di sali minerali, che invece sono del tutto assenti nel sale da cucina. Ne contiene più di 80, tra i quali troviamo soprattutto il ferro. Il caratteristico colore rosa è dovuto sia all’elevata presenza di tale minerale, sia al fatto che questa speciale varietà di sale non viene sottoposta ad alcun trattamento sbiancante.

Il sale rosa non è raffinato e non viene trattato con alcun procedimento chimico. Il sale Himalayano è incontaminato: quando viene estratto, risulta puro proprio come quando si era depositato nel suolo migliaia di anni prima. Il nostro intestino lo assorbe meno e il suo gusto tende a valorizzare il sapore dei cibi senza coprirlo.

Quali sono i benefici?

Innanzitutto, l’impiego di sale rosa dell’Himalaya, in sostituzione del comune sale da cucina, limita il rischio di ritenzione idrica e di ipertensione, poiché il suo contenuto di cloruro di sodio è decisamente ridotto. Vi sono poi numerosi benefici che possono derivare dall’uso alimentare del sale rosa dell’Himalaya:

1) Controllo dei livelli di acqua presenti nell’organismo e loro regolazione in modo da garantirne il corretto funzionamento.

2) Promuovere un equilibrio stabile del pH a livello delle cellule, cervello incluso.

3) Aiutare la riduzione dei comuni segni di invecchiamento.

4) Promuovere un miglioramento della capacità di assorbimento degli elementi nutritivi presenti nel cibo lungo l’intestino.

5) Supportare la respirazione e la circolazione.

6) Ridurre i crampi.

7) Accrescere la forza delle ossa.

8) Promuovere la salute dei reni rispetto all’uso del comune sale da cucina.

9) Favorire un sonno migliore e regolare.

10) Offrire un aiuto naturale in più dal punto di vista del desiderio sessuale.

Grecia: una politica UE che uccide

Fonte:http://www.movisol.org/14news086.htm

GreciaUeUccide11 aprile 2014 (MoviSol) – Le statistiche greche sono agghiaccianti. Dalla crisi finanziaria del 2008, seguita dai salvataggi bancari dell’Unione Europea con le sue dure condizioni e la distruzione del sistema sanitario, il tasso di mortalità ha subìto un’impennata verso l’alto.

Il numero dei decessi è aumentato di un enorme 5% soltanto dal 2011 al 2012, stando all’istituto di statistiche ellenico (ELSTAT). Consideriamo i dati dei decessi:

2008 – 107.979
2009 – 108.316
2010 – 109.084 (nel maggio 2010 fu sottoscritto il primo memorandum UE-FMI.)
2011 – 111.099
2012 – 116.668

Non c’è alcun dubbio che i dati del 2013 saranno superiori a quelli dell’anno precedente.

L’aumento è direttamente attribuibile al crollo del sistema sanitario dopo i tagli al bilancio. Le morti per neoplasie (tumori e cancri maligni) sono aumentate di quasi il 5% nel 2012, perché molti malati di cancro sono costretti a pagare di tasca propria i farmaci e gli interventi. Inoltre, c’è una grave carenza di farmaci perché il piano sanitario del governo non rimborsa le farmacie.

Anche i decessi per malattie respiratorie sono aumentati del 10% nel 2012. In parte perché la gente non può permettersi il combustibile per il riscaldamento, e brucia il legno, creando il peggior inquinamento nella storia della Grecia. Anche le morti dovute a “condizioni inspiegabili” sono aumentate drammaticamente da una media di 8.000 nel 2009 a 13.169 nel 2012.

Tra il 2008 ed il 2012 sono aumentati del 36% anche i suicidi, che riflettono la disperazione causata dal crollo nei livelli di vita.

Particolarmente allarmante è il nuovo rapporto dell’UNICEF, che rivela che un bambino su tre in Grecia è a rischio di povertà o espulsione sociale. “Le condizioni dei bambini sono deteriorate in Grecia negli ultimi anni”, scrive il rapporto, “a seguito dei tagli alla spesa sociale, della disoccupazione dei genitori, della povertà e dell’insufficiente accesso all’assistenza sanitaria”.

Dal censimento del 2011, il numero di bambini in Grecia è diminuito del 9%.

Launching of the Italian Edition of the Book ‘Cinque Secoli di Italiani a Hong Kong e Macao’

Scritto da: Angelo Paratico
Fonte: http://beyondthirtynine.com

 

351-264x264About 60 people attended and a speech, in Italian as it was right and proper, was delivered by the Consul General of Italy in Hong Kong and Macau, Dr. Alessandra Schiavo.

One of the guests standing close to me commented that as far as the cover of the book is concerned probably Caravaggio would have managed to create something better.  I explained to the young fellow that, yes, maybe it is true but the ‘baby’ had to be delivered in a hurry.

This book looks impressive and not only for its size. It contains several long contributions, including mine, which appeared to me unnaturally long. Later, at home, I discovered why: one page that should have been put only in the historical introduction was again reprinted into my poetic souvenirs. Never mind, I am sure that no one will notice. The opener is a short introduction written by the President of Italy, Giorgio Napolitano, 

I was not supposed to speak at the presentation but in order not to be finding wanting  – for a last minute call on stage –  I jotted down some loose sentences which I have by now thrown into the dustbin. I’ll repost them below, in order not to deprive posterity of my blurbs.

Buy this book in Hong Kong – not in Italy where the copyrights were given  to the editor, Brioschi –  because your money will ends up in two worthy no-profit organizations: the Societa’ Dante Alighieri and the Scuola Manzoni.

Cheers!

Dear Friends, Ladies and Gentlemen.

Thank you for being here tonight,

Thank you, Consul General Dr. Alessandra Schiavo,

Thank you,  cavaliere Stefano Bassanese of Domani, for your usual & exquisite hospitality.

Thank you to the Dante Alighieri Society and its president, Bruno Feltracco, Elisa and the other teachers who helped with the editing.

Personally I have always been a fan of history, especially local history and I have collected books connected with places where I have lived, photos, documents, whatever.  When Alessandra told me about this project, I felt thrilled and honored to be part of it.

Hong Kong and Macau are places where everything shifts like quicksand. Once we move out from here, our names are forgotten. Now, because of this book, all the people who have contributed will not fade away completely. I am  convinced that this book will set the record straight about our history, a thing which in the end will be good for our Country.

Alessandra’s idea, at the very beginning, was a sort of photographic album with individual contributions provided by members of the Italian community and later was expanded to the present form. But to tell you the full story of this book we should write another book, because this work has been like the delivery of a baby, a sort of never-ending Work in Progress. We had no previous experience on something like this and we had to tackle problems one by one, as they came.

The editing work took more time than we initially expected. To write is a simple craft, like producing shoes or garments: but the more you write the better you write. In a world where emails and twits are the norm, not all the people can write in a clear and proper manner. After receiving the first individual contributions we though about inserting two introductions: one secular, which I wrote,  and one for the clergy, written by Fr. Gianni Criveller. A turning point was the discovery of a list of Italian Consuls in Hong Kong that emerged from the archives of the Foreign Affair Ministry in Rome. No one has ever seen such list before because it has never been published. We discovered that the first Italian Consul General in Hong Kong, starting from 1861, was John Dent of the firm Dent and Company. If you remember the 1986 movie Taipan, there is a Tyler Brock, the fictional bad guy, who was actually a clever rendition of John Dent’s uncle Lancelot Dent, an opium merchant. In the film we could see him and Taipan fighting with steel hooks during a typhoon. We are Lucky to have Alessandra as Consul, apparently not a so fierce character when coming to a fight with grippling hooks  but certainly  not less determined in achieving her goals.

This book will be a reference for the future, a keystone, even if it is not complete and contains mistakes and omissions, for which I do apologize. For sure several names and situations have been left out but, at least, now there there is a base on which to build something more accurate.

With it, in a way, we have all achieved immortality together or, well, a sort of it…

Good night!

– See more at: http://beyondthirtynine.com/launching-of-the-italian-edition-of-the-book-cinque-secoli-di-italiani-a-hong-kong-and-macao/#sthash.NtijZ74X.dpuf

 

The Italian edition of this book was finally presented last night, the 14 of April, 2014 at Domani Restaurant, Hong Kong.

About 60 people attended and a speech, in Italian as it was right and proper, was delivered by the Consul General of Italy in Hong Kong and Macau, Dr. Alessandra Schiavo.

One of the guests standing close to me commented that as far as the cover of the book is concerned probably Caravaggio would have managed to create something better.  I explained to the young fellow that, yes, maybe it is true but the ‘baby’ had to be delivered in a hurry.

This book looks impressive and not only for its size. It contains several long contributions, including mine, which appeared to me unnaturally long. Later, at home, I discovered why: one page that should have been put only in the historical introduction was again reprinted into my poetic souvenirs. Never mind, I am sure that no one will notice. The opener is a short introduction written by the President of Italy, Giorgio Napolitano, 

I was not supposed to speak at the presentation but in order not to be finding wanting  – for a last minute call on stage –  I jotted down some loose sentences which I have by now thrown into the dustbin. I’ll repost them below, in order not to deprive posterity of my blurbs.

Buy this book in Hong Kong – not in Italy where the copyrights were given  to the editor, Brioschi –  because your money will ends up in two worthy no-profit organizations: the Societa’ Dante Alighieri and the Scuola Manzoni.

Cheers!

 

Dear Friends, Ladies and Gentlemen.

Thank you for being here tonight,

Thank you, Consul General Dr. Alessandra Schiavo,

Thank you,  cavaliere Stefano Bassanese of Domani, for your usual & exquisite hospitality.

Thank you to the Dante Alighieri Society and its president, Bruno Feltracco, Elisa and the other teachers who helped with the editing.

Personally I have always been a fan of history, especially local history and I have collected books connected with places where I have lived, photos, documents, whatever.  When Alessandra told me about this project, I felt thrilled and honored to be part of it.

Hong Kong and Macau are places where everything shifts like quicksand. Once we move out from here, our names are forgotten. Now, because of this book, all the people who have contributed will not fade away completely. I am  convinced that this book will set the record straight about our history, a thing which in the end will be good for our Country.

Alessandra’s idea, at the very beginning, was a sort of photographic album with individual contributions provided by members of the Italian community and later was expanded to the present form. But to tell you the full story of this book we should write another book, because this work has been like the delivery of a baby, a sort of never-ending Work in Progress. We had no previous experience on something like this and we had to tackle problems one by one, as they came.

The editing work took more time than we initially expected. To write is a simple craft, like producing shoes or garments: but the more you write the better you write. In a world where emails and twits are the norm, not all the people can write in a clear and proper manner. After receiving the first individual contributions we though about inserting two introductions: one secular, which I wrote,  and one for the clergy, written by Fr. Gianni Criveller. A turning point was the discovery of a list of Italian Consuls in Hong Kong that emerged from the archives of the Foreign Affair Ministry in Rome. No one has ever seen such list before because it has never been published. We discovered that the first Italian Consul General in Hong Kong, starting from 1861, was John Dent of the firm Dent and Company. If you remember the 1986 movie Taipan, there is a Tyler Brock, the fictional bad guy, who was actually a clever rendition of John Dent’s uncle Lancelot Dent, an opium merchant. In the film we could see him and Taipan fighting with steel hooks during a typhoon. We are Lucky to have Alessandra as Consul, apparently not a so fierce character when coming to a fight with grippling hooks  but certainly  not less determined in achieving her goals.

This book will be a reference for the future, a keystone, even if it is not complete and contains mistakes and omissions, for which I do apologize. For sure several names and situations have been left out but, at least, now there there is a base on which to build something more accurate.

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The Italian edition of this book was finally presented last night, the 14 of April, 2014 at Domani Restaurant, Hong Kong.

About 60 people attended and a speech, in Italian as it was right and proper, was delivered by the Consul General of Italy in Hong Kong and Macau, Dr. Alessandra Schiavo.

One of the guests standing close to me commented that as far as the cover of the book is concerned probably Caravaggio would have managed to create something better.  I explained to the young fellow that, yes, maybe it is true but the ‘baby’ had to be delivered in a hurry.

This book looks impressive and not only for its size. It contains several long contributions, including mine, which appeared to me unnaturally long. Later, at home, I discovered why: one page that should have been put only in the historical introduction was again reprinted into my poetic souvenirs. Never mind, I am sure that no one will notice. The opener is a short introduction written by the President of Italy, Giorgio Napolitano, 

I was not supposed to speak at the presentation but in order not to be finding wanting  – for a last minute call on stage –  I jotted down some loose sentences which I have by now thrown into the dustbin. I’ll repost them below, in order not to deprive posterity of my blurbs.

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Thank you to the Dante Alighieri Society and its president, Bruno Feltracco, Elisa and the other teachers who helped with the editing.

Personally I have always been a fan of history, especially local history and I have collected books connected with places where I have lived, photos, documents, whatever.  When Alessandra told me about this project, I felt thrilled and honored to be part of it.

Hong Kong and Macau are places where everything shifts like quicksand. Once we move out from here, our names are forgotten. Now, because of this book, all the people who have contributed will not fade away completely. I am  convinced that this book will set the record straight about our history, a thing which in the end will be good for our Country.

Alessandra’s idea, at the very beginning, was a sort of photographic album with individual contributions provided by members of the Italian community and later was expanded to the present form. But to tell you the full story of this book we should write another book, because this work has been like the delivery of a baby, a sort of never-ending Work in Progress. We had no previous experience on something like this and we had to tackle problems one by one, as they came.

The editing work took more time than we initially expected. To write is a simple craft, like producing shoes or garments: but the more you write the better you write. In a world where emails and twits are the norm, not all the people can write in a clear and proper manner. After receiving the first individual contributions we though about inserting two introductions: one secular, which I wrote,  and one for the clergy, written by Fr. Gianni Criveller. A turning point was the discovery of a list of Italian Consuls in Hong Kong that emerged from the archives of the Foreign Affair Ministry in Rome. No one has ever seen such list before because it has never been published. We discovered that the first Italian Consul General in Hong Kong, starting from 1861, was John Dent of the firm Dent and Company. If you remember the 1986 movie Taipan, there is a Tyler Brock, the fictional bad guy, who was actually a clever rendition of John Dent’s uncle Lancelot Dent, an opium merchant. In the film we could see him and Taipan fighting with steel hooks during a typhoon. We are Lucky to have Alessandra as Consul, apparently not a so fierce character when coming to a fight with grippling hooks  but certainly  not less determined in achieving her goals.

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With it, in a way, we have all achieved immortality together or, well, a sort of it…

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About 60 people attended and a speech, in Italian as it was right and proper, was delivered by the Consul General of Italy in Hong Kong and Macau, Dr. Alessandra Schiavo.

One of the guests standing close to me commented that as far as the cover of the book is concerned probably Caravaggio would have managed to create something better.  I explained to the young fellow that, yes, maybe it is true but the ‘baby’ had to be delivered in a hurry.

This book looks impressive and not only for its size. It contains several long contributions, including mine, which appeared to me unnaturally long. Later, at home, I discovered why: one page that should have been put only in the historical introduction was again reprinted into my poetic souvenirs. Never mind, I am sure that no one will notice. The opener is a short introduction written by the President of Italy, Giorgio Napolitano, 

I was not supposed to speak at the presentation but in order not to be finding wanting  – for a last minute call on stage –  I jotted down some loose sentences which I have by now thrown into the dustbin. I’ll repost them below, in order not to deprive posterity of my blurbs.

Buy this book in Hong Kong – not in Italy where the copyrights were given  to the editor, Brioschi –  because your money will ends up in two worthy no-profit organizations: the Societa’ Dante Alighieri and the Scuola Manzoni.

Cheers!

 

Dear Friends, Ladies and Gentlemen.

Thank you for being here tonight,

Thank you, Consul General Dr. Alessandra Schiavo,

Thank you,  cavaliere Stefano Bassanese of Domani, for your usual & exquisite hospitality.

Thank you to the Dante Alighieri Society and its president, Bruno Feltracco, Elisa and the other teachers who helped with the editing.

Personally I have always been a fan of history, especially local history and I have collected books connected with places where I have lived, photos, documents, whatever.  When Alessandra told me about this project, I felt thrilled and honored to be part of it.

Hong Kong and Macau are places where everything shifts like quicksand. Once we move out from here, our names are forgotten. Now, because of this book, all the people who have contributed will not fade away completely. I am  convinced that this book will set the record straight about our history, a thing which in the end will be good for our Country.

Alessandra’s idea, at the very beginning, was a sort of photographic album with individual contributions provided by members of the Italian community and later was expanded to the present form. But to tell you the full story of this book we should write another book, because this work has been like the delivery of a baby, a sort of never-ending Work in Progress. We had no previous experience on something like this and we had to tackle problems one by one, as they came.

The editing work took more time than we initially expected. To write is a simple craft, like producing shoes or garments: but the more you write the better you write. In a world where emails and twits are the norm, not all the people can write in a clear and proper manner. After receiving the first individual contributions we though about inserting two introductions: one secular, which I wrote,  and one for the clergy, written by Fr. Gianni Criveller. A turning point was the discovery of a list of Italian Consuls in Hong Kong that emerged from the archives of the Foreign Affair Ministry in Rome. No one has ever seen such list before because it has never been published. We discovered that the first Italian Consul General in Hong Kong, starting from 1861, was John Dent of the firm Dent and Company. If you remember the 1986 movie Taipan, there is a Tyler Brock, the fictional bad guy, who was actually a clever rendition of John Dent’s uncle Lancelot Dent, an opium merchant. In the film we could see him and Taipan fighting with steel hooks during a typhoon. We are Lucky to have Alessandra as Consul, apparently not a so fierce character when coming to a fight with grippling hooks  but certainly  not less determined in achieving her goals.

This book will be a reference for the future, a keystone, even if it is not complete and contains mistakes and omissions, for which I do apologize. For sure several names and situations have been left out but, at least, now there there is a base on which to build something more accurate.

With it, in a way, we have all achieved immortality together or, well, a sort of it…

Good night!

– See more at: http://beyondthirtynine.com/launching-of-the-italian-edition-of-the-book-cinque-secoli-di-italiani-a-hong-kong-and-macao/#sthash.NtijZ74X.dpuf

The Italian edition of this book was finally presented last night, the 14 of April, 2014 at Domani Restaurant, Hong Kong.

About 60 people attended and a speech, in Italian as it was right and proper, was delivered by the Consul General of Italy in Hong Kong and Macau, Dr. Alessandra Schiavo.

One of the guests standing close to me commented that as far as the cover of the book is concerned probably Caravaggio would have managed to create something better.  I explained to the young fellow that, yes, maybe it is true but the ‘baby’ had to be delivered in a hurry.

This book looks impressive and not only for its size. It contains several long contributions, including mine, which appeared to me unnaturally long. Later, at home, I discovered why: one page that should have been put only in the historical introduction was again reprinted into my poetic souvenirs. Never mind, I am sure that no one will notice. The opener is a short introduction written by the President of Italy, Giorgio Napolitano, 

I was not supposed to speak at the presentation but in order not to be finding wanting  – for a last minute call on stage –  I jotted down some loose sentences which I have by now thrown into the dustbin. I’ll repost them below, in order not to deprive posterity of my blurbs.

Buy this book in Hong Kong – not in Italy where the copyrights were given  to the editor, Brioschi –  because your money will ends up in two worthy no-profit organizations: the Societa’ Dante Alighieri and the Scuola Manzoni.

Cheers!

 

Dear Friends, Ladies and Gentlemen.

Thank you for being here tonight,

Thank you, Consul General Dr. Alessandra Schiavo,

Thank you,  cavaliere Stefano Bassanese of Domani, for your usual & exquisite hospitality.

Thank you to the Dante Alighieri Society and its president, Bruno Feltracco, Elisa and the other teachers who helped with the editing.

Personally I have always been a fan of history, especially local history and I have collected books connected with places where I have lived, photos, documents, whatever.  When Alessandra told me about this project, I felt thrilled and honored to be part of it.

Hong Kong and Macau are places where everything shifts like quicksand. Once we move out from here, our names are forgotten. Now, because of this book, all the people who have contributed will not fade away completely. I am  convinced that this book will set the record straight about our history, a thing which in the end will be good for our Country.

Alessandra’s idea, at the very beginning, was a sort of photographic album with individual contributions provided by members of the Italian community and later was expanded to the present form. But to tell you the full story of this book we should write another book, because this work has been like the delivery of a baby, a sort of never-ending Work in Progress. We had no previous experience on something like this and we had to tackle problems one by one, as they came.

The editing work took more time than we initially expected. To write is a simple craft, like producing shoes or garments: but the more you write the better you write. In a world where emails and twits are the norm, not all the people can write in a clear and proper manner. After receiving the first individual contributions we though about inserting two introductions: one secular, which I wrote,  and one for the clergy, written by Fr. Gianni Criveller. A turning point was the discovery of a list of Italian Consuls in Hong Kong that emerged from the archives of the Foreign Affair Ministry in Rome. No one has ever seen such list before because it has never been published. We discovered that the first Italian Consul General in Hong Kong, starting from 1861, was John Dent of the firm Dent and Company. If you remember the 1986 movie Taipan, there is a Tyler Brock, the fictional bad guy, who was actually a clever rendition of John Dent’s uncle Lancelot Dent, an opium merchant. In the film we could see him and Taipan fighting with steel hooks during a typhoon. We are Lucky to have Alessandra as Consul, apparently not a so fierce character when coming to a fight with grippling hooks  but certainly  not less determined in achieving her goals.

This book will be a reference for the future, a keystone, even if it is not complete and contains mistakes and omissions, for which I do apologize. For sure several names and situations have been left out but, at least, now there there is a base on which to build something more accurate.

With it, in a way, we have all achieved immortality together or, well, a sort of it…

Good night!

– See more at: http://beyondthirtynine.com/launching-of-the-italian-edition-of-the-book-cinque-secoli-di-italiani-a-hong-kong-and-macao/#sthash.NtijZ74X.dpuf

Il disordine è essenzialmente conflitto – J. Krishnamurti

Fonte: http://www.meditare.info/wordpress/spiritualita/il-disordine-e-essenzialmente-conflitto-j-krishnamurti/

dreamstimemaximum_5692869Politicamente, legalmente e socialmente, noi cerchiamo di portare ordine nel mondo esteriore in cui viviamo, ma interiormente siamo confusi, insicuri, ansiosi e in conflitto. Senza ordine interiore ci sarà sempre pericolo per la vita umana. Che cosa intendiamo per ordine?

L’universo, in senso assoluto, non conosce disordine. La natura, per quanto terrificante possa sembrare all’uomo, è sempre in ordine. La natura diventa disordinata solo quando gli esseri umani interferiscono con essa ed è soltanto l’uomo che, fin dall’inizio dei tempi, sembra essere in costante conflitto. L’universo ha il suo movimento del tempo. Solo quando l’uomo mette in ordine la sua vita si rende conto dell’ordine eterno. Perché l’uomo ha accettato e tollerato il disordine? Perché tutto quello che tocca si guasta, si corrompe e diventa confuso? Perché l’uomo si è staccato dall’ordine della natura, delle nuvole, dei venti, degli animali e dei fiumi? Dobbiamo imparare che cosa sono il disordine e l’ordine. Il disordine è essenzialmente conflitto, contraddizione dentro di sé e divisione fra il divenire e l’essere.

Hutu contro Tutsi: le radici del conflitto in Ruanda

Scritto da: Angelo Milanese
Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/hutu-contro-tutsi-le-radici-del-conflitto-in-ruanda/60258

In occasione del ventennale del genocidio in Ruanda, che ha provocato più di 500 mila morti tra aprile e luglio 1994, pubblichiamo un estratto di un articolo tratto da Limes 3/97 “Africa!

[Dettaglio dalla carta Le indipendenze africane, carta di Laura Canali da Limes 3/2010]

La profonda crisi che ha funestato negli ultimi quattro anni l’area africana dei Grandi Laghi ha aggiunto al lessico giornalistico alcuni vocaboli fino a poco tempo fa quasi sconosciuti.

 

È questo il caso di due parole, «hutu» e «tutsi», con le quali normalmente si indicano i due gruppi etnici che costituiscono la quasi totalità della popolazione del Ruanda e del Burundi. 

 

Gli hutu rappresentano circa l’85% della popolazione, i tutsi solo il 14% (1). Questi dati, se letti superficialmente, sembrano sufficienti a riassumere la radice di un conflitto i cui tragici risultati sono passati sugli schermi televisivi di tutto il mondo in occasione del terribile genocidio ruandese. In verità più ci si addentra nell’intricato quadro etnico e politico della regione dei Grandi Laghi, più qualsiasi semplificazione appare inadeguata e strumentale. 

 

Come è stato giustamente osservato «i conflitti in Africa sono spesso presentati come guerre tra una tribù che domina il governo e un’altra che se ne sente esclusa. In realtà, in Africa come altrove, i conflitti sono complessi e possono risultare anche incomprensibili per i non-iniziati» (2).  Per mettere a fuoco la situazione dei due paesi che sono al centro del problema etnico hutu-tutsi, cioè Ruanda e Burundi, è necessario scorrere velocemente le loro vicende, poiché l’attuale conflitto non può essere capito se non mettendo in luce le tensioni e i problemi irrisolti che hanno accompagnato la storia di questi due paesi africani. 

 

Uno dei paradossi della crisi interna di Ruanda e Burundi è che essi, come pochi altri paesi in Africa, esistono come agglomerati etnico-politici da almeno tre- quattro secoli. Hutu e tutsi non si sono trovati a vivere insieme casualmente, ingabbiati dalle frontiere artificiali decise alla Conferenza di Berlino del 1885: vivevano già insieme in società feudali dalla struttura sofisticata osservate con una certa sorpresa dai primi visitatori europei giunti nella regione.

 

 

Chi scrive la storia?

 

La storia del Ruanda e del Burundi (o Urundi, come veniva chiamato fino al 1962) prima dell’arrivo delle spedizioni europee è quella di due regni feudali dalla struttura simile ma con importanti differenze, consolidatisi con un lungo processo.
In Ruanda, a partire dal XVI secolo, si era costituito un regno dalla struttura molto centralizzata, basato su una rigida divisione di ruoli tra gli allevatori-guerrieri tutsi e i coltivatori hutu. Una terza etnia, i pigmei twa, estremamente minoritaria, era relegata in una posizione di grande marginalità. Il sovrano era un tutsi ed esercitava un potere effettivo su una classe di capi, anche loro della stessa etnia. 

 

Lingua, religione, tradizioni erano le stesse per gli hutu come per i tutsi. Senza grandi centri abitati, il Ruanda era un paese di agricoltori e allevatori, in cui l’unità amministrativa era la collina, non il villaggio. Il Nord era particolare: governato dagli hutu, per lungo tempo non volle sottomettersi alla struttura feudale del resto del paese, e ha sempre conservato un senso forte della propria diversità. Il Burundi, pur essendo simile al Ruanda per composizione della popolazione e divisione dei ruoli tra hutu e tutsi, presenta però alcune anomalie. Innanzi tutto la sua struttura feudale si caratterizzava per l’esistenza di una classe nobile ritenuta «neutra», cioè né hutu né tutsi, i cosiddetti ganwa, che si mostravano assai riluttanti a concedere un ruolo preponderante al sovrano. Il regno dell’Urundi, formatosi a partire dal XVII secolo, non ha mai raggiunto il livello di centralizzazione ruandese, ed è rimasto fino alla fine un insieme di principati locali restii ad accettare l’intromissione del sovrano nelle loro vicende e orgogliosi della propria autonomia. La divisione dei ruoli sociali in Burundi è sempre stata abbastanza aperta al cambiamento, con la possibilità, per un hutu di rilievo, di essere ammesso a far parte dell’aristocrazia ricoprendo posti di responsabilità. Frequenti erano anche i matrimoni misti.

 

I regni del Ruanda e dell’Urundi caddero, dopo la Conferenza di Berlino, sotto la sfera di influenza tedesca, con conseguenti spedizioni e tentativi di penetrazione. I risultati furono estremamente diversi per i due regni. In Ruanda il sovrano scelse, alla fine, di collaborare ufficialmente con i colonizzatori, anche se si sviluppava una sotterranea resistenza passiva mascherata dietro un’apparente sottomissione. In Burundi vi fu, invece, una lunga serie di scontri e violenze a cui gli occupanti tedeschi risposero con campagne militari estremamente dure. Caduti in mano belga durante la prima guerra mondiale, Ruanda e Urundi saranno poi affidati al Belgio stesso con un mandato della Società delle Nazioni. 

 

La stagione del colonialismo belga è quella che più ha influenzato i successivi sviluppi politici del Ruanda e del Burundi. Inizialmente i belgi non sembrarono molto interessati allo sviluppo di questi due piccoli regni, assorbiti come erano dall’amministrazione e dallo sfruttamento dell’enorme territorio congolese. Gli amministratori ritennero comunque utile mantenere la struttura politica esistente nei due paesi, in una versione tutta particolare dell’indirect rule britannico. I belgi infatti non delegarono mai fino in fondo una parte del governo locale ai capi tradizionali: ogni provvedimento di questi ultimi doveva essere ratificato dall’amministrazione coloniale. L’aristocrazia locale tutsi poté comunque godere di un appoggio notevole per accrescere il proprio peso economico e politico, essendo stata scelta come perfetta alleata della struttura coloniale. I belgi iniziarono a studiare le due etnie da un punto di vista etnico-razziale, sulla scia delle concezioni scientifiche dell’epoca. Questi studi e teorie avranno, in seguito, un’enorme influenza sulle categorie mentali e politiche degli hutu e dei tutsi. 

 

Si fece largo l’idea che i tutsi fossero una popolazione con una distinta origine razziale dagli hutu: questi ultimi vennero definiti di gruppo bantu, mentre i tutsi, agli occhi degli studiosi del tempo, erano di origine ben diversa. Si elaborò la teoria, da alcuni definita mitica (3), dell’origine hamitica dei tutsi, secondo la quale questi sarebbero giunti in Ruanda e Burundi discendendo con le loro mandrie il corso del Nilo, probabilmente dall’Etiopia, e sottomettendo al loro arrivo le popolazioni hutu di agricoltori. L’impossibilità di stabilire caratteristiche somatiche chiaramente distinte tra hutu e tutsi fu attribuita alla difficoltà di trovare elementi tutsi «non mescolati». Queste ipotesi, quantomeno arbitrarie, vennero avallate da numerosi studiosi, che si affannarono a provare la «diversità» dei tutsi, sia razziale che culturale e comportamentale. I tutsi sono sempre più visti come «falsi negri» (4). I tutsi sono quindi descritti dai colonizzatori come i capi naturali, con un grande talento politico, abili nel nascondere il proprio pensiero, alteri, con un’educazione tesa all’acquisizione di un grande autocontrollo dei sentimenti. Viceversa gli hutu vengono dipinti come una popolazione naturalmente destinata a restare subordinata, agricoltori senza grandi ambizioni, sinceri e spontanei in modo infantile e facili al riso e alle esplosioni incontrollate. I pigmei twa, piccola minoranza, sono i più disprezzati (5).

 

 

La “rivoluzione sociale ruandese”: l’indipendenza parte male

 

La crescita dei movimenti africani indipendentisti rimette in discussione gli equilibri e le alleanze nella regione. La classe dirigente tutsi che, seppure con dei limiti, aveva avuto accesso all’istruzione, partecipa al fermento politico delle élite africane del tempo, e inizia a rivendicare il diritto all’autodeterminazione. Le dinamiche che si mettono in atto sono alla radice di gran parte dei drammi attuali dei due paesi. Un elemento chiave della situazione del Ruanda-Urundi è intanto mutato. Dopo la seconda guerra mondiale molti missionari cattolici giungono nei due paesi per promuovere un’opera di educazione rivolta a quella grande maggioranza della popolazione che fino ad ora ne è rimasta ai margini. Il primo slancio di evangelizzazione, infatti, aveva toccato prevalentemente i capi tradizionali tutsi, che compresero molto in fretta il valore e l’importanza dell’istruzione che potevano ricevere. Ora i missionari cattolici sono sempre più a contatto con i contadini hutu, e si sentono partecipi della loro situazione di esclusi e discriminati – anche dall’amministrazione coloniale – all’interno del loro paese. È possibile che a ciò si sia aggiunto anche qualche meccanismo di identificazione da parte del clero belga, davanti a una situazione che poteva ricordare le secolari contrapposizioni di casa propria, tra fiamminghi e valloni (6). Anche qui però ogni paese segue un suo itinerario: in Ruanda l’impegno politico della Chiesa cattolica è molto più marcato che in Burundi, tanto che alcuni centri diocesani diventano veri e propri cenacoli del nascente fermento politico degli hutu, favorendo contatti con gli ambienti democristiani belgi.

 

Dal 1959 fino all’indipendenza, il Ruanda vive uno dei periodi più travagliati della sua storia, la cosiddetta «rivoluzione sociale», durante la quale gran parte dei tutsi è costretta all’esilio o uccisa negli scontri etnici che insanguinano il paese. La rivolta degli hutu assume inizialmente i caratteri di una vera e propria jacquerie contadina: si attaccano alcuni dei più odiati feudatari tutsi, ma lo si fa in nome del «re buono» tutsi, senza rimettere in discussione la struttura monarchica della società (7). In un secondo tempo la situazione si complica: gruppi di tutsi organizzano azioni armate di disturbo, nel tentativo di reagire e conquistare uno spazio contro l’aperta ostilità dell’amministrazione belga. Al quadro si deve aggiungere la grande perplessità degli osservatori delle Nazioni Unite davanti alla fretta sospetta con la quale i belgi organizzano le prime elezioni democratiche e il referendum sulla forma istituzionale dello Stato, in un clima certo non adatto a serene campagne elettorali. Il risultato finale è la schiacciante vittoria del Parmehutu, la decadenza della monarchia con l’esilio del re e crescenti incursioni di gruppi armati di tutsi partire dal Burundi e dalla Tanzania. Nasce la cosiddetta diaspora tutsi, in Uganda, Tanzania, Zaire (dove alcuni si uniranno all’allora giovane Kabila – attuale presidente della Repubblica democratica del Congo – e al suo movimento di guerriglia anti-imperialista) (8). Per molti anni incursioni armate tutsi, a partire dai paesi vicini, provocano le violente reazioni degli hutu sui tutsi rimasti ancora in Ruanda, con decine di migliaia di vittime. Durante uno dei tanti raid hutu, un bambino tutsi di quattro anni è costretto a scappare con la sua famiglia: il nome di quel bambino è Paul Kagame, oggi vicepresidente e uomo forte del Ruanda, tornato nel suo paese dopo 33 anni (9). 

 

La «rivoluzione sociale» ruandese ha un’influenza estremamente negativa in Burundi. Fino alla soglia dell’indipendenza, infatti, il quadro politico burundese è meglio impostato. Sotto la guida di un illuminato principe tutsi, Louis Rwagasore, nasce il partito Uprona (Unione per il progresso nazionale), che raccoglie esponenti politici di tutte le etnie, in nome di un patriottismo anticolonialista. Nascono importanti legami con il partito Tanu di Mwalimu Nyerere, in Tanzania, che sostiene i primi passi del neonato movimento politico burundese. L’amministrazione belga anche qui si mostra preoccupata di trovare delle formule politiche che possano garantire una continuità nei rapporti economici e politici con l’ex potenza coloniale, e di conseguenza non nasconde il suo fastidio per il messaggio indipendentista dell’Uprona. I tentativi belgi di fare sentire la propria influenza contribuiscono a fare crescere nel partito Uprona un clima di sospetto tra hutu e tutsi. L’appoggio belga agli hutu ruandesi durante la rivoluzione sociale suscita nei tutsi burundesi il dubbio di una loro esclusione con il pieno appoggio hutu. A fare precipitare le cose è l’assassinio di Ruagasore, il 13 ottobre 1961; si crea un vuoto che scatena contrasti fortissimi tra gli hutu e i tutsi membri dell’Uprona. Pochi mesi dopo Ruanda e Burundi raggiungono l’indipendenza, il 1° luglio 1962.

 

Molte nuvole sono all’orizzonte. In Burundi, nel 1965, dopo crescenti contrasti interni, un gruppo di leader hutu tenta un colpo di Stato: è la fine del confronto politico e l’inizio dello scontro armato. Vengono arrestati e condannati alla pena capitale tutti i dirigenti hutu più popolari, tra cui molti membri fondatori dell’Uprona. Il Burundi scivola così verso lo scontro etnico. In Ruanda è già in corso una vera e propria guerra civile, che provoca la scomparsa quasi totale dei leader tutsi in contrasto con gli elementi più estremisti della loro etnia e contrari alla lotta armata. Esposti alle rappresaglie degli hutu, molti intellettuali e dirigenti del partito Unar vengono uccisi. Presidente del Ruanda diviene Grégoire Kaybanda, ideologo storico del Parmehutu. Il Ruanda, appoggiato dal Belgio, cerca di dimenticare l’esistenza di circa 150 mila propri cittadini costretti a vivere da profughi nelle nazioni vicine. L’illusione che l’espulsione di una parte dei tutsi abbia risolto tutti i problemi del paese è però estremamente fragile, se non altro perché resta la paura di un loro ritorno. Kaybanda viene riconfermato presidente fino al 1973. Durante il suo mandato fiorisce la cooperazione con il Belgio e si manifesta un certo sviluppo delle aree rurali del paese […].

 

 

Il Ruanda dalla guerra civile al genocidio del 1994

 

In Ruanda gli anni Novanta iniziano con la comparsa di un nuovo attore sulla scena: il Fronte patriottico ruandese (Fpr), un’organizzazione armata prevalentemente formata da tutsi esuli, la cui ossatura è costituita da ex combattenti del National Resistence Army di Yoweri Kaguta Museveni, l’attuale presidente dell’Uganda. Durante la guerra di liberazione molti ruandesi si erano infatti uniti al movimento armato di Museveni: alcuni di loro ne diventano membri influenti, come l’attuale vicepresidente ruandese, Paul Kagame. È a partire proprio dall’Uganda, nell’ottobre del 1993, che iniziano le incursioni dell’Fpr, che in una prima fase trova grandi difficoltà a penetrare nel paese (10). Nel giugno 1990, durante il summit dei paesi francofoni svoltosi a la Baule, il presidente Mitterrand aveva dichiarato la sua intenzione di condizionare gli aiuti economici francesi all’accettazione del pluralismo democratico da parte dei paesi partner. Il presidente ruandese Habyarimana, che considera economicamente fondamentale l’aiuto francese, permette la creazione di altri partiti, richiedendo contemporaneamente però il sostegno militare francese e zairese per fronteggiare l’Fpr. Il partito di Habyarimana, lo Mrnd (Mouvement révolutionnaire national pour le développement), non più difeso dalla censura, vive molte difficoltà per le accuse di regionalismo e di favoritismo avanzate dai membri dei nuovi partiti politici ruandesi; dopo diciassette anni il regime sembra traballare. È qui che i quadri dirigenti dello Mrnd, Habyarimana in testa, scelgono di utilizzare ogni mezzo per riguadagnare popolarità e galvanizzare le masse contro il nemico comune, lo Fpr tutsi. Si organizza un movimento giovanile, l’Interhamwe, con lo scopo di mobilitare e coinvolgere le masse hutu a sostegno dello Mrnd e alla lotta contro i nemici esterni ed interni. Le Interhamwe sono provviste dei mezzi dello Stato, organizzano meeting ed eventi culturali, come danze e concerti, indossano una divisa tradizionale e puntano soprattutto al coinvolgimento dei giovani hutu.

 

Cresce intanto, come un fenomeno trasversale tra i partiti burundesi, la forza dei cosiddetti estremisti hutu. Il loro messaggio è semplice: il nemico tutsi è alle porte, e tutti quelli che non sostengono la necessaria unità hutu sono venduti ai tutsi. La causa hutu è giusta perché rappresenta la volontà della maggioranza del popolo. Giornali e gruppi legati a questa tendenza – chiamata hutu-power – si moltiplicano dando l’impressione che lo stesso presidente Habyarimana stia perdendo lentamente il controllo della situazione. Il conflitto ruandese è molto complesso. L’Fpr, sotto il comando di Kagame, evita attacchi frontali e inizia una guerra di logoramento. L’aiuto militare francese ha scongiurato il pericolo iniziale ma non può sconfiggere una guerriglia che conta basi sicure in territorio ugandese; l’aiuto zairese – Mobutu invia la famosa Divisione speciale presidenziale – è catastrofico. Ad Habyarimana non rimane dunque che negoziare con l’Fpr i cosiddetti Accordi di Arusha. A partire dall’aprile 1993 si inizia così un processo che ha come obiettivi la formazione di un governo di unità nazionale che comprenda l’Fpr, e la firma di un trattato di pace. Molti leader hutu democratici sostengono coraggiosamente il processo di pace, tra le accuse degli estremisti. Il resto è cronaca. Il presidente Habyarimana viene ucciso mentre è in volo sopra l’aeroporto di Kigali il 4 aprile 1994 (11). 

 

Immediatamente dopo iniziano, in un terribile crescendo, le uccisioni indiscriminate. Fin dall’inizio è chiaro che gran parte degli amministratori locali, delle forze armate ruandesi, e delle Interhamwe, agiscono con un piano ben determinato per l’eliminazione fisica non solo di tutti i tutsi – senza distinzione – ma anche di molti hutu moderati o non originari del Nord. Una delle prime vittime è il primo ministro Agathe Uwilingiyimana, dell’opposizione democratica hutu. Anche le chiese, in passato rispettate durante le violenze contro i tutsi, diventano luoghi di massacri (12). Le vittime sono centinaia di migliaia in poche settimane, ma l’emergenza internazionale scatta molto tardi, quando, spinti dalle forze armate ruandesi e dalle milizie, quasi un milione e mezzo di ruandesi si spostano davanti all’avanzata dell’Fpr, e si dirigono verso lo Zaire. È allora che scatta l’operazione francese Turquoise, nel Sud-Ovest del Ruanda, volta ufficialmente ad evitare un ennesimo e finale bagno di sangue. La latitanza dell’Onu è totale e sconcertante, basti pensare cheproprio all’inizio dei massacri viene fortemente ridotto il contingente militare già presente in Ruanda. L’Fpr occupa un paese quasi vuoto. L’intero esercito ruandese è oltre confine, tutti i beni dello Stato sono stati saccheggiati compresa la Banca nazionale, il numero dei morti è incalcolabile. Il consolidamento al potere dell’Fpr è possibile solo risolvendo il problema della presenza dei profughi in Zaire: le forze armate ruandesi e le milizie non sono state distrutte, usano come scudo quella parte della popolazione che li ha seguiti, e preparano la controffensiva. 

 

Gli organismi internazionali, e soprattutto l’Alto commissariato per i rifugiati, sono in piena crisi. Non si vuole riconoscere che i profughi sono diventati l’oggetto di una vera contesa strategica, e che le ex forze armate ruandesi e le milizie li tengono sotto la loro infuenza. Mobutu non fa mancare il suo appoggio ai miliziani hutu, permettendo che le incursioni in territorio ruandese delle ex forze armate ruandesi partano dallo Zaire. A questo quadro già complesso si aggiunge l’imprevedibile catena di eventi che porterà alla caduta di Mobutu. Una etnia di origine tutsi presente nel Sud-Kivu, i cosiddetti «banyamulenge», reagisce alle violenze e alle discriminazioni perpetrate contro di essa dai funzionari di Mobutu. Riemerge improvvisamente una figura dimenticata, quella di Kabila, ora neopresidente di una formazione eterogenea (Alleanza delle forze democratiche per la liberazione del Congo-Zaire) che vuole abbattere Mobutu. 

 

Dietro l’offensiva delle forze di Kabila c’è l’appoggio militare e politico ruandese e ugandese, così come un tacito assenso – forse anche aiuto – americano. Sembra che nella peggiore delle ipotesi Kabila e i suoi sostenitori si sarebbero accontentati della creazione di una sorta di zona tampone nel Kivu, che avrebbe comunque aperto notevoli possibilità di sfruttamento economico delle risorse della regione; ma la resistenza inesistente delle forze armate zairesi apre loro nuove possibilità (13). L’offensiva procede rapidamente, e tra gli obiettivi iniziali vi sono i campi profughi ruandesi, per spezzare ciò che resta delle milizie armate hutu e fare rientrare la popolazione. Altro obiettivo raggiunto nella prima fase dell’offensiva sono i santuari della guerriglia ugandese anti-Museveni del West Bank Nile Front. Il regime di Mobutu cade senza quasi opporre resistenza […].

 

Ruanda e Burundi sembrano essere ancora lontani dalla soluzione dei loro problemi.

 

 

Per approfondire: Africa!, Limes 3/1997

 

(1) A causa dell’altissimo numero delle vittime delle violenze e degli enormi spostamenti di profughi è praticamente impossibile avere cifre attendibili sulla popolazione dei due paesi; le percentuali indicate sono grosso modo accettate dalla maggioranza degli studiosi per indicare la situazione esistente prima degli sconvolgimenti nell’area.
(2) L. REICHLER, «Les crises et leurs fondements. La prévention des conflits violents», in FONDATION ROI BAUDOIN-MÉDECINS SANS FRONTIÈRES, Conflits en Afrique. Analyse des crises et pistes pour une prévention, Bruxelles 1997, Grip, p. 49.
(3) Vedere ad esempio A.M. GENTILI, Il leone e il cacciatore. Storia dell’Africa subsahariana, Roma 1995, pp. 125-140.
(4) Ancora nel 1958 veniva ristampata una guida turistica del Congo belga e del Ruanda-Urundi in cui, al capitolo «Le razze» dopo aver elencato i pigmei, i negroidi (suddivisi in bantu, sudanesi e nilotici) si dedicava agli hamiti un capitolo a parte: «In questa categoria sono da classificare i batutsi (watusi) che formano la classe dirigente delle popolazioni del Ruanda-Urundi». Congo Belge et Rwanda-Urundi. Guide du Voyageur, Bruxelles 1958, Info Congo, pp. 21-24.
(5) Un esempio è il rapporto dell’amministratore belga del Ruanda-Urundi del 1925 citato dall’ultimo governatore del Ruanda-Urundi nelle sue memorie: J.P. HARROY, Rwanda. Souvenirs d’un compagnon de la marche du Rwanda vers la démocratie et l’indépendance, Bruxelles-Paris 1984, pp. 26-28.
(6) Di questo parere è R. LEMARCHAND, Rwanda and Burundi, London 1970, p. 107.
(7) R. LEMARCHAND, op. cit., p. 114.
(8) Gran parte dei compagni di Ernesto «Che» Guevara durante la sua esperienza di guerriglia in Zaire nel 1965 erano proprio tutsi ruandesi. Cfr. P.I. TAIBO, F. ESCOBAR, F. GUERRA, (a cura di), L’anno in cui non siamo stati da nessuna parte. Il diario di Ernesto «Che» Guevara in Africa, Firenze 1996.
(9) F. MISSER, Vers un nouveau Rwanda? Entretiens avec Paul Kagamé, Bruxelles 1995, p. 32.
(10) Per la storia recente del Ruanda e del Burundi mi sono basato in particolare su: F. REYNTJENS, L’afrique des Grands Lacs en crise, Rwanda Burundi:1988-1994, Paris 1994; ID. Burundi: Breaking the Cycle of Violence, London 1995; A. GUICHAOUA, (a cura di), Les crises politiques au Burundi et au Rwanda (1993-1994), Paris 1995; G. PRUNIER, Rwanda, History of a Genocide, New York 1997.
(11) Una ricostruzione in: F. REYNTJENS, «Rwanda. Trois jours qui ont fait basculer l’histoire», Cahiers Africains, n. 16/1995. L’autore riassume tutte le ipotesi fatte senza però poter arrivare a nessuna conclusione sulla paternità dell’attentato.
(12) Tra i reportage vedere: F. KEANE, Stagione di sangue. Un reportage dal Ruanda, Milano 1997; C. BRAECKMANN, Ruanda. Storia di un genocidio, Roma 1995.
(13) Kagame lo ammette chiaramente in un’intervista, poi smentita, rilasciata al Washington Post il 9/7/1997. Vedere anche INTEGRATED REGIONAL INFORMATION NETWORK (IRIN), Emergency Update No 208 on the Great Lakes, United Nations, Department of Humanitarian Affairs, 9/7/1997

Fiumicino, l’aeroporto delle nebbie/ Intervista al Dr. Antonio Del Greco, direttore della Polizia di Frontiera nella Quinta zona

Fonte:http://www.nottecriminale.i

27674a1e53a2525ac4673f4de7be2c05_MGli ultimi fatti inerenti la famosa “dama bianca”  è solo l’ultimo caso di traffico internazionale di stupefacenti  che tocca uno dei punti nevralgici del trasporto aereo nazionale: Fiumicino.

A Ottobre dello scorso anno, alla ricerca di risposte rispetto al caso, ancora attualissimo, di Ostia Connection, incontrai il Dott. Antonio Del Greco, direttore della Quinta Zona della Polizia di Frontiera. Davanti ai miei occhi un dirigente con un curriculum di tutto rispetto: dalla Squadra Mobile di Roma alla Dia ed ora alla guida di uno dei due organismi di controllo di Fiumicino ( il secondo è la Guardia di Finanza), indiscutibilmente uno dei punti sensibili per il narcotraffico internazionale e nazionale. Un luogo dove il “defcom” per la droga deve essere sempre ai massimi livelli. L’impressione? Un chiaroscuro che analizzeremo da vari punti di vista.

Quando si parla di Polaria, pochi sanno che in realtà è la Polizia di Frontiera. Ci spieghi le mansioni di questo primo filtro dei nostri confini.

La Polizia di Frontiera che opera negli aeroporti e nei porti è suddivisa in tre grossi settori:

Quello della Frontiera propriamente detta che si occupa dell’immigrazione, dei così detti flussi migratori, quello del controllo documenti etc. etc., quello della sicurezza che si occupa della sicurezza in volo e dei passeggeri e quella della giudiziaria. Quest’ultima si occupa dalle piccole denunce di smarrimento che vengono fatte all’interno di un porto o di un aeroporto fino a grosse indagini di attività criminali. Nello specifico l’introduzione di sostanze stupefacenti sul territorio nazionale.

Lei è a capo di questa sezione, su quali zone ha la responsabilità?

Io sono a capo della quinta zona della polizia di Frontiera marittima ed aerea ed ho la competenza sul territorio dell’Italia Centrale. Noi abbiamo il coordinamento dell’aeroporto di Perugia, di Fiumicino, di Ciampino,di Cagliari, Olbia e Alghero e i porti di Civitavecchia, Cagliari e Olbia.

Su quanti effettivi potete contare?

Il totale del personale è di circa 1.000 tra uomini e donne. A Fiumicino in questi anni,  pur essendo aumentata l’attività, non c’è stato un ricambio generazionale. Con la spending review  e di conseguenza con  la diminuzione dei concorsi, siamo passati dalle mille unità degli anni ’80 alle circa 800 di oggi.

Fiumicino è considerato uno degli hub europei per il traffico di stupefacenti. Un “bocchettone” che si riversa su Ostia e sulla Capitale.

 Nel corso delle varie attività investigative, svolte negli anni, abbiamo avuto il la certezza che l’aeroporto intercontinentale di Fiumicino sia uno dei passaggi obbligati per il traffico di stupefacenti. E non soltanto su Roma o Ostia.

Le dimostrerò attraverso una serie di attività svolte nel tempo che diverse operazioni hanno coinvolto  Squadre Mobili di diverse città. La droga che arriva in aeroporto non è necessaria solo al fabbisogno della capitale o del litorale ma è, ovviamente, necessaria all’approvvigionamento nazionale. Per cui sicuramente investe tutto il territorio dell’Italia Centrale. Probabilmente per il Nord, sarà Milano con Malpensa il punto d’arrivo.

Con quali città avete lavorato?

 Noi abbiamo lavorato con la squadra mobile di Roma, di Latina, di Perugia e di Firenze. Perseguiamo lo stesso obbiettivo.

Non penso lavoriate solo a supporto della Mobile

No, certamente. Abbiamo delle indagini che sono in collaborazione con delle Squadre Mobili nazionali e delle indagini di iniziativa. Questo dipende da dove nasce l’attività investigativa, se da una nostra attività indipendente o da segnalazioni di altri uffici di polizia.

Come l’operazione del furto dei bagagli che ha portato all’arresto di decine di persone

L’operazione legata al furto dei bagagli è partita da Lamezia Terme ma è stata gestita totalmente da noi in ambito aeroportuale. Diverso il caso per le operazioni legate agli stupefacenti che hanno bisogno di un supporto di organismi esterni come la squadra mobile o il reparto operativo dei carabinieri o la guardia di finanza tramite il Servizio Centrale Antidroga che controlla e coordina tutte le attività antidroga.

 


Addentriamoci nel campo del traffico di stupefacenti. Il famoso ovulatore è solo uno degli elementi della catena dei narcotrafficanti. Quali sono gli altri canali?

Quello degli ovulatori è sicuramente un fenomeno molto importante che ha rotte diverse rispetto a quelle tradizionali del narcotraffico e, nello specifico, della cocaina.

L’ovulatore difficilmente viene dal Sudamerica, preferisce le tratte nordafricane o centroafricane. In ogni caso sono percorsi in linea di massima diversi rispetto ai grandi traffici.

Il traffico di droga si ha attraverso l’occasionale che tenta la fortuna tramite l’importazione di stupefacenti ma è quello che viene più facilmente individuato ed arrestato anche dalle autorità locali del luogo di partenza.

L’ovulatore è il disperato che, cercando di risolvere i problemi si mette a disposizione di qualche organizzazione criminale. Questo viene molte volte individuato perché non sa esattamente dove è venuto e cosa è venuto a fare. Può capitare, a volte, che l’ovulatore ci venga addirittura segnalato. Noi, su determinate tratte, abbiamo del personale in borghese che confondiamo tra il pubblico che è in fila al controllo documenti. Interveniamo sulle persone particolarmente nervose, agitate. Quelle che se vedono una fila con un poliziotto che controlla accuratamente e lentamente i passeggeri cambiano fila. Diciamo che ci sono movimenti e situazioni che svelano il corriere.

Abbiamo il trasporto attraverso trolley, fenomeno riscontrato di recente. Anche qui si utilizza un personaggio di piccolo spessore che però porta 80/100 chili di cocaina alla volta.

Il trasporto su trolley mi ricorda il caso “Bove-Mostarda”, operazione che vi ha permesso di scoprire delle “mele marce” all’interno dei controlli.

In una delle ultime operazioni effettuate, un soggetto si è avvalso della collaborazione di personale aeroportuale e di alcuni elementi delle forze dell’ordine per consegnare, prima del controllo documenti della polizia di frontiera, un trolley carico di cocaina e farlo uscire dall’aeroporto.

Il bagaglio veniva fatto uscire o attraverso gli appartenenti alle forze dell’ordine implicati nel traffico o tramite un sistema che poi abbiamo scoperto attraverso delle telecamere montate nei bagni. I corrieri lasciavano il trolley in bagno, l’uomo addetto delle pulizie passava e lo metteva dentro il secchione, ovviamente mascherato, e passava i controlli con la “benevolenza” da parte di alcuni elementi delle forze dell’ordine addetti ai controlli.

  Avete trovato quindi l’infedele con la pistola fumante in mano

 Quando abbiamo arrestato Mostarda abbiamo trovato dentro la sua macchina un borsello in cui c’era verosimilmente il compenso per quell’operazione di “sdoganamento” di 80 chili di cocaina. Dentro quel borsello c’erano 80.000 euro.  Se si pensa che non è un personaggio di spicco nell’organizzazione e che veniva ricompensato con mille euro al chilo, si può comprendere la forza persuasiva che hanno a livello economico. In quella stessa inchiesta la DEA americana, che stava praticamente lavorando sullo stesso filone ha arrestato 11 persone tra funzionari e poliziotti messicani.

Questo era uno dei canali usati…

 Lavorando nella Squadra Mobile per anni ho capito che il canale di approvvigionamento non può essere unico. Se si inceppa il meccanismo di importazione il mercato romano non può rimanere senza la droga. Lo stupefacente è’ un po’ come il pane, deve essere sempre reperibile giornalmente.

Per cui sappiamo che se fermiamo uno o due canali del traffico, in ogni caso c’è un terzo o un quarto che sono attivi. La nostra attività è una rincorsa continua all’organizzazione di certi personaggi che disponendo di quantità enormi di denaro, ovviamente, hanno la possibilità di far cadere nelle loro “trappole” moltissime persone.

E i carichi più consistenti?

Quantitativi più grossi arriveranno, probabilmente, attraverso i container. Ma questo è un campo esclusivo della Guardia di Finanza e della Dogana che fanno operazioni di sequestro più consistenti. Il nostro compito non è tanto il recupero della droga ma smantellare l’organizzazione, cercare di togliere tutti gli “addentellati”.

Per questo la collaborazione con le varie sezioni della Squadra Mobile è fondamentale. Nell’operazione che descrivevo, dopo aver scoperto chi e come  lasciava passare la cocaina,  la competenza di scoprire il resto dell’organizzazione è loro.

Da quanto tempo operavano in questo modo?

Da quanto non è facile quantificarlo ma sicuramente non era la prima volta.

All’interno della Polaria o della polizia in genere vengono fatti controlli antidroga?

No, vengono fatti solo per determinate funzioni che hanno alcuni agenti. Di prassi vengono fatti all’inizio, quando c’è l’immissione nel ruolo. Poi su alcune categorie di agenti con mansioni specifiche, ad esempio per chi ha la Patente Ministeriale. In ogni caso non vengono mai finalizzati per controllare eventuali assuntori. Dove c’è il sospetto lo facciamo comunque.

Una bella operazione comunque quella di Mostarda, Bove e i tre finanzieri

Si, è stata importante ed è ancora in corso. Abbiamo fatto passare un po’ di tempo per essere più tranquilli. Anche perché quell’operazione ci ha portati lontano. Siamo usciti fuori dal Lazio e, in parte, è servito anche per l’operazione della Squadra Mobile di Roma nei confronti dei 51 arresti di luglio a Ostia (Operazione Nuova Alba). Questo perché le grosse importazioni vengono smistate tra le varie organizzazioni. Per esempio, se tra un anno la Squadra Mobile di Latina arresta 50 persone non è detto che quello non sia frutto di un filone che deriva da questa nostra inchiesta.

Arriviamo ora al caso degli ex agenti della Polaria e di quello che noi definiamo Ostia Connection. Lei che idea si è fatto?

Innanzitutto, l’idea che mi sono fatto è che le relazioni degli ex agenti che erano impegnati in quelle operazioni, sono molto interessanti. Da quelle relazioni si definisce in maniera chiara l’identikit degl’investigatori: conoscevano le organizzazioni, conoscevano il territorio e lo controllavano in modo molto preciso. Se vedevano un Triassi o un Fasciani arrivare al bar con una macchina inusuale prendevano il numero di targa e scoprivano che era intestata ad un incensurato mai attenzionato. Questi spunti sono notevoli, magari fossero sempre a disposizione degli investigatori notizie del genere. Perché il difficile di questo lavoro non è tanto identificare il criminale ma avere le prove che lo sia. Facile dire prendiamo Totò Riina, bisogna incastrarlo con delle prove prima.

Poi però arriva l’anonimo e quella lettera che innesca un meccanismo diabolico che li fermerà

 Si, l’anonimo è quello che fa scoppiare il caso. Ma dividerei l’attività di indagine da quella amministrativa, almeno secondo quella che è la mia impressione.

E’ strano innanzitutto, e questo non riesco a trovarlo negli atti, come mai questi agenti vengono aggregati alla Squadra Mobile. E’ una anomalia. In genere l’attività di collegamento con la Squadra Mobile non avviene aggregando il nostro personale. Anche quando loro lavorano con noi è un rapporto di osmosi che si crea, non è che un ufficio va a lavorare in un altro.

Loro fanno decine di segnalazioni e queste segnalazioni fanno si che vengano aggregati alla Squadra Mobile come se noi non avessimo un ufficio idoneo a svolgere questo genere di indagini, che facciamo normalmente.

Queste erano segnalazioni che finivano per dare sostegno ad indagini fuori dall’aeroporto e quindi noi sicuramente avevamo il dovere di dare il massimo supporto informativo a chi svolgeva le indagini all’esterno. Ma non aggregare gli uomini. Ed è questa anomalia che alla fine fa scoppiare il caso.

 

Quindi secondo lei la loro attività è stata ottimale e importante ma fuori dalle regole.

 Non ho detto fuori dalle regole, anzi. In perfetta regola, ma non corretta sotto l’aspetto amministrativo.

La loro attività, infatti, io la dividerei in due parti: quella giudiziaria che è validissima sotto il profilo investigativo. L’altra è quella amministrativa che ha dei buchi: il primo è il perché loro vengono aggregati alla Squadra Mobile. Il secondo, dipendente dal primo, è che il trattamento economico che  ne derivava, non  competeva loro perché, abitando sul territorio, non potevano essere in trasferta. Ossia vengono considerati in trasferta perché da Fiumicino vanno a lavorare alla Squadra Mobile di Roma ma loro, abitando nel circondario di Roma, non avrebbero avuto titolo. Loro guadagnavano 100 euro al giorno, una cifra sostanziosa che nel periodo di tempo interessato era arrivata intorno ai 50.000 euro ciascuno. Quindi penso che questo abbia generato anche un po’ di invidia nell’ambito del personale. E ritengo poi che quell’anonimo a cui si sono legati altri atteggiamenti sindacali sia riconducibile al nostro interno. Adesso abbiamo legato i due fatti ma io non vedo una connessione tra loro. A me non sembra che ci sia una volontà da parte di qualcuno a stopparli nelle indagini. E’ questo che non emerge dagli atti. Penso che, alla fine, chi viene punito più di tutti è il loro superiore da quello che leggo. Il funzionario che li aveva autorizzati perché ha commesso una irregolarità amministrativa e per questo segnalato disciplinarmente.

Questo però ha generato in loro l’idea di essere bloccati da qualcuno nell’indagine che stavano facendo.

Ma…

C’è però quell’aspetto amministrativo che è troppo evidente per essere sanato in maniera diversa da come è stato fatto. Mentre loro vedono questa contestazione amministrativa come un modo per bloccare le indagini, io personalmente non lo vedo.

Senza la loro spinta ovviamente l’inchiesta si è rallentata perché essi producevano una serie di relazioni giornaliere di primissimo valore ma l’aspetto amministrativo aveva troppe carenze.

Anche se questo non dipendeva da loro.

Quando sorge questa attività di controllo amministrativo, essi la percepiscono come un attacco da parte dell’amministrazione legato all’attività d’indagine che stavano svolgendo.

Vero è che questa attività di indagine amministrativa ha creato loro una serie di scompensi psico-fisici che ha portato a uno strano “prepensionamento” e a una denuncia di mobbing da parte loro

 Secondo quanto da loro presentato, l’amministrazione ha svolto opera di mobbing procurandogli le malattie che hanno impedito loro di continuare a svolgere il proprio lavoro. La stessa denuncia per mobbing, vorrei però sottolineare, era stata presentata due volte alla Procura di Civitavecchia, ma entrambe le volte è stata archiviata. Ribadisco, io leggo gli atti, nulla di più.

– See more at: http://www.nottecriminale.it/noc/index.php?option=com_k2&view=item&id=2205:fiumicino-l-aeroporto-delle-nebbie-intervista-al-dr-antonio-del-greco-direttore-della-polizia-di-frontiera-nella-quinta-zona&Itemid=141#sthash.NW9XmViw.dpuf

Gatti con ‘zaini incendiari’

Fonte: http://news.nationalgeographic.com
Traduzione: http://ilfattostorico.com/

matt-rourke-apRecentemente, una serie di manoscritti del XVI secolo ha sollevato un polverone su internet per delle immagini molto particolari: dei gatti equipaggiati con zaini in fiamme, mentre attaccano castelli e villaggi.

Ma le illustrazioni sono autentiche. Mostrano come gatti e uccelli potrebbero in teoria essere utilizzati per dare fuoco a una città assediata, spiega Mitch Fraas, studioso dell’Università della Pennsylvania la quale ha digitalizzato il manoscritto l’anno scorso.

Fraas dice che i disegni provengono dai manuali di artiglieria e sono accompagnati da note che spiegano come usare gli animali come bombe incendiarie.

Illustrazione da un manuale di artiglieria del 1584, custodito all'Università della Pennsylvania (Matt Rourke, AP)

Illustrazione da un manuale di artiglieria del 1584, custodito all’Università della Pennsylvania (Matt Rourke, AP)

Fraas ha tradotto dall’originale in tedesco:

“Create una piccola sacca come una freccia di fuoco … se volete catturare una città o un castello, cercate di ottenere un gatto da quel posto. E legate la sacca alla schiena del gatto, dategli fuoco, lasciatela bruciare bene e in seguito lasciate andare il gatto, così che corra verso il castello o la città più vicina, e per paura penserà di nascondersi in un pagliaio o in un fienile, e lo incendierà”.

Fraas è scettico sul fatto che qualche esercito abbia mai dispiegato una tale tattica “decisamente macabra”: “Sembra veramente difficile pensare che possa aver mai funzionato”.

I testi erano abbastanza costosi da creare ed erano probabilmente posseduti da nobili o altri che studiavano le tattiche di battaglia e tenevano i loro libri in una libreria, al sicuro dal conflitto, spiega Fraas.

(Matt Rourke, AP)

(Matt Rourke, AP)

Fraas aveva sentito per la prima volta dei gatti quando un amico lo aveva avvertito di un blog australiano, che aveva pubblicato queste strane immagini dalle collezioni digitali della Penn lo scorso novembre.

Negli ultimi tre anni la Penn ha digitalizzato la sua collezione dei manoscritti pre-1800 e li ha condivisi online per il pubblico.

I manoscritti di inizio epoca moderna e Rinascimento sono pieni di disegnini insoliti e annotazioni a margine inaspettati. Fraas “si era immaginato che (l’illustrazione del gatto) fosse una cosa particolare disegnata da un certo illustratore”.

Altri animali da un manoscritto del 1590 (Matt Rourke, AP)

Altri animali da un manoscritto del 1590 (Matt Rourke, AP)

Dopo il suggerimento iniziale, Fraas ha cercato su Twitter l’esistenza di altre immagini di felini esplosivi. E ce n’erano, il che lo ha spinto a cercare anche in altri archivi digitali.

Alla fine ha scoperto che le rappresentazioni di felini esplosivi nel Rinascimento non sono così insolite: “C’è una forma abbastanza stabile, e penso che abbiamo visto sette o otto esempi di questa illustrazione nei manoscritti copiati in diversi momenti nel corso del 16 secolo”, dice Fraas.

Gatti e uccelli che attaccano infuocati sono stati disegnati a mano nei manoscritti, ma si trovano anche nelle acqueforti dei volumi stampati anni dopo.

E i piani per schierare bombe incendiarie sugli animali non erano limitati all’Europa.

“Negli ultimi giorni, ho ricevuto un sacco di email di persone che tirano fuori esempi dalla storia”, continua Fraas. “In Cina e Giappone hanno una lunga storia di questi animali”. Nei manuali cinesi, sono buoi e cavalli gli animali incendiari.

I felini con le armi, per contro, sono diventati noti semplicemente come “gatti missili” su internet. “Suona un po’ meglio che gatto di fuoco o gatto con sacca esplosiva”, conclude Fraas.

National Geographic