Energia al top con frutta secca e avena

Fonte:http://www.riza.it

Preparati fin da oggi all’arrivo dell’autunno e dei primi freddi: la prima cosa da fare è aiutare il cervello “illuminandolo” con i cibi e le erbe giuste…

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Con il nome di Sad (Seasonal affective disorder o sindrome affettiva stagionale) si indica un disagio che si manifesta spesso tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno ed è scatenato dalla diminuzione delle ore di luce: giornate più brevi e progressivamente più fredde provocano uno squilibrio nella secrezione di melatonina da parte dell’ipotalamo e, nei soggetti più sensibili, favoriscono sonnolenza, depressione, calo del tono dell’umore e della libido. I disturbi s’intensificheranno col ritorno all’ora solare, che avvverrà tra il 25 e 26 ottobre 2014: il processo di adattamento a giornate più brevi e a notti più lunghe può provocare una profonda stanchezza, che va risolta con una cura specifica, da seguire per 2-3 settimane.

A tavola ci vogliono semi, pane di segale e cavolfiori
Anche per la stanchezza stagionale, la prima terapia consiste nell’integrare la dieta con i cibi ricchi di sostanze riequilibranti, che aiutano a modulare la secrezione di serotonina, l’ormone del benessere. Per un mese mangia semi oleosi (mandorle, noci, nocciole, anacardi, semi di girasole), legumi (soia, piselli, fagioli ecc.), pane integrale di avena o segale, cavolfiori e cavolini di Bruxelles, indivia, mele e pere. Può essre poi molto utile anche il succo di melagrana. Bevine un bicchiere a metà mattina, aggiungendo una capsula di lievito di birra sbriciolata oppure un cucchiaio di erba d’orzo, che forniscono ferro, vitamine del gruppo B e vitamina C, riequilibrando umore e metabolismo.

Soffri di meteoropatia? Ti aiutano  le capsule di avena e triptofano
A settembre il clima è spesso instabile e alla stanchezza si aggiungono i disturbi della meteoropatia: secondo le stime più recenti, il 25 per cento degli italiani (e per l’80% si tratta di donne) è meteoropatico e soffre di nervosismo, cefalea, stanchezza e insonnia accentuati dall’instabilità del tempo e dagli sbalzi termici. Il nostro corpo, infatti, è predisposto per tollerare variazioni di massimo 5-6 gradi per volta, mentre nelle ultime stagioni ci siamo dovuti abituare a scossoni di 10-15 gradi anche nell’arco di poche ore.

Come fare
In questi casi, un buon rimedio è l’Avena sativa, la comune avena, da assumere in estratto secco nella dose di una capsula da 300 mg 2 volte al giorno per almeno 15-20 giorni. La cura si può ripetere a ogni cambio di stagione.

L’aiuto in più
In farmacia trovi il triptofano in compresse: è un precursore naturale della serotonina, tonifica il sistema neurovegetativo e aumenta la sensazione di tranquillità e benessere. Prendine una dose da 500 mg con un bicchiere d’acqua la mattina a digiuno per 2-3 settimane.

Un inventore giapponese crea la macchina che trasforma i sacchetti di plastica in carburante

Scritto da: http://www.improntaecologica.it

573I sacchetti di plastica sono stati e sono tutt’ora i nemici dell’ambiente (e degli ambientalisti) per quasi tutto il tempo come sono esistiti e sono stati messi in commercio, e non solo perché sono a base di petrolio, ma perché ci vogliono centinaia e centinaia d’anni prima che vengano smaltiti.
Proprio per questo un inventore giapponese, tale Akinori Ito, è riuscito ad inventare una macchina in grado di trasformare i sacchetti di plastica in carburante in un processo di carbonio negativo.
La macchina, che è stata venduta dall’inventore alla Blest Corporation, riscalda la plastica e intrappola i vapori in un sistema di tubi in grado di raffreddarli e successivamente condensarli sotto forma di petrolio greggio che può essere subito utilizzato in generatori e stufe, ma che con un ulteriore passaggio di raffinazione, può essere trasformato in benzina.
Ma c’è di più: questa incredibile macchina è molto efficiente in quanto è in grado di trasformare 900 grammi di buste di plastica in un litro di petrolio consumando un solo kilowatt di energia elettrica.
Certo, una volta rigenerato il carburante, sarà rilasciata nell’atmosfera altra CO2, ma è pur vero che in questo modo in petrolio usato per produrre i sacchetti viene utilizzato per due volte, anziché finire in discarica o, peggio ancora, essere disperso nell’ambiente.

Ecco come l’agricoltura industriale sta facendo ammalare noi e la terra

Scritto da: Giovanni Fez
Fonte: http://www.ilcambiamento.it

agricoltura_intensivaI terreni trattati con prodotti chimici, sfiancati dallo sfruttamento intensivo e dall’agricoltura industriale causano un impoverimento del cibo che quindi non fornisce agli esseri umani i nutrienti di cui ha bisogno. E’ la conclusione cui sono giunti numerosi studi di cui si parla anche nel libro appena uscito di Courtney White, “Grass, soil, hope”. Ma la soluzione c’è.

E’ ancora vero che una mela al giorno toglie il medico di torno? Non più, stando a quanto sostengono gli esperti, a meno che quella mela non arrivi da terreni organici e da alberi coltivati con metodi biologici.

Secondo l’esperta australiana Christine Jones, intervistata nel libro appena uscito di Courtney White, Grass, Soil, Hope, le mele hanno perduto l’80% del loro contenuto di vitamina C.

E le arance che si mangiavano per tenere lontano il raffreddore? E’ possibile che di vitamina C non contengano più nemmeno le tracce. Uno studio http://www.scientificamerican.com/article/soil-depletion-and-nutrition-loss/ che ha analizzato il contenuto dei vegetali dal 1930 al 1980 ha scoperto che i livelli di ferro sono diminuiti del 22% e il calcio del 19%. In Inghilterra tra il 1940 e il 1990 il contenuto di rame nei vegetali è calato del 76% e il calcio del 46%. Il contenuto di minerali nella carne è, anch’esso, significativamente diminuito. Gli alimenti vanno a costituire i mattoni del nostro corpo e sostengono la nostra salute, ma terreni impoveriti forniscono alimenti impoveriti e alimenti di scarsa qualità nutritiva portano a un decadimento della salute. Anche la nostra salute mentale è legata ai terreni ed è garantita se i terreni sono ricchi di microbi.

Cosa è accaduto al terreno? Ha subìto gli attacchi della moderna agricoltura industriale con le sue monocolture, i fertilizzanti, i pesticid e gli insetticidi.

«Il termine biodiversità evoca una ricca varietà di piante in equilibrio con tante varietà di animali, insetti e vita selvatica, tutti che coesistono in un ambiente in equilibrio – spiegano Hannah Bewsey e Katherine Paul dell’Organic Consumers Association – Ma c’è anche un intero mondo di biodiversità che vive al di sotto della superficie terrestre ed è essenziale per far crescere alimenti ricchi di nutrienti. Il suolo terrestre è una miscela dinamica di particelle rocciose, acqua, gas e microrganismi. Una tazza di terra contiene più microrganismi di quante persone ci siano sul pianeta. Questi microbi vanno a costituire il “tessuto alimentare del suolo”, una catena complessa che inizia con I residui organici di piante e animali e che coinvolge batteri, funghi, nematodi e vermi; decompongono la materia organica, stabilizzano il suolo e aiutano la conversione dei nutrienti da una forma chimica ad un’altra. La ricchezza nella diversità dei microbi in un terreno ha effetti su molte proprietà, come l’umidità, la struttura, la densità e la composizione nutritiva. Quando i microbi vanno perduti, si riducono anche le proprietà del suolo che permettono di stabilizzare le piante, di convertire le sostanze nutritive e di svolgere tutte le altre funzioni vitali.  Il contenuto di microbi del suolo, cioè la sua biodiversità, è praticamente sinonimo di salute e fertilità. Come scrive Daphne Millier, medico, scrittrice e docente, “i terreni che contano su un’ampia biodiversità sono più predisposti a produrre cibi ad alta densità nutritiva”. Purtroppo l’azione umana ha avuto un impatto assai negativo sulla salute dei suoli; siamo infatti responsabili della degradazione di oltre il 40% dei terreni agricoli nel mondo. Abbiamo destabilizzato l’ecosistema dei terreni attraverso un utilizzo diffuso di sostanze chimiche che distruggono praticamente tutto ad eccezione delle piante stesse (molte di queste sono state addirittura modificate geneticamente per resistere a erbicidi e pesticidi). Siamo arrivati ad avere grano, soia, alfa-alfa e altri cereali in apparenza salubri ma in verità carenti di sostanze nutritive a causa della pessima qualità del suolo su cui vengono coltivati. E usiamo sostanze chimiche di routine anche se si sa che appena lo 0,1% dei pesticidi in realtà interagisce con il target cui è destinato, tutto il resto contamina soltanto piante e suolo».

«L’azoto è uno dei tre nutrienti essenziali per il suolo – proseguono Bewsey e Paul – gli altri due sono potassio e fosforo. Ma perché l’azoto possa nutrire le piante, deve essere convertito da ammonio a nitrato. I microbi del terreno, sensibili al ciclo dell’azoto, fanno questa conversione alimentandosi di materia vegetale decomposta, digerendo l’azoto che vi è contenuto ed eliminando ioni di azoto. Cosa accade quando nel suolo non ci sono questi microbi? Gli agricoltori spesso ricorrono a fertilizzanti contenenti azoto, ma l’uso eccessivo porta ad averne una quantità eccessiva che va oltre la capacità di conversione dei microbi stessi, quindi troppo azoto uccide le piante. Stando ai dati della Union of Concerned Scientists, gli allevamenti con centinaia di animali stipati in piccoli spazi e alimentati con cereali anzichè foraggio è ubo dei fanni più grossi che l’uomo abbia inflitto al suolo poiché porta alle monocolture intensive su larga scala che richiedono moltissime sostanze chimiche. La perdita di biodiversità del suolo è anche correlata all’aumento di asma e allergie nelle società occidentali. Il sistema immunitario umano si sviluppa grazie agli stimoli ambientali cui è esposto; quando carne e vegetali mancano di determinati batteri e microbi, i bambini non riescono a formulare risposte immunitarie precoci e quindi possono sviluppare allergie. La soluzione sta nel convertire allevamenti e aziende agricole industriali in allevamenti con sistemi naturali e fattorie biologiche. Secondo uno studio danese è possibile raddoppiare la biodiversità del suolo sostituendo l’agricoltura biologica ai metodi agricoli convenzionali».

Ma perchè accontentarsi di contenere il danno? Esiste quella che viene chiamata agricoltura rigenerativa, strumento essenziale per far regredire i danni causati dalle pratiche industriali. E non c’è tempo da perdere. Bisogna andare i quella direzione prima che sia veramente troppo tardi.

DEUTSCHE BANK LA BANCA CON LA BOLLA INTORNO.

Fonte: http://icebergfinanza.finanza.com

Come abbiamo appena visto in una guerra la propaganda è essenziale distogliere l’attenzione su se stessi, sui propri problemi è fondamentale e in questo i tedeschi sono maestri soprattutto quelli di Deutsche Bank…

Ciò che tiene (ancora) insieme l’Italia sono pochi fattori: tassi d’interesse storicamente bassi, l’assegno in bianco irrazionale di Berlino per proteggere e garantire fiscalmente (Contratto ESM), l’Italia e tutti gli euro-Stati e lo spericolato tentativo della Bce, attraverso l’acquisto di titoli, in contraddizione col sistema, di comprare  principalmente e inconfessatamente la carta straccia delle banche italiane (ABS, RMBS) attraverso usufruttuari privati (‘BlackRock’) e di distribuire i rischi ai contribuenti europei e tedeschi (2).

Come abbiamo appena detto suggerirei al simpatico Erwin Grandinger analista politico-finanziario di Berlino, di studiarsi bene i bilanci delle banche dei propri paesi non solo ci troverà carta straccia ma addirittura mucullagine.

In fondo loro sono bravi e furbi, ma hanno vita facile perchè aiutati dai collaborazionisti della stampa italiana e da un popolo di fessi che passa le serate a guardare i Ballarò o diMartedì di turno.

Ascoltate ora quanto sono esilaranti gli analisti della bolla finanziaria per eccellenza Deutsche Bank…

Un team di analisti del colosso bancario tedesco Deutsche Bank ha condotto uno studio sui rendimenti delle diverse classi di attivi sui mercati finanziari, concludendo che negli ultimi 20 anni i mercati finanziari hanno creato e mantenuto in vita bolle economiche perchè ne avevano bisogno.Deutsche Bank : solo una bolla può mantenere il sistema finanziario

No,  nessuno accenno alla propria banca, nulla di nulla sulla leva finanziaria 60 la più alta al mondo, che ha caratterizzato la banca tedesca un rischio sistemico estremo, nulla sul fatto che detenga derivati il cui nozionale è pari a 20 volte il pil dell’intera Germania, nulla sulle frodi e manipolazioni continue e persistenti dei suoi dipendenti che troverete documentate ovunque sul nostro blog.

No questi scienziati vi raccontano che … Secondo gli autori dello studio, le bolle sarebbero più evidenti nel mercato delle obbligazioni sovrane.

Capito, la bolla sarebbe più evidente sui titoli di Stato, esilaranti davvero.

Per chi passa di qui solo oggi una piccola sintesi che non riguarda l’Italia, scritta da altri la stessa strategia … L’ASSALTO TEDESCO ALLA SPAGNA

Tzar è la bomba più potente mai esplosa

Fonte:http://www.nibiru2012.it
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La Bomba Zar (o Tsar Bomba o RDS-220) è stata la più potente bomba all’idrogeno mai sperimentata dall’uomo.

Fu costruita in Unione Sovietica nel 1961 da un gruppo di lavoro capeggiato da Andrej Dmitrievič Sakharov in poco più di sei settimane e il suo nome in codice era Ivan.

Il suo potere esplosivo era di 50 megatoni, ovvero quasi 4000 volte quello della bomba sganciata su Hiroshima.

È stato calcolato che se fosse stata lanciata sul centro di Londra avrebbe distrutto ogni cosa nel raggio di 30 chilometri (quindi avrebbe ucciso tutti gli abitanti londinesi) e incendiato tutto ciò che si fosse trovato entro 90 chilometri dal luogo dell’esplosione (fino ad Oxford).

La bomba fu sganciata il 30 ottobre 1961 alle ore 8:33 nella baia di Mitjušicha, sull’isola di Novaja Zemlja, a nord del Circolo Polare Artico, e fu fatta esplodere a 4 000 metri dal suolo con l’ausilio di un gigantesco paracadute finalizzato a frenarne la caduta e quindi a consentire al Tupolev Tu-95 di allontanarsi indenne. Il Tu-95V fu opportunamente modificato poiché la bomba, del peso di 27 tonnellate, era così grande (8 metri di lunghezza e 2 metri di diametro) che fu necessario rimuovere le porte del vano bombe e i serbatoi della fusoliera e inoltre fu rivestito da una speciale vernice termoriflettente.

Zona di distruzione totale della Bomba Zar (ad esempio – su una mappa di Roma): cerchio porpora = distruzione totale (raggio di 35 chilometri), cerchio rosso = palla di fuoco (raggio 3,5 km).

La palla di fuoco si espanse fino a un diametro di 8 chilometri: toccò il suolo e quasi raggiunse l’altitudine del Tu-95 al momento del rilascio dell’ordigno.

Tale test fu preceduto il 9 agosto 1961 dalla dichiarazione di Nikita Khruščёv nella quale affermava che l’Unione Sovietica era in grado di costruire e voleva sperimentare una bomba da 100 megatoni (scatenando forti proteste internazionali) e fu seguito il 16 gennaio 1963 dalla rivelazione fatta a Berlino Est sempre dallo stesso Khruščёv del possesso di una bomba di quel tipo da parte del suo paese. Un simile ordigno, se testato sulla superficie terrestre, aprirebbe nella roccia un cratere profondo oltre 100 metri e largo quasi 3 chilometri, con un “fungo” di 14 chilometri di diametro.

Il premier Nikita Khruščёv avviò il progetto il 10 luglio 1961, nella versione “full scale” da 100 megatoni (oltre 10 volte la potenza totale di tutti gli esplosivi utilizzati durante la Seconda guerra mondiale); era prevista la costruzione di un dispositivo termonucleare a tre stadi (quella che viene comunemente chiamata una bomba all’idrogeno “sporca”). Il primo stadio era una bomba a fissione nucleare, utilizzata per comprimere e scaldare del carburante di fusione nucleare (il secondario), per poi passare all’avvio di una molteplicità di “terzi stadi” molto più grandi.

Nella versione che fu poi fatta esplodere (con una potenza abbassata, come abbiamo visto, a 57 megatoni), anziché utilizzare uranio 238 per l’involucro del terzo stadio (e forse anche del secondo), si preferì (per limitare l’impatto radioattivo che, fra l’altro, avrebbe principalmente interessato lo stesso territorio sovietico) usare il piombo, eliminando così la fissione rapida dell’uranio 238 durante gli stadi di fissione e facendo sì che il 97% dell’energia rilasciata fosse generata dalle sole reazioni di fusione.

# la pressione dello scoppio raggiunse un picco di 300 PSI, circa sei volte quella di Hiroshima
# nonostante il cielo fosse nuvoloso, il lampo venne visto a 1.000 chilometri di distanza
# uno dei testimoni riferì di aver percepito l’abbagliamento (anche attraverso gli occhiali protettivi) e il surriscaldamento della pelle alla distanza di 270 km
# un’onda d’urto venne registrata nell’insediamento di Dickson, a 700 km
# vennero danneggiate le imposte in legno delle case sino a 900 km dall’ipocentro fino in Finlandia
# tutti gli edifici di Severny (realizzati in mattoni e legno), a 55 km di distanza, vennero completamente distrutti; in alcuni distretti posti a centinaia di chilometri dal punto d’impatto le case in legno vennero rase al suolo, mentre quelle in pietra persero il tetto, le finestre e le porte
# le comunicazioni radio rimasero interrotte per quasi un’ora
# le perturbazioni atmosferiche generate dall’esplosione fecero tre volte il giro della terra
# il “fungo” causato dallo scoppio raggiunse l’altezza di 64 chilometri
# nonostante l’esplosione fosse stata innescata nell’atmosfera, l’U.S. Geological Survey misurò una magnitudo sismica compresa tra 5,0 e 5,25 con un’onda d’urto propagata e percepita in tutto il mondo
# l’area di “completa distruzione” si estese sino a 25 chilometri dall’ipocentro, mentre si osservarono danni sostanziali alle abitazioni sino a 35 chilometri. In alcuni casi, l’irregolare propagazione dell’onda d’urto in esplosioni atmosferiche di eccezionale potenza può provocare danni sino a 1.000 chilometri di distanza.

Paracadutisti italiani nell’inferno centrafricano

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/

scud_par_folgoreNuovo intervento delle forze armate italiane in terra africana. Nei giorni scorsi si è concluso a Bangui, capitale della martoriata Repubblica Centrafricana, lo schieramento di una cinquantina di militari dell’Esercito che saranno integrati nella forza multinazionale dell’Unione Europea, attivata in loco lo scorso giugno (EUFOR RCA). Il personale italiano proviene dall’8° Reggimento genio guastatori della Brigata paracadutisti “Folgore” di Legnago (Verona) ed è stato schierato presso la base “Ucatex” di Bangui, mentre due ufficiali saranno impiegati presso il Comando generale operativo di Larissa (Grecia). La missione italiana nella Repubblica Centrafricana non si concluderà prima del 15 dicembre 2014 ed è stata finanziata con 2.987.065 euro grazie al decreto legge n. 109 dell’1 agosto scorso che ha prorogato sino alla fine dell’anno le sempre più numerose missioni internazionali delle forze armate e di polizia.

 

Secondo quanto comunicato dal Ministero della difesa, i parà avranno il compito di “garantire il supporto della mobilità delle forze europee, la ricognizione e il mantenimento degli assi di comunicazione, la bonifica di residuati bellici e la realizzazione di lavori infrastrutturali di base in favore di EUFOR, della popolazione e del governo locale”. Ai militari sarà affidato inoltre il monitoraggio delle attività di ricostruzione di un ponte, progetto finanziato dall’Ue e affidato a imprese locali. Il contingente italiano disporrà di un importante parco macchine operatrici del genio e di un congruo numero di veicoli blindati multiruolo “Lince” (Iveco), dotati di torretta remotizzata “Hitrole”.

 

La Repubblica Centrafricana, uno dei paesi più poveri del continente africano, è vittima da due anni di una sanguinosa guerra civile che ha già causato migliaia di vittime e più di un milione e trecentomila sfollati. Nel marzo 2013, una coalizione di forze a prevalenza islamica, denominata “Séléka”, che accusava il governo di non aver rispettato gli accordi di pace firmati nel 2007 e nel 2011, occupava Bangui e costringeva alla fuga il presidente (ex golpista) Francois Bozizé. Da allora il conflitto tra le diverse fazioni si è esteso a tutto il paese, mentre il nuovo governo di transizione guidato da Catherine Samba-Panza evidenzia fragilità e divisioni interne.

 

La componente militare dell’Unione Europea nella Repubblica Centrafricana è costituita attualmente da 750 unità di diverse nazioni e comprende anche una forza di polizia. Le attività di EUFOR RCA vengono svolte nel quadro dellarisoluzione Onu n. 2134 del 28 gennaio 2014 e della decisione del Consiglio Europeo del 10 febbraio, che hanno autorizzato un’operazione militare transitoria di “stabilizzazione interna” in vista del pieno dispiegamento della missione MISCA(Mission internationale de soutien à la Centrafrique), varata dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel dicembre 2013 e posta sotto l’autorità dell’Unione Africana. Entro la fine di quest’anno MISCA conterà su un contingente di circa 4.000 militari e 150 membri civili, provenienti principalmente da Burundi, Camerun, Ciad, Gabon e Repubblica del Congo. Secondo gli accordi assunti internazionalmente, il governo di transizione dovrebbe fissare lo svolgimento di nuove elezioni politiche entro il febbraio 2015, mentre la missione Onu-Ua dovrebbe assicurare lo stazionamento nella Repubblica Centrafricana di 12.000 effettivi entro la fine del prossimo anno.

 

Questo, almeno, sulla carta. In realtà è possibile che Bruxelles decida di estendere EUFOR RCA a buona parte del 2015, rafforzando il numero dei reparti impiegati. Come ammesso dall’ex Alta rappresentante per gli affari esteri e la sicurezza dell’Unione europea Catherine Ashton, “EUFOR RCA è stata voluta per sostenere lo sforzo politico-militare del governo francese, che ha inviato prontamente a Bangui più di 1.600 militari nell’ambito dell’Operazione Sangaris”. Un intervento, quello francese, che ha il merito di non occultare le sue reali finalità neocoloniali mentre invece l’Ue ha scelto l’ipocrita formula della “missione umanitaria”. La task force francese ha infatti come obiettivo chiave la protezione dei giacimenti di uranio di Bakouma (prefettura di Mbomou), di proprietà della transnazionale parigina Areva e della China Guandong Nuclear Power Company. Si tratta della principale miniera mondiale per l’estrazione del prezioso minerale, utilizzato in Francia per la produzione di energia e testate nucleari.

 

L’Unione Europea sta pure rafforzando gli aiuti economici-finanziari a favore delle autorità di governo di Bangui. Ad agosto, a conclusione del meeting dei ministri Ue della Cooperazione allo sviluppo di Firenze, è stato approvato un fondo pro-Repubblica Centrafricana di 64 milioni di euro che si aggiungono agli 84 milioni stanziati in precedenza dalla Commissione europea. Altri “aiuti” giungeranno da Stati Uniti (43 milioni di dollari), Banca Mondiale (100 milioni di dollari) e African Development Bank (75 milioni di dollari). Nel corso del 2014, l’Italia ha destinato complessivamente 2 milioni di euro per far fronte all’emergenza umanitaria nel paese centrafricano e finanziare due progetti, il primo nel settore della “protezione dell’infanzia e dell’istruzione” affidato all’UNICEF, e il secondo nel campo della “sanità e della sicurezza alimentare”, che sarà realizzato dalle ONG italiane già attive nella Repubblica Centroafricana. A febbraio, inoltre, il Dipartimento per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri ha inviato a Bangui un aereo cargo contenente kit sanitari per un valore complessivo di centomila euro, da destinare agli sfollati dai combattimenti.

Buona parte delle attrezzature e degli “aiuti” a favore delle missioni Onu e Ue nella Repubblica Centrafricana, sono stati inviati dallo scalo aeroportuale di Brindisi, dove è ospitato dal 1994 il Centro Servizi Globale delle Nazioni Unite (UNGSC) che supporta le operazioni di “peacekeeping” e, dal 2000, la Base di pronto intervento umanitario (UNHRD), che opera a favore del World Food Program. Nello specifico, l’Aeronautica militare italiana, grazie al proprio distaccamento di Brindisi, ha fornito appoggio tecnico ai velivoli cargo “Boeing 747” della compagnia saudita Saudia Airlines e agli “Antonov 12” della compagnia Ukraine Air Alliance, che hanno fatto la spola tra l’aeroporto pugliese e quello di Bangui. Dopo i farmaci e il cibo, per l’Italia e l’Ue arriva l’ora d’intervenire nell’inferno centrafricano con i blindati e i parà.

Riscrivere la storia evolutiva delle api

Fonte:http://oggiscienza.wordpress.com/2014/09/11/riscrivere-la-storia-evolutiva-delle-api/

12284482006_2cb60a6c99_bViene dalla Finlandia la prima analisi globale delle variazioni genomiche dell’ape europea (Apis mellifera), grazie alla quale è stato possibile chiarire molti dettagli sulla storia evolutiva di questo animale. Un gruppo di ricercatori dell’università di Uppsala ha sequenziato 140 genomi di api provenienti da un campione di 14 popolazioni diverse, provenienti da tutto il mondo.

L’ape europea è la specie di ape più diffusa. Merito anche della sua cruciale importanza per l’alimentazione umana, visto il suo ruolo nell’impollinazione di un numero elevato di prodotti agricoli. Recentemente, la popolazione mondiale di questa specie sta affrontando la cosiddetta sindrome dello spopolamento degli alveari (SSA), che provoca la morte di un numero sempre maggiore di colonie. Un simile fenomeno si è verificato altre volte in passato e le sue cause non sono ancora del tutto chiare, sebbene si pensa che possa essere dovuto a diversi fattori – cambiamenti climatici, fattori genetici, infezioni – o a una combinazione di essi.

I risultati dello studio finlandese, pubblicato su Nature Genetics, hanno riservato alcune sorprese ai suoi autori. La prima riguarda la probabile origine geografica dell’ape europea, finora ritenuta essere l’Africa. La ricostruzione degli alberi evolutivi non supporta però questa tesi: secondo i ricercatori, questa specie sembrerebbe derivare da un’antica discendenza di api giunta dall’Asia circa 300.000 anni fa e in seguito diffusasi in Europa e in Africa.

La seconda sorpresa riguarda l’alto livello di diversità genetica riscontrato nelle popolazioni studiate: in seguito alla domesticazione da parte dell’uomo, infatti, diverse altre specie animali hanno visto la loro variabilità genetica ridursi. Dall’analisi di queste variazioni sono emersi anche indizi di larghe fluttuazioni cicliche nella dimensione delle popolazioni di api, fluttuazioni che rispecchiano gli andamenti delle glaciazioni, dimostrando quindi l’alta sensibilità dell’ape europea ai cambiamenti climatici.

I ricercatori sono poi scesi ancora più nel dettaglio, individuando una serie di specifiche mutazioni genetiche che potrebbero aver giocato un ruolo nell’adattamento locale, influenzando tratti come la morfologia, la resistenza alle malattie e la riproduzione.

Nel complesso, lo studio finlandese ha fornito una nuova cornice all’interno della quale sviluppare le prossime ricerche sulle basi biologiche dell’adattamento dell’ape europea. Studiare la capacità di adattamento di questo insetto alle variazioni ambientali è di fondamentale importanza per la sua salvaguardia e, di conseguenza, anche per le tante colture che vengono da esso impollinate.

Pubblicato con licenza Creative Commons Attribuzione-Non opere derivate 2.5 Italia.   
Crediti immagine: Bob Peterson, Flickr

Il disarmo della politica estera e non la politica estera del disarmo

Scritto da: Torquato Cardilli
Fonte: http://www.litaliano.it

disarmo_200_200In politica estera vale il principio della continuità dello Stato per cui il Governo in carica, quale che esso sia, deve prioritariamente perseguire gli interessi nazionali e poi, solo se possibile, anche quelli dell’alleanza a cui appartiene, che spesso sono divergenti. Noi, purtroppo, abbiamo fatto storicamente il contrario.
Le recenti guerre in Iraq, Afghanistan, Libia, e da ultimo Ucraina, ci hanno visto partecipare, soffrirne gravi conseguenze senza trarne nessun vantaggio, a differenza di altri paesi. Abbiamo semplicemente obbedito agli ordini, forzando e contorcendo la nostra costituzione con l’avallo di un parlamento ignorante e succube di fronte ad un premier ed un presidente inclini alle prove di forza, alle vanterie verso l’alleato maggiore, desiderosi di non sfigurare, pronti a correre pericoli pur di sedere al tavolo dei grandi senza renderci conto che a noi era riservato lo strapuntino (ed a volte nemmeno quello).
Quanto accade (non solo oggi, ma da vari anni) sulla sponda sud del Mediterraneo, dimostra che la politica estera dell’Italia conta quanto una scartina, come aveva rivelato anni fa, a più riprese, la gola profonda di wikileaks.
Nessuno dei nostri Governi nell’ultimo decennio (Berlusconi, Prodi, Berlusconi, Monti, Letta, Renzi) ha avuto la minima idea sul come fronteggiare le varie crisi, controllarle e volgerle nel senso a noi meno sfavorevole, coordinarsi (senza ubbidire solamente) con i partner europei ed atlantici, elaborare una strategia politica che salvaguardasse l’interesse dell’Italia.
Il sito elettronico del Ministero degli Esteri cita come suo compito quello di “assicurare la coerenza delle attività internazionali ed europee delle singole amministrazioni con gli obiettivi di politica internazionale”. Bum! E quale Governo ha mai disegnato quali siano gli obiettivi della politica estera italiana? Mistero mai svelato nelle dichiarazioni programmatiche o nei dibattiti parlamentari. E quale è stato lo strumento per rendere coerente ad essi le attività internazionali delle singole amministrazioni? Altro mistero: ogni amministrazione pubblica e ente regionale fa la propria politica estera, l’una ad insaputa dell’altra e soprattutto senza coordinamento.
Ma andiamo avanti: leggendo sempre il sito della Farnesina troviamo una Direzione generale degli affari politici e di sicurezza con un vice direttore generale ed un ufficio ad hoc dedicati al disarmo (ripeto disarmo), controllo degli armamenti e non proliferazione; c’è un’Unità per la Russia, Caucaso, Europa orientale e Asia centrale e poi un’altra unità per l’Afghanistan. Manca del tutto un ufficio specifico per lo studio e contrasto del terrorismo internazionale, fenomeno che dall’anarchismo isolato di un secolo fa è diventato un pericolo epidemico mondiale.
Per carità, di terrorismo internazionale, a sentire le voci interne del palazzo, se ne occupano tutti. Come?  Rimestando la minestra riscaldata delle notizie stampa e delle informative dello spionaggio e del controspionaggio, ma senza un’analisi approfondita di costi e benefici e senza la prospettazione di soluzioni sia nel breve che nel medio termine.
Non è da dubitare che i nostri costosi Servizi di intelligence abbiano avvertito con largo anticipo le autorità politiche di quanto si stava preparando in Siria, Iraq, Gaza, Libia, Afghanistan, Iran, Ucraina. Se non l’hanno fatto vuol dire che sono totalmente inutili (tanto vale licenziarli tutti) oppure che hanno tenuto un comportamento infedele, tenendo nascoste certe notizie, o mentito nel rivelare solo quelle che dettava Washington, con una sudditanza già sperimentata nel caso Abu Omar.
Dando per scontato che i Servizi abbiano fatto il loro dovere vuol dire che le decisioni prese a Roma, anziché provenire da un’elaborazione interna o da un dibattito parlamentare, sono state il frutto di “input” politici provenienti da oltre Atlantico. I nostri governanti hanno sempre anteposto questo tipo di cieca obbedienza all’onestà dovuta nei confronti dei propri cittadini adeguandosi a scelte scellerate che ci hanno ridotto al rango di valletti che pagano il conto.
Basta ricordare l’enorme costo finanziario e il grave tributo di sangue versato dai nostri soldati in Iraq e Afghanistan: la guerra contro Saddam Hussein, accusato falsamente dagli USA di possedere armi di distruzione di massa, non ci è valsa alcunché. Si diceva che serviva alla distruzione di al-Qaida (che non aveva mai messo piede in Iraq), alla stabilità internazionale ed alla pace. Si è visto come questi obiettivi fossero pure fandonie e quali siano stati i risultati in materia di terrorismo e di disfacimento di un paese, in cui i bombardamenti occidentali hanno seppellito non meno di 600 mila persone.
Abbiamo partecipato per 10 anni alla guerra in Afghanistan, propagandata anche nel nostro parlamento come l’unica risorsa per fermare il terrorismo, responsabile dell’attentato alle torri gemelle del 10 settembre 2001. Eppure a New York non agirono i talebani, ma terroristi yemeniti, sauditi ed egiziani.
Anche da Kabul abbiamo rimpatriato troppe bare di soldati senza che all’Italia fosse stato riconosciuto un ruolo nella politica estera mondiale. Non abbiamo ottenuto nulla, nessuna posizione decisiva all’interno delle Nazioni Unite, nessuna riforma del Consiglio di Sicurezza su cui avevamo imbastito il maggiore sforzo diplomatico di politica estera negli anni 1990-2000, nessuna partecipazione al gruppo dei 5+1 (i 5 membri permanenti del CdS + la Germania) dedicato alla questione nucleare iraniana, nessuna consultazione preventiva sulle decisioni più gravi di interventi armati. Non abbiamo ottenuto nei fatti concreti nemmeno la solidarietà atlantica o dell’Unione Europea o dell’ONU nella questione dei due marò la cui vicenda è stata l’apoteosi della nostra pressappocaggine e della mancanza di coraggio nel richiedere a tutti gli alleati di sostenerci pena la cancellazione dei nostri contributi a tutto il sistema ONU e Nato.
Non vale opporre al ragionamento della mancanza di riconoscimenti la contabilità delle perdite subite dagli inglesi e dagli americani di gran lunga maggiori delle nostre, perché questi paesi hanno deciso da soli, trascinati in un’avventura da un presidente cowboy, rieletto con il trucco, ed hanno lucrato miliardi di dollari in petrolio e appalti di ogni genere.
Il presidente Obama, che è stato pure insignito del premio Nobel per la pace, può vantarsi di un solo risultato: di aver ucciso, nascondendone il corpo Bin Laden. Ma non ha mantenuto nessuna promessa in tema di diritti umani (Guantanamo o estradizioni illegali), non ha ottenuto nessun risultato sul terreno militare, né su quello politico o diplomatico; anzi ha approfondito la spaccatura con i più poveri e diseredati nel mondo, ha moltiplicato ovunque l’odio del fanatismo, alimentato da una politica militare muscolare generatrice di catastrofi su catastrofi.
Sempre su ordine americano, incuranti della questione gas, noi ci permettiamo pure di fare la voce grossa con Putin per l’annessione della Crimea e la questione ucraina partecipando entusiasticamente alle sanzioni anti Russia, mentre diamo un’altra botta mortale alla boccheggiante economia italiana soprattutto nei settori dell’agroalimentare di qualità già colpiti dal terremoto e dalle inondazioni.
Il nostro comportamento con la Libia è stato a dir poco pagliaccesco. Prima l’umiliante baciamano pubblico di Berlusconi a Gheddafi ricevuto a Roma con tutti gli onori e contorno di fanciulle, poi nell’esultanza del Ministro degli esteri Frattini, l’abbandono alla sua sorte macabra contro lo spirito del trattato ancora fresco d’inchiostro, senza averne soppesato le conseguenze.
Si capiva da lontano che Stati Uniti, Francia ed Inghilterra fossero desiderosi di scalzare i nostri interessi sugli idrocarburi libici, ma il caos e l’anarchia in cui è stato gettato il paese per causa loro, a noi, che avevamo assistito alle prove di insurrezione con la devastazione del nostro Consolato a Bengasi, e poi all’assalto contro quello americano in cui fu trucidato l’ambasciatore e alcuni agenti spioni, ha causato solo danni: ha tagliato le gambe all’Eni, alle nostre imprese lì impegnate, creditrici di parecchie centinaia di milioni di euro ed alle nostre esportazioni. Da primo partner commerciale della Libia siamo diventati insignificanti sul piano economico, ma destinatari a spese nostre di un esodo biblico su cui prospera la criminalità transnazionale che siamo assolutamente incapaci di contrastare.
E quale è la figura che emerge dallo scatolone di sabbia? Un tale generale Haftar, uomo della Cia, sostenuto dall’America come tanti altri fantocci e quisling già sperimentati con clamorosi insuccessi in Vietnam, in America Latina, in Iraq, in Afghanistan.
Ora il quadro politico e militare è in continua evoluzione verso il peggio: chi avrebbe mai immaginato che nemici storici come USA, Iran, Siria, potessero allearsi in favore dei Curdi? Assad, responsabile di aver ucciso 200 mila suoi cittadini e provocato 8 milioni di rifugiati improvvisamente non è più il dittatore feroce da spazzare via. Stesso discorso per gli sciiti ayatollah iraniani che ora vengono ricercati quali possibili alleati contro i sunniti fanatici. C’è solo da sperare che l’incendio non si propaghi alla Turchia che vede l’indipendenza curda come il fumo negli occhi.
Anche il giovane Renzi, dopo le prove inconsistenti dei suoi predecessori, ha voluto assumere le arie di chi se ne intende. Senza consultare chi sa di Medio Oriente (la Bonino è stata messa da parte e inspiegabilmente sostituita da chi ogni tanto recita luoghi comuni) ha scaldato i motori con qualche inutile giretto in Africa ed ha buttato nell’arena tutto il peso dell’Italia effettuando un viaggio lampo a Baghdad e a Irbil (verrebbe da chiedersi perché a Irbil funzioni un consolato USA, con quali scopi se non quelli propri di una centrale di spionaggio con copertura diplomatica?). Lì ha promesso al dimissionario al Maliki, al successore al Abadi e al capo dei Curdi l’invio di armi, rottami di residuati bellici vecchi di 20 anni, sequestrati durante la guerra di Yugoslavia.
Bel colpo del duo femminile esteri-difesa alla Gianni e Pinotti che hanno convocato in fretta e furia le commissioni parlamentari facendo votare a scatola chiusa, da parlamentari che non sanno cosa sia il Kurdistan e quale problema si apra scoperchiando quel vaso di etnie contrapposte, di scismi religiosi rivali, di aspirazioni indipendentistiche represse da un secolo.
Ma Renzi si è spinto ancora più in là: è arrivato ad affermare di fronte ad un attonito primo ministro iracheno, uomo di mondo passato attraverso mille pericoli, che l’’Europa è presente e che chi ritenga che l’Europa pensi solo allo spread disinteressandosi dei massacri sbaglia semestre. Come? Ah già parlava del semestre di presidenza europea dell’Italia che ha cambiato la musica! Ve ne eravate accorti? Questa dell’Italia non è politica estera del disarmo, ma il disarmo della politica estera!
Il mondo è stato brutalmente scosso dall’orrenda decapitazione in diretta del giornalista americano Foley. Fatto certamente terribile, non dissimile da tanti altri, compreso quello del contractor italiano Quattrocchi, ucciso a sangue freddo di fronte alle telecamere in Iraq dieci anni fa. Ma il nostro connazionale e tante altre vittime incolpevoli non avevano dietro di loro gli Stati Uniti di oggi che hanno mobilitato tutti i mezzi di informazione per aizzare, anche da noi, l’opinione pubblica, ed allarmarla al massimo per poter sfruttare cinicamente l’onda emotiva a fini militari e quindi anche commerciali.
Quale fiammata di sdegno si è sollevata di fronte ai corpi nudi e inanimati di decine di bambini palestinesi bombardati a Gaza nel cortile della scuola delle NU, o di fronte ai brandelli di cadaveri sparsi nei cortili colpiti dai raid israeliani, giustificati ipocritamente come danni collaterali? O di fronte alla disperazione di  migliaia di profughi che hanno visto sbriciolata la loro casa e la loro esistenza?
Qualche nostro deputato (basta pensare al calibro di un Gasparri che aveva salutato l’elezione di Obama come un favore ad al-Qaida!) è persino arrivato ad invocare nuove Crociate, una guerra giusta totale, mettendosi così sullo stesso piano e livello di fanatici assassini nell’imboccare la strada dello sterminio senza fine.
Mentre ovunque emergono argomentazioni ultra religiose e il tema dello Stato teocratico sembra dominare la scena, il mondo arabo musulmano non riesce a tirar fuori dalla propria cultura la parte migliore pacifica e tollerante, quello ebraico non ha ancora rivisitato il concetto di convivenza e di negazione della supremazia razziale, mentre quello occidentale non ha fatto altro che produrre, vendere e contrabbandare armi ed appoggiare nei fatti soluzioni militari.
Come ha detto il papa il mondo è in effetti sull’orlo della terza guerra mondiale combattuta con metodi nuovi, su molti, troppi, fronti. Le stragi quotidiane offuscano la memoria di quelle del passato. Con la scusa di esportare la democrazia si alimenta un fiume di sangue in cui dilagano troppi assassini e torturatori sempre meglio armati, addestrati, finanziati e indirettamente incoraggiati dall’esempio delle torture americane sia in Iraq che in Afghanistan o a Guantanamo.
Nonostante le enormi sofferenze dei feriti, degli sfollati, dei detenuti, di intere famiglie sterminate o scomparse, nessun Governo ha fino ad ora adottato provvedimenti che fermino i flussi di denaro e di armi che alimentano i combattimenti e i crimini. Falcone diceva che per fermare la mafia bastava prosciugare le fonti di denaro. Lo stesso principio vale per il terrorismo.
L’idea che la politica del “wanted” da far west, basata sulla forza bruta per restituire all’Occidente il primato e garantirne la sicurezza è andata in frantumi: ha prodotto solo l’effetto contrario.

Geoscienze, gli scienziati avvisano: in arrivo in Italia periodi di pioggia e siccità più intensi

Fonte: http://www.greenreport.it/news/acqua/geoscienze-pioggia-e-siccita-italia/

Si intensifica il ciclo idrogeologico. Le conseguenze per il Paese – See more at: http://www.greenreport.it/news/acqua/geoscienze-pioggia-e-siccita-italia/#sthash.Hu1N6K07.dpuf

Geoscienze-320x234Congresso nazionale di geoscienze: gestione delle risorse alla base dello sviluppo sostenibile

Si conclude oggi all’università degli Studi di Milano il Congresso Nazionale delle Geoscienze, o meglio,  l’87esimo Congresso della Società Geologica Italiana (Sgi) e il 90esimo Congresso della Società Italiana di Mineralogia e Petrologia (Simp), le due principali società scientifiche di Scienze della Terra in Italia. Un migliaio di partecipanti, tra docenti, ricercatori e geologi liberi professionisti hanno partecipato ad attività congressuali e collaterali, forum, conferenze e stand espositivi, condividendo i risultati delle ricerche ed affrontando argomenti che includono le Scienze della Terra nei loro aspetti di ricerca di base e applicata ad ambiente, salute, energia, georisorse, beni culturali e rischio Idrogeologico.

Proprio commentando a Milano i recenti eventi in Puglia, disastri ambientali, Antonello Provenzale, dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, ha sottolineato: «Dobbiamo renderci conto che sia i modelli climatici che i dati attualmente a nostra disposizione suggeriscono effettivamente un’intensificazione del ciclo idrologico, ossia sia dell’intensità delle precipitazione che dei periodi di siccità. Diventa urgente focalizzare la nostra attenzione sui rischi che nei vari ambiti possono essere connessi a questo scenario: che riguardino la necessità di selezione di nuove colture, della prevenzione del dissesto territoriale o di malattie correlate, si tratta sempre di questioni che chiedono l’intervento fondamentale, e urgente, dell’innovazione tecnologica per non coglierci drammaticamente impreparati».

Alcune sessioni del Congresso Nazionale delle Geoscienze, sono state di grande attualità: cambiamenti climatici:  il ruolo delle regioni polari; energia geotermica; risorse e riserve petrolifere; sismologia e vulcani sottomarini. Si è discusso  anche di geologia extraterrestre e Marte è stato al centro di molti interventi divulgativi,  ma si è parlato  anche di Mercurio e delle prime scoperte sulla cometa Churyumov-Gerasimenko sulla quale sta per “atterrare”  la sonda Philae,progettata conun grande contributo della tecnologia italiana.

Gli organizzatori spiegano che «il Congresso rappresenta il più grande evento della comunità delle geoscienze che precede l’Expo 2015 e vuole essere un’occasione per potenziare gli scambi con il mondo industriale, con i professionisti e con gli insegnanti per trasformare i risultati delle ricerche in prodotti, metodologie e servizi. Le tematiche principali di Expo 2015 (energia, pianeta, cibo, vita) sono alla base degli obiettivi del Congresso, con particolare riferimento alle risorse non-rinnovabili, all’acqua e ai suoli, la cui conoscenza e gestione sono alla base di uno sviluppo sostenibile».

I lavori si concluderanno con lo spettacolo gratutito e aperto al pubblico  “Geologi non per caso”,  nel quale Patrizio Roversi dialogherà con 7 geo-attori (per caso) per scoprire come la Geologia si rapporta alla vita quotidiana.

Congresso nazionale di geoscienze: gestione delle risorse alla base dello sviluppo sostenibile

[12 settembre 2014]

Geoscienze

Si conclude oggi all’università degli Studi di Milano il Congresso Nazionale delle Geoscienze, o meglio,  l’87esimo Congresso della Società Geologica Italiana (Sgi) e il 90esimo Congresso della Società Italiana di Mineralogia e Petrologia (Simp), le due principali società scientifiche di Scienze della Terra in Italia. Un migliaio di partecipanti, tra docenti, ricercatori e geologi liberi professionisti hanno partecipato ad attività congressuali e collaterali, forum, conferenze e stand espositivi, condividendo i risultati delle ricerche ed affrontando argomenti che includono le Scienze della Terra nei loro aspetti di ricerca di base e applicata ad ambiente, salute, energia, georisorse, beni culturali e rischio Idrogeologico.

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Proprio commentando a Milano i recenti eventi in Puglia, disastri ambientali, Antonello Provenzale, dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, ha sottolineato: «Dobbiamo renderci conto che sia i modelli climatici che i dati attualmente a nostra disposizione suggeriscono effettivamente un’intensificazione del ciclo idrologico, ossia sia dell’intensità delle precipitazione che dei periodi di siccità. Diventa urgente focalizzare la nostra attenzione sui rischi che nei vari ambiti possono essere connessi a questo scenario: che riguardino la necessità di selezione di nuove colture, della prevenzione del dissesto territoriale o di malattie correlate, si tratta sempre di questioni che chiedono l’intervento fondamentale, e urgente, dell’innovazione tecnologica per non coglierci drammaticamente impreparati».

Alcune sessioni del Congresso Nazionale delle Geoscienze, sono state di grande attualità: cambiamenti climatici:  il ruolo delle regioni polari; energia geotermica; risorse e riserve petrolifere; sismologia e vulcani sottomarini. Si è discusso  anche di geologia extraterrestre e Marte è stato al centro di molti interventi divulgativi,  ma si è parlato  anche di Mercurio e delle prime scoperte sulla cometa Churyumov-Gerasimenko sulla quale sta per “atterrare”  la sonda Philae,progettata conun grande contributo della tecnologia italiana.

Gli organizzatori spiegano che «il Congresso rappresenta il più grande evento della comunità delle geoscienze che precede l’Expo 2015 e vuole essere un’occasione per potenziare gli scambi con il mondo industriale, con i professionisti e con gli insegnanti per trasformare i risultati delle ricerche in prodotti, metodologie e servizi. Le tematiche principali di Expo 2015 (energia, pianeta, cibo, vita) sono alla base degli obiettivi del Congresso, con particolare riferimento alle risorse non-rinnovabili, all’acqua e ai suoli, la cui conoscenza e gestione sono alla base di uno sviluppo sostenibile».

I lavori si concluderanno con lo spettacolo gratutito e aperto al pubblico  “Geologi non per caso”,  nel quale Patrizio Roversi dialogherà con 7 geo-attori (per caso) per scoprire come la Geologia si rapporta alla vita quotidiana.

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Congresso nazionale di geoscienze: gestione delle risorse alla base dello sviluppo sostenibile

[12 settembre 2014]

Geoscienze

Si conclude oggi all’università degli Studi di Milano il Congresso Nazionale delle Geoscienze, o meglio,  l’87esimo Congresso della Società Geologica Italiana (Sgi) e il 90esimo Congresso della Società Italiana di Mineralogia e Petrologia (Simp), le due principali società scientifiche di Scienze della Terra in Italia. Un migliaio di partecipanti, tra docenti, ricercatori e geologi liberi professionisti hanno partecipato ad attività congressuali e collaterali, forum, conferenze e stand espositivi, condividendo i risultati delle ricerche ed affrontando argomenti che includono le Scienze della Terra nei loro aspetti di ricerca di base e applicata ad ambiente, salute, energia, georisorse, beni culturali e rischio Idrogeologico.

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Proprio commentando a Milano i recenti eventi in Puglia, disastri ambientali, Antonello Provenzale, dell’Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima del CNR, ha sottolineato: «Dobbiamo renderci conto che sia i modelli climatici che i dati attualmente a nostra disposizione suggeriscono effettivamente un’intensificazione del ciclo idrologico, ossia sia dell’intensità delle precipitazione che dei periodi di siccità. Diventa urgente focalizzare la nostra attenzione sui rischi che nei vari ambiti possono essere connessi a questo scenario: che riguardino la necessità di selezione di nuove colture, della prevenzione del dissesto territoriale o di malattie correlate, si tratta sempre di questioni che chiedono l’intervento fondamentale, e urgente, dell’innovazione tecnologica per non coglierci drammaticamente impreparati».

Alcune sessioni del Congresso Nazionale delle Geoscienze, sono state di grande attualità: cambiamenti climatici:  il ruolo delle regioni polari; energia geotermica; risorse e riserve petrolifere; sismologia e vulcani sottomarini. Si è discusso  anche di geologia extraterrestre e Marte è stato al centro di molti interventi divulgativi,  ma si è parlato  anche di Mercurio e delle prime scoperte sulla cometa Churyumov-Gerasimenko sulla quale sta per “atterrare”  la sonda Philae,progettata conun grande contributo della tecnologia italiana.

Gli organizzatori spiegano che «il Congresso rappresenta il più grande evento della comunità delle geoscienze che precede l’Expo 2015 e vuole essere un’occasione per potenziare gli scambi con il mondo industriale, con i professionisti e con gli insegnanti per trasformare i risultati delle ricerche in prodotti, metodologie e servizi. Le tematiche principali di Expo 2015 (energia, pianeta, cibo, vita) sono alla base degli obiettivi del Congresso, con particolare riferimento alle risorse non-rinnovabili, all’acqua e ai suoli, la cui conoscenza e gestione sono alla base di uno sviluppo sostenibile».

I lavori si concluderanno con lo spettacolo gratutito e aperto al pubblico  “Geologi non per caso”,  nel quale Patrizio Roversi dialogherà con 7 geo-attori (per caso) per scoprire come la Geologia si rapporta alla vita quotidiana.

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Miniera di diamanti nella terra dei boscimani

Scritto da: Beatrice Salvemini
Fonte:http://www.aamterranuova.it

Una miniera di diamanti da 4,9 miliardi di dollari apre nella Central Kalahari Game Reserve, terra ancestrale degli ultimi cacciatori Boscimani dell’Africa. Esattamente dieci anni fa, il governo del Botswana affermava: “non esistono piani di estrazione in nessuna località della riserva”.

Miniera di diamanti nella terra dei boscimani

Ai Boscimani fu intimato di abbandonare la riserva poco dopo la scoperta dei giacimenti, avvenuta negli anni ’80. Ma il governo del Botswana ha continuato a negare che i diamanti avessero a che fare con gli sfratti illegali e forzati dei Boscimani del Kalahari – avvenuti nel 1997, 2002 e 2005. Ufficialmente, gli sfratti venivano compiuti nel nome della “conservazione”.

Nel 2000, tuttavia, il Ministro per i Minerali, l’Energia e l’Acqua dichiarò ad un quotidiano botswano che “il trasferimento delle comunità basarwa (Boscimani) [dalla Central Kalahari Game Reserve] vuole spianare la strada al progetto di una miniera di diamanti a Gope”. E nel 2002 i Boscimani raccontarono a Survival International, il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni, che “il Ministro degli Esteri, il Generale Merafthe, è venuto nella riserva e ci ha detto che dovevamo spostarci a causa dei diamanti.”

L’apertura della miniera dimostra anche che l’impegno del Botswana verso la conservazione è solamente un’operazione di facciata. Il governo, infatti, afferma ingiustamente che la presenza dei Boscimani nella riserva è “incompatibile con la conservazione della fauna”, ma contemporaneamente autorizza l’estrazione di diamanti e il fracking nel loro territorio.

Le organizzazioni conservazioniste, che elogiano gli sforzi di conservazione del Presidente del Botswana Ian Khama, sono rimaste in silenzio davanti alle persecuzioni dei Boscimani e alle attività minerarie nella Central Kalahari Game Reserve.

“Questa settimana il Presidente Khama aprirà una miniera nella Central Kalahari Game Reserve. Le organizzazioni che hanno premiato il Presidente Khama per il suo impegno a favore della flora e della fauna pensano ancora che sia un buon esempio per il mondo?” ha detto a Survival un Boscimane sfrattato insieme alla sua famiglia. “I residenti della Riserva non beneficiano in alcun modo della miniera. Le nostre risorse naturali verranno distrutte e gli unici benefici andranno alle comunità che vivono fuori dalla riserva. Ci opporremo fermamente all’apertura della miniera fino a quando il governo e la Gem Diamonds non si siederanno con noi e ci diranno quali benefici ci poterà la miniera.”

Il governo continua inarrestabile a cercare di mandare via i Boscimani dalla riserva, accusandoli di “bracconaggio” quando cacciano per nutrirsi. I Boscimani rischiano arresti, pestaggi e torture, mentre i cacciatori di trofei paganti vengono incoraggiati a farlo. Il governo si è persino rifiutato di riaprire i loro pozzi d’acqua, ha limitato i loro movimenti di ingresso e uscita dalla riserva, e ha vietato l’accesso nel paese al loro avvocato.

“Quando i Boscimani vennero sfrattati illegalmente dalla terra ancestrale nel nome della ‘conservazione’, Survival denunciò il gioco sporco – sia noi che i Boscimani eravamo convinti che l’estrazione dei diamanti fosse la vera ragione per cui la tribù veniva cacciata” ha dichiarato oggi il Direttore generale di Survival, Stephen Corry. “Il governo e i suoi amici negarono con forza queste accuse, ma alla fine si è dimostrato che avevamo ragione. Intanto, organizzazioni come Conservation International continuano a elogiare il Presidente Khama per i suoi sforzi ambientalisti e a chiudere un occhio sulle sue violazioni dei diritti umani.”

– Scarica la cronistoria degli eventi che hanno portato all’apertura della miniera di Diamanti di Ghaghoo.

Per leggere la storia: http://www.survival.it/notizie/10413

Survival International è il movimento mondiale per i diritti dei popoli indigeni. Aiutiamo i popoli indigeni a difendere le loro vite, a proteggere le loro terre e a determinare autonomamente il proprio futuro. Fondata nel 1969, Survival celebra quest’anno il suo 45° anniversario.