Scritto da: Marco M.
Fonte: http://www.luogocomune.net/LC/index.php/32-le-grandi-cospirazioni/2998-mobyprince1748
Un episodio inquietante riporta alla ribalta uno dei tanti “misteri italiani”, quello legato al disastro del Moby Prince. Nella notte tra venerdì e sabato sera a Marina di Pisa è stato aggredito un consulente tecnico che si stava occupando della tragedia, in cui morirono 140 persone, il 10 aprile 1991, dopo una collisione con la petroliera Agip Abruzzo.
Quattro persone a volto coperto hanno drogato l’uomo, ex paracadutista di 39 anni e l’hanno chiuso nella sua auto, alla quale hanno poi dato fuoco. L’uomo ha ripreso subito i sensi, ed è riuscito a mettersi in salvo. Dalla sua macchina sono scomparsi alcuni documenti. Il consulente stava per incontrare l’avvocato Carlo Palermo e un importante testimone, che quella notte ha visto una bettolina di sette metri di fianco al Moby con tre persone a bordo. Le imbarcazioni degli ormeggiatori, dei rimorchiatori e della Guardia di Finanza quando sono arrivati al Moby Prince hanno visto questa imbarcazione e hanno cercato un contatto con gli occupanti, i quali senza dare spiegazioni sono andati via velocemente.
L’inchiesta sulla tragedia del Moby Prince è stata riaperta un anno fa grazie ad elementi portati proprio dall’avvocato Palermo, su incarico di Angelo e Luchino Chessa, i figli del comandante del traghetto. Navi militari americane più una francese quella notte, poco dopo le 22, stavano trasportando ingenti quantità di materiale bellico, compreso esplosivo, …
… proveniente dalla base americana di Camp Darby. Un trasporto eccezionale e di estrema pericolosità, un’operazione segreta che non risulta autorizzata dalla prefettura di Livorno e quindi assolutamente illegale. Il procuratore Giaconi ha ascoltato anche Giulio Andreotti, al tempo Presidente del Consiglio, sui rapporti tra Italia e USA riguardo alla presenza delle navi militari nel porto di Livorno.
La Moby Prince, una nave di 6187 tonnellate, lunga 130 metri e larga 20, capace di trasportare 1.490 passeggeri e 360 veicoli si sarebbe trovata a percorrere la sua rotta abituale sulla Livorno-Olbia incrociando le però imbarcazioni militari che procedevano invisibili ai radar, provocando così la collisione del Moby Prince contro la petroliera italiana. Tali circostanze e gli ultimi, clamorosi sviluppi sono stati rivelati da “Panorama” nei giorni scorsi, una “fuga di notizie” che ha probabilmente portato all’aggressione del consulente. Il ritardo dei soccorsi fu decisivo per il bilancio finale del disastro. Addirittura, i primi a raggiungere per puro caso il Moby Prince verso le 23:35 (un’ora dopo il May Day) sono due ormeggiatori su una piccola imbarcazione, Mauro Valli e Walter Mattei, che raccolgono a bordo quello che poi sarà l’unico superstite, il mozzo napoletano Alessio Bertrand che urla loro che ci sono ancora persone vive da salvare.
Insieme agli ormeggiatori giunge anche una motovedetta (la CP232) della Capitaneria di Porto. Valli e Mattei invocano aiuto alla Capitaneria, mentre la motovedetta di fianco “indugiava”. Il naufrago viene caricato sulla motovedetta che incredibilmente resta sul posto per più di mezz’ora, partendo alla volta del porto solo quando le condizioni del naufrago si aggravano. Stranamente dopo questo avvenimento gli ormeggiatori contraddicendo quanto detto in precedenza riferiscono che il naufrago avrebbe detto “non c’è più nessuno da salvare, tutti morti bruciati”. Dalle registrazioni delle comunicazioni via radio risulta che il Comandante del Porto di Livorno, ammiraglio Albanese, al quale spetta il coordinamento dei soccorsi, dopo essersi imbarcato su una motovedetta poco dopo l’incidente abbia taciuto non dando alcuna indicazione. Il Dipartimento della Difesa americano ha negato la presenza di navi militari, ammettendo invece ufficialmente la presenza sul posto di cinque navi mercantili (le navi Cape Breton, Cape Flattery, Cape Syros, Efdim Junior e Gallant II) con due documenti separati. Il primo documento, del 1991, cita tre di queste navi, mentre il secondo, ben 11 anni dopo afferma che le navi furono quelle cinque.
C’è poi una lettera del governo Usa, firmata dal Capitano di Vascello della Marina Militare John T. Oliver capo ufficio responsabile dell’avvocatura militare del Dipartimento della difesa degli Stati uniti. I militari si dicono certi che “il governo degli Stati uniti abbia ampiamente contribuito alle indagini ufficiali svolte dalle autorità italiane”. “Camp Darby – si legge ancora – non è in possesso, né lo era all’epoca, di attrezzature in grado di intercettare le comunicazioni radio del Moby Prince. Poiché non si tratta di una base portuale, Camp Darby non ha motivo di intercettare le comunicazioni che le navi trasmettono a terra. Allo stesso modo Camp Darby non è dotata di attrezzatura radar… Il governo Usa non aveva alcun motivo di monitorare il porto di Livorno con un sistema di immagini satellitari e non lo stava facendo. Non sono quindi disponibili immagini o registrazioni di alcun tipo”. Una testimone, Susanna Bonomi, afferma di aver visto quella sera attraccare nel porto di Livorno il 21 Octobar II (un peschereccio che qualche anno dopo comparirà in un’inchiesta proprio per traffico d’armi, con la Somalia, quella alla quale lavorava la giornalista Ilaria Alpi prima di essere uccisa): dai registri ufficiali del porto il 21 Octobar II risultava fermo in darsena per riparazioni. Tra i tanti punti oscuri c’è anche la contraffazione dell’unico filmato amatoriale girato da bordo in quei momenti e recuperato dal relitto del Moby Prince: quando giunge nelle mani del magistrato il video “presenta una giunzione effettuata in modo non professionale”. Un taglia e cuci con aggiunta di un pezzo di nastro vergine. Alcuni testimoni inoltre affermano di avere avvistato un elicottero militare volare a luci spente sulle acque della rada di Livorno, tra le 22:35 e le 22:45 circa.
L’elicottero non è mai stato identificato. Le autorità americane si sono sempre rifiutate di consegnare ai magistrati livornesi le foto satellitari rilevate quella notte. I nuovi elementi spiegherebbero anche perché, con ogni probabilità, i soccorsi furono volontariamente ritardati, consentendo nel frattempo alle navi militari americane di sparire dalla scena. Un’inchiesta amministrativa fu aperta e conclusa a tempo di record (11 giorni) e l’associazione dei familiari delle vittime denuncia manomissioni sul relitto, tracciati radar mai chiesti e altri con un’inspiegabile zona buia proprio sull’area della tragedia, i processi senza colpevoli, le dichiarazioni contraddittorie di alcuni protagonisti. Tra le cause ufficiali del disastro si è parlato della nebbia, ma il capitano della Guardia di Finanza Cesare Gentile, a capo di una motovedetta dei soccorritori uscita dal porto di Livorno intorno alle 22:35 ha dichiarato che “in quel momento c’era bellissimo tempo, il mare calmissimo e una visibilità meravigliosa”.
Il processo di primo grado inizia il 29 novembre 1995. Gli imputati sono 4: il terzo ufficiale di coperta dell’Agip Abruzzo Valentino Rolla, accusato di omicidio colposo plurimo e incendio colposo; Angelo Cedro, comandante in seconda della Capitaneria di porto e l’ufficiale di guardia Lorenzo Checcacci, accusati di omicidio colposo plurimo per non avere attivato i soccorsi con tempestività; Gianluigi Spartano, marinaio di leva, imputato per omicidio colposo per non aver trasmesso la richiesta di soccorso. Il processo, pieno di momenti di tensione, si conclude nella notte tra il 31 ottobre e il 1° novembre 1997 in un’aula piena di polizia e carabinieri: assolti tutti gli imputati perché «il fatto non sussiste». In appello, la terza sezione penale di Firenze dichiara definitivamente chiuso il processo per prescrizione. 140 morti, nessun colpevole. Poi la riapertura dell’inchiesta lo scorso ottobre ed i fatti, clamorosi ed inquietanti, di questi giorni che, semmai ce ne fosse stato bisogno, lasciano capire che la verità su quella che è stata definita “l’Ustica dei mari” è ben più pesante di un “tragico incidente”. Marco M. — Nel libro “Moby Prince. Un caso ancora aperto”, Enrico Fedrighini riporta i risultati di un personale e lungo lavoro di ricerca, incrociando testimonianze, perizie, deposizioni processuali. La sera del 10 aprile 1991 è appena finita la Guerra del Golfo e ci sono cinque navi militarizzate americane in rada a Livorno.
Una di queste sta trasbordando materiale bellico e armamento su altre ignote imbarcazioni. Un elicottero – non identificato, ma certamente non italiano – controlla dall’alto l’operazione. Nel contempo, alcune “bettoline” riforniscono di carburante le navi. Qualcosa va storto, un’esplosione, un incendio. Alcuni testimoni parlano di vampate e bagliori che si sviluppano prima dell’impatto del “Moby Prince” contro la petroliera. Il traghetto transita poco lontano. All’improvviso gli arriva contro un’imbarcazione “impazzita” che si allontana dal luogo dell’incidente. Il Moby è costretto a virare, repentinamente. Il timone si blocca, il suo destino è segnato: l’impatto è inevitabile. Qui potete vedere il documentario “L’Ustica dei mari”, trasmesso un anno fa dalla tv svizzera, mentre qui la puntata di “La Storia siamo noi” intitolata “Moby Prince, il porto delle nebbie” di due anni fai. Il sito dell’Associazione dei familiari delle vittime
L’articolo originale è stato pubblicato nel 2007.