Il Pil di Cina e India colpito duramente da uno shock dei prezzi alimentari. E in Africa andrà peggio

Scritto da: Umberto Mazzantini
Fonte: http://www.greenreport.it/news/clima/pil-cina-india-colpito-duramente-uno-shock-dei-prezzi-alimentari-africa-andra-peggio/

Rapporto Unep 1

Secondo il rapportoERISC Phase II: How food prices link environmental constraints to sovereign credit risk”, pubblicato congiuntamente  da United Nations Environment Programme (Unep) e Global Footprint Network (Gfn), «se i prezzi alimentari a livello mondiale raddoppieranno, allora la Cina potrebbe perderebbe 161 miliardi di dollari di Pil e l’India potrebbe perdere 49 miliardi di dollari»

Il rapporto, pubblicato in collaborazione con Cambridge Econometrics e alcuni tra i principali istituti finanziari,  classifica i Paesi in base a quanto saranno colpiti se i prezzi delle materie prime alimentari raddoppieranno a livello mondiale (Caisse des Dépôts, First State Investments, HSBC, Kempen Capital Management, KfW, e S & P Global Ratings) e prevede l’impatto di uno shock mondiale dei prezzi alimentari di questo tipo su 110 Paesi per cercare di capire quali Paesi affronterebbero il maggior rischio economico per questo crescente squilibrio. L’Italia, come gran parte dei Paesi più ricchi, subirà scarsissimi danni: si piazza 88esima con un -0,2% di Pil

Unep e Global Footprint Network avvertono che «In futuro, il mondo probabilmente soffrirà a causa di prezzi dei prezzi dei prodotti alimentari  più alti e più volatili a seguito di un crescente squilibrio tra l’offerta e la domanda di cibo. L’aumento delle popolazioni e dei redditi intensificheranno la domanda di cibo, mentre il cambiamento climatico e la scarsità di risorse danneggeranno la produzione alimentare».

Se i prezzi delle materie prime alimentari raddoppieranno, la più alta perdita percentuale  di Pil è prevista  in 5 Paesi africani:  Benin, Nigeria, Costa d’Avorio, Senegal e Ghana. Ma sarà la Cina a perdere di più in termini di denaro: 161 miliardi di dollari,  equivalente al Pil totale della Nuova Zelanda. L’India avrà la seconda perdita di  Pil più elevata: 49 miliardi di dollari, pari al Pil totale della Croazia.

Unep e Global Footprint Network evidenziano gli altri risultati più significativi del rapporto: Nel complesso, saranno l’Egitto, il Marocco e le Filippine che potrebbero subire il maggiore impatto combinato sul PIL, in termini di bilancia dei pagamenti e di inflazione, da un raddoppio dei prezzi dei prodotti alimentari. Non è certo una buona notizia per l’Italia, visto che si tratta di 3 Paesi di immigrazione verso il nostro Paese.  E non la è nemmeno il fatto che 17 dei 20 Paesi più a rischio  per uno shock dei prezzi alimentari sono in Africa. Va decisamente meglio per Paraguay, Uruguay, Brasile, Australia, Canada e Stati Uniti che potrebbero trarre i maggiori benefici da un forte aumento dei prezzi delle materie prime alimentari.

A livello globale, gli effetti negativi di uno shock dei prezzi alimentari superano di gran lunga gli effetti positivi in ​​termini assoluti. Infatti, mentre la Cina potrebbe vedere una riduzione assoluta del Pil di  161 miliardi di dollari,  il Paese dove c si avrebbe i più alto effetto positivo in assoluto sul PIL, Gli Usa, ci guadagnerebbero solo 3 miliardi di dollari 50 volte in meno dell’impatto sul Pil cinese. In 23 Paesi, un raddoppio dei prezzi alimentari porterebbe ad un 10% (o più) di aumento dei prezzi al consumo. I paesi con elevati rating sovrani  tendono ad essere meno esposti ai rischi derivanti da un picco dei prezzi alimentari. Ma il vero paradosso è riassunto molto bene dal rapporto: i Paesi dove la  popolazione ha il più alto consumo di risorse naturali e dei servizi, e che sono quindi più responsabili per le cause  ambientali che renderanno i futuri prezzi dei prodotti alimentari più alto e più volatili, tendono ad affrontare questa esposizione al rischio più basso.

Susan Burns, co-fondatrice di Global Footprint Network e direttrice della Finance Initiative (FI), sottolinea: «Ora più che mai, in questa epoca di cambiamenti climatici, l’identificazione di tutti i rischi ambientali rilevanti è fondamentale per investire non solo in azioni, ma anche in obbligazioni sovrane. Come dimostra questa ultima ricerca, gli shock al nostro sistema alimentare rappresentano una sostanziale rischio ambientale che sia gli investitori che i governi possono in gran parte prevedere, ma servirebbe davvero integrarli nelle loro analisi dei rischi».

Il rapporto si basa sul primo rapporto Environment Risk Integration in Sovereign Credit (ERISC), pubblicato nel  2012 da Unep, FI e Gfn, che valuta come rischi ambientali come la deforestazione, i cambiamenti climatici e la scarsità d’acqua influenzano le economie, dato che il Pil, l’ inflazione e saldi di bilancio sono alla base alcuni dei criteri che determinano il rating sovrano di un Paese e il costo del prestiti sui mercati internazionali dei capitali.

Unep e Gfn invitano parti interessate, governi, banche, investitori e agenzie di rating a lavorare con loro per decifrare ulteriormente il legame tra vincoli ambientali e rischio di credito sovrano.

Il nuovo rapporto ERISC arriva a pochi giorni della pubblicazione di un importante report sui sistemi alimentari e le risorse naturali redatto dall’International Resource Panel (IRP), (IRP), un consorzio di 34 scienziati di fama internazionale, da più di 30 governi nazionali e di altri gruppi ospitati dall’Unep. Il rapporto IRP, che elenca una serie di soluzioni in grado di migliorare il sistema alimentare del mondo, verrà presentato a Nairobi il 25 maggio all’United Nations Environment Assembly, considerata il Parlamento mondiale dell’ambiente.

Il direttore esecutivo dell’Unep Achim Steiner conclude: «Le fluttuazioni dei prezzi dei prodotti alimentari sono avvertite direttamente dai consumatori e si riverberano su tutte le economie nazionali. Mentre crescono le pressioni ambientali, è importante anticipare l’impatto economico di queste sollecitazioni, in modo che i Paesi e gli investitori possano lavorare per mitigare e minimizzare rischio e, mentre la popolazione mondiale continua a crescere, i prezzi alimentari possono essere un fattore invisibile di come rischio ambientale si traduce in rischio economico e in vulnerabilità».

 

Clima: allarme dalla Nasa, nel 2016 temperature record. Ecco 50 consigli per salvaguardare la nostra Terra

Fonte: http://www.diregiovani.it/2016/05/18/34878-scientificamente-allarme-clima-nasa-rimedi.dg/

Clima: cinquanta semplici cose che ognuno di noi può fare per combattere il fenomeno del Riscaldamento Globale e salvare la nostra Terra. “La maggior parte di queste idee non comportano alcun costo, alcune altre richiedono invece un piccolo sforzo o investimento, ma possono far risparmiare un sacco di soldi nel medio-lungo periodo (non solo grazie agli ecoincentivi).

Nel corso della storia della Terra si sono registrate diverse variazioni del clima che hanno condotto il pianeta ad attraversare diverse ere glaciali alternate a periodi più caldi detti ere interglaciali. Queste variazioni sono riconducibili principalmente a mutamenti periodici dell’assetto orbitale del nostro pianeta (cicli di Milanković), con perturbazioni dovute all’andamento periodico dell’attività solare e alle eruzioni vulcaniche (per emissione di CO2 e di polveri). “Il riscaldamento globale è una realtà. Entro la fine del secolo, se le tendenze attuali continuano, la temperatura globale probabilmente raggiungerà il picco più alto degli ultimi due milioni di anni”

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Il riscaldamento globale è il fenomeno di innalzamento della temperatura superficiale del pianeta, con particolare riferimento all’atmosfera terrestre ed alle acque degli oceani. CLICCA QUI’ per APPROFONDIRE

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Parte di questo aumento di temperatura è dovuto a cause naturali, come l’irraggiamento solare combinato con il naturale effetto serra dell’atmosfera, ma una parte importante del surriscaldamento è riconducibile alle attività umane: l’utilizzo dei combustibili fossili, la deforestazione, l’allevamento e l’agricoltura intensive sono tutte cause del surriscaldamento ad opera dell’uomo.


APPROFONDIMENTI:


L’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite (IPCC) ha sottolineato nel 2005 che la temperatura del pianeta Terra è aumentata di 0,74 ± 0,18 °C durante gli ultimi 100 anni, osservando che “la maggior parte dell’incremento osservato delle temperature medie globali a partire dalla metà del XX secolo è molto probabilmente da attribuire all’incremento osservato delle concentrazioni di gas serra antropogenici”. Si tratta di una tesi sostenuta da oltre trenta associazioni scientifiche internazionali.

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Oltre a gennaio (1,11 gradi), febbraio (1,33) e marzo (1,29) scorsi, è accaduto in ottobre (+1.07 gradi) novembre (+1.01) e dicembre (+1,10) 2015. Le rilevazioni della Nasa, indicano che il primato dello scorso mese batte quello precedente del 2010 di 0.24 gradi centigradi ed è superiore di 0.87 rispetto alla media di aprile. Il 2016 si conferma l’anno più caldo degli ultimi 30 anni. E non finisce quì. L’Estate 2016 arriverà il prossimo 21 giugno e già si parla in maniera incessante del clima che avrà, con temperature sopra la media e ondate di caldo africano asfissianti. Torneranno, infatti, Caronte, Cerbero e Minosse.

11 SETTEMBRE / OBAMA DESECRETA LE COMPLICITA’ DI CIA E FBI ?

Scritto da: Andrea Cinquegrani
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/?p=6017

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11 settembre 2001: quasi 15 anni fa la tragedia delle Torri Gemelle. 1 maggio 2011: 5 anni fa l’eliminazione del ricercato numero uno, Osama bin Laden. Due gialli ancora avvolti nelle nebbie. Potrà far luce il dossier che Barack Obama sta per desecretare, prima di lasciare la Casa bianca? Sono vere alcune indiscrezioni, secondo le quali alcuni “pezzi” di verità potrebbero emergere in modo clamoroso, svelando le complicità di pezzi da novanta dell’establishment Usa, in primis vertici di Cia, Fbi e super apparati della sicurezza a stelle e strisce? Staremo a vedere. Intanto dagli States rimbalza una notizia clamorosa: dietro il “terrorismo” islamico e gli attentati, una Gladio B, gemmazione di quello “Stay Behind” che ha insanguinato l’Italia e contrassegnato la “strategia della tensione” di casa nostra.

Osama bin Laden

Osama bin Laden

Cominciamo da oggi. Le news a stelle e strisce aggiornano su un Donald Trump in vena di capriole prevoto: tra le ultime sparate, la promessa del magnate di liberare, appena eletto, il medico pakistano – un eroe per tantissimi negli Usa – che con la scusa di un vaccino avrebbe portato al nascondiglio del suo illustre paziente, bin Laden: si tratta di Shakil Afridi, condannato a ben 33 anni di galera in patria con l’accusa di far parte di un gruppo terroristico. Per festeggiare l’uccisione di Osama, comunque, la Cia l’ha pensata e fatta grossa: un diluvio di messaggi video via Twitter, dal 1 maggio, per mostrare al popolo yankee dei flash sull’operazione, “come se tutto stesse succedendo in tempo reale”, hanno commentato le menti Cia illustrando l’originale iniziativa. La Cnn, dal canto suo, ha intervistato Obama nella “situation room” nella Casa Bianca, dove il presidente potè seguire in diretta, con i suoi più stretti collaboratori, il mitico blitz. Potete leggere tutti i dettagli di quell’operazione taroccata – bin Laden non venne catturato e ucciso dopo una rocambolesca ricerca, ma semplicemente venduto per milioni di dollari (pare una dozzina) dal capo dei servizi segreti pakistani, Mohamoud Ahamad, che ritroveremo fra poco – nell’inchiesta della Voce messa in rete esattamente un anno fa, il 15 maggio 2015.

Ma il “nodo”, ora, per Obama, resta uno: desecretazione sì, desecretazione no. Spiega un esperto di intelligence Usa: “Prima della fine del suo mandato il presidente ci terrebbe a fare due cose che gli pesano non poco sullo stomaco: la questione Guantanamo, che non è riuscito a risolvere dopo le tante promesse di chiudere quel lager; e la vera storia delle Torri Gemelle, un problema gigantesco, perchè se si inizia a scalfire il muro di gomma fino ad oggi innalzato sono guai per tutti ai vertici del potere Usa, con deflagranti effetti a catena ora del tutto inimmaginabili”.

In un’intervista alla Cbs rilasciata da Obama il 19 aprile, il numero uno della Casa Bianca ha ammesso che la decisione sulla desecretazione è ad un punto di svolta. Lo ha fatto prima di partire per un viaggio in Arabia Saudita. “Circostanza significativa – viene sottolineato – perchè certe rivelazioni riguarderebbero proprio il ruolo svolto dall’Arabia Saudita nel fiancheggiare il terrorismo islamico e un possibile ruolo anche per la vicenda dell’11 settembre”. Ecco alcune parole di Obama, a proposito del dossier sulle Torri Gemelle fino ad oggi top secret, 28 pagine dense di nomi & circostanze bollenti: “ho un’idea di cosa ci possa essere scritto, ma la nostra intelligence, guidata da Jim Clapper, ha dovuto assicurarsi che le informazioni, una volta rilasciate, non compromettessero la sicurezza del Paese. Credo che Clapper abbia finito questo lavoro”.

Che verità, a questo punto, salteranno fuori? Brandelli, per non “compromettere” i destini dei Palazzi Usa, o almeno mezze verità? Perchè fino ad oggi la macchina della “disinformazione” e del più totale “insabbiamento” ha avuto sempre la meglio.

2012, L’ATTA D’ACCUSA DI FERDINANDO IMPOSIMATO

Ferdinando Imposimato. In apertura, Barack Obama

Ferdinando Imposimato. In apertura, Barack Obama

Ad effettuare una minuziosa ricostruzione di quel tragico 11 settembre, delineando soprattutto un identikit dei protagonisti dell’attentato che cambiato le sorti del mondo, s’è attivato, cinque anni fa, un team di studiosi internazionali, al quale la Corte dell’Aja ha chiesto un contributo scientifico (e anche giuridico) per cercare di comporre le tessere del complesso mosaico. In prima fila, i nostri Ferdinando Imposimato e Giulietto Chiesa. A marzo 2012 Imposimato – storico “giudice istruttore” ai tempi del rapimento Moro e dell’attentato a papa Woytila – scrisse per la Voce un ampio reportage che titolammo “Atta d’Accusa”: una profetica ricostruzione consegnata alla Corte dell’Aja. Alcuni suoi cardini – secondo indiscrezioni – potrebbero trovare una clamorosa conferma nel dossier che Obama starebbe per desecretare.

Accanto a Mohamed Atta – il capo dei kamikaze per l’attacco alle Twin Towers – il personaggio chiave della story è Mohamoud Ahmad, il capo dei potenti servizi segreti pakistani (ISI) a inizio 2000: l’uomo che commissionò, per conto della Cia, ad Atta & C. l’attacco alla Torri, e che dopo dieci anni esatti “venderà” per una barca milionaria di dollari bin Laden alla stessa, generosa Cia. Leggere per credere.

Ecco cosa scriveva Imposimato più di 4 anni fa, marzo 2012 (in basso il link dell’inchiesta pubblicata dalla Voce). “Vi è la prova che a novembre del 1999 Mohammed Atta, pedinato dalla Cia, lasciò Amburgo e andò prima a Karaci, in Pakistan, poi a Kandahar, in Afghanistan. Qui Atta incontrò Osama Bin Laden e lo sceicco Omar Saeed. Saeed era colui che avrebbe finanziato, per conto del capo dei Sevizi segreti pakistani (ISI), Mahmoud Ahmad, l’egiziano Atta e i suoi kamikaze. Secondo il Times India, che ebbe le intercettazioni dei colloqui di Saeed con Ahmad, questi nel giugno 2000 inviò dal Pakistan 109 mila dollari ad Atta, tramite una banca di Dubai. E ciò mentre Atta era appena arrivato in Florida”. Ricostruì ancora Imposimato: “L’amministrazione Usa dal 1999 aveva la prova dell’incontro di Atta con Saeed. Ma non accadde nulla. Perchè? La ragione è evidente: Ahmad, che si trovava a Washington dal 4 all’11 settembre, cioè nella fase cruciale della preparazione ed esecuzione degli attacchi, e si era incontrato con il capo della Cia George Tenet, aveva la possibilità di ricattare l’amministrazione Bush. E di dimostrare che l’esecutivo sapeva dell’attacco e lo aveva lasciato eseguire per giustificare le guerre successive. La presenza di Ahmad alla Casa Bianca, e poi al Pentagono, venne scoperta dal professor Michel Chossudovsky, che non è stato mai smentito”. Un altro componente, Chossudovsky, del gruppo di esperti incaricati dall’Aja di redigere la “controinchiesta” sull’11 settembre. “Ho avuto modo di sentire Chossudovsky al Toronto Hearing, nel settembre 2011: un grande ricercatore di verità”, scriveva ancora l’ex magistrato, che nella sua minuziosa ricostruzione dei mesi precedenti (quel tragico 11 settembre) di Atta, ne scopre delle belle, libero come un fringuello – il capo dellla band – di girare per mezzo mondo. Viaggi senza tregua, nonostante visti illegali e, soprattutto, nonostante “formalmente” il suo nome risultasse nella super lista dei ricercati per terrorismo stilata dal dipartimento di Stato fin dal 1986.

Sottolinea soprattutto due clamorose circostanze, Imposimato, nel suo reportage. Bush era al corrente di tutto, possibili attentati imminenti compresi, perchè la Cia ad agosto 2001 inviò

Mohammed Atta

Mohammed Atta

alla Casa Bianca una lettera top secret che testualmente, fra l’altro, diceva: “Osama bin Laden determined to strike Us” e faceva riferimento all’attentato del 1993 al World Trade Center, il tutto con l’obiettivo di “bring the fighting to America”, portare il conflitto nel cuore degli States. E tutto sapevano,

Mahmoud Ahmad

Mahmoud Ahmad

ovviamente, i vertici dei Servizi a stelle e strisce. In particolare Tom Wilshire, il cui comportamento “attivo e omissivo” Imposimato ha denunciato davanti alla Corte dell’Aja: “quando nell’agosto 2001 passò dalla direzione della Cia al vertice dell’Fbi, egli sapeva perfettamente che Atta aveva fatto azione di reclutamento di terroristi in Germania e aveva acquistato polvere per esplosivi a Francoforte. E’ un probabile complice dei terroristi per aver consentito gli spostamenti negli Usa e aver omesso di informare l’Fbi circa questi spostamenti. Non fornì – scrisse ancora Imposimato – all’Fbi le notizie che aveva raccolto sul conto di Atta e degli altri, fin dall’incontro di Kuala Lampur nel dicembre 1999”.

Scrive Laura Ferrari sui “misteri irrisolti” dell’11 settembre: “Tra gli altri misteri che i 19 dirottatori si sono portati nella tomba, ci sono visite rimaste inspiegabili a Las Vegas nei mesi prima dell’attentato, uno strano incontro in Malaysia nel 2000 (con ogni probabilità il summit di Kuala Lampur a dicembre, ndr) tra esponenti di Al Qaeda e due terroristi poi morti sull’aereo finito al Pentagono e il bizzarro itinerario seguito la mattina dell’11 settembre da altri due dirottatori. Nessuno ha capito – scrive ancora – perchè Mohamed Atta e Abdulaziz Alomari quella mattina compirono un complesso viaggio fino a Portland, nel Maine, prima di trasferirsi a Boston e imbarcarsi sugli aerei poi finiti sulle Torri Gemelle”.

MAXI TRAFFICI ILLEGALI & COPERTURE DELLA GLADIO B

Ma un’altra investigatrice – per anni in servizio all’Fbi come traduttrice – ha scritto un esplosivo dossier-verità sulle Torri Gemelle e la fitta rete di complicità ad altissimo livello. Si tratta di Sibel Edmond, che è riuscita a raccogliere una sterminata mole di materiali, ha poi inutilmente cercato un editore, non lo ha evidentemente trovato e alla fine ha deciso di autopubblicare “Classified Woman – the Sibel Edmond Story” proprio nella primavera 2012: subito eclissato dai media e ignorato dai mezzi d’informazione, pochi stralci a vagare nell’etere del web alternativo. Ecco, di seguito, alcuni illuminanti passaggi tratti da un report del Sunday Times.

“La Edmonds descrive gli stretti legami di Pentagono, Cia e Dipartimento di Stato con i militanti di Al Qaeda fin dal 2001. Il suo libro accusa esplicitamente gli allora vertici governativi e militari di negligenza, corruzione e collaborazione con Al Qaeda in traffici di armi e droga nell’Asia Centrale. Edmond sostiene che l’allora braccio destro di bin Laden, Ayman al-Zawahiri, ha avuto numerosi incontri presso l’ambasciata Usa a Baku, in Azerbaijan, con gli uomini dell’intelligence statunitense dal 1997 al 2001, all’interno di un’operazione conosciuta come Gladio B. Secondo Edmonds, al-Zawahiri, così come diversi membri della famiglia bin Laden e altri importanti mujahideen, sono stati trasportati dagli aerei militari della Nato in diverse parti dell’Asia Centrale e sui Balcani per partecipare a operazioni di destabilizzazione decise dal Pentagono”.

Sibel Edmond

Sibel Edmond

Parole che pesano come macigni. Sui proficui rapporti tra bin Laden e la famiglia Bush, del resto, la Voce a inizio 2000 pubblicò alcune dichiarazioni dell’avvocato Carlo Taormina, all’epoca legale di Loredana Bertè, la quale gli aveva raccontato di “un pranzo con l’ex marito, il tennista Bijorn Borg, a casa Bush: al tavolo c’era un certo Osama bin Laden”.

Continuiamo col report. “Sibel Edmonds, che ha studiato legge e psicologia criminale alle università George Washington e George Mason, ha descritto come la Cia e il Pentagono hanno condotto una serie di operazioni coperte supportando la rete di milizie islamiste legate a bin Laden subito dopo l’11 settembre, in Asia Centrale, nei Balcani e nel Caucaso. Mentre i legami sono ben noti e ammessi dagli Usa durante la guerra russa in Afghanistan, i legami successivi sono stati sempre falsamente negati”.

Ecco, più in dettaglio, la Gladio B secondo la ricostruzione della investigatrice-traduttrice. La quale fa un nome, quello del maggiore Douglas Dickerson, un militare che conosceva personalmente, essendo il marito della sua collega Melek negli uffici della stessa Fbi. Dickerson “diresse specificamente l’operazione Gladio in Kazakhstan e in Turkmenistan, contemporaneamente”. Veri Rambo. In particolare, il maggiore lavorava per la DIA (Defence Intelligence Agency), organismo controllato dal Pentagono, nonché per l’OSP (Office of Special Plans), impegnati sul fronte della fornitura di armi alle divisioni logistiche in Turchia e Asia Centrale. Sintetizza il report del Sunday Times: “Se l’Italia era l’epicentro delle manovre della vecchia Gladio, secondo la Edmonds i paesi di riferimento per le operazioni della nuova Gladio B sono Turchia e Azerbaijan”. E per quanto riguarda gli obiettivi strategici: “progettare le nuove strategie energetiche per gli Usa, attraverso nuove influenze sui paesi dell’ex impero sovietico; respingere il potere crescente di Russia e Cina; espandere il raggio delle azioni criminali, soprattutto per quanto concerne i traffici di droga e armi”. Obiettivi da autentico Stato canaglia: quegli stati che gli Usa – in teoria – avrebbero dovuto contrastare…

“Non è un caso – dichiara Edmonds al Sunday – che i traffici internazionali di oppio siano cresciuti a dismisura sotto la tutela Nato in Afghanistan. Le rotte previste dai piani della Nato si basavano su trasporti dall’Asia, a bordo di navi, la destinazione preferita per i carichi di eroina è stata il Belgio, da dove poi veniva smistata in tutta Europa e in Gran Bretagna. Altri approdi dei traffici, sempre via mare, erano il New Jersey e Chicago, negli Usa. Il controspionaggio dell’Fbi e la Dea (Drug Enforcement Agency, ndr) sono riusciti a monitorare queste operazioni, che vedevano implicati i vertici del Pentagono, della Cia e del Dipartimento di Stato, con un ruolo di primo piano svolto da Dickerson. Tutti i traffici di droga, denaro e terrore nell’Asia Centrale erano diretti da questi ufficiali”. Più chiari di così.

L’attendibilità e veridicità delle affermazioni e ricostruzioni effettuate da Sibil Edmonds ha trovato conferma nelle dichiarazioni di non pochi ufficiali non implicati in quei traffici e non timorosi di parlare, sia all’interno dell’Fbi che dei servizi britannici, l’M16. Per fare un solo esempio, l’agente speciale dell’Fbi Dennis Sacher s’è lasciato sfuggire un significativo “è uno scandalo più grande del Watergate”: dopo di che è stato rimosso dal suo ufficio, in Colorado.

Come mai fino ad oggi la “bomba” non è scoppiata? Perchè il Watergate post 11 settembre non è esploso? “Per via delle gigantesche manovre corruttive che hanno inquinato gli Usa”, è l’amaro commento della Edmonds. “L’altissimo livello di corruzione ha compromesso ogni capacità di accertamento della verità da parte di chi avrebbe dovuto investigare su quello che è accaduto, su quanto hanno fatto coloro che hanno pianificato l’11 settembre. La corruzione ha comprato il silenzio del Congresso. Il controspionaggio dell’Fbi ha comprato i voti di molti repubblicani e democratici in pari tempo”.

Un pesantissimo silenzio, costato non solo in termini di dollari ma soprattutto in termini di vite umane. E di maxi traffici illegali portati avanti negli arcidemocratici States.

Potrà infrangerlo l’ultimo colpo di coda dell’uscente Obama?

Leggi anche:

LE GRANDI BUFALE DI OBAMA SULLA CATTURA DI OSAMA –  15 maggio 2015

Qui l’inchiesta di Ferdinando Imposimato per la Voce di marzo 2012

articolo Voce-Imposimato marzo 2012

Shinrin-yoku: il segreto per guarire è nella foresta

Scritto da: Marta Albe’
Fonte: http://www.greenme.it/vivere/salute-e-benessere/20253-guarire-foresta

Vivere a contatto con la natura ci fa sentire meglio e la scienza lo sta dimostrando uno studio dopo l’altro. Shinrin-yoku è un’espressione giapponese impossibile da spiegare con una sola parola in italiano. La troviamo tra le parole giapponesi quasi intraducibili ma con un significato davvero profondo.

Shinrin-yoku significa “trarre giovamento dall’atmosfera della foresta” o “bagno nella foresta”. Si tratta insomma di una vera e propria immersione nel verde con l’obiettivo di godere dei benefici della natura per la nostra salute.

In Giappone è comune prescrivere ai pazienti un bel “bagno nella foresta” perché è noto che passeggiare tra gli alberi può essere utile per ridurre lo stress, per rafforzare il sistema immunitario e per ritrovare il buonumore e le energie. Il Governo giapponese invita i cittadini a passeggiare tra gli alberi mettendo a loro disposizione degli esperti che indicano come fare per respirare profondamente, per camminare in consapevolezza nella natura e per sperimentare davvero i benefici di qualche ora passata tra i boschi.

Secondo la psicologia ambientale, è l’ambiente in cui ci troviamo che determina il nostro modo di essere. Gli abitanti delle città, che spesso sono molto stressati, amano andare alla ricerca di un’occasione di fuga nella natura, ad esempio sfruttando un fine settimana per una gita in montagna.

Jose Antonio Correia, professore di Psicologia Ambientale presso l’Università Autonoma di Madrid, spiega che:

“Con l’avvento della società moderna le città hanno iniziato a rappresentare una sicurezza contro le possibili aggressioni della natura. Ora sappiamo che questo atteggiamento è sbagliato e che possiamo parlare addirittura di disturbi da deficit di natura: aumento dell’obesità, malattie respiratorie, carenza di vitamina D, stress… La città ci offre protezione e comfort, ma il nostro sistema nervoso non si è del tutto adattato all’ambiente urbano e sente dunque la mancanza di una stimolazione da parte dell’ambiente naturale che ha permesso la sopravvivenza della nostra specie”.

A suo parere siamo vittime di un vero e proprio analfabetismo riguardo alla natura e dovremmo ricominciare a vivere nel verde per sentirci meglio. Insomma, dovremmo imitare i giapponesi e cercare di trascorrere più tempo passeggiando in un parco o in un bosco. Possiamo lasciarci incantare dalle meraviglie della natura e recuperare la nostra memoria ancestrale e i nostri istinti primari.

Secondo Correia, quando non possiamo lasciare la città per raggiungere un bosco possiamo comunque passeggiare in un parco nella nostra zona. Anche i parchi infatti possono avere un’azione terapeutica, soprattutto se ci soffermiamo a contatto con gli elementi naturali che li compongono, magari abbracciando un albero. Senza dimenticare che secondo il filosofo Henry David Thoreau trascorrere del tempo nei boschi ci aiuta a comprendere la vera essenza della vita e a diventare più saggi.

“Andai nei boschi perché desideravo vivere con saggezza, per affrontare solo i fatti essenziali della vita, e per vedere se non fossi capace di imparare quanto essa aveva da insegnarmi, e per non scoprire, in punto di morte, che non ero vissuto. Non volevo vivere quella che non era una vita, a meno che non fosse assolutamente necessario. Volevo vivere profondamente, e succhiare tutto il midollo di essa”, scriveva Thoreau in Walden.

E quando non possiamo uscire di casa? Correia consiglia di recuperare il contatto con la natura grazie all’aromaterapia e agli oli essenziali. Pensiamo, ad esempio, agli oli essenziali di pino, timo o rosmarino: tutti profumi rinvigorenti che possiamo assaporare mentre chiudiamo gli occhi, ci rilassiamo e immaginiamo di essere sdraiati su un prato o di passeggiare in un bosco.

 

Myanmar ci ripensa: niente moratoria sul taglio

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/deforestazione/4173-myanmar-ci-ripensa-niente-moratoria-sul-taglio.html

Il mese scorso la Reuters ha riferito che secondo un alto funzionario del ministro dell’ambiente, il governo del MyanmarIl Myanmar vieta lo sfruttamento commerciale delle foreste. In realtà l’annunciato bando sembra non essere che una pia intenzione. Un altro alto funzionario si è affrettato a dichiarare al Myanmar Times che il prelievo di legni duri non è affatto vietato e che ulteriori restrizioni non sono in programma al momento.
“In realtà luogo non vi è alcun divieto di taglio”, ha spiega a Mongabay Faith Doherty, della Environmental Investigation Agency (EIA) . “E ‘una dichiarazione fatta da un funzionario, ma non c’è alcun processo legale in corso. Gira voce di u possibile divieto relativo solo al teak e non altri legni duri”

Finora ci sono solo voci. Che non bastano a coprire il rumore delle motoseghe.

BRASILE. Si chiama golpe, non “impeachment”

Scritto da: Tito Pulsinelli
Fonte: http://selvasorg.blogspot.it/2016/05/brasile-si-chiama-golpe-non-impeachment.html

La volontà dei deputati è più importante di quella degli elettori e -da oggi- si può diventare Presidente del Brasile senza competere in una elezione. Più dei 54 milioni di cittadini che scelsero Dilma Rousseff, contro i venti e maree mediatiche, conta la decisione interessata di alcune centinaia di deputati e senatori. Costoro, più che in qualsiasi altro paese, godono di un prestigio
pressocchè nullo, visto che sono permanentemente all’asta e abbandonano i partiti di cui sono serviti subito dopo l’elezione ottenuta.

Questa transumanza mercenaria diventa una miscela esplosiva quando entra in simbiosi con il monopolio mediatico, con l’acquiescenza connivente dell’alto potere giudiziario e con il ritorno di fiamma darwinista dell’elite economica, spaventata dal crollo dei prezzi delle materie prime. La torta si fa più piccola e non esigono nuovi criteri di spartizione, semplicemente la vogliono tutta per loro.

Scaraventano con malafede ogni responsabilità sul governo, passano alle vie di fatto contro la Presidente Dilma, utilizzando dubbiosi pretesti che attengono alla tecnica contabile, ottenendone una defenestrazione iniziata con l’insidiosa destabilizzazione iniziata già in occasione del campionato mondiale di calcio. Questi interessi, indubbiamente minoritari nell’attuale società brasiliana, diventano forza coercitica quando si coniugano con le mire abbastanza palesi degli Stati Uniti, e sprofondano il Brasile in un ciclo di instabilità. Fa un certo effetto, peraltro, che il gigante sudamericano subisca la stessa terapia d’urto che trionfò in Honduras e Paraguay, notorie enclaves amministrate direttamente dalla CIA.

Da oggi, un Presidente può essere defenestrato senza specifiche accuse processuali o condanne penali. Un altro può prendere il suo posto senza elezioni, nonostante la scarsa reputazione e accuse di corruzione di cui è oggetto. E’ il frutto di una prolungata operazione indotta che combina gli ingredienti tradizionali delle “rivoluzioni colorate”: intossicazione psicologica, guerra cognitiva e confabulazione calcolata dei poteri forti. E’ la convergenza di chi si sente parte dello staff globalista e volta le spalle alla sovranità popolare e nazionale.

Sbarrare la strada alle alternative politiche che interrompono, frenano o voltano la pagina storica del sostanziale continuismo neo-coloniale e dello strapotere neoliberista delle oligarchie, è un pericoloso tentativo di riattualizzare un passato lugubre, quando le opposizioni non disponevano di altre scelte che quella armata.

E’ un golpe che si risentirà nell’intero sub-continente americano. Il Pentagono è ora esposto su più fronti. Ha aggiunto alla ricetta un non troppo dissumulato embargo finanziario e commerciale contro il Venezuela per concretare l’obiettivo manifesto di far cadere in pochi mesi. E’ questione di mettere mano al più presto sull’heartland costituito dalle ingenti riserve di materie prime e bio-diversità.

Il golpe messo a segno a Brasilia avrà ripercussioni geopolitiche più vaste, incrinando la solidità del BRICS.

La congiura di palazzo contro Dilma, riaccende automaticamente la temperatura sociale e il conflitto democratico della società e dei movimenti sociali brasiliani, che godono di buona vitalità e lucidità . Le proteste non tarderanno e si profila un rischio immediato per l’imminente Olimpiade.

PARMALAT- Scarica il latte genovese e lo compra in Cina

Scritto da: By pjmanc
Fonte: http://www.ilfattaccio.org/2016/04/12/parmalat-scarica-latte-genovese-lo-compra-cina/

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IL LATTE GENOVESE BUTTATO SUI PRATI MENTRE PARMALAT VA A COMPRARLO IN CINA E NEI PAESI DELL’EST. Così il marchio Latte Oro si svincola completamente dalla produzione locale.
GENOVA – Il latte genovese buttato sui prati, mentre Parmalat va a comprarlo in Cina, Francia e Romania. Si allarga a macchia d’olio la protesta degli allevatori cittadini contro la società del gruppo Lactalis, proprietaria del marchio Latte Oro, che ha scelto di non rinnovare il contratto con i produttori delle Valli Genovesi. E ora c’è chi fa appello al boicottaggio. Da alcuni giorni gli allevatori gettano il latte sui terreni in segno di protesta. Perché quello che era lo storico brand dei latticini genovesi si svincola completamente dalla produzione locale. “Questa decisione provoca danni ingenti. Ci sono molti giovani che avevano rifatto le stalle, anche con impianti fotovoltaici, indebitandosi con mutui stellari. E ora?”, si chiede Bianca Maria Lombardo, proprietaria di un agriturismo a Rossiglione, in valle Stura, dove hanno sede numerosi allevamenti. La questione è notevole, perché nelle valli genovesi, specie quelle più vicine al Piemonte e all’Emilia Romagna, c’è la più grande concentrazione di allevamenti bovini della Liguria. Sessanta aziende rinuite in cooperativa rischiano di chiudere. “La Parmalat, anche contraddicendo rassicurazioni del passato, ignora le conseguenze sociali ed economiche delle proprie scelte sul nostro territorio”, affermano Comune e Città Metropolitana di Genova in una nota congiunta. E Cristina Lodi, presidente della Commissione metropolitana per lo sviluppo economico sottolinea la necessità di “azioni dirette a sostegno dei produttori”.

parmalatPER NOI E’ UN COLPO DURISSIMO PERCHE’ C’ERANO OLTRE SESSANTA AZIENDE AGRICOLE che conferivano latte”, commenta Katia Piccardo, sindaco di Rossiglione. “Gli allevatori stanno cercando di riorganizzarsi con il sostegno di sindaci e amministratori della Città Metropolitana, c’è una mobilitazione importante che coinvolge anche famiglie e consumatori, che si trovano senza garanzie. Falcidiare questa produzione signifca rinunciare a latte genuino e controllato”, spiega Piccardo. Mentre sui social corre la protesta e alcuni cittadini invitano a boicottare i prodotti Parmalat, il Partito Democratico con una nota di Ermini e Terrile fa sapere che “si attiverà in ogni sede a difesa delle aziende produttrici locali affinché vengano tutelati la genuinità del prodotto, la sua rigorosa tracciabilità e la seria professionalità degli Allevatori liguri, fattori di indiscusso valore che la produzione di latte proveniente da alcuni Paesi europei ed extraeuropei non garantisce” .”Parmalat si era impegnata a fare un centro di raccolta, dovevano rispettare le proprie responsabilità sociali. Stiamo pensando di organizzare una distribuzione eccezionale sul territorio con distributori mobili. I genovesi risponderebbero con piacere a questa proposta perché tra l’altro è un’eccellenza. La Regione dovrebbe farla propria”, aggiunge Sergio Rossetti, consigliere regionale del Pd. E in attesa che la politica si mobiliti affinché Parmalat faccia un passo indietro, i produttori ricordano “che è già possibile acquistare il latte locale presso la rete di distributori presenti sul territorio. “Portatevi una bottiglia e assaporate il sapore del latte di una volta”, è’ l’invito che giunge dall’entroterra. “Anche i produttori della focaccia di Recco subiranno gravi ripercussioni perché, per le sue particolari caratteristiche, la focaccia di Recco deve contenere formaggio proveniente dalle valli liguri – attacca anche il Movimento Cinque Stelle – Siamo stufi di assistere impotenti mentre un’altra parte importante della nostra filiera corta sta per ricevere un altro colpo di grazia da una grande distribuzione aliena e cinica”.

Libertà di stampa in Italia? Meglio l’Africa!

Scritto da: Massimo Rodolfi
Fonte: http://www.primapaginadiyvs.it/liberta-stampa-italia-meglio-lafrica/

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Anche quest’anno è stata pubblicata la classifica di Reporters sans Frontiers sulla libertà di stampa nei vari paesi del mondo. L’Italia, che già doveva vergognarsi del suo 73° posto, è stata retrocessa al 77°. Siamo proprio messi bene a libertà di stampa nel nostro paese! Meglio di noi la Moldavia, al 76° posto, e molti paesi africani, come il Benin, il Botswana e il Burkina Faso. D’altronde, se consideriamo che praticamente tutti i media sono spartiti tra pochissimi centri di potere, che non sono di certo timidi nel fare i propri interessi, possiamo già da qui renderci conto che non c’è molto spazio per la libertà di stampa in Italia.

Ovviamente, i professionisti del settore, i direttori e le grandi firme, si sperticheranno nel dire che loro non sono mai stati condizionati nel loro lavoro, e che sono sempre stati liberi di scrivere tutto quello che pensavano. Ma voi vi fidereste di qualcuno lautamente pagato da chi ha grandi interessi nel far andare l’economia e la politica del paese esattamente come gli conviene? Forse non si sentono limitati i nostri giornalisti, e direttori, perché, per essere dove sono, devono essere omologati a prescindere al sistema di interessi che devono abilmente rappresentare.

Dobbiamo anche tenere conto del fatto poi, che al sistema è anche utile avere un dissenso pilotato, visto che i dettami del Nuovo Ordine Mondiale comportano dittature velate da democrazie. Per cui, state pur tranquilli che in Italia, e sicuramente non solo, tutto quello che appare sulla ribalta mediatica e politica, non sfugge alle norme  imposte dal sistema. Ciò significa che tutto il dibattito che passa per la stampa, le radio, le televisioni, le aule del parlamento, e i vari luoghi di potere, non metterà mai realmente in discussione gli assiomi fondamentali del potere.

Si parla tanto di crisi economica, banche, finanza debito pubblico, ma avete mai sentito, o letto, un fido bao del potere che citi il signoraggio bancario, come una delle cause che provocano l’indigenza dei popoli? Oppure vi risulta qualche grande testata che provi a mettere in discussione l’utilizzo dei vaccini, così cari alle multinazionali del farmaco? Mai letto qualche articolo che provi a sostenere l’ipotesi delle scie chimiche? Io che mi sono seriamente occupato, nel mio piccolo di questi argomenti, ho visto scagliarsi contro di me, e la mia associazione Riprendiamoci il Pianeta, praticamente tutte le testate nazionali.

Ma perché tanto onore, e tanto spreco di inchiostro se questi argomenti fossero bufale? Eppure ho assistito a un grande impegno nel tentativo di denigrarmi, assieme a tutti coloro che vengono definiti in modo spregiativo complottisti, solo perché ci occupiamo di tematiche scomode per il potere. Menzogne e fango non sono lesinati dagli scribacchini imperiali, per non parlare di quella miriade di cosiddetti troll, che non hanno altra occupazione che passare il tempo cercando di far apparire come dei poveri mentecatti  quei pochi che ancora osano alzare la voce contro questo sistema asservito alle multinazionali.

Viva la libertà di stampa! Viva la libertà d’informazione! Sì, però in Burkina Faso…

CAMORRA / IL MASSACRO DEI CAVALLI DOPATI

Scritto da: Andrea Cinquegrani
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/?p=5966

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Traffici di rifiuti tossici, sversamenti abusivi, inquinamento di falde acquifere, disastro ambientale. E tanto per gradire, anche gare ippiche clandestine, scommesse illegali, maltrattamenti e torture d’ogni sorta a decine e decine di puledri che venivano anche dopati, riempiti di botte e poi ammazzati, quindi macellati. Un autentico horror movie, quello che sta andando in scena al tribunale di Napoli, dove sono sotto processo ben 70 imputati per una sfilza di reati da far accapponare la pelle. Il tutto per un grosso giro d’affari, derivante sia dai lucrosi sversamenti di materiali “cari” da smaltire, sia per il vorticare da palate di euro per le gare e le scommesse sulla pelle dei cavalli. Tra gli imputati spicca un nome, quello di Antonio Agizza, che fa capo ad una delle più “note” dinasty partenopee impegnate da quasi trent’anni nel fortunato business della monnezza e protagonista in un’altra, identica storia, l’inchiesta “Chernobyl” che, iniziata esattamente dieci anni fa, sta morendo di prescrizione annunciata a Salerno.

Due storie “ai confini della realtà”, tutte da raccontare. Storie che vivono in un contesto, come quello campano, in coma profondo da anni, con un territorio distrutto dalle “mafie istituzionali”, percentuali di malattie cancerogene di gran lunga superiori alle medie nazionali (soprattutto nel cosiddetto triangolo della morte dell’hinterland partenopeo e nella “Terra dei Fuochi), una bonifica fatta solo di parole, mentre i cittadini continuano a morire.

Quasi trent’anni fa l’Acna di Cengio cominciava a sversare i suoi fanghi super tossici nella periferia (epicentro il quartiere di Pianura, nella zona ovest cittadina) e nell’hinterland di Napoli: la Voce scrisse la prima inchiesta nel 1989 (e già facevano capolino personaggi che solo pochi anni fa salgono alla ribalta delle cronache, come l’avvocato-faccendiere Cipriano Chianese e il monnezzaro-pentito Gaetano Vassallo).

Una discarica di rifiuti in provincia di Napoli

Una discarica di rifiuti in provincia di Napoli

E’ di 20 anni fa esatti la prima verbalizzazione, nella casera dei carabinieri a Castello di Cisterna, di Carmine Schiavone, che già allora fornì una marea di dettagli su modalità e luoghi di sversamento, cifre del business, tariffe, nomi dei politici di riferimento: quelle verbalizzazioni sono rimaste ad ammuffire dei cassetti degli inquirenti, fino a che Schiavone non ne ha parlato, due anni fa, in interviste tv e l’anno scorso è “ morto” cadendo da un albero nella località “protetta” dove viveva.

Ancora: a pochi giorni dalla morte dello zio di Sandokan, nella primavera 2015, quindi poco più di un anno fa, ha perso la vita in un “incidente” stradale, dalla dinamica mai chiarita, il magistrato che lavorava ad una maxi inchiesta sui rifiuti e proprio sulla scorta delle ultime verbalizzazioni del pentito: ma il ‘giallo’ del pm Carmine Bisceglia è stato subito archiviato, una tragica “fatalità”. Insomma, misteri & affari targati monnezza, in mezzo ai flop della “giustizia”, non finiscono mai. Anzi.

Ma veniamo ai due casi. La prima inchiesta parte per impulso delle Fiamme gialle di Afragola, popolosissimo comune della provincia di Napoli. Man mano dalle indagini emerge una fittissima rete di sigle, imprese, personaggi coinvolti nello smaltimento illegale d’ogni sorta di rifiuti: da quelli condominiali a quelli industriali, “sistemati” in modo del tutto illegale un po’ ovunque: fogne comunali, fiumi, campagne, ovunque, inquinando in modo capillare ampie fasce del territorio vesuviano. Un’attività a ciclo “completo”: dalle “public relations” per trovare clienti, agli accordi, al prelievo, al trasporto, fino alla vastissima gamma delle modalità di sversamento. In prima fila due sodalizi: il folto gruppo dei Barchetti (con ben sette suoi esponenti – i magnifici 7 della monnezza – attualmente sotto processo: 2 Gaetano, 2 Michele, Cesare Agostino, Luigi e Pasquale), la più ristretta famiglia Veneroso (Antonio, Francesco e Francesco, tutti soprannominati ‘0 Ricciolone); il già citato Antonio Agizza, riconducibile alla vasta dinasty capeggiata, negli anni ’80, da Vincenzo Agizza, socio e cognato di Domenico Romano, di cui la Voce ha scritto pochi giorni fa per la stretta amicizia con l’ex sindaco di Santa Maria Capua vetere Biagio Di Muro, protagonista nella fresca inchiesta che ha colpito come un ciclone il Pd campano e il suo segretario regionale Stefano Graziano.

CIFRE E DETTAGLI DEL MASSACRO

Proseguendo nelle indagini, i finanzieri di Afragola scoprono un altro giro d’affari, diramato in tutta la Campania, gli stessi protagonisti in campo, stavolta a base di scommesse, doping & cavalli. Ecco cosa viene scritto nel capo di imputazione: “un’associazione criminale dedita all’organizzazione di corse clandestine di cavalli, cui vengono somministrate sostanze dopanti che comportano sevizie o strazio per gli animali. Il sodalizio criminale ha costituito una sorta di circuito itinerante delle competizioni organizzate in pubbliche strade, noncurante dei pericoli cui vengono esposti sia gli animali che le persone presenti in tali manifestazioni eseguite senza le dovute precauzioni, durante le quali i cavalli subiscono vere e proprie ‘sevizie’ con la somministrazione, prima e durante la gara, di sostanze dopanti o con effetto dopante, dagli stessi proprietari o comunque da persone non qualificate, con il solo scopo di aumentare le prestazioni degli animali”.Schermata 2016-05-09 alle 17.44.47

Varie le tipologie di gare: dal confronto a due, con eliminatorie, ottavi e quarti di finale, semifinale e finalissima, a quelle ‘tipo trotto’, con calesse e driver, generalmente disputate di notte o all’alba nelle periferie dei centri abitati del devastato hinterland napoletano. E varie le tipologie di “sevizie” ai quali i poveri cavalli vengono regolarmente sottoposti: dalle terrificanti condizioni in cui vengono costretti a ‘sopravvivere’ (box 2 metri per 1 senza luce, garage, stalle abusive, “legati al morso con 2 catene e moschettoni da 30 centimetri, immobili per intere giornate”), alle bastonate quotidiane, alle mazze ferrate, fino ai martiri finali “spesso a colpi di martello”, nel migliore dei casi con un revolver. Nel bel mezzo, una gamma di torture per somministrare le droghe: in prevalenza “xenobiotici”; una sostanza che va per la maggiore è la “Benzoilecgonina”, un cosiddetto “metabolita della cocaina” che serve a migliorare in modo significativo le performance.

Ecco come si esprime, in perfetto stile britannico, uno dei protagonisti nell’organizzazione delle corse, intercettato dalle fiamme gialle: “quel bastardo di cavallo mi ha fatto sporcare di sangue perchè gli mettevo l’ago in vena e lui si ritraeva. Stavo prendendo l’ago per infilarglielo in gola”. Spesso ai puledri venivano spezzate le mandibole per somministrare meglio le pozioni miracolose.

Ma gli “organizzatori” non si fanno mancare niente e hanno a libro paga anche un veterinaria napoletana, studio a Fuorigrotta, la quale “suggeriva le sostanze da somministrare per aumentare le prestazioni nelle competizioni alle quali gareggiavano”.

Così denuncia la LAV nell’ultimo rapporto sulle “Zoomafie”. “Nel 2014 i numeri relativi alle pratiche legate all’ippica, pur facendo registrare una lieve diminuzione rispetto all’anno precedente, continuano ad essere allarmanti. Ben 110 cavalli impegnati in gare ufficiali sono risultati positivi a sostanze vietate, 4 corse clandestine sono state bloccate, 22 persone denunciate e 10 cavalli sequestrati”. Figurarsi il numero dei cavalli dopati in gare ‘non ufficiali’! Prosegue il rapporto: “Negli ultimi 17 anni, dal 1998 al 2014, sono state denunciate, nel complesso, 3.344 persone, 1.238 cavalli sono stati sequestrati e 111 corse e gare clandestine sono state bloccate”.

Campania e Sicilia in testa alla vergognosa hit. Descrive un giornalista palermitano: “In ogni provincia siciliana c’è un giro di almeno 1000 cavalli clandestini, ad ogni gara partecipano 250-300 persone, tutti scommettitori, le puntate variano da 30 a 100 euro in media, il fatturato del settore è di circa 1 miliardo. Cifre da capogiro. Le piazze principali sono quelle di Messina, Trapani, Siracusa e Palermo. Davanti alla Cittadella universitaria proprio di Palermo venne ritrovata la carcassa di un cavallo. La gran parte dei cavalli – prosegue – arriva dai paesi dell’ est o dalla Spagna, ma anche dagli ‘scarti’ degli ippodromi italiani. L’età media dei cavalli che vengono da fuori è di 4-5 anni, vengono acquistati a peso, da un minimo di 900-1000 euro ad un massimo di 4 mila. Vengono messi sotto torchio per un paio d’anni, se vincono bene, se muoiono non importa, se si azzoppano o non vincono li ammazzano e li rivendono ai macelli, guadagnandoci la spesa di acquisto”.

Il tribunale di Napoli

Il tribunale di Napoli

Oltre al ministero dell’Ambiente e al Comune di Napoli, diverse associazioni animaliste e ambientaliste si sono costituite parti civili, tra cui Wwf, Lav, la genovese No Macelli, Horse Angels patrocinate dagli avvocati Raffaella Cristofaro e Andrea Scardamaglio. La prossima udienza si svolgerà il 23 luglio presso la prima sezione penale del Tribunale partenopeo: si continua con la verbalizzazione di numerosi testi, pm Fabiana Magnetta, presidente della sezione Marco Occhiofino (tra i pm della Mani pulite partenopea inizio anni ’90). “Quando c’è un processo con tanti imputati c’è il rischio di tempi lunghi, intoppi, rinvii, spesso per le tante notifiche sbagliate o non andate a buon fine – fanno notare non pochi addetti ai lavori – anche per il processo Chernobyl è stato così. Tanti imputati e ora il rischio, ormai quasi certo, di prescrizione, con tutti i processati per reati gravissimi liberi come fringuelli e soprattutto liberi di delinquere di nuovo”. Come sta succedendo.

Emblematico il caso di Antonio Agizza. Tra gli imputati più in vista di “Chernobyl”, è ora ri-imputato, per gli stessi reati (con l’aggiunta equina), nel processo che riprende a luglio.

UNA CHERNOBYL IN VIA DI PRESCRIZIONE

Finiamo, allora, con alcuni flash dal processo cominciato a Santa Maria Capua Vetere a dicembre 2011, poi passato per “competenza territoriale” a Salerno, un’udienza preliminare dopo due anni esatti (dicembre 2013), rinvio a giudizio a febbraio 2014, quindi una interminabile serie di rinvii per cause “tecniche”: da aprile 2014 si passa a dicembre 2014, quindi da aprile 2015 si salta a giugno dello stesso anno. E ad oggi. Con una prescrizione-mannaia più che mai dietro l’angolo. “Il processo sta morendo”, commentano alcuni siti nel Vallo di Diano, “tutti i partiti se ne fregano, a nessuno conviene scoperchiare quel pentolone”. Solo i 5 Stelle stanno facendo battaglia perchè almeno a livello parlamentare quello scandalo non vada in naftalina ma almeno, per ora, possa rientrare nel mortale dossier “Terra dei Fuochi”. Una strage, si sa, tira l’altra, e fu proprio l’inchiesta Chernobyl (che prendeva le mosse da Ceppaloni, il paese di Clemente Mastella, ora candidato per Forza Italia a Benevento) a documentare, in modo scientifico, l’altrettanto scientifico avvelenamento delle terre di tutta la Campania, e non solo.

Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere

Il tribunale di Santa Maria Capua Vetere

Il periodo finito sotto la lente degli investigatori era il biennio 2006-2007 (per la precisione da gennaio 2006 a giugno 2007), riuscendo a quantificare in quasi 1 milione (980 mila per la precisione) le tonnellate di rifiuti (anche tossici e speciali) sversate nei fiumi o interrate nel suolo, un giro d’affari da ben 50 milioni di euro e 38 imputati, tra singoli “affaristi” della monnezza, trasportatori, imprese di piccole, medie e anche grosse dimensioni, come l’avellinese De Vizia Transfer, la “Naturambiente” del gruppo Gallo (impegnato anche nel settore energetico) o un “esperto” del ramo come Antonio Agizza. Del quale così scriveva, nel 2007, Leandro Del Gaudio per il Mattino: “Incensurato e lontano parente di imprenditori coinvolti negli anni scorsi in indagini sul clan Nuvoletta di Marano. Assieme ai suoi stretti collaboratori – si legge nel decreto di fermo – procedeva all’illecito smaltimento di rifiuti liquidi provenienti dal porto di Napoli, con una capillare falsificazione dei ‘fir’, i fogli di identificazione dei rifiuti, i documenti che attestano l’avvenuto, regolare smaltimento. E non ci sono solo gli scarichi tossici di navi mercantili e militari. Dal porto e attraverso il porto passavano altre forme di immondizia. Quelle degli ospedali e delle cliniche private napoletane, delle fosse settiche di civili abitazioni, degli esercizi commerciali e dei lidi balneari. Dal porto dunque, dove Antonio Agizza aveva un ‘ragazzo suo’ – come si legge nelle intercettazioni del Noe napoletano – un ragazzo che si chiamava Alfonso, uomo fidatissimo di via Molo Carmine, che gli rivolge parole deferenti: ‘Donn’Antonio, il camion è uscito, tutto bene”. E Agizza gli risponde: ‘sì, ma adesso fai lavorare i miei autisti, non ti preoccupare, falli fare e non mettere l’orario, me lo vedo io’. Pochi dubbi – commenta Del Gaudio – da parte del pm sulla destinazione finale del carico: ‘i rifiuti gestiti dal gruppo Agizza vengono smaltiti illegalmente nella rete fognaria cittadina, immessi direttamente in tombini”.

“Un sistema diabolico, scellerato, criminale”, secondo gli inquirenti, quello messo in piedi per assicurare profitti a tutti: evidentemente ai membri del “sodalizio”, e anche ai contadini vittime e complici, pagati 600 euro a sversamento, per chiudere un occhio (anzi tutti e due) sui carichi di monnezza ospitati e interrati nelle proprie campagne.

Ad un convegno organizzato dall’associazione antimafia Antonino Caponnetto a Caserta l’8 maggio su riciclaggi e ecomafie nella Terra dei Fuochi, Tina Zaccaria, madre che ha perso due anni fa la sua bimba di 13 anni, Dalia, morta di linfoma, ha denunciato: “ci hanno nascosto che vivevamo in una terra avvelenata. Mio figlio è morto, tanti nostri figli sono morti, ma niente è cambiato. Lo Stato doveva controllare e non ha controllato, deve bonificare e non fa niente. Tutto è come prima. La gente sembra rassegnata, è stanca di combattere e non vedere una risposta. Lo Stato prima ci fa morire, poi non ci aiuta e non muove un dito per cambiare le cose”.

Le Carote

Fonte: http://www.nutrizionenaturale.org/carote/

Sono i tuberi più popolari, originariamente coltivati nei paesi orientali dell’Asia centrale e del Medio Oriente, ai tempi considerati più che come alimento, come vegetali medicinali.

In origine le carote (alcuni ritengono che possano risalire ai tempi dell’antico Egitto) non erano di color arancione ma di una varietà di colori come il viola, il bianco, il rosso, il giallo e il nero. Le carote di color arancione odierne, conosciute e amate, sono il risultato di incroci tra carote rosse e gialle, fatti nel 16 ° secolo. (1)

Il nome “carota” ha le sue origini nella parola greca “karoton”, poichè “kar” descrive tutto ciò con una forma di corno. Il termine beta-carotene deriva dalle carote.  Generalmente viene consigliato di mangiare carote con moderazione perché contengono più zucchero rispetto a qualsiasi altro ortaggio a parte la barbabietola.

Se consumate come parte di una dieta sana, le sostanze nutritive delle carote possono fornire molteplici benefici per la salute, compresa la protezione contro le malattie cardiache, ictus, il rafforzamento delle ossa e la promozione di un efficiente sistema nervoso.

Come per quasi tutti gli alimenti è bene evitare un consumo eccessivo per il fatto che sono tra gli ortaggi più ricchi di carboidrati.

Componenti principali (In 100 g)

 

Proteine vegetali, g

1,1

Colesterolo, mg

0

Carboidrati disponibili (MSE), g

7,6

Carboidrati solubili (MSE), g

7,6

Fibra alimentare totale, g

3,1

Acqua, g

91,6

 

Minerali

Ferro, mg

0,7

Calcio, mg

44

Sodio, mg

95

Potassio, mg

220

Fosforo, mg

37

Zinco, mg

0,40

Vitamine

Vitamina B1, Tiamina, mg

0,04

Vitamina B2, Riboflavina, mg

0,04

Vitamina C, mg

4

Niacina, mg

0,70

Vitamina B6, mg

0,12

Folati totali, µg

10

Retinolo eq. (RE), µg

1148

ß-carotene eq., µg

6888

Vitamina E (ATE), mg

0,46

Gli antiossidanti delle carote

Tutte le varietà di carote contengono quantità importanti di nutrienti antiossidanti inclusi quelli tradizionali come la vitamina C e il beta-carotene. Ma l’elenco dei fitonutrienti antiossidanti non è affatto limitato al beta-carotene, infatti comprende:

  • Carotenoidi
    • alfa-carotene
    • beta carotene
    • luteina
  • Acidi idrossicinnamici
    • acido caffeico
    • acido cumarico
    • acido ferulico
  • Antocianidine
    • cianidina
    • malvidina

Diverse varietà di carote contengono quantità variabili di questi fitonutrienti antiossidanti. Le carote rosse e viola, per esempio, sono note per il ricco contenuto di antociani. Le carote di colore aranciato sono particolarmente ricche in beta-carotene che rappresenta il 65% del loro contenuto totale in carotenoidi. Nelle carote gialle, il 50% del totale dei carotenoidi provengono dalla luteina. Ciascuna di queste varietà di carota offre i suoi notevoli benefici antiossidanti.

 

I benefici per la salute

1. Malattie cardiache: uno studio di 10 anni (2) effettuato nei Paesi Bassi circa l’assunzione di carote e il rischio di malattie cardiovascolari (CVD), ha prodotto risultati affascinanti. Il lavoro è stato impostato in base al colore degli ortaggi e si è concentrato su quattro categorie di colori: verde, arancione / giallo, rosso / viola e bianco. E’ emerso che fra queste quattro categorie, l’arancione/giallo e, in particolare, gli alimenti con le tonalità più profonde di colore arancio/giallo, forniscono la maggior protezione contro le malattie cardiovascolari. Le carote, fra le categorie di alimenti di colore arancione scuro/giallo sono le più importanti. I partecipanti allo studio che hanno consumato la minore quantità di carote hanno avuto la minore riduzione del rischio cardiovascolare. Invece i partecipanti che hanno mangiato giornalmente almeno 25 grammi di carote in più hanno fatto regitrare un rischio significativamente più basso e i gruppi di partecipanti che ne hanno mangiato 50- o 75-grammi in più, hanno riportato un rischio notevolmente ancora più ridotto! Nessun altro studio potrebbe meglio dimostrare quanto sia facile ridurre il rischio di malattie, includendo un cibo come le carote nella dieta quotidiana.

Gran parte delle ricerche sulle carote è tradizionalmente concentrata sui carotenoidi e i loro importanti benefici antiossidanti. Dopo tutto, le carote (insieme alla zucca e agli spinaci) si posizionano in cima alla lista di tutti gli

alimenti ricchi di antiossidanti in termini del loro contenuto in beta-carotene.

 

2. Cancro: Ricerche effettuate da Metzger BT1, Barnes DM. (3) (4) hanno acceso i riflettori su un’altra categoria di fitonutrienti contenuti nelle carote chiamati poliacetileni (falcarinolo e falcarindiolo). Diversi studi recenti hanno identificato i poliacetileni delle carote come fitonutrienti capaci di aiutare a inibire la crescita delle cellule tumorali del colon, soprattutto quando dette sostanze si trovano nella loro forma ridotta (rispetto a quella ossidata). Sono risultati entusiasmanti perché stabiliscono un’interazione chiave fra i carotenoidi e i poliacetileni delle carote. A quanto pare, questi due gruppi sorprendenti di fitonutrienti presenti nelle carote possono operare insieme in modo sinergico per massimizzare i rispettivi benefici salutari!

Gli antiossidanti delle carote, tra cui il beta-carotene, possono svolgere un ruolo nella prevenzione del cancro. Una ricerca ha dimostrato che i fumatori che mangiano carote più di una volta alla settimana avevano un minor rischio di cancro al polmone, (5) e che una dieta ricca di beta-carotene può anche proteggere contro il cancro alla prostata. (6)

Anche la ricerca pubblicata sulla rivista European Journal of Nutrition ha trovato una significativa diminuzione del rischio di cancro alla prostata grazie al consumo di carote. (7)

L’assunzione di beta-carotene è anche associata ad un minor rischio di cancro al colon (8) mentre l’estratto di succo di carota può sopprimere le cellule leucemiche e inibire la loro progressione. (9) Inoltre, una meta-analisi ha scoperto che mangiare carote può ridurre il rischio di cancro gastrico fino al 26 per cento. (10)

 

3. Vista: la carenza di vitamina A può causare un deterioramento ai fotorecettori dell’occhio e crea problemi di vista. Mangiare cibi ricchi di beta-carotene può contribuire a ripristinare la vista. (11) Si conferma la validità del vecchio adagio che le carote fanno bene alla vista.

Inoltre, una ricerca mostra che le donne possono ridurre il rischio di glaucoma del 64 per cento consumando più di due porzioni alla settimana di carote. (12)

Le carote sono anche una ricca fonte di luteina e la ricerca indica che “un aumento del consumo di luteina ha una stretta correlazione con la riduzione dell’incidenza della cataratta.” (13)

4. Cervello: è stato riscontrato che l’estratto di carota può essere utile per la gestione delle disfunzioni cognitive, può portare a un miglioramento della memoria e aiutare ad abbassare il colesterolo. (14)

Un elevato consumo di ortaggi a radice, tra cui le carote, è anche associata con una migliore funzione cognitiva e un minor declino delle funzioni cerebrali negli individui che hanno raggiunto la mezza età. (15)

Uno studio pubblicato sul British Journal of Nutrition ha riscontrato che una dieta ricca di alimenti vegetali è associata a migliori prestazioni in diverse capacità cognitive tra gli anziani. (16) In particolare, il consumo di carote ha avuto una delle più forti associazioni cognitive positive fra gli alimenti vegetali testati.

 

Fegato: l’estratto di carota può contribuire a proteggere il fegato dagli effetti tossici delle sostanze chimiche ambientali. (17)

Proprietà anti-infiammatorie: l’estratto di carota ha anche proprietà anti-infiammatori significative anche rispetto ai farmaci anti-infiammatori come l’aspirina, il ibuprofene, il naprossene e il Celebrex. (18)

Anti-invecchiamento

Le carote sono una preziosa fonte di antiossidanti , tra cui i carotenoidi (beta carotene, luteina e alfa-carotene), acidi idrossicinnamici (acido caffeico e acido ferulico), e antociani.

Gli antiossidanti possono aiutare a scongiurare il danno cellulare da radicali liberi, rallentando l’invecchiamento cellulare. Come ha rilevato la fondazione Goerge Mateljan: (19)

Salute della pelle: gli ortaggi di colore rosso/giallo sono ricchi di beta-carotene. Il corpo converte il beta-carotene in vitamina A che previene i danni cellulari e l’invecchiamento precoce. Il beta-carotene può anche proteggere la pelle dai danni del sole.

I ricercatori hanno scoperto che i carotenoidi che si trovano in alte concentrazioni nelle carote, conferiscono una luce calda “sufficiente per trasmettere i miglioramenti percepibili nell’apparente stato di salute di una persona e nell’attraente pelle del viso.” (20)

 

Come scegliere e conservare le carote

Più il colore arancione è intenso, più beta-carotene è presente nella carota.

Le carote sono gli ortaggi che si conservano più a lungo se conservati correttamente. Per preservare la freschezza delle carote occorre minimizzare la quantità di umidità che esse perdono nel periodo di conservazione. Per fare questo, si debbono conservare nella parte più fredda del frigorifero in un sacchetto di plastica o avvolte in un tovagliolo di carta per ridurre la quantità di condensa che tendono a formare. Sono in grado di mantenersi fresche per circa due settimane. Le ricerche hanno accertato che i valori di beta-carotene si mantengono inalterati se le carote vengono conservate correttamente. Devono essere tenute lontano da mele, pere, patate e altri frutti e ortaggi che producono il gas etilene in quanto favorisce la comparsa di un gusto amaro.

 

Come preparare le carote

Le carote si debbono lavare delicatamente strofinandole con una spazzola vegetale prima di mangiarle. A meno che le carote siano vecchie, spesse o non coltivate con il metodo biologico, non è necessario pelarle. Se non sono coltivate con metodi biologici è bene comunque pelarle; la maggior parte delle carote coltivate convenzionalmente sono trattate con antiparassitari e altre sostanze chimiche. Se il gambo è verde, dovrebbe essere tagliato via poiché ha un gusto amaro. A seconda della ricetta o delle preferenze personali, le carote possono essere lasciate intere o tagliate alla julienne, grattugiate, triturate o tagliate a bastoncini o a rondelle.

Le carote sono deliziose consumate sia crude che cotte. Mentre la cottura spesso può danneggiare alcuni dei delicati fitonutrienti contenuti nelle verdure, il beta-carotene è sorprendentemente termostabile. Il beta-carotene però diventa più biodisponibile attraverso la cottura a vapore ed anche il gusto è preferibile. Tuttavia, occorre fare attenzione di non cuocere troppo le carote in modo che mantengano tutto il loro sapore e l’alto valore nutrizionale complessivo.

Di tutti i metodi di cottura che sono stati provati per le carote, quello preferibile e salutare è risultato quello della cottura a vapore. E’ un metodo che consente di ritenere la maggior parte dei nutrienti.

Ogni eccesso …

L’eccessivo consumo di alimenti ricchi di carotene può portare a una condizione in cui il palmo delle mani o e altre aree della pelle assumono un colore giallo o arancione. Questo ingiallimento della pelle è presumibilmente correlato allla carotenemia, ovvero a livelli eccessivi di carotene nel sangue. L’impatto sulla salute della carotenemia non è ancora ben studiato. Mangiare o bere centrifugati con elevate quantità di alimenti ricchi di carotene, può far superare la capacità del corpo di convertire questi alimenti di vitamina A. Il corpo converte lentamente il carotene in vitamina A e il carotene in eccesso viene immagazzinato, di solito, nel palmo delle mani, nella pianta dei piedi o dietro le orecchie. Se la causa del carotenemia è l’eccessivo consumo di alimenti come le carote, la condizione di solito scompare con la riduzione del consumo.