Al Bano: “In passato ho avuto problemi con il demonio”

Fonte: https://oltrelamusicablog.com/2016/12/11/al-bano-in-passato-ho-avuto-problemi-con-il-demonio/

collage091Al Bano ora sta bene. Un problema all’aorta gli ha causato ben due infarti ma grazie all’intervento tempestivo dei medici adesso è fuori pericolo.
È inutile, lassù non mi vogliono” ha scherzato il cantante che qualche mese fa ha confessato al quotidiano ArticoloTre di avere avuto problemi con il demonio.
Al Bano non ha mai fatto mistero del suo profondo rapporto con la fede e la religiosità. In un’intervista shock ha dichiarato di essere stato avvicinato da Satana diverse volte, e di essere riuscito a evitare i suoi affondi grazie alla fede.

Il demonio fa parte della cultura della mia terra. Quando Romina e Ylenia presero certe strade, la presenza del male era tangibile, Satana attacca sempre i più deboli. Cominciai a vivere male inveendo contro il Cielo. Il diavolo stava vincendo, avevo imboccato una strada senza uscita, fatta di cattiveria, contro il prossimo e contro me stesso. Con la preghiera, pregavo e mi coprivo di croci.

La religione segnò il declino della storia d’amore con RominaSi era avvicinata al buddismo. […] Non condividevamo più la stessa fede e io ne soffrivo. Quello fu il momento in cui qualcosa cominciò a rompersi tra di noi.

Un altro momento chiave fu la scomparsa della figlia Ylenia. Secondo il cantante era credibile la testimonianza di chi la vide immergersi nelle acque del Mississipi per non uscirne più. Secondo Romina, invece, Ylenia è ancora viva. La convinzione che Dio avesse strappato la ragazzina dalle mani del padre, fece piombare Al Bano in una profonda crisi religiosa, tale da portarlo a vivere in maniera disordinata e irriconoscente.

Risposi a questi attacchi nella maniera che mi era stata insegnata. Con la preghiera, pregavo e mi coprivo di croci. La croce era la mia arma segreta. Più facevo il segno della croce e più percepivo che la presenza del diavolo, a fatica, si allontanava. Grazie a queste armi, ho vinto la mia personale battaglia contro il Demonio.

“Separati in casa”: viaggio tra gli indipendentisti europei

Scritto da: Tullio Filippone
Fonte: http://www.cafebabel.it/societa/articolo/separati-in-casa-viaggio-tra-gli-indipendentisti-europei.html

“Separati in casa” è un tuffo nell’Europa che riscopre l’indipendentismo: dalla Catalogna che sogna il referendum, alla Scozia che ha mancato l’appuntamento con la secessione; dalle contraddizioni del Belgio alla storia violenta di Irlanda del Nord, Paesi Baschi e Corsica, sino alle “mille patrie italiane”. Ne abbiamo parlato con l’autore, il giornalista di Repubblica Lucio Luca.

Doveva essere un mese e mezzo sabbatico, invece si è trasformato in un viaggio tra i movimenti indipendentisti d’Europa. Il docufilm “Separati in casa” di Lucio Luca, giornalista di Repubblica, fa luce tra le contraddizioni di un continente che si allarga, malcelando però le rivendicazioni dei suoi regionalismi, i “separati in casa” soffocati da un’Europa dei mercati che ha smarrito per strada la sua missione iniziale: rappresentare un’unione di popoli e preservarne le specificità culturali. I movimenti e i loro protagonisti ci sono tutti: da quelli che per molti anni hanno scritto pagine di storia spesso violente, come l’Ira irlandese, l’Eta basca e il Front de Liberation Nationale corso, alle matasse più recenti come la questione scozzese, o quella catalana nella Spagna del modello costituzionale del “café para todos“, che alle 17 regioni autonome non basta più. Fino al paradosso belga, dove fiamminghi e valloni non si capiscono e alle “mille piccole patrie” italiane, dal Sud Tirolo alla Sicilia.

cafébabel: Com’è nata l’idea di questo viaggio? 

Lucio Luca: Ho preso un periodo sabbatico e ho presentato un progetto a Repubblica: un giro nell’Europa dei separatismi dialogando con giornalisti, storici e politici, ma anche con la gente comune. Era il novembre 2014, alla vigilia del referendum in Scozia prima e di quello previsto in Catalogna poi, annullato da Madrid. Mi sono reso conto che si poteva raccontare uno spaccato d’Europa in un momento in cui l’Unione si allargava a 28 stati membri e ancora molti bussavano, ma, paradossalmente, le spinte antieuropee mettevano tutto in crisi. Così sono partito. A giugno del 2015 sono stato in Catalogna, Aragona, Paesi Baschi e Galizia. Poi in Corsica, Belgio, Scozia, Irlanda e infine in Italia, da Bolzano a Montelepre.

cafébabel: Si potrebbe tracciare un filo conduttore tra i movimenti separatisti, una sorta di Internazionale degli indipendentisti?

Lucio Luca: Un’internazionale separatista in teoria c’è. L’Europa è nata con l’idea di mettere insieme le identità, i popoli e le genti d’Europa. Quando, nell’ultimo ventennio, l’Unione si è trasformata in un’Europa dei mercati e delle banche, mentre le identità culturali venivano annientate dagli interessi di alcuni stati nazionali come Germania, Gran BretagnaFrancia, sono esplosi i regionalismi perché i popoli si sono sentiti traditi. Parliamo di storie e ideologie diverse, ma con un sentimento che può unire separatisti fiamminghi di ultradestra con lo Sinn Fein irlandese che è di ultrasinistra. Tutto nasce dall’aspirazione di vivere in un’Europa che riconosca le loro ambizioni culturali ed economiche.

cafébabel: Si può dire che l’Europa abbia involontariamente guidato dal centro le spinte centrifughe dettate da un’emancipazione economica?

Lucio Luca: Assolutamente sì. Nel momento in cui le regioni hanno cominciato a contare sempre meno, perché tagliate fuori dai poteri decisionali e dal mercato, le spinte separatiste sono venute fuori. In realtà ci sono sempre state, ma negli ultimi 15-20 anni

sono riesplose per colpa di questa Europa. Guardiamo alla Catalogna: produce il 20% del Pil spagnolo, ma se non conta nulla a Bruxelles è evidente che qualcosa non va. È normale quindi che chieda a Madrid maggior autonomia, se non l’indipendenza.

cafébabel: Indipendenza continuando a restare in Europa?

Lucio Luca: Sì. Una delle caratteristiche comuni di molti di questi movimenti è la volontà di restare in Europa. Niente a che vedere con il populismo della Lega Nord, dell’UKIP in Gran Bretagna o del Front National in Francia. I separatisti vogliono l’Europa. Preservando però storia, tradizioni e ambizioni economiche ridotte dai propri stati nazionali.

cafébabel: Possiamo parlare oggi di Europa delle regioni e non delle nazioni?

Lucio Luca: Doveva essere un’Europa dei popoli e delle regioni ed invece è sempre più un’Europa delle nazioni e, soprattutto, dei poteri economici forti.  L’idea di Altiero Spinelli di creare una grande federazione fondata sulla diversità è stata stravolta. Se aggiungiamo le politiche della Merkel ed altri attori politici è chiaro che si respira un malcontento che potrebbe generare una reazione a catena: se si stacca qualcuno, altri potrebbero seguirne l’esempio. La Scozia non ci è riuscita, la Catalogna prima o poi ci proverà. Senza parlare della Brexit.

cafébabel: C’è da dire che tutti i movimenti che per anni hanno rivendicato la loro identità con violenza come l’Eta, l’Ira il Flnc hanno deposto le armi…

Lucio Luca: Credo che quello che è successo negli ultimi 30-40 anni in Irlanda del Nord, Corsica o Paesi Baschi non si ripeterà in quelle forme. I popoli hanno capito che quelle organizzazioni, nate con un intento talvolta nobile, sono degenerate negli anni trasformandosi in associazioni criminali che hanno fatto solo del male alle cause indipendentiste. Gli anni di piombo non torneranno più, ma le spinte ideologiche a separarsi da entità alle quali queste regioni sono state annesse in passato anche con la forza sono fenomeni appena cominciati e che si ripeteranno. Come in Belgio ad esempio, un paese finto, il paradosso dei paradossi dove è la capitale d’Europa. Lì i fiamminghi e i valloni non si parlano perché non si capiscono…

cafébabel: Oggi consideriamo l’autodeterminazione come un diritto di ogni popolo. Eppure, viene in mente l’esempio della Spagna, cosa succederebbe se tutti rivendicassero il diritto di decidere?

Lucio Luca: La Spagna è un esempio particolare. La giovane democrazia post-franchista è fondata su un patto costituzionale che riconosce 17 regioni autonome, alcune storiche, altre create ad hoc. La Costituzione vieta i referendum di secessione, ma se dovessero concederlo alla Catalogna, i Paesi Baschi chiederebbero lo stesso, così come la Galizia e tante altre regioni. Da una parte quindi il diritto all’autodeterminazione è sacrosanto e nessuno lo può negare, dall’altra è vero anche che la Costituzione lo vieta, quindi è un braccio di ferro destinato ad andare avanti. La Catalogna del resto è una sorta di Lombardia spagnola. Credo che Madrid prima o poi debba accontentare alcune rivendicazioni.

cafébabel: Qual è il bilancio di questo viaggio?

Sono partito con l’idea di cercare di capire. Trovarsi lì e parlare con la gente, con leader politici, ex capi dell’Eta e dell’Ira, con combattenti e rivoluzionari corsi, fa realizzare che questa Europa, fondata sul mercato e sul denaro, nel tempo è destinata al fallimento. Se essa non cambia infatti ci ritroveremo con un’Unione forse più ampia, dove però decidono in 2-3. Se invece si recupera l’idea iniziale, dove non conta solo il potere economico, ma anche le tradizioni e la diversità, io penso che le spinte indipendentiste non avranno più ragione di esistere.

Gran Bretagna verso una tassa sulle bibite zuccherate

Fonte: http://www.informasalus.it/it/articoli/gran-bretagna-tassa-bibite-zuccherate.php

bibite zuccherate
La Gran Bretagna va avanti con la sugar tax. Questa settimana è stata presentata una bozza della legge che tasserà le bibite con zucchero aggiunto

La Gran Bretagna va avanti con la sugar tax. Questa settimana è stata presentata una bozza della legge che tasserà le bibite con zucchero aggiunto. La norma entrerà in vigore nella primavera del 2018, per permettere alle aziende di adeguarsi.

La Gran Bretagna si unisce così a Belgio, Francia, Ungheria e Messico, tutti Paesi che hanno imposto una qualche forma di tassazione sulle bevande con aggiunta di zucchero.

L’imposta inglese ha due soglie: una di 18 pence per litro, per bevande analcoliche con più di 5 grammi di zucchero per 100 ml e una di 24 pence al litro, in quelle che superano gli 8 grammi di zucchero per 100 ml.

La bozza è stata pubblicata questa settimana come parte di una panoramica delle modifiche legislative alla normativa fiscale che il governo prevede di introdurre nel suo progetto di legge finanziaria per il 2017.

STRAGE DEL SANGUE INFETTO / ECCO KILLER, COMPLICI & DEPISTATORI

Scritto da: Andrea Cinquegrani
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/?p=9069

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Strage per il sangue infetto. Chi sono i colpevoli degli emoderivati killer? Quali aziende hanno immesso sul mercato negli anni ’80 i farmaci che hanno ammazzato come le Torri Gemelle nella più perfetta – finora – impunità? Chi ha coperto, a livello ministeriale e politico, tali scempi che ai privati hanno consentito di cumulare profitti miliardari? La risposta dovrebbe arrivare dal tribunale di Napoli, dove da alcuni mesi va in scena lo storico processo cominciato a fine dello scorso millennio a Trento e poi passato nel 2006 a Napoli, alla sbarra l’ex re Mida della Sanità Duilio Poggiolini (sempre assente alle udienze per l’età avanzata e per le precarie condizioni di salute) e gli ex manager delle aziende del gruppo Marcucci, leader nella commercializzazione dei derivati del sangue in Italia e non solo. Sono in corso (ultima udienza il 5 dicembre, prossima il 30 gennaio) le verbalizzazioni dei testi (del pubblico ministero, delle parti civili e dei legali della difesa), mentre a febbraio è previsto il deposito delle perizie tecniche per accertare il “nesso causale” tra assunzione degli emoderivati e insorgenza delle patologie. Per la primavera inoltrata si attende la sentenza, tempi dell’italica giustizia permettendo.

schermata-2016-12-08-alle-20-56-59Spiega un giurista cresciuto alla scuola di Raffaele Guariniello, la toga per eccellenza nei processi sul fronte delle minacce alla salute. “Tutto ruota intorno alla possibilità di dimostrare quali prodotti siano stati utilizzati dal paziente, di quale casa farmaceutica, individuando i tempi di assunzione, le modalità, quindi i dosaggi, l’insorgenza della patologia e alla fine del percorso accertando il nesso causale, ossia la connessione tra assunzione e malattia. Operazione non da poco ma non impossibile, perchè parliamo di un numero limitato di casi, solo nove, a fronte di una strage che ha fatto tantissime vittime che non avranno mai giustizia”.

Solo nove, infatti, i familiari delle vittime che dopo tormenti, patimenti e calvari d’ogni sorta sono riusciti a raggiungere l’aula del processo. Tantissimi “casi” sono morti due volte: la prima per gli emoderivati assassini, la seconda per la prescrizione, ugualmente killer. Nel mezzo le estenuanti, penose battaglie civili per i risarcimenti danni: anche stavolta una battaglia contro il muro di gomma di una giustizia civile in stato comatoso, di entità ministeriali cieche, sorde e – s’è visto negli anni – colluse con le case farmaceutiche, di partiti che ugualmente non vedono, non denunciano (tranne i 5 Stelle, almeno sul terreno politico odierno) e se ne fottono delle sofferenze di malati ammazzati, appunto, due, tre, quattro volte e calpestati (con i familiari) nei loro più elementari diritti.

 

TUTTI I CONFLITTI DEL SUPER EMATOLOGO

Piermannuccio Mannucci

Piermannuccio Mannucci

Verbalizzazione clou, fino ad oggi, quella resa da un “super ematologo”, il milanese Piermannuccio Mannucci, chiamato a delineare la “storia” degli emoderivati in Italia, a chiarire i contorni del famigerato “nesso causale” e a fornire ragguagli circa la provenienza di quel plasma importato per le lavorazioni dalle industrie. Ecco il passaggio chiave: “i dirigenti delle imprese mi avevano assicurato che il prodotto era testato, controllato. Mi dicevano che proveniva in gran parte dagli studenti dei campus universitari e delle massaie americane”.

Peccato si sia poi scoperto che quel sangue, invece, proveniva in gran parte sì dagli Usa, ma dalle carceri, ad esempio quelle dell’Arkansas, come ha dettagliato in uno choccante docufilm del 2006 il film maker statunitense Kelly Duda. Oltre che dall’Africa, come ha scritto la Voce in un’inchiesta di quasi 40 anni fa, estate 1976, e ha appena ricordato Elio Veltri, ematologo e antico cuor di socialista nel suo fresco di stampa, Non è un paese per onesti.

Il senatore renziano Andrea Marcucci

Il senatore renziano Andrea Marcucci

Ma c’è di più. Giglio candido Mannucci, oltre a ignorare la vera provenienza di quel plasma, è un teste in palese conflitto di

Sua Sanità De Lorenzo, grande amico della famiglia Marcucci

Sua Sanità De Lorenzo, grande amico della famiglia Marcucci

interesse, dal momento che ha effettuato consulenze per le società del gruppo Kedrion (la corazzata, oggi, di casa Marcucci) e partecipato a simposi nazionali e internazionali

 

 

 

 

 

 

 

organizzati dalla stessa casa farmaceutica toscana, oggi guidata – dopo la scomparsa del patriarca Guelfo Marcucci, un anno fa – dal rampollo Paolo, azionista con i fratelli Marialina (per un paio d’anni, inizio 2000, coeditore dell’Unità e oggi in sella alla Fondazione Carnevale di Viareggio) e Andrea, eletto nel 1991 sotto i vessilli Pli dell’inseparabile amico Francesco De Lorenzo, Sua Sanità, e ora fedelissimo di Matteo Renzi al Senato.

Un conflitto d’interessi grosso come una casa, quello del super teste Mannucci (tanto che nelle slide dei convegni a stelle e strisce quel conflitto viene illustrato a caratteri cubitali): come mai all’odierno processo di Napoli il giudice Antonio Palumbo e il pm Lucio Giugliano non se ne sono accorti?

Ma passiamo alle ultime verbalizzazioni. All’udienza che si è tenuta nel giorno del post referendum, il 5 dicembre, sono stati sentiti due fratelli genovesi: nel 2008 hanno perso un fratello (gemello omozigote del secondo) e sono loro stessi vittime degli emoderivati, costretti a quotidiane, complesse cure. Ecco, a seguire, alcune frasi.

 

TUTTO IL CALVARIO, STAZIONE PER STAZIONE

Il libro di Elio Veltri

Il libro di Elio Veltri

“Nostro fratello ha fatto per anni uso di plasmaderivati. Dalla fine degli anni ’70 alla metà degli anni ’80 si trattava di prodotti della casa farmaceutica Biagini. Poi gli è stato prescritto il Kryobulin, prodotto sempre dal gruppo Marcucci”.

“Mediamente faceva due infusioni la settimana, tra le 80 e le 100 all’anno, e praticamente tutte domiciliari, a fargliele era nostra madre che ha lavorato per anni come infermiera”.

“E’ stato emofiliaco fin dalla nascita, poi le altre patologie come l’Aids gli sono venute dopo i trattamenti”.

“Abbiamo tenuto per tutti gli anni un registro, una sorta di diario terapeutico, segnavamo tutte le infusioni, con la data, il prodotto. Due, tre volte all’anno lo consegnavamo al centro per l’emofilia che lo teneva sotto controllo, in occasione dei controlli periodici che gli facevano”.

“Nessuno ci ma mai parlato di rischi per l’assunzione di quegli emoderivati, né alla Asl, né al centro, né alcun medico, il nostro o altri”.

“Nessuno ci ha mai detto se esistevano terapie alternative”.

“Nessuno ci ha mai detto se erano superiori i rischi dell’emofilia o i rischi per l’assunzione di quegli emoderivati, che poi si sono dimostrati fatali per la salute di nostro fratello”.

“Nessuno ci ha mai detto che quel plasma non era frutto di donazioni e che invece veniva comprato. Nè tantomeno che poteva arrivare dalle carceri americane”.

Paolo Marcucci

Paolo Marcucci

“Nostro fratello è morto a 33 anni, l’ultimo anno è stato di sofferenze atroci”.

“Nostra madre ha dedicato tutta la sua vita a lui, avrà trascorso almeno 250 notti l’anno al suo fianco per tutti gli anni che ha vissuto”.

“Abbiamo saputo che in molti Paesi, ad esempio quelli dell’Est, per il trattamento dell’emofilia gli emoderivati non venivano utilizzati, proprio perchè i rischi erano maggiori dei benefici”.

“L’emofilia provoca perdite di sangue, gonfiori, dolori agli arti, ti comincia una sorta di artrosi ma non esiste alcun pericolo di morte, a meno di altri eventi”.

“Per quale motivo non c’era alternativa conosciuta agli emoderivati? Non lo possiamo sapere. Ma a questo punto riteniamo che non ci potessero essere altre motivazioni che quelle economiche, del profitto per le case farmaceutiche che li producevano”.

A metà novembre aveva verbalizzato Eugenio Sinesio, responsabile della LIDU (Lega Italiana Diritti dell’Uomo), ematologo, già consulente tecnico al processo di Trento e componente del ristretto team di esperti che affiancava Pasquale Angelone, per venti anni direttore del “Centro nazionale trasfusione sangue”.

QUEGLI EMODERIVATI POST DATATI

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Abbiamo passato al vaglio – racconta Sinesio – all’epoca dell’inchiesta trentina circa 8000 mila cartelle cliniche di pazienti. Rarissimi, praticamente da contare sulle dita, i casi in cui veniva citata la casa produttrice dell’emoderivato utilizzato nel corso della terapia. Non pochi, invece, i casi di “emoderivati post datati”, utilizzati dopo le date di scadenza o – all’opposto, e i casi sarebbero stati tantissimi – prima ancora che entrassero nei circuiti ufficiali delle commercializzazione, addirittura un anno prima! Ai confini della realtà. E ai confini di tutte le legalità.

Anche se – ha fatto notare Sinesio – praticamente fino al 1991-1992 si è andati avanti nella più totale deregulation, ossia senza lo straccio di una normativa ad hoc per controllare e sanzionare i comportamenti “deviati”, ossia “patologici”, immettendo sul mercato prodotti arrivati in modo indiscriminato dall’estero, non testato, come ad esempio è allegramente successo con il plasma killer delle carceri dell’Arkansas.

Dagli emoderivati postdatati (proprio come un assegno!) a quelli “multipli” il passo è breve. Fino alla sbalorditiva cifra da 14 mila donazioni (o meglio di sangue “venduto”) mixate, come in un gigantesco frullatore, per ottenere i magici cocktail: quando secondo la scienza ufficiale il limite massimo era stato stabilito in 12-14 dosi!

E ha raccontato, Sinesio, alcuni episodi degni dei lager più sofisticati. Come ad esempio la sperimentazione su “bambini cavia” degli effetti da Kryobulin: quando frequentavano le colonie estive, tanto tra un tuffo in mare a l’altro certo non se ne accorgevano…

Ma ha anche raccontato alcune esperienze positive, come quella del presidio ospedaliero di Castelfranco Veneto, dove venivano utilizzati, soprattutto, i cosiddetti “crioprecipitati” invece dei tradizionali emoderivati. E a Castelfranco esisteva una particolare sensibilità su quei temi, anche per via delle minuziose ricerche sulla validità (e i rischi) di certi prodotti portate avanti da un ricercatore, affetto da emofilia.

Al termine della sua verbalizzazione Sinesio ha esibito dei documenti, tali da suffragare le sue dichiarazioni, e ha chiesto di poterli consegnare. La sua richiesta non è stata neanche presa in considerazione.

Abbiamo dato uno sguardo a quei documenti. E alcuni, a quanto pare, sono di non poco interesse. Come ad esempio le dichiarazioni del professor Angeloni. Eccone alcuni estratti.

TRENT’ANNI FA, IL J’ACCUSE DI ANGELONI

Così scriveva Angeloni il 20 giugno 1986 (il periodo bollente delle infusioni e trasfusioni killer, ndr), in una nota indirizzata all’allora direttore generale della Croce Rossa Italiana: “non è opportuno far firmare al sig. Ministro una implicita autorizzazione a distribuire per un mese o più delle immunoglobuline contenenti anticorpi anti HTLV III. La presenza dell’anticorpo non presuppone necessariamente la presenza del virus infettante che può essere stato distrutto dalle tecniche di lavorazione ma non lo esclude e comunque dimostra che il plasma ha provenienza da categoria a rischio per cui esiste la possibilità di infezione di epatite non A e non B ben più resistente al calore del virus AIDS. Esistono in Italia oltre 360 Centri Trasfusionali ai quali può essere richiesto ad horas il controllo di tutti i lotti attualmente in distribuzione”.

Esattamente 30 anni fa, quindi, c’era chi – del tutto inascoltato dai vertici operativi, istituzionali, scientifici e politici – metteva in guardia da colossali rischi poi regolarmente verificatisi. Denunciava l’esistenza di plasma proveniente da “categorie a rischio” e nessuno se ne è fregato: anzi via libera e commercio selvaggio. Puntava i riflettori su “lotti sospetti” e tutti hanno chiuso gli occhi, permettendo la mattanza.

Per i sordi di tutte le risme, a livello stavolta politico, così ha avuto il coraggio di denunciare nel corso di un’audizione tenuta il 6 settembre 1995 davanti alla Commissione Affari Sociali della Camera. Angeloni parlava in veste di rappresentante dell’Associazione politrasfusi italiani, davanti all’allora commissario straordinario della Cri, Maria Pia Garavaglia (poi ministro della Sanità), al pidiessino (poi presidente dell’Antimafia) Giuseppe Lumia e a Vasco Giannotti, all’epoca numero uno di quella Commissione Affari Sociali, un pedigree tutto affari & sanità.

“La verità è che non si volevano fare i controlli: tutto ciò che andava contro quella volontà veniva rimosso. Oggi è giunto il momento per voi di compiere una scelta”.

“In Italia le apparecchiature per frazionare il plasma possono coprire dieci volte il fabbisogno. Se si intende lasciarle a questo livello, ha ragione Marcucci quando sostiene di dover importare nove decimi di materia da lavorare e quindi di aver bisogno dell’autorizzazione per la lavorazione. Non dimentichiamo che i soldi per costruire impianti sovradimensionati di dieci volte erano dello Stato”.

“Una scelta possibile è quella già adottata dall’OMS e dalla CRI internazionale: ogni paese si contagia con le sue malattie. Allora occorrerebbe dire a Marcucci che deve riciclare nove decimi della sua produzione, facendo ad esempio l’acido ciberillico, il citosan. Se non si vuole assumere questa scelta, bisogna allora ammettere che Marcucci segue un ragionamento logico: perchè comprare a 140 quello che sul mercato internazionale posso avere a 70?”.

“Va fatta un’altra considerazione. L’Istituto superiore di sanità non compie controlli al momento dell’importazione: li fa a campione. Credevo che un funzionario avesse in tasca i permessi di importazione in conto lavorazione (ecco cosa si sono inventati: i prodotti entrano e poi escono e nessuno controlla nulla): ho scoperto invece che quei pezzi di carta non stavano a casa del funzionario ma presso le ditte, che potevano così importare ed esportare”.

Il primo articolo della Voce sul caso sangue infetto. Pubblicato quarant'anni fa.

Il primo articolo della Voce sul caso sangue infetto. Pubblicato quarant’anni fa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“Ripeto che è giunto il momento di compiere una scelta, altrimenti bisogna ammettere che Marcucci ha ragione: se avanzano nove decimi di prodotto, oltre alla quantità venduta in Italia, conviene fare un accordo con una ditta estera alla quale dare un ‘pezzo’ dell’Italia ed in compenso invadere il mercato olandese o belga. Il problema è capire se il potere pubblico vuole gestire questo settore o se intende lasciarlo a Marcucci. Il suo è un ragionamento razionalmente giusto: in base al criterio del lucro ad ogni costo, è razionale anche la logica per cui si vendono armi, droga e bambini”.

“Sappiate, comunque, che se lasciate la situazione incerta, se stabilite che il ciclo deve essere completo ma poi ponete delle forche caudine per la sua realizzazione, prevale quel tipo di ragionamento. La situazione peggiore è quella che deriva dalla commistione, che non è né carne né pesce. Del resto, ci sono tante leggi frutto di quello che una volta si chiamava consociativismo e che forse può chiamarsi ancora così adesso”.

QUEL CONSOCIATIVISMO POLITICA-INDUSTRIA

Così intervenne il presidente della Commissione Affari Sociali della Camera, Vasco Giannotti: “mi permetta di farle presente che le sue considerazioni non hanno alcuna attinenza al tema in questione. L’articolo 10 della legge numero 107 non ha nulla a che fare con il consociativismo. Riguarda solo la sicurezza”.

E così rispose Angeloni: “non mi riferivo al fenomeno tra destra e sinistra ma a quello tra Parlamento e industria”.

E per i sordi incalliti, ecco cosa scriveva Angeloni – docente di Ematologia Forense alla II Università di Roma – il 28 dicembre 1998, in una relazione tecnica per il tribunale di Trento, a proposito di “autorizzazioni alla immissione in commercio”. “In una precedente relazione (22 settembre 1998) lo scrivente ha riferito che la data di infusione di alcuni emoderivati – nel caso specifico Kryobulin, il cui numero di lotto contiene la data di produzione – era precedente alla ‘data di produzione’, o successiva alla data di scadenza. (…) Trattasi comunque di fatti episodici o di minore frequenza rispetto all’altra evenienza, infusione pre-data di produzione, che presenta evidenze di sistematicità. (…) Certamente il fatto che l’immissione in commercio preceda la cosiddetta data di produzione è segno di anomalia, che necessita di indagine mirata e puntuale. (…) Sarà necessario focalizzare l’attenzione su una prassi la quale, per il fatto di rendere inutili le autorizzazioni governative e i relativi controlli infettivologici in quanto postumi nel senso etimologico del termine, rispetto al consumo del prodotto, presuppone una lassità o un’assenza di controlli amministrativi ed in definitiva sostanzierebbe un rapporto collusivo”.

Queste esplosive dichiarazioni sulle connection industria farmaceutica e politica, nonché sulla fisiologica mancanza di controlli (tanto per non disturbare i padroni del vapore), pur prodotte a Trento, finirono in naftalina perchè quel processo venne stoppato.

Quelle stesse esplosive dichiarazioni “postume” non sono prese in considerazione al tribunale di Napoli. Per adesso.

Perchè?

Cesare, il piccolo genio che a 17 anni produce stampanti 3d

Scritto da: Sara Iacomussi
Fonte: http://www.lastampa.it/2016/11/26/tecnologia/news/il-piccolo-genio-che-a-anni-produce-stampanti-d-QaKVkf2UkXwelyugbjRBsN/pagina.htm

Arriva dalla provincia di Vicenza e sogna la California

C’è chi, a 13 anni, ha già compiuto grandi imprese, o comunque ha dato segni di eccezionalità. Mozart iniziava a fare le sue tournée in giro per l’Italia. Leonardo da Vinci andava a lezione nella bottega del Verrocchio. Cesare Cacitti costruiva la sua prima stampante 3d.

Classe 1999, di Dueville, in provincia di Vicenza, Cesare si barcamena come tutti i suoi coetanei tra scuola, compiti a casa e passioni. Nel suo caso, però, gli interessi hanno prodotto dei risultati: all’età di 17 anni può già vantare nel curriculum l’autoproduzione di stampanti 3d, oggetti che non sono semplici da costruire, e la nascita di una start up dedicata alla produzione di queste tecnologie.

La storia

Tutto è iniziato nel 2005: i bambini di 6 anni di solito vogliono come regalo dai genitori giocattoli, videogame o simili. Mamma e papà Cacitti, invece, si sono trovati di fronte una richiesta insolita: una stampante 3d. Cesare, infatti, aveva trovato un video su come costruire gli antenati di quegli aggeggi tecnologici, il cui brevetto era scaduto nel 2004: «Mi sono appassionato, ne volevo uno anche io», ha raccontato a La Stampa. Non è, però, così semplice: i genitori non erano d’accordo e le istruzioni per costruire le stampanti erano in inglese. Cesare riscontra i primi problemi: «Quando ho iniziato a migliorare la lingua straniera avevo 8 anni. In contemporanea ho anche imparato a saldare e a capire come progettare».

Quando poi si è ritenuto abbastanza competente in materia, ha deciso di tornare dai genitori con un nuovo desiderio: «Se al posto di comprarla, la costruissi io con un kit di montaggio?». La risposta è stata la stessa della prima volta. «Non capivo perché, alla fine era come chiedere in regalo i Lego». Infine, il compromesso: «Ho chiesto di comprarmi solo i pezzi necessari, come i motori, che non si possono trovare smontando altri oggetti, e riciclando quello che trovavo in casa. A quel punto mi hanno detto di sì, non pensavano ci sarei riuscito».

Invece, otto mesi dopo, Cesare costruisce la sua stampante 3d: «Avevo 13 anni e una consapevolezza: il difficile non sta tanto nel costruirla, che comunque resta un’impresa complicata, ma nel farla funzionare. Dopo altri sei mesi, sono riuscito a ottenere un buon risultato: ho stampato il mio primo oggetto, un cubo, a cui è seguito un fischietto». Il nome del gioiellino fai da te racconta tutto il percorso per realizzarla: «L’ho chiamata Stampante 3d a Km Zero, per omaggiare i pezzi di recupero trovati in casa con cui è stata costruita. Era un piccolo Frankenstein, perfettamente funzionante alla fine della terza media».

E poi?

Non finisce qui: Cesare viaggia per l’Italia insieme alla sua creazione, per farla vedere agli esperti e ricevere i pareri. Quello più impresso nella memoria? Il commento di Simone Majocchi, esperto di stampanti 3d, con cui si è incontrato al Politecnico di Milano: «L’ha apprezzata. Ha detto: ‘Stampa molto bene per essere una cassetta della frutta’». Nel 2014, a 15 anni, decide di realizzarne una nuova: «Per quanto fossi affezionato alla Km Zero e funzionasse bene, era lenta». Quella nuova la chiama C15, C come Cesare e 15 come la sua età. E da lì nasce un’altra idea: «Mi sono chiesto: perché non la faccio diventare un prodotto commerciale?» .

 

Ecco, allora, la start up Kais, di cui Cesare è l’unico membro: incubata fino al 14 giugno di quest’anno da Primo Miglio, impresa di Vicenza che gli ha fornito un supporto economico e legale, Kais per il momento rimarrà una realtà piccola. «Sono uno studente, e anche abbastanza occupato: prima il dovere, la scuola, e poi il piacere, anche perché se no i miei genitori non sarebbero molto contenti. Sto lavorando a una nuova versione, più piccola, più rapida, più precisa. Il mio sogno è che le stampe 3d diventino dei servizi a cui i consumatori possono accedere autonomamente. Un giorno, quando si vorranno acquistare delle scarpe, si comprerà solo il modello da scaricare e modificare a piacere. Poi, con una stampante 3d, la si produrrà da soli».

E dopo? Cesare sogna di andare all’università di Stanford, in California: «Vorrei fare l’application, sarebbe bello, anche se so che accettano pochi studenti, meno del 5% di chi fa richiesta. Ci proverò». Ma adesso è ancora presto per pensarci. In fondo, la maturità è ancora lontana.

Juncker Condanna Come Irresponsabili gli Elettori Italiani che Hanno Votato NO al Referendum Costituzionale

Fonte: http://vocidallestero.it/2016/12/06/juncker-condanna-come-irresponsabili-gli-elettori-italiani-che-hanno-votato-no-al-referendum-costituzionale/

Il britannico Express commenta la reazione del presidente della Commissione Europea, Jean-Claude Juncker, alla vittoria del NO nel referendum costituzionale italiano. In una pervicace negazione della realtà, Juncker continua a parlare di irresponsabilità e populismo degli elettori del NO e però confida che alla fine il popolo “si renderà conto” che essere dentro la UE è una buona cosa.
(Di fronte a queste uscite delle istituzioni europee, quale 
migliore risposta di una distaccata ironia…)

di Rebecca Perring, 06 dicembre 2016

Jean-Claude Juncker ha decretato che gli elettori italiani che hanno votato “NO” al referendum costituzionale sono degli irresponsabili, e si è spinto a mettere in discussione il loro buon senso.

Ma il disperato boss di Bruxelles è ancora aggrappato al sogno del progetto europeo, quando afferma che “la gente si renderà conto che stiamo meglio se stiamo insieme“.

L’eurocrate capo ha fatto una serie di cupe osservazioni a seguito del risultato del referendum italiano, risultato che ha ulteriormente destabilizzato il già pericolante progetto dell’Unione europea.

Il duro verdetto del referendum, che ha portato il primo ministro italiano Matteo Renzi a presentare le dimissioni dopo che l’Italia ha votato contro la sua proposta di riforma costituzionale, si avvia a spianare la strada agli euroscettici del Movimento Cinque Stelle.

La loro ascesa rappresenterebbe una spinta per il paese verso l’uscita dall’eurozona,  farebbe crollare l’euro e metterebbe in dubbio tutte le politiche economiche.

Dopo la sconfitta di Renzi, Juncker si è espresso così: “Il risultato italiano è una delusione, c’era la possibilità di rendere il paese efficiente e l’hanno sprecata. Viviamo in tempi pericolosi.”

Alla televisione pubblica olandese NPO ha detto: “Gli elettori del NO, i populisti, pongono dei quesiti ma non danno alcuna vera risposta.

A volte pongono le giuste domande, ma non hanno le risposte giuste. I populisti non si assumono responsabilità.

Le sue accuse sono giunte dopo aver sottolineato come alcuni leader euroscettici siano stati coinvolti nelle trattative per portare la Gran Bretagna fuori dal malridotto blocco europeo.

Ad ogni modo, nonostante i suoi commenti sensazionalisti, il presidente della commissione Ue non ha perso le speranze sul futuro dell’unione, e ha detto che il progetto sopravviverà.

Ha aggiunto: “Credo che alla fine dei conti prevarrà il buon senso europeo. La gente si renderà conto che stiamo meglio se stiamo insieme.

I commenti di Juncker arrivano dopo che una serie di politici di destra hanno esultato per la decisione dell’Italia e hanno acclamato la vittoria del NO come la fine della crisi della Ue.

RENZI RESUSCITA L’EURO!

Tanto tuonò che piovve verrebbe da dire, all’improvviso dopo essere collassato verso un nuovo minimo stagionale, l’euro è resuscitato facendo un rimbalzo di quasi tre punti, ma queste sono dinamiche natural di breve termine come ben sapete a noi interessa esclusivamente il lungo termine.

Magari le dimissioni di Renzi hanno davvero fatto resuscitare l’euro! ;-)

Nulla di particolare se non che, l’analisi tecnica ha sempre una sua valenza …fondamentale.

Nei giorni scorsi ci aveva provato per ben tre volte a superare la barriere di breve posta a 1,0660 ieri

Immagineusd2Primo il dollaro veniva da un periodo di forza prolungato dopo la vittoria di Trump alle elezioni americane e quindi era prevedibile un rimbalzo, anche se gli ultimi dati sembrano dimostrare una “strana” vivacità dell’economia americana.

Secondo qualche burlone ha pensato bene di festeggiare la vittoria dei verdi alle elezioni presidenziali austriache dopo i brogli di questa primavera, come se questa vittoria potesse davvero mettero un freno all’ ondata che sta travolgendo la becera tecnocrazia europea.

Terzo il risultato di questo referendum non mette certo in forse la credulità del popolo italiano nel fallimentare progetto europeo, quindi per il momento, nessuno pensa, a parte la solita carta straccia anglosassone, che l’Italia lascerà l’euro. Ma come ben sapete c’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo, basta solo che i nostri ignoranti governanti continuino a seguire le indicazioni di feroce austerità imposte dalla …Germania.

Il resto è pura analisi tecnica ma di questo parleremo al prossimo appuntamento per tutti gli amici di Machiavelli con un manoscritto ( OUTLOOK 2017 ) che si preannuncia strepitoso come l’anno che verrà…

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Infine la notizia di ieri è che il fantasma di Axel Weber …

Ex presidente Bundesbank: “Presto Bce alzerà i tassi”

Loro sono fatti così sono dei paranoici che hanno vissuto nella placenta dell’iperinflazione di Weimar, la percepiscono ovunque, ignoranti sino al midollo, per quella serve che qualche clamoroso errore politico, perchè se qualcuno non l’ha ancora capito l’iperinflazione è un fenomeno “politico” e non economico, le conseguenze sono economiche.

È il pensiero di Weber, secondo cui la Bce interromperà il piano ultra accomodante prima del previsto e imporrà una stretta monetaria a settembre dell’anno prossimo. Ora come ora i mercati sono impreparati a un eventuale rialzo dei tassi dei bond dell’area euro, ma così sarà quanto i rendimenti saliranno con prepotenza in Usa e quando la Bce avvierà una strategia di uscita dalle sue misure espansive eterodosse attualmente in vigore.

Il chairman di UBS è convinto che l’imminente aumento del costo del denaro negli Stati Uniti manderà in subbuglio i mercati finanziari e avrà conseguenze importanti in tutto il mondo, dal momento che molti investitori saranno colti alla sprovvista dal cambiamento repentino del ciclo dei tassi.

Questo fenomeno di Weber è uno dei tanti che in questi anni ha chiamato almeno dieci rialzi dei tassi su ZERO avvenuti, questi sono falliti seriali che continuano ad amministrare asili nido.

Ne volete un esempio eccolo qui sotto si tratta del 2011 in piena crisi euro…

Weber: nel 2011 i tassi potranno salire – L’inflazione continuerà a …

Io non so Voi, ma ne ho le palle piene di queste bolle umane che pontificano quotidianamente sul nulla, ignoranti sino al midollo, questa è gente che non sa nemmeno che sia Hyman Minsky o Iving Fisher, non ha la più pallida idea di cosa sia una feroce deflazione da debiti.

Ma che ci volete fare la verità è figlia del tempo e nella finanza sono più gli asini che volano che le pecore che fanno le uova.

Infine i mercati stanno scontando altri due rialzi dei tassi da parte della Fed entro giugno, se tanto mi da tanto ci sarà da divertirsi con il reddito fisso nei prossimi mesi.

Ora vediamo che farà Mario Draghi nei prossimi giorni! A breve vi faremo conoscere la clamorosa dichiarazione di uno dei suoi alfieri…

Presenze innominabili nella foresta di Ballyboley

Fonte: http://www.sogliaoscura.org/presenze-innominabili-nella-foresta-ballyboley/

forest1La foresta di Ballyboley (Irlanda del Nord), considerata da sempre un antico sito druidico,  è caratterizzata da arcani solchi circolari ed enormi pietre disposte seguendo precise geometrie.

Tra il XV e il XVIII secolo almeno trenta persone scomparvero misteriosamente percorrendone i sentieri e nei secoli successivi la lussureggiante area boschiva assunse una sinistra fama.

Pur essendo uno splendido luogo per trekking e attività sportive, coloro che sono nati e cresciuti da quelle parti attraversano con timore ancestrale la foresta.
Tra le varie testimonianze, sono state riferite colonne di fumo nero e voci urlanti in lontananza, oltre che sagome evanescenti e suoni inumani dopo il tramonto.
Un episodio particolarmente significativo accaduto nel 1997 riferisce di due uomini che, sentendo una voce femminile urlare, lasciarono il sentiero e si avventurarono tra gli alberi, trovandone alcuni che letteralmente grondavano sangue dai rami.
Sopraffatti dal mostruoso spettacolo, fuggirono terrorizzati. Uno de due si voltò mentre correva e vide che quattro figure umane con un cappuccio marrone e le vesti a brandelli lo stavano fissando immobili, tra i tronchi secolari.
Sappiamo tutti come la suggestione possa far leva sulla psiche umana ed è possibile ricondurre le sparizioni dei secoli precedenti a bande di briganti che probabilmente stazionavano all’interno della foresta.
E’ comunque diffusa tra gli escursionisti una sensazione di irrequietezza e di essere osservati.
Ci sono diverse persone convinte che nella foresta di Ballyboley sia celato una sorta di ingresso per ciò che gli antichi celti chiamavano l’Altromondo.

Olio di palma: il lavoro minorile sulla nostra tavola

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/blog/2-news-ita/diritti-ambientali/4235-olio-di-palma-il-lavoro-minorile-sulla-nostra-tavola.html

Parola di Amnesty International: i principali marchi mondiali di cibo e prodotti domestici stanno vendendo alimenti, cosmetici e altri beni di uso quotidiano contenenti olio di palma ottenuto attraverso gravi violazioni dei diritti umani in Indonesia, dove bambini anche di soli otto anni lavorano in condizioni pericolose.

Lo ha denunciato Amnesty International, in un rapporto intitolato “Il grande scandalo dell’olio di palma: violazioni dei diritti umani dietro i marchi più noti”.

Il rapporto è il risultato di un’indagine sulle piantagioni dell’Indonesia appartenenti al più grande coltivatore mondiale di palme da olio, il gigante dell’agro-business Wilmar, che ha sede a Singapore, fornitore di nove aziende mondiali: AFAMSA, ADM, Colgate-Palmolive, Elevance, Kellogg’s, Nestlé, Procter & Gamble, Reckitt Benckiser e Unilever.

“Le aziende stanno chiudendo un occhio di fronte allo sfruttamento dei lavoratori nella loro catena di fornitura. Nonostante assicurino i consumatori del contrario, continuano a trarre benefici da terribili violazioni dei diritti umani. Le nostre conclusioni dovrebbero scioccare tutti quei consumatori che pensano di fare una scelta etica acquistando prodotti in cui si dichiara l’uso di olio di palma sostenibile” – ha dichiarato Meghna Abraham di Amnesty International, che ha condotto l’indagine.

“Grandi marchi come Colgate, Nestlé e Unilever garantiscono ai loro consumatori che stanno usando olio di palma sostenibile ma le nostre ricerche dicono il contrario. Non c’è nulla di sostenibile in un olio di palma che è prodotto col lavoro minorile e forzato. Le violazioni riscontrate nelle piantagioni della Wilmar non sono casi isolati ma il risultato prevedibile e sistematico del modo in cui questo produttore opera” – ha aggiunto Abraham.

“C’è qualcosa che non va se nove marchi, che nel 2015 hanno complessivamente fatturato utili per 325 miliardi di dollari, non sono in grado di fare qualcosa contro l’atroce sfruttamento dei lavoratori dell’olio di palma che guadagnano una miseria” – ha commentato Abraham.

Amnesty International avvierà una campagna per chiedere alle aziende di far sapere ai consumatori se l’olio di palma contenuto in noti prodotti come il gelato Magnum, il dentifricio Colgate, i cosmetici Dove, la zuppa Knorr, la barretta di cioccolato KitKat, lo shampoo Pantene, il detersivo Ariel e gli spaghetti Pot Noodle proviene o meno dalle piantagioni indonesiane della Wilmar.

Amnesty International ha intervistato 120 lavoratori delle piantagioni di palma di proprietà di due sussidiarie della Wilmar e per conto di tre fornitori di quest’ultima nelle regioni indonesiane di Kalimantan e Sumatra. Questi sono i principali risultati:

– donne costrette a lavorare per molte ore dietro la minaccia che altrimenti la loro paga verrà ridotta, con un compenso inferiore alla paga minima (in alcuni casi, solo 2,50 dollari al giorno) e prive di assicurazione sanitaria e di trattamento pensionistico;

– bambini anche di soli otto anni impiegati in attività pericolose, fisicamente logoranti e talvolta costretti ad abbandonare la scuola per aiutare i genitori nelle piantagioni;

– lavoratori gravemente intossicati da paraquat, un agente chimico altamente tossico ancora usato nelle piantagioni nonostante sia stato messo al bando nell’Unione europea e anche dalla stessa Wilmar;

– lavoratori privi di strumenti protettivi della loro salute, nonostante i rischi di danni respiratori a causa dell’elevato livello di inquinamento causato dagli incendi delle foreste tra agosto e ottobre 2015;- lavoratori costretti a lavorare a lungo, a costo di grave sofferenza fisica, per raggiungere obiettivi di produzione ridicolmente elevati, a volte usando attrezzature a mano per tagliare frutti da alberi alti 20 metri;

– lavoratori multati per non aver raccolto in tempo i frutti dal terreno o per aver raccolti frutti acerbi.

La Wilmar ha ammesso l’esistenza di problemi relativi al lavoro nelle sue attività. Ciò nonostante, l’olio di palma proveniente da tre delle cinque piantagioni indonesiane su cui Amnesty International ha indagato è stato certificato come “sostenibile” dal Tavolo sull’olio di palma sostenibile, un organismo istituito nel 2004 dopo uno scandalo ambientale.

“Il nostro rapporto mostra chiaramente che le aziende usano quell’organismo come uno scudo per evitare controlli. Sulla carta hanno ottime politiche, ma nessuna ha potuto dimostrare di aver identificato rischi di violazioni nella catena di fornitura della Wilmar” – ha dichiarato Seema Joshi, direttrice del programma Imprese e diritti umani di Amnesty International.

Dubbi sulle dichiarazioni di “sostenibilità”
Esaminando la documentazione sulle esportazioni e altre informazioni pubblicate dalla Wilmar, le ricerche di Amnesty International hanno rintracciato olio di palma in nove marchi globali di cibo e prodotti domestici. Sette di questi hanno confermato di utilizzare olio di palma fornito dalla Wilmar ma solo due (Kellogg’s e Reckitt Benckiser) hanno accettato di fornire dettagli sui prodotti coinvolti.

Otto su nove di questi marchi fanno parte del Tavolo sull’olio di palma sostenibile e sui loro siti o sulle tabelle nutrizionali dichiarano di usare “olio di palma sostenibile”.

Le nove aziende non hanno smentito l’esistenza di violazioni ma non hanno fornito alcun esempio di azioni intraprese su come vengono trattati i lavoratori nelle attività della Wilmar.

“I consumatori vorrebbero sapere quali prodotti sono legati alle violazioni dei diritti umani ma le aziende mantengono una grande segretezza” – ha commentato Joshi.

“Le aziende devono essere più trasparenti su cosa contengono i loro prodotti. Devono dichiarare da dove vengono le materie prime contenute nei prodotti che si trovano sugli scaffali dei supermercati. Se non lo faranno, beneficeranno e in qualche modo contribuiranno alle violazioni dei lavoratori. Attualmente, stanno mostrando una completa mancanza di rispetto nei confronti di quei consumatori che, quando si recano alla cassa, pensano di aver fatto una scelta etica” – ha aggiunto Joshi.
Il lavoro minorile
Il rapporto di Amnesty International denuncia che bambini da otto a 14 anni svolgono lavori pericolosi nelle piantagioni possedute e dirette dalle sussidiarie e dai fornitori della Wilmar. Lavorano senza equipaggiamento di sicurezza in piantagioni dove vengono usati pesticidi tossici e trasportano sacchi di frutti che possono pesare da 12 a 25 chili. Alcuni di loro abbandonano la scuola per dare una mano ai genitori nelle piantagioni, altri lavorano il pomeriggio dopo la scuola o nei fine settimana e nei giorni festivi.

Un bambino di 14 anni che raccoglie e trasporta frutti di palma in una piantagione della Wilmar ha raccontato di aver lasciato la scuola a 12 anni perché suo padre si era ammalato e non era più in grado di raggiungere gli obiettivi di produzione. Con lui lavorano, al termine dell’orario scolastico, i suoi fratelli di 10 e 12 anni.

“Aiuto mio padre ogni giorno, da due anni. Ho studiato fino alla sesta classe poi mi sono messo a lavorare con mio padre, perché lui non ce la faceva più, si era ammalato. Mi dispiace aver abbandonato la scuola. Avrei voluto continuare per diventare più bravo. Avrei voluto fare l’insegnante”.

Il lavoro, che richiede un enorme sforzo fisico, può causare danni alla salute dei bambini. Uno di loro, che oggi ha 10 anni, ha a sua volta abbandonato la scuola quando ne aveva otto per lavorare in una piantagione della Wilmar. Si sveglia alle sei del mattino e lavora sei ore al giorno, esclusa la domenica:

“Non vado più a scuola. Trasporto i sacchi coi frutti ma riesco a riempirli solo a metà. Sono pesanti. Lo faccio anche se piove ma è più difficile. Mi bruciano le mani e mi duole il corpo”.
Le lavoratrici
Il rapporto di Amnesty International denuncia la discriminazione nei confronti delle donne, assunte giorno per giorno senza garanzie d’impiego permanente e benefici sociali come l’assicurazione sulla salute e la pensione. Amnesty International ha anche documentato casi di lavoro forzato e di capisquadra che sfruttano le donne minacciandole di non pagarle o di ridurle la paga.

Una donna ha raccontato come sia stata costretta a lavorare di più attraverso minacce implicite ed esplicite:

“Se non raggiungo gli obiettivi, mi impongono di lavorare di più ma senza paga. Io e la mia amica abbiamo detto al caposquadra che eravamo stanche e volevamo andare via ma lui ci ha detto ‘se non avete voglia di lavorare, andate a casa e non tornate più’. Come si fa a lavorare con questi obiettivi impossibili? Mi bruciano i piedi, mi bruciano le mani e mi fa male la schiena”.

L’Indonesia ha una legislazione sul lavoro molto solida, in base alla quale la maggior parte di questi trattamenti costituirebbero reati penali, ma viene applicata malamente. Amnesty International chiede al governo indonesiano di migliorare la sua applicazione e indagare sulle violazioni denunciate nel rapporto.
Ulteriori informazioni
Le ricerche di Amnesty International hanno rintracciato olio di palma lavorato da raffinerie e frantoi proveniente dalle piantagioni esaminate, in sette delle nove aziende: AFAMSA, ADM, Colgate-Palmolive, Elevance, Nestlé, Reckitt Benckiser e Kellogg’s attraverso una sua joint-venture. Le altre due, Procter & Gamble e Unilever, hanno confermato ad Amnesty International che usano olio di palma proveniente dalle piantagioni della Wilmar in Indonesia ma non hanno specificato esattamente da quale raffineria si riforniscono. Poiché Amnesty International ha rintracciato olio di palma dalle piantagioni oggetto della sua ricerca in 11 delle 15 raffinerie della Wilmar, è assai possibile che queste due aziende si riforniscano da almeno una di queste raffinerie.

Amnesty International ha chiesto alle aziende di chiarire se l’olio di palma dichiarato nel contenuto di una lista di prodotti provenga da attività della Wilmar in Indonesia. Due di loro, Kellogg’s e Reckitt Benckiser, hanno confermato. Colgate e Nestlé hanno ammesso di ricevere olio di palma dalle raffinerie indonesiane della Wilmar. Il rapporto di Amnesty International collega queste raffinerie alle piantagioni che ha indagato. Colgate e Nestlé hanno però dichiarato che nessuno dei prodotti elencati nel rapporto di Amnesty International contiene olio di palma proveniente dalle piantagioni della Wilmar, tuttavia non hanno reso noto quali altri prodotti invece lo contengono. Due altre aziende, Unilever e Procter & Gamble, non hanno corretto l’elenco dei prodotti fornito da Amnesty International. Le rimanenti tre, infine, hanno risposto in modo vago o non hanno risposto affatto