Nell’Ultimo Paese che l’America ha Liberato da un “Malvagio Dittatore” Oggi si Commerciano Apertamente gli Schiavi

Scritto da: Henry Tougha
Fonte: http://vocidallestero.it/2017/04/17/nellultimo-paese-che-lamerica-ha-liberato-da-un-malvagio-dittatore-oggi-si-commerciano-apertamente-gli-schiavi/

Un articolo rilanciato da Zero Hedge ci apre una finestra sull’orrore in cui la Libia è stata gettata dal cosiddetto intervento  “umanitario”  dei paesi NATO  e dalla primavera araba. Nel paese nordafricano, privo di un controllo politico, si fa apertamente compravendita di esseri umani come schiavi, li si detiene per ottenere il riscatto e se non sono utili alla fine li si uccide. Il disordine e le atrocità che seguono la cacciata del dittatore – per quanto odioso possa essere –  dovrebbero essere tenuti ben presenti oggi che il cerchio si sta stringendo intorno alla Siria.

 

di Carey Wedler, 15 aprile 2017

È ben noto che l’intervento NATO a guida USA del 2011 in Libia, con lo scopo di rovesciare Muammar Gheddafi, ha portato ad un vuoto di potere che ha permesso a gruppi terroristici come l’ISIS di prendere piede nel paese.

Nonostante le conseguenze devastanti dell’invasione del 2011, l’Occidente è oggi lanciato sulla stessa traiettoria nei riguardi della Siria. Proprio come l’amministrazione Obama ha stroncato Gheddafi nel 2011, accusandolo di violazione dei diritti umani e insistendo che doveva essere rimosso dal potere al fine di proteggere il popolo libico, così l’amministrazione Trump sta oggi puntando il dito contro le politiche repressive di Bashar al-Assad in Siria e lanciando l’avvertimento che il suo regime è destinato a terminare presto — tutto ovviamente in nome della protezione dei civili siriani.

Ma mentre gli Stati Uniti e i loro alleati si dimostrano effettivamente incapaci di fornire una qualsiasi base legale a giustificazione dei loro recenti attacchi aerei — figurarsi poi fornire una qualsiasi evidenza concreta a dimostrazione del fatto che Assad sia effettivamente responsabile dei mortali attacchi chimici della scorsa settimana — emergono sempre più chiaramente i pericoli connessi all’invasione di un paese straniero e alla rimozione dei suoi leader politici.

Questa settimana abbiamo avuto nuove rivelazioni sugli effetti collaterali degli “interventi umanitari”: la crescita del mercato degli schiavi.

Il Guardian ha riportato che sebbene “la violenza, l’estorsione e il lavoro in schiavitù” siano stati già in passato una realtà per le persone che transitavano attraverso la Libia, recentemente il commercio degli schiavi è aumentato. Oggi la compravendita di esseri umani come schiavi viene fatta apertamente, alla luce del sole.

Gli ultimi report sul ‘mercato degli schiavi’ a cui sono sottoposti i migranti si possono aggiungere alla lunga lista di atrocità [che avvengono il Libia]” ha detto Mohammed Abdiker, capo delle operazioni di emergenza dell’International Office of Migration, un’organizzazione intergovernativa che promuove “migrazioni ordinate e più umane a beneficio di tutti“, secondo il suo stesso sito web. “La situazione è tragica. Più l’IOM si impegna in Libia, più ci rendiamo conto come questo paese sia una valle di lacrime per troppi migranti.”

Il paese nordafricano viene usato spesso come punto di uscita per i rifugiati che arrivano da altre parti del continente. Ma da quando Gheddafi è stato rovesciato nel 2011 “il paese, che è ampio e poco densamente popolato, è piombato nel caos della violenza, e i migranti, che hanno poco denaro e di solito sono privi di documenti, sono particolarmente vulnerabili“, ha spiegato il Guardian.

Un sopravvissuto del Senegal ha raccontato che stava attraversando la Libia, proveniendo dal Niger, assieme ad un gruppo di altri migranti che cercavano di scappare dai loro paesi di origine. Avevano pagato un trafficante perché li trasportasse in autobus fino alla costa, dove avrebbero corso il rischio di imbarcarsi per l’Europa. Ma anziché portarli sulla costa il trafficante li ha condotti in un’area polverosa presso la cittadina libica di Sabha. Secondo quanto riportato da Livia Manente, la funzionaria dell’IOM che intervista i sopravvissuti, “il loro autista gli ha detto all’improvviso che gli intermediari non gli avevano passato i pagamenti dovuti e ha messo i passeggeri in vendita“. La Manente ha anche dichiarato:

Molti altri migranti hanno confermato questa storia, descrivendo indipendentemente [l’uno dall’altro] i vari mercati degli schiavi e le diverse prigioni private che si trovano in tutta la Libia, aggiungendo che la OIM-Italia ha confermato di aver raccolto simili testimonianze anche dai migranti nell’Italia del sud.

Il sopravvissuto senegalese ha detto di essere stato portato in una prigione improvvisata che, come nota il Guardian, è cosa comune in Libia.

I detenuti all’interno sono costretti a lavorare senza paga, o in cambio di magre razioni di cibo, e i loro carcerieri telefonano regolarmente alle famiglie a casa chiedendo un riscatto. Il suo carceriere chiese 300.000 franchi CFA (circa 450 euro), poi lo vendette a un’altra prigione più grossa dove la richiesta di riscatto raddoppiò senza spiegazioni“.

Quando i migranti sono detenuti troppo a lungo senza che il riscatto venga pagato, vengono portati via e uccisi. “Alcuni deperiscono per la scarsità delle razioni e le condizioni igieniche miserabili, muoiono di fame o di malattie, ma il loro numero complessivo non diminuisce mai“, riporta il Guardian.

Se il numero di migranti scende perché qualcuno muore o viene riscattato, i rapitori vanno al mercato e ne comprano degli altri“, ha detto Manente.

Giuseppe Loprete, capo della missione IOM del Niger, ha confermato questi inquietanti resoconti. “È assolutamente chiaro che loro si vedono trattati come schiavi“, ha detto. Loprete ha gestito il rimpatrio di 1500 migranti nei soli primi tre mesi dell’anno, e teme che molte altre storie e incidenti del genere emergeranno man mano che altri migranti torneranno dalla Libia.

Le condizioni stanno peggiorando in Libia, penso che ci possiamo aspettare molti altri casi nei mesi a venire“, ha aggiunto.

Ora, mentre il governo degli Stati Uniti sta insistendo nell’idea che un cambio di regime in Siria sia la soluzione giusta per risolvere le molte crisi di quel paese, è sempre più evidente che la cacciata dei dittatori — per quanto detestabili possano essere — non è una soluzione efficace. Rovesciare Saddam Hussein non ha portato solo alla morte di molti civili e alla radicalizzazione della società, ma anche all’ascesa dell’ISIS.

Mentre la Libia, che un tempo era un modello di stabilità nella regione, continua a precipitare nel baratro in cui l’ha gettata “l’intervento umanitario” dell’Occidente – e gli esseri umani vengono trascinati nel nuovo mercato della schiavitù, e gli stupri e i rapimenti affliggono la popolazione – è sempre più ovvio che altre guerre non faranno altro che provocare ulteriori inimmaginabili sofferenze.

EURO BREAK-UP: LA FINE DEL MONDO!

Fonte: http://icebergfinanza.finanza.com/2017/04/13/euro-break-up-la-fine-del-mondo/

Una premessa è indispensabile per tutti coloro che credono che sarà una passeggiata, per gli ingenui, per tutti coloro che non sanno andare oltre il puntino nero nella grande pagina bianca, ancora tutta da scrivere.

La solita premessa per tutti coloro che ancora oggi credono che si tratti esclusivamente di una crisi economico/finanziaria, di dinamiche macroeconomiche o geopolitiche.

Questa è essenzialmente una crisi …

      ANTROPOLOGICA!

Non sarà facile, non sarà semplice ritornare al passato, ma allo stesso tempo come la storia insegna, le opportunità superano di gran lunga i rischi, sempre che questa volta sia diverso.

Quando sento qualcuno dire che l’uscita dall’euro o meglio il ritorno alle monete preesistenti sarà la fine del mondo, uno scenario da incubo, un film dell’ orrore senza alcun dubbio, una certezza, non so a Voi, ma a me viene la voglia di cambiare canale, di scoprire la realtà, la verità.

Tanto per non farci mancare nulla, lunedi sul Corriere della Sera, si proprio quello sul quale scrivono i vari Alesina e Giavazzi che oggi prefigurano terribili catastrofi quando non più tardi del 1997 sempre sul Corriere sostenevano il contrario, ovvero che la moneta unica era un grande bluff…

Alesina1Insensata l’uscita dalla moneta unica nel 2017 dopo anni di stragi sociali e nel 1997 il nostro Alesina a richiamare i quattro grandi bluff dell’Unione monetaria di cui qui sotto una sintesi…

Alesina

In troppi pendono dalle labbra e dagli editoriali di questi signori, forse la rete può aiutare a ricordare…

Risultati immagini per alesina giavazzi mazzalai

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Credetemi non ho nessuna intenzione di fare facile ironia, magari saranno anche bravi professori, ma non sono certo degli oracoli, ma la facilità con la quale cambiano spesso opinione non mi fa stare sereno, perchè l’informazione è una cosa seria e non bastano due righe per spiegare i pro e i contro di una scelta così importante.

Un’altra premessa è fondamentale! Per quanto ci riguarda, passeranno anni prima che il popolo italiano possa scegliere, la Costituzione non lo permette e di certo un’eventuale rivoluzione non verrà dal nostro Paese.

Detto questo neanche in queste quattro righe sarà possibile rispondere a tutte le domande, serve un libro intero o almeno un pomeriggio insieme.

Ma torniamo all’articolo di lunedì, figlio di un’altra grande firma del giornalismo italiano che dormiva ai tempi d’oro in cui tutto sembrava andare bene…

Cercherò di essere molto sintetico lascerò parlare la storia, ovvero l’analisi empirica.

Incominciamo da quei due anni al massimo e poi arriverà la fine del mondo…

ImmaginePer chi non ci capisce nulla vi aiuto io! Questi sono alcuni recenti episodi di svalutazioni dettagliati da Weisbrot e Ray nel 2011, dei quali ho evidenziato solo le dinamiche verificatesi nei Paesi occidentali, ovvero quel famoso 1992, ( …ve la ricordate la crisi nordica di inizio anni ’90 …) sul quale tra i sostenitori dell’euro c’è sempre molta ironia, sai bellezza, sono cambiati i tempi, nulla è più come prima. Nei tre anni successivi alla svalutazione, come evidenziato dal rettangolino verde è arrivata la fine del mondo immagino!

Suggeriscono di ripassare la storia degli anni Settanta o Ottanta ma nessuno che prenda in considerazione quella degli anni Novanta, insomma una storiella a senso unico.

Ci sarebbe tantissimo altro materiale da farvi vedere ma di questo ne parleremo insieme in occasione del decennale.

A me piace l’articolo del Corriere della Sera, perchè in modo pacato, senza enfasi,  cerca di farvi capire i rischi di un’uscita dall’euro…

a) Un film dell’orrore

b) esplosione del debito

c) fuga di capitali

d) inflazione ovunque

e) povertà diffusa

f) il default ci trasforma in fuorilegge globali

ImmagineOvviamente guai a dire nulla, sull’inflazione scatenata dal passaggio all’euro o dalla povertà diffusa che ha caratterizzato le dinamiche nel nostro Paese dopo l’entrata nell’euro e l’austerità dal 2012 in poi.

Scrive De Bortoli che una probabile svalutazione della nuova lira farebbe crescere il valore del debito emesso in euro, ma probabilmente non sa il signor De Bortoli che questo problema riguarderebbe solo le banche e in parte le imprese ma non di sicuro lo stato che attraverso la LEX MONETAE riconvertirebbe almeno il 94 % delle emissioni di debito pubblico sono stati emessi sotto legge italiana, solo nove miliardi circa sono oggi sotto legislazione estera.

Ma la questione come detto prima  è molto più complessa di un articolo di giornale o un post sul blog, ne parleremo a più occhi a tempo debito.

Parlano di economie che danno qualche cenno di ripresa, ma non sanno leggere i dati, dicono che è comprensibile che i trattati non contemplino l’uscita dall’euro, perché la forza di una valuta si basa sulla sua “irreversibilità”.

ALLUCINANTE!

Tirano fuori i paper di Promoteia e non fanno vedere innumerevoli altri studi che dimostrano il contrario, parlano di rischi di guerra commerciale ma non sanno che questa è già qui tra noi. Parlano dei più deboli, quanto di più distante dal loro tenore di vita e fanno finta di dimenticare i milioni di disoccupati creati dal “necessario” aggiustamento salariale ( deflazione salariale) e dall’austerità da loro imposta, in un’area valutaria non ottimale come l’Europa.

Chi fa default si trasforma in fuorilegge! Roba da film western! Parlano di inflazione a doppia cifra senza conoscere la storia o meglio fanno finta di non sapere e vagheggiano nelle loro immaginarie follie. Novelli ottimisti decisamente male informati o meglio ancora intrisi di conflitto di interesse.

Parlano di macelleria sociale in caso di uscita dall’euro e non un solo cenno alla devastazione atomica dei patrimoni e dei risparmi degli italiani ad opera delle banche che in questi anni hanno pure foraggiato editori consenzienti e giornalisti al servizio esclusivo del pensiero unico, banche amministrate da veri e propri criminali accompagnati nella loro opera di devastazione da organi di vigilanza inesistenti e dinamiche politiche autoreferenziali .

Si arrogano addirittura il diritto di definire un insuccesso la recente ristrutturazione del debito greco, mai realmente avviata, una ristrutturazione a senso unico messa in piedi per rimborsare i principali responsabili di questa crisi, le banche tedesche e francesi e inglesi. Ma per favore un minimo di dignità.

Anni fa ad una conferenza, un banchiere locale mi disse che era pura illusione nazionalizzare le banche o proporre un’uscita, perché il sistema bancario era solido. Ora a distanza di anni, la verità è diventata per l’ennesima volta figlia del tempo, con l’euro, si è indebolito il nostro sistema bancario. Le cause sono molte la criminale gestione politica e manageriale ma soprattutto l’austerità imposta che ha fatto esplodere le sofferenze dell’economia reale. Solo un folle oggi può ancora parlare di austerità espansiva.

Questo è il mio pensiero in sintesi …  ITALIA PIU’ POVERA CON QUESTO EURO.

Mi fermo qui, e meno male che ero io il catastrofista.

Hai i capelli brizzolati? Attento alla salute del cuore!

Scritto da: Germana Carillo
Fonte: https://www.greenme.it/vivere/salute-e-benessere/23564-capelli-brizzolati-malattie-cardiovascolari

... Stampa Disegno Di Cuore ...

Capelli e cuore: gli uomini che li hanno brizzolati potrebbero correre un rischio maggiore di soffrire di malattie cardiovascolari. Proprio così, cavalieri dalla chioma argentea: se il vostro capello ha il fascinoso sale e pepe, non è detto che il vostro cuore scoppi di salute.

È il curioso risultato che arriva da uno studio dell’Università del Cairo presentato all’ “EuroPrevent 2017”, il Congresso annuale dell’European society of cardiology, secondo cui chi ha cominciato ad avere i capelli grigi un po’ in anticipo con l’età potrebbe mettere in conto un “segnale cutaneo precoce” del pericolo cardiovascolare.

I ricercatori sono partiti dal presupposto che aterosclerosi e ingrigimento della capigliatura pare seguano percorsi biologici simili, che comprendono la compromissione della capacità di riparare il Dna, lo stress ossidativo, l’infiammazione, i cambiamenti ormonali e l’invecchiamento delle cellule.

I nostri risultati suggeriscono che, indipendentemente dall’età cronologica, i capelli grigi indicano l’età biologica e potrebbero essere un segnale di un aumento del rischio cardiovascolare”, spiega Irini Samuel, coordinatore della ricerca.

Gli studiosi hanno così deciso di verificare se possedere molti capelli bianchi potrebbe essere collegati a un aumento del rischio di patologie al cuore e per scoprirlo hanno sottoposto 545 uomini adulti ad angiografia coronarica con Tcms (tomografia computerizzata spirale multistrato) per sospetta malattia coronarica. Poi, li hanno suddivisi in cinque gruppi, in base al grado d’ingrigimento dei loro capelli: chi aveva solo capelli scuri rientrava nel livello 1; chi aveva la maggior parte dei capelli scuri con alcuni bianchi nel livello 2; chi aveva lo stesso numero di capelli scuri e di capelli bianchi nel livello 3; chi aveva più capelli bianchi nel livello 4; chi aveva solo capelli bianchi nel livello 5. Infine, sono stati raccolti dati relativi ai fattori di rischio cardiovascolare.

Alla fine dei test, si è dimostrata un’associazione tra un grado d’ingrigimento dei capelli pari o superiore a 3 e l’aumento del rischio di malattia coronarica. Questo fenomeno si riscontrava indipendentemente dall’età anagrafica dei partecipanti e dagli altri fattori di rischio cardiovascolare. In particolare, quello che è venuto fuori è la correlazione tra l’elevata presenza di capelli bianchi e una maggiore calcificazione coronarica.

I risultati potrebbero aiutare in futuro gli studiosi ad identificare i pazienti più a rischio di malattie cardiache semplicemente analizzandone il colore dei capelli. Ma, come scrivono gli autori dello studio: “Sono necessarie ulteriori indagini sui segni cutanei di rischio che ci consentano d’intervenire fina dalle prime fasi del processo di sviluppo delle malattie cardiovascolari”.

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Per ora, quello che ci sentiamo di dire è che per prevenire malattie cardiovascolari o, peggio ancora un attacco di cuore, basterebbe condurre una vita regolare, mangiare sano e fare una discreta attività fisica.

 

Perchè in Antartide c’è una struttura sepolta lunga 22 chilometri? Tracce dello Stargate di Oswald?

Fonte: http://www.ilnavigatorecurioso.it/2017/01/05/perche-in-antartide-ce-una-struttura-sepolta-lunga-22-chilometri-tracce-dello-stargate-di-oswald/2/

Google Earth continua a regalare enigmi e stranezze agli appassionati di misteri. Una nuova scoperta mostrerebbe una struttura lunga più di 22 chilometri sotto i ghiacci dell’Antartide.

Una misteriosa struttura lunga più di 22 chilometri sarebbe sepolta sotto i ghiacci dell’Antartico.

A scoprirla è stato lo youtuber wowforreeel il software satellitare Google Earth, lasciando gli utenti di internet alquanto sconcertati.

La scoperta si riferisce ad un rettangolo bianco che si staglia sulla distesa ghiacciata del continente sterile, facendo pensare ad una sorta di stazione di ricerca segreta umana o extraterrestre.

Come spiega lo stesso wowforreeel nel suo video, l’immagine è facilemente osservabile su Google Earth alle coordinate -70.177653, 87.824707.

Secondo la sua stima, il rettangolo raggiunge dimensioni considerevoli: 23 chilometri per 7 chilometri.

«L’antartide è pieno di stranezze», scrive lo youtuber. «Ho cercato qualcosa di simile per tutta l’estensione del continente, ma non sono riusciuto a trovare nulla di simile».

A suo avviso, da alcuni segni palesemente visibili, l’immagine sarebbe stata fotoritoccata nel tentativo di nascondere qualcosa. «Potrebbe essere una stazione di ricerca segreta, oppure qualcuno sta nascondendo un gigantesco UFO sepolto ghiaccio», continua wowforreeel.

Il video ha raggiunto più di 3 milioni di visualizzazioni, con la continua aggiunta da parte degli utenti che si chiedono di cosa possa trattarsi.

Lo straordinario caso di Lily Oswald

L’enigmatica immagine scovata su Google Earth fa tornare alla mente un misterioso caso di rapimento alieno avvenuto in Brasile nel 1979.

Il 15 ottobre, la nota pianista Luli Oswald e la sua amica Fauze Mehlen stavano percorrendo di notte una strada costiera a 50 chilometri da Rio de Janeiro. Improvvisamente, a qualche centinaia di metri dalla riva, le due videro alcuni velivoli emergere dall’acqua

Luli e la sua amica raccontarono di aver visto un ufo nero, più scuro del cielo, sormontato da una sorta di cupola e largo più di trecento metri. Due velivoli più piccoli cominciarono ad inseguire l’automobile: Luli e la sua amica sono in preda al panico.

Misteriosamente, un istante dopo, le due donne si ritrovano a percorrere la strada a bordo dell’automobile in tutta normalità, a parte un dettaglio: erano passate tre ore. Secondo gli ufologi, si tratta di un classico caso di rapimento alieno con tempo mancante (missing time).

Gli investigatori scoprirono ben presto che altri incontri ravvicinati erano stati denunciati sullo stesso tratto di strada.

Tuttavia, l’incubo di Luli comincia quando la donna si sottopone ad una serie di sedute di ipnosi regressiva. Desiderosa di risposte, Luli si affida al noto ipnotista Silvio Lago.

Sotto ipnosi, la Oswald disse di vedere due ufo sopra la sua macchina e che si sentiva molto male. Secondo il suo racconto, la vettura fu portata a bordo di un ufo nero.

Luli ricorda questi strani alieni “grigio topo” e gli esami ai quali la sottoposero. Luli disse di ricordare anche la sua amica Fauze sistesa su un lettino priva di sensi, mentre un alieno la scandagliava con un misterioso fascio di luce che puzzava di zolfo.

La cosa più strana, e per certi aspetti più inquietante di questo caso di rapimento alieno, è che Luli Oswald ha detto di aver parlato con uno degli alieni, il quale avrebbe indicato l’Antartide come loro punto di provenienza.

Secondo l’alieno, ci sarebbe un sistema di tunnel che collega diversi punti degli oceani terrestri con il Polo Sud, dove ci sarebbe un portale, una sorta di Stargate. Questo spiegherebbe il motivo per cui gli ufo, in molti avvistamenti emergono o scompaiono negli specchi d’acqua.

L’immagine scoperta da wowforreel alimenta le suggestioni aperte dal caso Oswald, facendo pensare ad una sorta di cover-up su quello che realmente succede in Antartide.

Si discute molto su un sistema di tunnel alieni sotterranei che percorrerebbe tutto il pianeta. Secondo alcuni, questo potrebbe significare che gli alieni vivono in basi sotterranei, oppure che, molto probabilmente, utilizzano le parti più profonde degli oceani, lì dove l’uomo non è stato ancora in grado di arrivare.

Benvenuti nel mondo in cui l’Europa non conta nulla (e vuole contare ancora meno)

Scritto da: Francesco Cancellato
Fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2017/04/12/benvenuti-nel-mondo-in-cui-leuropa-non-conta-nulla-e-vuole-contare-anc/33843/

I fatti, prima di tutto: Stati Uniti d’America, Russia (e Israele e Turchia e Arabia Saudita con annessi Emirati) decidono le sorti geopolitiche della Siria e del Medio Oriente. Sempre gli Stati Uniti, stavolta con la Cina (e il Giappone e la Corea del Sud) affrontano la crisi della Corea del Nord, del suo regime e dei suoi missili. E ancora: Donald Trump imprime una svolta protezionista alla sua economia, mentre il presidente cinese Xi Jinping viene a Davos, in Svizzera, a difendere la globalizzazione e del libero scambio mondiale.

In tutto questo, l’Europa non esiste. Irrilevante in Siria, dove si limita a condannare gli attacchi con armi chimiche di Assad e a lanciare utopiche richieste di tavoli e conferenze internazionale, cui far sedere gente che si prende a pallettate da qualche anno. Irrilevante pure nella crisi sino-americana in Corea del Nord, talmente lontana da non farci alzare nemmeno un sopracciglio, sebbene coinvolga le due più importanti economie del mondo. Persino su protezionismo e globalizzazione non siamo in grado di dare alcuna risposta. A parole, siamo quelli delle frontiere aperte e della libera circolazione di merci e fattori produttivi. Nei fatti, allo stato attuale, non abbiamo firmato trattati di libero scambio né con l’America, né con la Cina. In entrambi i casi, per paure contingenti, non per strategie di lungo periodo.

Eccola, la perdita di sovranità che ci costa più cara. Non quella degli Stati-nazione in Europa, ma dellEuropa nel mondo. Una perdita di sovranità figlia dell’assenza – attenzione: parolaccia in arrivo – di potere, inteso come la capacità di imporre, o perlomeno far valere, i nostri interessi e la nostra visione del mondo in qualunque ambito essa si declini: dall’economia alla politica, dall’energia all’ambiente, dai conflitti alla loro soluzione.

Un esempio su tutti: un’Europa davvero unita, autorevole, potente, anziché dividersi al suo interno tra chi vuole accogliere e chi vuole alzare muri, tra chi plaude alla realpolitik dell’accordo con la Turchia di Erdogan, e chi ne contesta l’ipocrisia, chiederebbe conto del caos siriano a Stati Uniti, Russia e a chiunque abbia concorso a generarlo. Non solo: legittimata dall’impatto sociale e politico che sta subendo a causa di questa crisi, e dalla sua prossimità con la stessa, dovrebbe imporre a muso duro la propria soluzione al problema.

Certo, servirebbe un governo europeo, un ministro degli esteri europeo, un budget europeo, un esercito europeo, una strategia politica europea, per farlo. Ma già il solo fatto che tutto questo ci appaia come un’utopia ci dà la misura del paradosso di cui siamo vittime. A guerra fredda finita, con l’Europa finalmente avviata verso l’Unione politica, la globalizzazione a portata dei nostri saperi, nel contesto del più lungo periodo di pace che il vecchio continente avesse mai vissuto, potevamo davvero imprimere il nostro passo alla globalizzazione.

Invece l’abbiamo semplicemente subita e continuiamo a farlo. Peggio ancora, stiamo tornando a dividerci come ai vecchi tempi, facendo riemergere antiche rivalità nazionali e antiche culture politiche che la Storia avrebbe dovuto seppellire. Posseduti da un hybris suicida che ci fa credere che tornando nani in mezzo ai giganti potremmo contare di più. Che farci eterodirigere di volta in volta da Obama, Trump, Putin o chi per loro possa farci tornare grandi. Auguri di cuore.

Trump, il rischio è di emulare George W. Bush

Scritto da: Mirco Coppola
Fonte: http://www.opinione-pubblica.com/trump-il-rischio-e-di-emulare-george-w-bush/


Come tutto il mondo ormai sa, alle 2.40 ore italiane gli Stati Uniti hanno compiuto un attacco aereo alla base militare Al Sharyat in Siria, ordinato da Donald Trump.

La  base militare, ritenuta responsabile del presunto attacco chimico delle forze di Assad a Khan Sheikhun, cittadina della provincia di Idlib in mano ai ribelli, è stata colpita da 59 missili Tomhawk, che hanno danneggiato seriamente la base siriana e fatto 6 vittime.

Dal Cremlino hanno risposto in tono piccato che l’attacco americano è stato un flop (solo 29 missili a segno secondo i russi) e condannato l’atto. Ma resta la gravità del gesto, che fa emergere la grande voglia degli Usa di mettere il cappello sul fronte siriano che dopo l’ingresso pesante della Russia nella lotta contro l’ISIS si avvia a chiudersi con il completo trionfo di Assad. Magari con qualche accordo sugli assetti politici e etnici, ma salvando l’integrità del paese e il dominio politico del Ba’ath. Almeno queste erano le prospettive fino ad ora…

Anche Trump quindi contraddicendo alle sue stesse parole in campagna elettorale e da presidente eletto, si lancia in una rappresaglia militare che lo mette sulla scia dei suoi predecessori più recenti. Non è dato sapere se a questa azione seguirà un attacco vero e proprio alle postazioni siriane o trattasi di una dimostrazione di forza, per i motivi che spiegheremo fra poco.

Non torneremo sul problema importantissimo dell’informazione manipolata nel mondo contemporaneo. Noi il nostro dovere sulla Siria lo abbiamo già fatto, abbiamo messo a nudo le incongruenze del sistema informativo quando si è costretti ad informare su ciò che accade in quei contesti laddove sono presenti i cosiddetti “canaglia”, quegli Stati che da qualche anno sono chiaramente indicati come nemici dell’Occidente.

Nell’era della post-verità, da quando l’informazione è diventata l’arte di influenzare l’opinione pubblica piuttosto che di analizzare i fatti con metodologia e rigore è diventato completamente inutile ingaggiare battaglie d’opinione anche sui fatti più evidenti. Inutile sciorinare decine di esempi che stanno lì a dimostrare quanto le ricorrenti accuse ai governi degli stati “canaglia” di aver usato a turno armi chimiche, fosse comuni e i più atroci crimini contro l’umanità si siano rivelate nella maggior parte dei casi infondate e mai dimostrate.

Che sia vero o no l’attacco chimico da parte di Assad, l’aggressione missilistica di stanotte è soltanto l’acme di un dietro le quinte che racconta di uno scontro interno agli Usa assai bollente. Donald Trump partito con il populismo anti-establishment della campagna elettorale è stato costretto in poco più di due mesi a fare dietrofront sulla maggior parte dei punti della sua agenda politica. Dalla riforma sanitaria volta a sostituire il costosissimo Obamacare alla riforma fiscale, e sul fronte esterno una quasi immobile politica estera, dove nonostante le premesse iniziali il nuovo presidente ha quasi del tutto rinunciato ad allacciare ogni rapporto con Putin, se non attraverso le solite formalità diplomatiche.

In due mesi nessun passo avanti è stato fatto né sul fronte ucraino, a proposito del quale la diplomazia statunitense ha comunque proseguito sull’onda lunga della precedente amministrazione, cioè con una posizione intransigente sulla Crimea, né tantomeno sulla Siria, dove Trump era partito con il sostenere moderatamente Assad, in quanto nemico del terrorismo islamico, al totale rinnegamento del leader del Ba’ath siriano.

Come era facile prevedere già quando Trump è stato eletto a novembre, nonostante la carica non trascurabile di presidente, sarebbe stato difficile scalfire la solidità degli apparati di sistema, che negli Usa all’indomani della caduta del muro e della fine della Guerra Fredda si sono messi in testa per vari motivi (dall’economico e strategico al filosofico-religioso) di fare degli Stati Uniti il “gendarme del mondo”.

Sin dalla sua candidatura il miliardario di New York ha avuto contro non solo la famiglia Clinton, Obama e i democratici ma una bella fetta del suo partito.

John McCain, noto veterano della Guerra del Vietnam e da sempre vicino a posizioni “guerrafondaie” ha iniziato a temere Trump sin dai suoi primi successi alle primarie repubblicane fino alle recenti dichiarazioni dove lo paragona addirittura a un dittatore. George W. Bush a poche ore dal voto presidenziale ha dichiarato pubblicamente di preferire la Clinton a Trump. Ted Cruz, uno degli esponenti più popolari del Partito Repubblicano ha dato il suo endorsement a Trump solo fine settembre del 2016 quando il tycoon iniziava ad avere qualche chance contro la Clinton, ma gli sgarbi reciproci al Congresso del Partito Repubblicano sono difficili da dimenticare.

Lo stesso Vice-Presidente Mike Pence, ex Governatore dell’Indiana, era partito a sostegno di Ted Cruz, per poi essere indicato da Trump come candidato vice-presidente, probabilmente indicato dal GOP come uomo a tutela del partito: è anche lui uno di quelli che spinge per l’intervento in Medio Oriente. Non ultimo per importanza va citato Marco Rubio, senatore della Florida di origini latino-americane, avversario di Trump alle primarie e fortemente interventista, non ha lesinato critiche al presidente, che ha accusato di avere delle responsabilità per quanto accaduto a Idlib.

Critiche nei confronti di Trump sono piovute dal GOP anche laddove il tycoon avrebbe dovuto giocare in casa, come nel caso del muslim ban, che improvvisamente ha trasformato certi ultraconservatori americani in uomini di larghe vedute su differenze etniche e culturali.

Se è vero che dissapori e contrasti ci sono in tutti i grandi partiti diventa difficile per Trump portare a casa ciò che ha promesso in campagna elettorale date le premesse. Di Trump non si cerca soltanto di ostruirne l’azione politica, ma di provocarne le dimissioni il prima possibile. Nelle ultime settimane il presidente repubblicano ha dovuto rinunciare a ben tre pedine fondamentali, lo stratega e consigliere Bannon, rimosso dal Consiglio per la Sicurezza Nazionale, Micheal T. Flynn, fedelissimo di Trump e uomo di quell’apparato militare che vede con simpatia la Russia e la figura di Putin, accusato di aver allacciato rapporti diplomatici prima di essere nominato a capo del Consiglio per la Sicurezza Nazionale, e Devin Nunes, capo della Commissione ristretta per l’Intelligence è stato costretto a farsi da parte per quanto riguarda le indagini sull’influenza della Russia sulle elezioni presidenziali del 2016, accusato di essere troppo fazioso a favore di Mosca.

Un attacco bipartisan quello che sta subendo il gruppo guidato da Trump, attaccato dagli uomini legati ad Obama ancora operativi all’interno degli apparati di Stato, il cosiddetto Deep State, che hanno creato ad arte la fuga di notizie legate ai rapporti tra la Russia e il presidente repubblicano, a conferma di quanto non sia sufficiente avere il comando della CIA o dell’FBI, e dai suoi stessi colleghi di partito.

Naturalmente ciò non giustificano le mosse guerrafondaie e unilaterali di Trump e neanche la sua apparente ignavia, ma fanno emergere l’estrema difficoltà difficoltà della classe dirigente statunitense a raccogliere il messaggio che la popolazione ha lanciato con l’elezione del tycoon alla Casa Bianca, che li invitava al cambiamento.

È evidente che gli americani non sono più disposti a sacrificare i propri figli in guerre in giro per il mondo lontane da Washington o da Los Angeles, e che sono costretti a pagare in termini di occupazione e benessere l’aumento in pressione fiscale che un’economia basata sulle guerre e sul dominio finanziario del dollaro può comportare. Non a caso infatti il miliardario di origini tedesche ha conquistato i suoi successi nell’America profonda e nel Midwest, l’America dei settori industriali, messa in ginocchio da Obama e dalla crisi dei subprime.

Ma era difficile pensare che bastasse vincere le presidenziali o le primarie per cambiare una classe dirigente che andrebbe radicalmente sostituita con una generazione diversa, con idee nuove, non inficiate da un’ideologia da post guerra fredda. Il fallimento di Trump sancirebbe il completo fallimento del sistema bipolare statunitense del maggioritario con primarie, che tanto si vorrebbe imitare in Europa, soprattutto in Italia (dove nel frattempo è già fallito). Un sistema che dovrebbe garantire tramite l’alternanza anche un certo pluralismo di idee e di posizioni, che invece costringe chi vuole farne parte di conformarsi a un pensiero unico dominante, in questo momento di marca neocon e globalista.

Era successo qualcosa di simile anche a George W. Bush. Bush jr. nel 2000 aveva idee politiche non dissimili da quelle Trump, aveva fondato i suoi primi mesi di presidenza su un certo isolazionismo, riversando gli sforzi di Washington soprattutto nell’America indio-latina, aveva rifiutato di firmare i protocolli di Kyoto, badando al settore industriale dell’economia Usa e era uscito dal trattato anti-missili balistici, risalente alla Guerra Fredda e dichiarato obsoleto, per costruirsi un proprio sistema.

Fino ai tragici eventi dell’11 settembre 2001 la presidenza Bush poteva essere definita una presidenza molto soft, il Governatore texano era stato a tal proposito criticato per gli eccessivi giorni passati in vacanza da parlamentari e giornalisti. George W. era evidentemente tutt’altro che un falco, ma afferente alla corrente del conservatorismo sociale cattolico-cristiano. L’attentato alla Torri Gemelle tuttavia cambiò radicalmente la politica estera del Presidente Bush con gli interventi prima in Afghanistan e in seguito in Iraq, senza apparenti prove che quegli Stati avessero qualcosa a che fare con il terrorismo o fossero capaci di muovere una qualche guerra agli Usa.

Se dunque le Torri Gemelle servirono da casus belli contro gli ormai scomodi talebani e l’incontrollabile Saddam, i presunti crimini contro l’umanità di Assad potrebbero servire all’establishment per ottenere un cambiamento anche da parte di Donald Trump nei confronti di Putin e dei sui alleati. Come uno scacchista che nonostante lo svantaggio materiale riesce con un piano di gioco migliore del suo avversario, a costringerlo a una serie di mosse forzate in modo tale da riequilibrare o addirittura vincere la partita: Obama ci abituato ad usare tutte le tattiche possibile per sfinire l’avversario e deviare i suoi piani.

Difficile per Trump uscire da questa situazione, ammesso che lo voglia fare. Gli Stati Uniti ormai hanno un’inerzia troppo forte e contraria per essere fermata e invertita senza una strategia forte, ma quest’ultima potrà essere messa in pratica solo a lungo termine, ingaggiando uno scontro con il Deep State molto rischioso e duro. Vedremo se Trump avrà lo spessore per diventare un grande statista o la codardia di un presidente fantoccio come lo è diventato Bush jr.

L’attacco di stanotte, se è vera la notizia circolata in queste ore che il pentagono avrebbe addirittura avvertito Mosca e Damasco dell’attacco, ci fornisce degli indizi sulle intenzioni del tycoon, che sembra che voglia guadagnare tempo in attesa di avere un piano, piuttosto di sferrare un attacco definitivo alla Siria di Assad, consentendo così il tragico trionfo degli islamisti e sconfessando una delle premesse per le quali è stato eletto: porre fine alle politiche scriteriate (e costose) degli Usa in medio oriente.

Per il resto è il buon senso che dovrebbe suggerire che Assad seppure fosse quel personaggio orribile che qualcuno vuole far credere, resta anche cinicamente la migliore soluzione per la Siria. Anche fosse vero l’attacco chimico parliamo di 72 morti a fronte di 7 milioni di sfollati interni, 4 milioni di deportati all’estero e circa 300 mila morti tra combattenti e civili, oltre ai danni “collaterali” causati dall’islamismo che colpisce ormai da due anni l’Europa e l’Occidente. È indubbio che prima del 2011 in Siria erano abbastanza saldi certi equilibri etnici e confessionali (minoranze cristiane presenti da millenni e mai minacciate dal Ba’ath), cosa che di certo i ribelli islamisti non potranno mai garantire, come si è visto già in altri fronti come quello Libico (governo liberale debolissimo, ribelli infiltrati dall’ISIS) o quello egiziano (Fratelli musulmani prendono i gangli del potere, fermati solo da un colpo di stato militare). Non c’è dubbio su quale scenario sia quello migliore sotto il profilo della Sicurezza Internazionale.

 

Mervyn King: «Vi spiego perché la Brexit farà rinascere il Regno Unito»

Scritto da: Francesco Cancellato
Fonte:http://www.linkiesta.it/it/article/2017/04/10/mervyn-king-vi-spiego-perche-la-brexit-fara-rinascere-il-regno-unito/33816/

«Ricordo le parole di David Cameron, nella campagna referendaria: se vincerà la Brexit, diceva più o meno, ci sarà un crollo dei prezzi delle case, una crescita dei tassi d’interesse e un deprezzamento della sterlina. Per lui era un problema. Per me era tutto quel che avevo cercato di ottenere nei tre anni precedenti senza riuscirci. Gli elettori britannici ce l’hanno fatta in un giorno». Mervyn King ha sessantanove anni e una vita avventurosa alle spalle. Figlio di un facchino che si era reinventato insegnante di geografia dopo la guerra, Lord King è stato governatore della Bank of England tra il 2002 e il 2013. A metà del suo mandato, ha dovuto scrivere le prime mappe del futuro della finanza britannica, dopo che la crisi dei mutui subprime e il crac di Lehman Brothers avevano cancellato quelle vecchie. Mentre la Cool Britannia di Tony Blair cominciava ad avvitarsi su se stessa, in una spirale di paura e disillusione e s’incamminava verso la Brexit, lo strappo con l’Unione Europea del 2016. C’è chi dice un azzardo mortale, chi un nuovo inizio. Mervyn King, in Italia per presentare il secondo e ultimo libro “La fine dell’alchimia: il futuro dell’economia globale” (il Saggiatore, 2017) – appartiene a quest’ultima scuola: «La politica è diventata tossica, quando si parla di Brexit. La gente ha perso ogni oggettività nel leggere le cose».

Proviamo a farlo, allora, Lord King. Perché avete deciso di dire addio all’Europa? E perché lei è così ottimista sul futuro solitario del Regno Unito?
La sua domanda è sbagliata.

Prego?
Non distingue chiaramente tra l’Europa. Unione Europea ed Euro. I britannici amano l’Europa, la sua cultura e non possono lasciarla anche se lo volessero, a meno di fare un referendum per abolire la geografia. Non amiamo ll’Euro e l’unione monetaria invece. Non a caso, nessun politico britannico ha fatto e farebbe mai una campagna elettorale per adottare la moneta comune.

Voi però avete votato per abbandonare l’Unione Europa. Non vi piace nemmeno quella?
Sull’Unione Europea siamo ambivalenti. Ci piacciono i legami con gli altri paesi europei, ci piace farci contaminare dalle culture europee, ci piace viaggiare a basso costo in Europa, studiare altrove. L’ambivalenza sta in due elementi dell’Unione Europea che non ci piacciono per nulla, ed è un dissenso ad ampio spettro, che abbraccia trasversalmente tutte le forze politiche britanniche.

Il primo elemento?
È la perdita di sovranità. E qui la colpa è dei politici degli anni passati. Che ci hanno raccontato, in spregio a ogni principio di realtà, che stare nell’Unione Europea non avrebbe cambiato nulla. Non era assolutamente vero, chiaramente. Banalmente, buona parte delle leggi approvate dal parlamento britannico in questi anni è mera approvazione di direttive europee. La corte suprema britannica l’ha ribadito un paio di mesi fa: la legge comunitaria ha la precedenza sulle leggi nazionali fino a che staremo in Europa. E questa è un enorme cessione di sovranità.

Più che una cessione, è un trasferimento di sovranità verso altri organi. Gli europarlamentari sono eletti, i candidati alla presidenza della Commissione Europea sono noti, quando ci sono le elezioni…
Ma in molti casi sono decisioni prese da burocrati, non dagli europarlamentari. E se una cosa decisa dalla burocrazia non ti piace, non puoi farci nulla. Un governo lo puoi mandare a casa, i burocrati no.

Quindi si mandano a casa i governi…
Se tutto questo fosse stato spiegato chiaramente agli elettori, se fosse stato detto loro perché sacrificare qualcosa fosse una cosa giusta, o semplicemente inevitabile, credo avrebbero ci sarebbero stati ottimi argomenti per sostenere questa tesi. Magari gli elettori avrebbero capito. Sarebbe stato più onesto, perlomeno. E invece hanno negato l’evidenza fino all’ultimo. Hanno fatto finta che nulla fosse mai successo. Col risultato che nessuno oggi si fida più di loro.

La seconda cosa che non vi piace dell’Unione Europea?
Schengen e il principio del libero movimento delle persone.

Ma se nemmeno ce l’avevate, Schengen…
No, è vero, non abbiamo aderito a Schengen. Ma ci siamo presi lo stesso il libero movimento delle persone. Oggi abbiamo un milione di polacchi nel Regno Unito. Per le classi medio alte è una cosa bellissima. Hanno bravissimi giardinieri polacchi, ottimi autisti polacchi e le case costano meno da quando ci sono i muratori polacchi. Ma se sei un giardiniere britannico, un autista britannico, un muratore britannico non sei altrettanto contento. Perché sono entrate nel tuo paese persone che ti fanno concorrenza. E lo fanno sfidandoti con prezzi più bassi. È così che l’immigrazione ha prodotto una frattura insanabile tra le classi medio-alte e i ceti popolari. Per sanare questa frattura l’unico via possibile era ridurre l’immigrazione. E per farlo, l’unico modo possibile era lasciare l’Unione Europea.

In un recente articolo apparso sul Guardian, ha detto che il Regno Unito dovrebbe abbandonare non solo l’Unione Europea ma anche il mercato unico e l’unione doganale. Siamo addirittura oltre la hard Brexit di Theresa May. Non pensa sia una scelta un po’ estrema?
No, perché abbiamo votato per la Brexit e abbiamo preso una decisione. E tutti i politici lo avevano detto chiaramente, a partire dallo stesso Cameron: qualunque sarebbe stato il risultato del voto lo avremmo accettato. Così doveva essere. Sfortunatamente, come già le ho detto, la politica è diventata tossica. E chi si è opposto alla Brexit ora vuole sovvertire il risultato del voto. Non c’è nemmeno un giornale, oggi, che ha commenti oggettivi su questo tema. Persino la BBC è schierata: sono tutti contro la Brexit, perché vivono tutti a Londra.

Ok, e quindi perché lasciare il mercato unico e l’unione doganale?
Siamo seri: se mettessimo tutto sul piatto delle negoziazioni sarebbe un disastro. Non si raggiungerebbe alcun accordo e rimarremmo alla mercé di un accordo dell’ultimo minuto. In questo mondo, Bruxelles avrebbe tutto l’interesse a mostrare come l’uscita dall’Unione Europea abbia generato solamente caos nel Regno Unito. Diventeremmo uno strumento meraviglioso, per la loro propaganda. L’unica via razionale che il Regno Unito deve prendere è quella di prepararsi a diventare davvero un attore esterno all’Unione, soggetto alle sole regolamentazioni delle organizzazioni internazionali come il Wto.

Però lasciando l’unione doganale potreste avere grossi problemi nel commercio estero…
Dobbiamo lasciare l’unione doganale perché non possiamo mettere il nostro futuro commerciale nelle mani del caos di due anni di negoziazioni. Il governo britannico deve pianificare semmai uno sforzo doppio per rinnovare l’efficienza delle proprie dogane e renderle iper-efficienti per evitare, per l’appunto, che si trasformino in un problema per il commercio. Abbiamo problemi pratici, ma il punto è farci trovare pronti per poter abbandonare il tavolo delle negoziazioni di fronte a richieste penalizzanti. Dobbiamo darci da fare subito, prima che si inizi a negoziare. Per poter dire, molto tranquillamente, che tra due anni saremo pronti a fare a meno del mercato unico e dell’unione doganale. E liberi di fare accordi bilaterali con chiunque, dagli Usa alla Cina, Unione Europea compresa.

I Paesi europei faranno accordi con voi? Lei crede?
Saranno loro a chiederceli. Siamo un mercato enorme per le automobili tedesche. Credete che la Germania ci rinuncerà così a cuor leggero? Inoltre senza l’unione doganale potremo stringere patti con chi vogliamo. Uno dei più grandi insuccessi dell’Unione Europea è la sua incapacità di fare accordi commerciali. Hanno siglato quello col Canada, ma non sono riusciti a chiudere il Ttip con gli Stati Uniti d’America. Col risultato che oggi l’Unione Europa non ha un accordo commerciale né con gli Usa, né con la Cina. Io credo che il Regno Unito abbia possibilità migliori di siglarli entrambi, nei prossimi anni. Davvero, non è la Brexit il più grave problema economico del Regno Unito.

Qual è, allora?
Il nostro problema è che esportiamo troppo poco, rispetto a quel che importiamo. Ecco perché è importante che la sterlina torni a bassi livelli. E poi ci sono i tassi d’interesse.

 «Siamo seri: se mettessimo tutto sul piatto delle negoziazioni sarebbe un disastro. Non si raggiungerebbe alcun accordo e rimarremmo alla mercé di un accordo dell’ultimo minuto. In questo mondo, Bruxelles avrebbe tutto l’interesse a mostrare come l’uscita dall’Unione Europea abbia generato solamente caos nel Regno Unito. Diventeremmo uno strumento meraviglioso, per la loro propaganda. L’unica via razionale che il Regno Unito deve prendere è quella di prepararsi a diventare davvero un attore esterno all’Unione»

In che senso i tassi d’interesse sono un problema?
Sono troppo bassi, sia quelli a breve sia quelli a lungo termine. Se guardi al lungo termine – quelli decennali – negli ultimi vent’anni sono continuati a scendere,

Ok, ma il problema dove sta? Li stiamo facendo scendere volontariamente, no?
Vero, perché non vogliamo che l’economia rallenti. Ma il tasso d’interesse sconta il valore futuro di un bene. Se i tassi d’interesse sono bassi, l’economia non funziona bene. Prendiamo le pensioni: coi tassi sotto zero di oggi, il risultato in un fondo pensionistico è talmente misero da non valere i sacrifici per mantenerlo. Noi oggi ce la caviamo, ma domani avremo una crisi del nostro sistema pensionistico per colpa dei tassi d’interesse di oggi. Una crisi che riguarderà chi oggi è giovane. Spero che questo sia chiaro.

È questa la fine dell’alchimia di cui parla? L’idea che l’economia cresca sempre e che le nostre azioni di oggi non abbiano effetto su quel che ci accadrà domani?
No, è l’idea che basti la fiducia a garantire la stabilità nella nostra economia. Pensi alle banconote che usiamo tutti i giorni. Non sono coperte da nessun bene. Ciò che le garantisce è la fiducia che abbiamo nei governi e nelle banche centrali. Ancora peggio è quello che fanno le banche: che nel loro bilanci compensano investimenti rischiosi a lungo termine con debiti a breve termine, che altro non sono che i nostri depositi. Pensi alla crisi dei mutui subprime americani: tutti compravano i mutui delle persone senza sapere nulla su chi li aveva sottoscritti. Erano pezzi di carta, fungibili. Finché salivano i prezzi delle case, a nessuno interessava di chi fossero quei mutui: «Se non pagano, gli prendiamo la casa e la vendiamo».

Poi però i prezzi sono cominciati a scendere…
E il sogno è finito: «Un attimo: cosa sono questi pezzi di carta? Chi sono queste persone?» Quando tutti hanno cominciato a farsi questa domanda, il mercato è crollato, di botto. Da quel momento, le banche hanno smesso di prestarsi i soldi per qualche mese. Perché basta che una banca fallisca, che la gente smette di metterci i soldi, e nessuno si fida più. E le banche crollano, come tessere del domino. Eccola, la fine dell’alchimia.

Che si fa, quindi? Si ritorna alle riserve auree e alle banche che possono investire solo in titoli di Stato?
Ovviamente no. Le banche oggi hanno riserve che sono solo una piccola frazione del capitale investito. Chi finanzierebbe mai le banche, se dovessero coprire tutti i loro investimenti per minimizzare il rischio per i correntisti?

Immaginiamo lei abbia un piano…
Ci arrivo: in una crisi le banche centrali devono metterci dei soldi per salvare le banche. Sottolineo: devono. È come con l’energia: generare energia è una piccola percentuale dell’economia. Ma se fallisce chi produce energia, si blocca tutto. Il problema del 2008 è stato prettamente politico: perché le banche si salvano e le piccole imprese, quando falliscono, si lasciano morire? Perché alle famiglie viene pignorata la casa? Non è giusto? No, probabilmente no. Ma è necessario.

È come se di fronte abbiamo una specie di dilemma. Salvare le banche è necessario, ma ingiusto…
Esattamente. E la conclusione a cui sono giunto è che le banche, invece che chiedere soldi alle banche centrali solamente quando vanno in crisi, dovrebbero sempre avere degli asset in pegno alle banche centrali in modo di essere sempre in grado di ripagare il capitale versato, comunque vada, in qualunque momento. È una specie di tassa sull’alchimia. Se lo facciamo, possiamo prevenire ogni rischio di bancarotta bancaria e di corse agli sportelli come nel 2008. E pure i salvataggi delle banche, che politicamente sono una disgrazia. Questo schema preverrebbe pure che le banche si mettano a prestare senza logica come avveniva prima del 2008.

Livello di utopia, da uno a dieci…
Molto basso. Le banche sono molto più vicine al mio schema di quanto immagina.

Si spieghi meglio…
Pensi al quantitative easing: la banca centrale compra bond dalle banche, in cambio di nuova moneta. Buona parte di quel denaro finisce depositato nel loro conto presso la banca centrale. Grazie a operazioni come questa, ora il sistema bancario ha un sacco di soldi nel conto presso la banca centrale. È liquidità aggiuntiva per tempi di crisi. Ed è una bella notizia, non cattiva.

«Il futuro dell’Unione Europea? Io credo che ci siano due enormi sfide davanti: come riformare l’Euro e come risolvere la gigantesca crisi migratoria di questi ultimi mesi, che chiaramente non era prevista quando è stato deciso di garantire il libero movimento delle persone all’interno dell’Unione»

Forse ha ragione, ma per l’Europa non sarebbe meglio che quel denaro fosse rimesso in circolo nell’economia reale…
Credo che i problemi dell’Europa siano da cercare altrove.

Dove, precisamente?
Se si pensa al futuro dell’Unione Europea, io credo che ci siano due enormi sfide davanti: come riformare l’Euro e come risolvere la gigantesca crisi migratoria di questi ultimi mesi, che chiaramente non era prevista quando è stato deciso di garantire il libero movimento delle persone all’interno dell’Unione…

Sulla riforma dell’Euro ha qualche idea?
Di sicuro c’è che l’Euro non sta funzionando. Anche Macron dice che servono cambiamenti enormi, la Germania pure. Ma non c’è accordo su come si debba riformare, però.Questo era il problema principale. Non è un problema solo dell’Italia, quindi.

Un ministro delle finanze europeo potrebbe servire?
A parole lo vogliono tutti. Ma non ho ancora incontrato un solo ministro delle finanze europeo che mi abbia detto che questa opzione sia politicamente percorribile. Perché non parte da un processo democratico. Un ministro delle finanze europeo decide il budget di ogni singolo stato. A questo punto, peraltro, un ministro delle finanze europeo, e quindi una politica fiscale europea, significa solo che la Germania paga per tutti. Dubito che i tedeschi saranno felici di questo. Soprattutto, da quando non ci sarà più il Regno Unito e il suo sostanzioso contributo al budget europeo

Infezioni e celiachia, un nesso?

Scritto da: Andrea Piccoli
Fonte: http://www.italiasalute.it/copertina.asp?Articolo_ID=8305

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Keywords | celiachia, infezioni, virus,

La celiachia potrebbe essere indotta da un virus. Lo suggeriscono le conclusioni di uno studio apparso su Science e firmato da ricercatori del Sainte-Justine Research Center di Montreal e dell’Università di Pittsburgh.
Gli scienziati hanno analizzato su modello murino gli effetti di due ceppi di retrovirus che infettano abitualmente l’uomo.
In entrambi i casi, i dati evidenziano risposte immunitarie protettive, ma uno dei due in particolare alimenta una reazione più intensa se l’infezione è associata alla presenza di glutine o di ovalbumina.
Non è la prima volta che le infezioni vengono tirate in ballo per tentare di spiegare i meccanismi di insorgenza della celiachia. Secondo uno studio dell’Istituto norvegese di Salute Pubblica di Oslo, infatti, infezioni respiratorie e/o gastrointestinali ricorrenti potrebbero accrescere in maniera significativa il rischio di sviluppare l’intolleranza al glutine.
Lo studio, pubblicato su The American Journal of Gastroenterology, ha analizzato oltre 73mila bambini nati fra il 2000 e il 2009, tenuti sotto osservazione per diversi anni per verificare l’eventuale correlazione tra l’insorgenza di infezioni alle vie respiratorie e gastrointestinali e la futura possibile manifestazione di intolleranza al glutine.
«Il nostro studio ci ha consentito di rilevare in piccoli che avevano avuto più di 10 episodi di infezioni respiratorie o gastrointestinali nei primi 18 mesi di vita, un rischio di diventare intolleranti al glutine superiore del 30% rispetto ai coetanei che, nello stesso periodo di tempo, si erano ammalati meno o all’incirca 5 volte», hanno spiegato i ricercatori.
I bambini maggiormente predisposti erano quelli con problemi respiratori rispetto ai bimbi colpiti da virus gastrointestinali. Tuttavia, l’associazione va presa con le dovute cautele.
«La celiachia – concludono gli esperti – è determinata da una serie di fattori, primo fra tutti la predisposizione genetica, cui si aggiunge una componente ambientale e comportamentale». La componente infettiva potrebbe aggiungersi a queste, ma serviranno ulteriori indagini per ottenere una conferma.

Eccezionali pitture murali in una tomba dell’Impero Kitai

Fonte: Live Science
Fonte e traduzione: https://ilfattostorico.com/2017/03/15/eccezionali-pitture-murali-in-una-tomba-dellimpero-kitai/

Nel nord della Cina, nella città di Datong, gli archeologi hanno scoperto un’antica tomba circolare decorata con alcune pitture murali dai colori vivaci.

La squadra, dell’Istituto di Archeologia Comunale di Datong, ha trovato al centro della tomba un’urna con all’interno dei resti umani cremati. Non c’era alcun testo nella tomba ma, secondo gli archeologi, probabilmente appartenevano a un marito e moglie.

Le pitture sulle pareti mostrano servi, gru e numerosi indumenti appesi su vari stendi abiti. I loro colori sono ancora eccezionalmente vivaci, nonostante sia passato un millennio.

(Chinese Cultural Relics)

Il muro a ovest (Chinese Cultural Relics)

Abiti colorati

I dipinti abbondano di abiti colorati. Sul muro ovest uno stendi abiti in particolare tiene “vestiti di color celeste, beige, grigio-bluastro, marrone-giallastro e rosa”, hanno scritto gli archeologi sulla rivista scientifica Chinese Cultural Relics. “L’indumento all’estrema destra ha una griglia verde-diamante, e dentro ogni diamante vi è un piccolo fiore decorativo rosso”. Un altro capo di abbigliamento sembra avere invece una cintura con una fibbia di giada a forma di anello. Vi è poi “un lungo tavolo rettangolare con quattro piatti rotondi, neri all’esterno e rossi all’interno, con sopra un copricapo, bracciali, forcine e pettini”.

(Chinese Cultural Relics)

(Chinese Cultural Relics)

Sulla parete a est è dipinto un altro stendi abiti: “Vi sono appesi vestiti beige, verde chiaro, grigio-bluastro, rosa e marrone. Su uno dei capi pende un ciondolo a forma di anello accompagnato da un filo di perle nere”.

Sul muro a nord erano infine raffigurate delle splendidi gru.

(Chinese Cultural Relics)

(Chinese Cultural Relics)

La dinastia Liao

La squadra pensa che la tomba risalga alla dinastia Liao (907 – 1.125 d.C.). Questa dinastia fu fondata da una tribù del popolo Kitai, e fiorì nel nord della Cina, in Mongolia e in parti della Russia. In quell’epoca nel nord della Cina le persone venivano talvolta sepolte in tombe decorate. Nel 2014, l’Istituto di Archeologia Comunale di Datong aveva scoperto un’altra tomba con pitture murali di stelle e numerosi animali come gru, cervi, tartarughe e anche un gatto che gioca con una palla di seta. Gli archeologi ritengono che le due tombe aiuteranno a far luce sulla vita durante la dinastia Liao.

La tomba era stata scoperta nel 2007. Un primo resoconto era stato pubblicato nel 2015 in cinese sulla rivista Wenwu, poi tradotto in inglese su Chinese Cultural Relics.

(Chinese Cultural Relics)

La tomba scoperta nel 2014 (Chinese Cultural Relics)