Bialowieza: fermate le motoseghe

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/it/deforestazione/4296-bialowieza-fermate-le-motoseghe.html

E’ una delle ultime foreste millenarie d’Europa, o almeno, una delle ultime rimaste intatte. La foresta di Bialowieza si estende s 300.000 ettari al confine tra la Polonia e la Bielorussia è una delle aree naturali  più importanti dell’Europa. Dal 1979 è anche patrimonio naturale mondiale dell’UNESCO. Un tempo era la riserva di caccia degli zar russi, ma  oggi è abitata sede da 900 bisonti, oltre che da lupi, linci e cervi. Con più di 250 specie di uccelli, 59 mammiferi e oltre 12.000 invertebrati, Bialowieza è uno dei centri europei della biodiversità, e attira turisti provenienti da tutto il mondo.
Malgrado questo immenso patrimonio, il ministero polacco dell’ambiente ha segretamente permesso di abbattere una quantità crescente di legname nella Bialowieza. Il pretesto ufficiale e combattere dei parassiti, ma nel frattempo, il denaro delle imprese del legname fluisce nelle casse del partito di governo.
Da metà maggio gli ambientalisti polacchi stanno organizzato proteste contro il taglio, alcuni di loro si sono incatenati ad alberi e macchine per il prelievo di legname. Ma il ministro dell’ambiente polacco Jan Szyszko non sente ragioni. Solo la pressione internazionale può spingere la Polonia a rinunciare. Il Bruno Manser Fond suggerisce di firmare una petizione per la protezione integrale della foresta primordiale di Bialowieza, la cui intera area dovrebbe essere dichiarata parco nazionale.

GIALLO PASOLINI / LE MINACCE PRIMA DELL’ESECUZIONE, ECCO I TESTI

Scritto da: Andrea Cinquegrani
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/2017/05/31/giallo-pasolini-le-minacce-prima-dellesecuzione-ecco-i-testi/
Pasolini croci

Appena pochi giorni prima della sua esecuzione Pier Paolo Pasolini aveva la netta sensazione che lo avrebbero ammazzato. E aveva paura. Per via del suo lavoro, per quello che stava scrivendo, Petrolio, il suo testamento. L’avvocato della famiglia, Stefano Maccioni, sta raccogliendo una serie di prove e testimonianze che rappresentano a tutto tondo quelle tragiche giornate. E già a ottobre scorso aveva chiesto la riapertura delle indagini, basandosi sulla prova del DNA che fornisce una concreta pista circa la presenza di un Ignoto 3 sulla scena del crimine. Ma a massacrare Pierpaolo potrebbe essere stato un branco di 4 o 5 persone.

Il pm Francesco Minisci, che aveva già in precedenza archiviato il caso, è ora titolare del nuovo fascicolo. Come mai non si è mosso in questi sette lunghi mesi? E adesso che oltre alla prova del DNA ci sono le nuove testimonianze farà finalmente qualcosa? Staremo a vedere. Intanto partiamo dalle news.

PIERPA’, LASCIA PERDERE ‘STO PETROLIO

Sono di appena qualche giorno fa, il 29 maggio, le parole di Aldo Bravi, titolare del ristorante Pommidoro, riportate in un articolo di Repubblica firmato da Giuseppe Cerasa. Lì Pier Paolo consumò la sua ultima cena prima d’essere ammazzato, e pagò con un assegno che Bravi tiene ancora incorniciato alla parete.

Racconta il ristoratore: “con tutto quello che accadde quella sera del 2 novembre 1975, con tutti quei dettagli che potevano essere decisivi per scoprire gli assassini, si sono permessi il lusso di interrogarmi 40 anni dopo quei fatti. Forse i racconti che mi faceva Pasolini non interessavano nessuno. Ma io mi ricordo che gli continuavo a dire: Pierpa’ lascia perdere questa storia del petrolio, quelli sono troppo potenti e tu non sei nessuno. E lui mi rispondeva: devo andare avanti, non mi fermo, è un problema di verità. Era un suo chiodo costante”.

A proposito di quella sera: “Sì, Pier Paolo era strano, si vedeva dai suoi occhi. Poi la morte. E quell’incubo per me durato un mese: giorno e notte una macchina con cinque a bordo stazionò sotto casa mia, non dicevano nulla, mi guardavano e io tremavo. Poi sparirono inghiottiti dal mistero della fine di Pasolini. E io per quasi 40 anni ad aspettare che qualcuno mi chiedesse qualcosa di quella sera maledetta”.

Spostiamo la scena a Stoccolma, un paio di giorni prima. Pasolini si trova nella capitale svedese sia per la prima del film ‘Salò′ che per la presentazione del suo libro ‘Le Ceneri di Gramsci‘. Nel corso di un dibattito pubblico in una sala gremita, rispondendo alla domanda di un giovane, dice che  teme di essere ucciso. Ecco cosa scrive un cronista friulano, Paolo Medeossi, il 31 ottobre 2015: “Erano state appena tradotte in svedese ‘Le Ceneri di Gramsci‘ e i suoi film erano famosi. In una sala gremita Pasolini – con naturalezza e quasi di passaggio, come notarono testimoni dell’incontro – rispondendo ad una domanda sulle reazioni suscitate dai suoi articoli contro l’aborto, la scuola dell’obbligo, la televisione, il potere, la borghesia, disse che si aspettava di essere ucciso, assassinato. Il pubblico, ascoltata la traduzione, ammutolì e non commentò. Poi aggiunse: ‘Il ruolo dell’intellettuale è di non avere ruoli, di essere la contraddizione vivente di ogni ruolo. Dovere dell’artista è di rivelare la falsa tolleranza concessa dal potere”.

Nell’ultimo intervento pubblicato in Italia su La Domenica del Corriere, Pasolini si scaglia con violenza contro la Dc, come faceva da tempo in modo martellante, sostendendo che tutti i suoi esponenti andavano processati. “Hanno rovinato la coscienza del nostro Paese”, scrive.

Dopo il viaggio a Stoccolma la stessa Domenica del Corriere intende organizzare un incontro, una tavola rotonda con Pasolini. Aveva preso contatti, prima della partenza per la Svezia, l’inviato della Domenica, Francesco Saverio Alonzo, che telefona a Pier Paolo il quale gli riferisce la sua preoccupazione, gli parla di alcune minacce ricevute.

 

LA CENA DI STOCCOLMA 

Ma eccoci alla cena al Gyllene Freden di Stoccolma, organizzata dall’editore svedese Renè Cockelbergh Forlag – che ha curato la pubblicazione delle Ceneri di Gramsci – dopo la presentazione del libro avvenuta all’Istituto Italiano di Cultura. Vi prendono parte anche l’inviato del quotidiano il Giorno (edito dalla Montedison, all’epoca guidata da Eugenio Cefis), Angelo Tajani, e la moglie di quest’ultimo, Doris.

Così scrive Tajani in un breve memoriale che l’avvocato Maccioni ha consegnato al pm Minisci.

“Pasolini era pensieroso e non partecipava alla discussione. Quasi assente. Anche Cockelbergh preferì fare scena muta per il resto della serata. La discussione continuava a languire e sia mia moglie che io eravano visibilmente preoccupati quando, all’improvviso, dalla bocca di Pasolini uscì quasi un sibilo: “…. ho tanta paura”. Mia moglie ebbe un sussulto e Cockelbergh chiese: “di che cosa hai paura, Pier Paolo?”. E Pasolini, come risvegliato da un lungo torpore, rispose: “io… paura? Ma non ho paura di nulla”. E Cockelbergh: “ma se lo hai detto, l’abbiamo sentito tutti!”. “No, io non ho detto nulla”.

Continua la ricostruzione di Tajani: “Il giorno successivo Cockelbergh mi telefonò. Era ancora turbato per quanto era accaduto la sera prima. E dopo aver appreso, due giorni dopo che Pasolini aveva lasciato Stoccolma che era stato trucidato, sia lui che io ricordammo e commentammo quella frase che ancora oggi è indelebile in me e in mia moglie. Nessuno dei giornali di cui ero corrispondente (tra cui il Giorno, ndr) dall’area Nordica pubblicò la notizia. L’unico quotidiano che la riportò fu il Dagens Nyheter di Stoccolma, in un articolo apparso, se non erro, il 6 novembre 1975 firmato dal critico letterario del quotidiano, Bengt Holmqvist, italianista per eccellenza. Bengt mi telefonò di buon ora, il cinque novembre mattina, per darmi la notizia che Pasolini era stato ucciso e durante la conversazione gli raccontai l’episodio accaduto al Gyllene Freden”.

Più precisamente, sul Dagens Nyheter Holmqvist scrisse un pezzo di taglio culturale sulle opere di Pasolini mentre il collega di nera Mats Lundegard diede notizia in prima pagina della tragica fine.

Lo stesso Holmqvist in un’altra occasione ha dichiarato, sulla figura del grande poeta, scrittore, regista e anche – nelle ultime fasi della sua vita – giornalista: “vederlo di persona era di per sé un avvenimento: aveva l’abilità di trasformare ogni sorta di problemi in qualcosa che ha un senso, la semplicità e la lucidità di chiarire il più complicato dei fenomeni. Che qualcosa lo preoccupasse era facile da capire, ma non sembrava che avesse a che fare con la vita privata. Quel che più lo assillava era quanto succedeva in Italia”.

L’articolo di Tajani per il Giorno, of course, non venne pubblicato. Sarebbe stato pretendere troppo dall’editore, Eugenio Cefis…

 

MATTEI-DE MAURO-PASOLINI & IL PETROLIO BOLLENTE

E resta – come ha dettagliato la Voce nell’inchiesta del 2 novembre 2016 che potete leggere cliccando sul link in basso – quel buco nero di Petrolio, le sessanta pagine mancanti, sparite nel nulla. Come si è volatilizzato il brogliaccio di Mauro De Mauro, il giornalista ucciso dalla mafia (ma i mandanti sono rimasti regolarmente a volto coperto), mentre stava lavorando per un copione da consegnare a Francesco Rosi sulla fine dell’ex presidente dell’Eni Enrico Mattei. De Mauro e Pasolini erano in contatto, e infatti sulla scrivania di De Mauro vennero trovate delle bozze di Petrolio.

Sia De Mauro che Pasolini stavano lavorando per arrivare ai mandanti del delitto Mattei, voluto dalle sette sorelle del petrolio e da chi, in Italia, si batteva perchè l’oro nero rimanesse in mani sicure: come l’allora padrone del vapore, Eugenio Cefis, il protagonista della razza padrona anni settanta.

Cosa aspetta la giustizia, dopo quasi mezzo secolo ormai, ad accertare per via giudiziaria una verità storica ormai stra-acclarata? Si darà una mossa Minisci? Muoverà un passo il procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone? O è letargo senza fine?

Obama: un disastro di Presidente da non rimpiangere

Scritto da:Giacomo Cangi
Fonte: http://www.wakeupnews.eu/obama-disastro-presidente-rimpiangere/

 

In un mondo in cui l’operato di chi fa politica si giudica solo in base alla retorica, al colore della pelle e ai gesti puramente simbolici non c’è da stupirsi se Barack Obama verrà ricordato dai media mainstream come un grande Presidente. Ma se si prendesse in considerazione anche il merito dei provvedimenti presi durante i sue due mandati allora il giudizio sarebbe decisamente diverso.

Obama, insieme a Sarkozy e Cameron, è intervenuto nel 2011 in Libia provocando la morte di Gheddafi e, soprattutto, facendo precipitare il paese nel caos (e gli italiani che hanno visto un incredibile aumento di flussi migratori proprio dalla Libia lo sanno bene). Nello stesso anno gli Stati Uniti di Obama (e di Hillary Clinton segretario di Stato) cominciarono a sostenere i cosiddetti ribelli anti-Assad in Siria. La natura di questi ribelli venne presto a galla: i combattenti moderati vennero di fatto inglobati in formazioni che di moderato avevano e hanno ben poco (ne sanno qualcosa i cristiani di Siria che fino al 2011 vivevano in pace e che poi hanno cominciato a essere perseguitati dai combattenti wahabiti che vogliono cacciare il Presidente Assad). Per quello che riguarda la presunta lotta all’Isis degli Stati Uniti è sufficiente ricordare che fino al 19 agosto 2014, quando gli uomini guidati da Abu Bakr al-Baghdadi uccisero il giornalista americano James Foley, Obama non sembrò interessato al califfato autoproclamatosi tale il 29 giugno dello stesso anno. E anche in seguito gli americani hanno solamente compiuto qualche bombardamento ma se lo Stato Islamico ha perso uomini e terreno lo si deve all’esercito arabo-siriano di Assad, agli Hezbollah, ai pasdaran iraniani, ai curdi e all’aviazione russa.

 

Gli Stati Uniti guidati da uno dei premi Nobel più guerrafondai di sempre hanno venduto 1,29 miliardi di dollari di bombe intelligenti all’Arabia Saudita, la quale ha utilizzato queste armi (anche) per continuare la sua operazione militare in Yemen nel silenzio generale e assordante della comunità internazionale. Inoltre, con Obama i rapporti fra Stati Uniti e Russia sono arrivati ai minimi storici dalla caduta del muro di Berlino ad oggi.

La situazione che Obama ereditò dal suo predecessore George W. Bush era indubbiamente gravissima. Fare peggio era praticamente impossibile ma Obama ce l’ha fatta e oggi il mondo è meno sicuro rispetto al 2009. Non si sentirà la sua mancanza.

Si apre la conferenza Onu sugli oceani, Legambiente presidio italiano a New York

Scritto da: Giorgio Zampetti
Fonte:http://www.greenreport.it/news/economia-ecologica/si-apre-la-conferenza-onu-sugli-oceani-legambiente-presidio-italiano-new-york/

Ieri ha preso il via ufficialmente la conferenza Onu sugli oceani, in programma dal 5 al 9 giugno nel Palazzo di vetro a New York. Un bel banco di prova, dal momento che è la prima volta che si organizza una conferenza di alto livello interamente dedicata ad uno degli Sdg (Sustainable development goals) del programma delle Nazioni unite, coinvolgendo tutti i Paesi dell’Onu, le agenzie delle nazioni unite che operano nei diversi settori e tutti i soggetti che oggi si occupano del mare e degli oceani, della loro tutela e dello sviluppo futuro. E tra queste non poteva mancare di certo Legambiente, da tanti anni impegna su questi temi.

Al centro dell’appuntamento l’Sdg14 (Conserve and sustainably use the oceans, seas and marine resources for sustainable development). Oggi infatti gli oceani e i mari sono quelli che maggiormente subiscono gli effetti negativi dell’inquinamento e delle attività dell’uomo, con ripercussioni non solo ambientali ma anche in termini occupazionali e di sviluppo, e soprattutto dei cambiamenti climatici che stanno mettendo a serio rischio la stessa esistenza di diversi Paesi e popolazioni che dipendono strettamente dall’oceano e dal suo stato di salute. Non a caso la Conferenza è stata aperta da una bellissima cerimonia delle Isole Fiji, co-presidenti con la Svezia dell’appuntamento di questi giorni: si tratta di uno dei Paesi messi a maggior rischio dagli effetti del cambiamento climatico e dell’inquinamento degli oceani. Più volte, negli anni scorsi, il Governo delle Isole Fiji è infatti intervenuto richiamando con forza un’azione decisiva, efficace e immediata per affrontare concretamente questi problemi, i cui effetti sono già oggi evidenti e la conferenza è anche una risposta a questi appelli.

Fin dalle prime battute della plenaria di apertura sono stati richiamati i temi chiave: intervenire con forza sui cambiamenti climatici, facendo seguito agli impegni di Parigi, senza tentennamenti o passi indietro (ogni riferimento è puramente casuale), liberare gli oceani e i mari dalla plastica – oggi praticamente ubiquitaria anche nelle aree più incontaminate del mare e degli oceani, con effetti devastanti su fauna, ecosistemi e produttività del mare – e soprattutto passare dalle parole all’azione, altrimenti si rischia che i processi diventino irreversibili e ogni sforzo comune risulti vano.

La voglia di mettersi in gioco e di non delegare una partita così importante ai soli governi è testimoniata dalle centinaia di realtà che rappresentano la società civile, associazioni, gruppi di azione internazionali e locali, enti di ricerca e università. Tra questi anche Legambiente partecipa attivamente ai lavori, con particolare attenzione ai temi del mar Mediterraneo e del marine litter, i rifiuti dispersi nel mare e lungo le coste.

Siamo convinti infatti che il tema dei rifiuti presenti nell’ambiente marino-costiero assumerà, se già non lo ha fatto, la stessa rilevanza e complessità che hanno i cambiamenti climatici: un problema globale, causato da diversi fattori concomitanti, i cui effetti sono destinati a crescere nei prossimi anni, e per la cui soluzione servono politiche a scala sovranazionale, globale. Solo a titolo esemplificativo, il World economic forum stima che il rapporto in peso tra plastica e pesci nei mari e negli oceani oggi è di 1:1 ed è destinato a diventare di 5:1 al 2050 senza interventi risolutivi e efficaci.

In particolare il mar Mediterraneo è uno dei principali hotspot di biodiversità al mondo ed è gravemente minacciato dal marine litter, che registra concentrazioni tra le più elevate a livello globale. La stesa Unep considera il Mediterraneo tra le sei zone di accumulo con la maggiore concentrazione di rifiuti a scala globale. Le devastanti conseguenze del marine litter impattano non solo sulla biodiversità ma anche sulla catena alimentare e sull’economia, dal settore del turismo alle attività produttive, in primis della pesca. Intervenire sul problema del marine litter del Mediterraneo significa quindi tutelare la biodiversità ma anche salute ed economia di grande e piccola scala.

Legambiente lo ha ribadito, presentando il suo impegno volontario, che l’Onu ha accolto formalmente nei lavori della conferenza stessa, ieri mattina nel corso di una conferenza stampa tenutasi nella media zone del Palazzo di Vetro: un bando ai sacchetti di plastica non compostabili in tutti i Paesi del Mediterraneo da qui al 2020. Ad oggi, su scala mediterranea, il bando delle buste non biodegradabili e compostabili è attivo infatti solo in Italia, Francia e Marocco. Ma soprattutto i numeri ci raccontano l’emergenza legata a questo tipo di rifiuto: oltre 100 miliardi di sacchetti di plastica sono immessi sul mercato europeo ogni anno e lungo le coste del mar Mediterraneo si trovano ancora oggi 25 milioni di sacchetti ogni 1000 km di costa, con danni ingenti all’ecosistema marino e la morte di numerosi animali marini, spesso soffocati dalle buste o dai loro frammenti.