Il mio meccanico? E’ una spia

Fonte: http://www.iljournal.it/2011/il-mio-meccanico-e-una-spia/258054

Giorgio Conforto è stata una spia italiana al servizio del KGB russo. Lo ha rilevato nel 1999 il rapporto Mitrokhin, dal nome dell’agente segreto russo che consegnò ai nostri servizi segreti sei casse di rapporti sulle attività dei servizi sovietici nel nostro paese. Tra i nomi delle spie c’era anche quello di Conforto il quale ufficialmente faceva il dirigente del Ministero dell’Agricoltura. Il 9 luglio del 2006 su La Stampa è uscita l’intervista che vi proponiamo nella quale Conforto racconta i segreti delle spie. L’occasione fu l’uscita di un libro dello stesso Conforto, che si chiama “Professione spia”. Un libro introvabile in libreria al contrario di quanto avviene nella Rete.
Leggendo le vicende dei tre italiani, Luca Boero (professione body guarda di una discoteca), Vittorio Carella (professione metronotte) e Antonio Cataldo (professione idraulico), liberati dalle prigioni di Tripoli lo scorso 21 agosto e sulla cui attività ancora c’è un mistero fittissimo, viene da chiedersi se fossero spie e se rispetto a quanto disse Conforto nel 2006, oggi sono cambiate molte cose intorno a questa “professione”.

Chi recluta le spie e come?
Non c’è una regola precisa. In genere, al Sisde (servizio segreto civile) vanno i migliori poliziotti. Al Sismi (servizio segreto militare) ufficiali delle Forze armate e sottufficiali dei Carabinieri. Ma questa è una prassi superata. Da quando c’è un generale della Guardia di finanza alla direzione del Sismi e un generale dei Carabinieri alla guida del Sisde, i nostri servizi segreti hanno praticamente espulso dai quadri dirigenti gli ufficiali dell’Esercito e della Marina e si sono innervati con ottimi investigatori di polizia. Oltre al travaso dai corpi armati dello Stato, c’è poi la terza via: quella familiare. Tra Sisde, Sismi e Cesis (il terzo servizio segreto, nato per coordinare gli altri due, nel tempo lievitato in numeri e funzioni) è pieno di figli subentrati ai padri. Comunque è bene precisare: non si entra nei servizi segreti per concorso, ma per chiamata. E’ chiaro che una buona raccomandazione aiuta.

Quante sono e quanto guadagnano?
In teoria la materia è coperta da segreto. Da quanto si sa, gli 007 italiani dovrebbero essere circa diecimila: cinquemila al Sismi, duemila al Sisde, un po’ meno di mille al Cesis, tremila al Ris (il Reparto Informazione e Sicurezza, incardinato nello Stato maggiore della Difesa, raccoglie i vecchi Sios, servizi segreti di forza armata). Ognuno di questi agenti segreti ha una sua rete di informatori, più o meno organizzata, più o meno consapevoli di fornire notizie ai servizi segreti della Repubblica. Anche la retribuzione varia: allo stipendio base di due-tremila euro (che non si perde: nei servizi si entra e si esce con molta facilità) va aggiunta la cosiddetta «indennità di cravatta», nata in origine come rimborso per l’acquisto di vestiti al posto delle divise, che può far quadruplicare la busta paga. Ci sono i «bonus» a discrezione del direttore. E per gli informatori, i fondi riservati non hanno limite. In Iraq le spese per l’intelligence sono state spaventose: in tre anni, circa 30 milioni di euro.

Chi li addestra?
C’è ovviamente una scuola per spie. Sia il Sismi che il Sisde hanno i loro corsi di preparazione. Il direttore della Scuola di Addestramento del Sisde spesso scrive anche sulla rivista del servizio, «Gnosis», ma non è dato conoscere il suo nome. Anche il discorso che il ministro dell’Interno tiene alle aspiranti spie viene reso pubblico. Ma sempre a cose fatte.

Sono come 007? Hanno licenza d’uccidere?
Nessuna licenza: è il paradosso dello spionaggio italiano. La legge stabilisce che le spie devono fare il loro lavoro, ma si devono guardare le spalle dalla magistratura perché non gli è concesso infrangere il codice penale. Molto si è parlato di una nuova legge che stabilisse le cosiddette «garanzie funzionali», cioè la possibilità di commettere piccoli reati, quali l’intercettazione telefonica o l’effrazione di un domicilio, avendo una speciale autorizzazione dall’alto. Ma siccome in Parlamento non si sono mai messi d’accordo su chi avrebbe dovuto autorizzare e poi vigilare, vige ancora il paradosso delle spie che non possono spiare.E non hanno caratteristiche fisiche alla James Bond, in genere sono persone dall’aspetto normale ma molto sveglie.

Da chi dipendono?
Quella dei servizi segreti è una piccola piramide. In cima c’è il presidente del Consiglio che in genere delega a un sottosegretario i rapporti con l’intelligence. Sotto di lui c’è il segretario generale del Cesis, a cui spetta il coordinamento tra i servizi segreti. Il direttore del Sisde risponde anche al ministro dell’Interno; quello del Sismi al titolare della Difesa.

Chi ne determina le strategie?
Il presidente del Consiglio emette delle direttive. I due ministri (Interno e Difesa) danno le loro indicazioni. Il resto del governo, di fatto, non ha alcun ruolo.

Chi stabilisce cosa sia la sicurezza nazionale? Noi, gli americani, l’Europa, Dio?
La risposta politicamente corretta è semplicissima: il governo legittimo. È Palazzo Chigi che stabilisce che cosa sia la sicurezza nazionale, e infatti il presidente del Consiglio ha il potere di coprire alcuni atti con il Segreto di Stato. La realtà è più complicata: è evidente che gli americani hanno sempre influenzato molto, per usare un eufemismo, le scelte dei nostri servizi. Già nella scelta degli uomini. Nei fatti i direttori dei servizi segreti sono stati i sacerdoti supremi di certo atlantismo. C’è stato un caso famoso, nei primi Anni Settanta, quando il generale Vito Miceli, direttore del Sisde, non voleva dare ad Andreotti il Nulla Osta di Sicurezza, cercando di bloccargli la nomina a ministro. Andreotti si offese moltissimo.

Quando cambiano i governi, le consegne devono essere passate in toto ai nuovi o ci sono delle zone d’ombra?
Naturale che le zone d’ombra ci siano. Non per nulla la storia d’Italia è intessuta di trame: potenti dc che fanno le scarpe ai loro concorrenti interni, democristiani contro socialisti, ora l’alternanza tra destra e sinistra. E volete che un governo uscente vada a raccontare i suoi segreti più reconditi a chi lo scaccia? Li scoprano da soli, se sono bravi.

È possibile che ci siano dei doppiogiochisti. E in genere per chi lavorano, per i palestinesi, per il Mossad, per gli americani, per i russi, per chi?
Doppiogiochisti ci sono nei migliori servizi segreti, figurarsi in quelli italiani. Dentro il Sismi da un decennio c’è in corso una caccia al doppiogiochista di cui si conosce solo il nomignolo, il Verme, che lavorava per i sovietici e oggi probabilmente è passato ai russi. Di Pazienza s’è detto che fosse troppo intimo con i servizi segreti francesi. Nel vespaio mediorientale, poi, si può essere amici e nemici allo stesso tempo.

Se li prendono, i doppiogiochisti, che ne fanno?
Non finiscono mai in galera. Li utilizzano. Ossia diventano canali privilegiati per scoprire quanto sanno gli avversari. E per disinformarli. Vengono trasmesse informazioni false per vedere l’effetto che fa. Si cerca di stimolare il dialogo. Poi, quando il gioco si è esaurito, viene caldeggiata una lunga vacanza all’estero.

Che cosa succede quando c’è un episodio clamoroso (un attentato, una strage, un aereo che cade)? Si forma un’unità di crisi? Da chi è diretta, chi è informato di quello che fa?
I servizi segreti vengono subito allertati. Anzi, a rigore dovrebbero essere loro ad allertare il governo e tutti gli altri. Sia a Forte Braschi (dove ha sede il Sismi), sia a via Lanza (sede centrale del Sisde), esistono sale operative supertecnologiche, dotate di computer, reti criptate di comunicazione, mappe satellitari e quant’altro che aiuta i dirigenti a prendere le decisioni più difficili. Ma la moltiplicazione delle sale operative non significa molto. Le decisioni che contano poi vengono regolarmente prese in un salottino di Palazzo Chigi, alla presenza di chi davvero conta. Ai tempi della crisi di Sigonella, l’allora direttore del Sismi, il compianto Fulvio Martini, s’installò a Palazzo Chigi per giorni e non ne uscì finché non fu tutto finito.

Stanziati fondi ai migliori progetti contro l’abuso dei minori

Scritto da: Silva Bos
Fonte:http://www.buonenotizie.it/

Da oggi la piaga dell’abuso e dello sfruttamento sessuale sui minori sarà combattuta da un ulteriore ed efficace arma  di contrasto. Lo ha deciso il Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri che premierà, attraverso contributi economici per un totale di 2.800.000 euro, i migliori progetti pilota in materia di  lotta alla prostituzione e pornografia minorile, violenza sessuale, atti sessuali con minori.

Da tempo, quando si parla di violenza sui bambini l’opinione pubblica ha imparato ad indignarsi. Ma non solo.  E’ sempre più palese ormai che garantire ed investire nella serenità e nella“pulita” armonia psicofisica dei bambini è la migliore assicurazione che ognuno di noi può firmare a beneficio del futuro della stessa nostra società.

I progetti dovranno approfondire: un’indagine sociale per raccogliere informazioni sull’ambiente in cui vive il minore e su eventuali elementi di rischio; la presa in carico del minore e dei genitori, con il coinvolgimento di pediatri, medici di pronto soccorso, consultori; in caso di allontanamento del minore dal nucleo familiare, dovrà essere fatta la scelta più idonea per il caso specifico, tra famiglia affidataria, strutture di accoglienze, e altre; scelta delle modalità con cui gestire gli incontri del minore con i familiari, se concessi dall’Autorità giudiziaria.

I giornalisti italiani «arruolati» dai servizi segreti inglesi

Scritto da:  Daniele Abbiati
Fonte: http://www.ilgiornale.it

Anche la mitica «piazza», quella dove si urlava a squarciagola contro lo Zio Sam e la sua bulimia di potere che solcava a mille nodi orari le acque dell’oceano (ah, il Patto Atlantico, che marea di proteste stava suscitando…) non l’aveva capito. Ma quali Stati Uniti, i veri sorveglianti (severi, arroganti, e anche un tantinello golpisti) dell’Italia libera e democratica erano gli inglesi.
È questa la tesi, suffragata da molti documenti desecretati dagli archivi londinesi di Kew Gardens, contenuta in Il golpe inglese, il saggio in uscita scritto da Mario José Cereghino e Giovanni Fasanella edito da Chiarelettere. «Da Matteotti a Moro: le prove della guerra segreta per il controllo del petrolio e dell’Italia», strilla il sottotitolo. Ovvero, mezzo secolo di… protettorato rigorosamente made in England sui nostri delicatissimi e costosissimi «affari interni». Troppo filoaraba e addirittura terzomondista era ritenuta la politica dei vari Mattei, Gronchi, Moro e Fanfani. E troppo preziose le vene di oro nero per lasciarle in mani ben poco fidate. E poi c’era quell’altro pericolo, il pericolo rosso, con i comunisti ammansiti dalle inopportune carezze democristiane… Dunque, urgeva un capillare piano di controllo che andasse ben oltre i confini ufficiali della diplomazia e delle buone maniere. Così un apposito dipartimento del Foreign Office si mise al lavoro, arruolando il fior fiore degli intellettuali e dei giornalisti che potessero «correggere» la rotta dell’opinione pubblica. Arrigo Levi e Domenico Bartoli, Mario Missiroli e Paolo Murialdi, Luigi Albertini e Jader Jacobelli, Gaetano Afeltra, Luigi Barzini e Norberto Bobbio. Sono questi i personaggi di maggior spicco finiti nei faldoni dell’Ird (Information Research Department) in qualità di informatori e «termometri» di un’Italia malata. Una malata contagiosa, fra l’altro.
Accanto a loro, due altri pezzi grossi da tempo molto vicini ai servizi segreti britannici: l’ex partigiano monarchico Edgardo Sogno e l’ex comandante repubblichino della Decima Mas Junio Valerio Borghese. E quando, nel ’76, il Pci entra nel salotto buono del governo, accolto da un maggiordomo chiamato «compromesso storico», si arriva a progettare un golpe in piena regola. «È interesse della Gran Bretagna fermare l’avanzata comunista in Italia con ogni mezzo a nostra disposizione», scrive da Roma Martin Morland, dell’Ird, il 28 aprile 1976. Ma poi si preferisce manovrare nell’ombra, con una diffusa «azione sovversiva». Ed ecco il terrorismo, gli anni di piombo, il Paese allo stremo. Già allora sarebbero apparse profetiche, a chi le avesse conosciute, le parole con cui Winston Churchill si rivolse al delegato di papa Pio XII nel novembre del 1945: «L’unica cosa che mancherà all’Italia è una totale libertà politica».

DICHIARAZIONE DEL FORUM PER LA SOVRANITA’ ALIMENTARE

Fonte: Paraguay:declaracion foro de soberania alimentaria
Traduzione:http://www.vocidallastrada.com/

Circa 200 delegati delle organizzazioni membri del Coordinamento Latinoamericano delle Organizzazioni Rurali (CLOC) e La Via Campesina, del Paraguay, ci siamo incontrati ad Asunción, dal 31 agosto al 2 settembre, in occasione del Forum per la Sovranità Alimentare, organizzato in collaborazione con la Base Investigaciones Sociales.

Analizziamo la portata del termine Sovranità Alimentare dal quotidiano fino alle più alte sfere delle decisioni internazionali che riguardano la nostra alimentazione, il nostro modo di essere e di stare al mondo. Sappiamo che la Sovranità Alimentare come una proposta di contadini e indigeni è un concetto in costante arricchimento per le riflessioni del popolo in lotta per una vita dignitosa e s’incarna nelle nostre pratiche quotidiane, nelle politiche agricole autonome, in un rapporto armonioso degli esseri umani con la natura.
Crediamo che i nostri beni naturali, l’acqua, la terra e il territorio, le foreste, i semi, base del nostro sostentamento, siano in grave rischio di fronte alle minacce determinate dal modello di produzione capitalista. Questo modello che, erroneamente, con il pretesto della produttività, e il desiderio di aumentare il profitto di poche corporazioni transnazionali che concentrano la ricchezza generata dallo sfruttamento dei lavoratori della campagna e della città, sta distruggendo il futuro delle generazioni future. Non solo si appropriano [le aziende] di beni naturali, convertendoli in mercanzia, ma ci spiazzano con trucchi ed inganni, si appropriano inoltre delle conoscenze ancestrali dei nostri padri e madri, che per migliaia di anni sono state trasmesse di generazione in generazione, ci spogliano dei nostri costumi imponendoci modelli culturali che ci uniformano e che facilitano il dominio.
Quindi:
Ripudiamo la proprietà straniera delle nostre terre, la sparizione delle nostre foreste, la privatizzazione della nostra falda acquifera Guaranì, la biopirateria e la brevettabilità delle nostre sementi autoctone e creole, l’installazione di mega-progetti minerari, energetici e dell’IIRSA (Iniziativa per l’Integrazione dell’Infrastruttura Regionale Sudamericana) nei nostri territori e altrove, la militarizzazione della nostra società e del nostro territorio e l’espansione delle monocolture, l’uso intensivo di pesticidi. Allo stesso modo, ripudiamo il processo accelerato di criminalizzazione delle nostre lotte, la promulgazione di leggi che violano i nostri diritti, lo spreco di risorse pubbliche per il finanziamento dell’agribusiness. Faremo ciò che sarà necessario per frenare queste minacce alla Sovranità Alimentare.
Denunciamo lo Stato, complice di questo modello, che, lungi dal garantire il diritto fondamentale delle persone al cibo, sostiene e difende l’agroalimentare, le esportazioni agricole e le mega miniere, lasciando nelle mani del “mercato” le norme della regolazione, garantendo alle aziende il “sostegno” di cui hanno bisogno per le loro operazioni a costo dell’espulsione ed espropriazione di contadini ed indigeni delle comunità, attuando politiche pubbliche prescritte e confezionate dai grandi centri del potere economico, ritardando le storiche rivendicazioni del popolo.
Proponiamo:
Capacitarci, studiando queste minacce e i rischi che comporta il modello capitalista per la Sovranità Alimentare, perché solo conoscendo il danno, le strategie del capitale e le conseguenze potremo affrontarlo.
Diffondere ampiamente i rischi che corrono le risorse naturali che garantiscono la sovranità alimentare del nostro paese, utilizzando i mezzi necessari per farlo. Senza i beni naturali nelle mani di chi sa prendersene cura, l’impegno di coloro che hanno preso in prestito la terra, l’acqua, le foreste, i semi, si diluisce nella misura in cui non possiamo garantire la vita, tanto oggi quanto per le generazioni future.
Allertare la cittadinanza sui pericoli e le minacce alla nostra alimentazione, informando sulle forme di produzione, il modello estrattivo e di saccheggio; le fonti di finanziamento legate alle compagnie petrolifere; le trappole ​​della trasformazione e della commercializzazione, il consumismo e il supermercatismo.
Articolarci in tutti i settori della società per difendere la sovranità alimentare. Unire gli estremi della catena di produzione alimentare che inizia, nel campo con la semina e termina con il consumo, in città. Abbiamo bisogno di rompere la mediazione incoraggiando la creazione di mercati locali e potenziare quelli già esistenti.
Denunciare pubblicamente le situazioni di violazione dei nostri territori, le privazioni, l’appropriazione e la distruzione del nostro patrimonio naturale. Scovare le minacce e promuovere azioni per frenarle con la resistenza attivo e propositiva.
Sviluppare la produzione agro-ecologica in tutti i nostri insediamenti e nelle comunità. Generare consapevolezza sul consumo di prodotti agro-ecologici. Chiediamo allo Stato politiche che assicurano la produzione alimentare locale con un bilancio sufficiente.
Promuovere il valore delle conoscenze ancestrali dei popoli indigeni e cercare il loro inserimento nei nostri processi di apprendimento, di pratiche produttive e relazionali.
Potenziare l’Istituto Agro ecologica Latino-americano (IALA) Guaranì, come un progetto strategico della CLOC/Via Campesina, che punta alla formazione tecnico-politica di giovani uomini e donne, in un processo di sviluppo partecipativo in tutte le sue dimensioni. Consolidare il gruppo permanente di educatori del IALA Guaranì. Rafforzare l’impegno che le organizzazioni integranti hanno con lo stesso.
Costruire nuove forme di comunicazione popolari, in particolare radio comunitarie, per contrastare la propaganda e la disinformazione dei mezzi commerciali, alleati ai settori imprenditoriali dell’agribusiness.
Convocare le organizzazioni, movimenti, professionisti, donne, uomini, campo giovani delle zone rurali e della città per unirsi ad una grande:
Campagna per la Sovranità Alimentare
Per contrastare le minacce alla nostra Sovranità Alimentare, la CLOC/Via Campesina Paraguay con il sostegno e l’impegnato di Base Investigaciones Sociales, con il motto “Cibo sano, popolo sovrano“, esorta la Campagna per la Sovranità Alimentare, che si propone di difendere e salvare la Sovranità Alimentare, intesa come diritto del nostro paese e del nostro popolo a definire le proprie politiche agricole e alimentari; il diritto degli agricoltori, contadini e indigeni a produrre alimenti e il diritto dei consumatori di decidere quello che vogliono consumare, come e chi lo produce.
Gli obiettivi della Campagna sono:
Costruire alleanze tra la campagna e la città e ottenere il riconoscimento della problematica come qualcosa che interessa tutti i paraguaiani.
Sensibilizzare la cittadinanza sui rischi e le minacce alla sovranità alimentare del paese.
Incidere nello sviluppo di politiche pubbliche e delle normative volte alla sovranità alimentare.
Promuovere la produzione agro-ecologica, il consumo di cibi sani e l’instaurazione di mercati locali.
Le azioni della Campagna sono:
Mobilitazione come mezzo di pressione affinché le autorità legiferino a favore delle popolazioni che soffrono gli effetti delle monocolture e dei pesticidi.
Osservatorio dei rischi e delle minacce alla sovranità alimentare, che raccolga le denunce da parte della popolazione rurale e urbana contro il modello dell’agro-esportazione.
Diffusione: teatro di strada, dibattiti, spot radiofonici, manifesti, volantini, cine-dibattiti, programmi radio, televisivi, ecc.
Formazione: schede di studio, incontri, dibattiti.
Interazione virtuale: web, social network.
Dialoghi con lo Stato, movimenti sociali, università e ONG.
“Cibo sano, popolo sovrano “
-Coordinamento Nazionale delle Organizzazioni di Donne Lavoratrici rurali e indigene – CONAMURI
Movimento Agrario e Popolare – MAPPA
-Comitato di Coordinamento Nazionale delle Organizzazioni Contadine – MCNOC
-Movimento Contadino Paraguaiano – MCP
-Organizzazione di Lotta per la Terra – OLT
-Organizzazione Nazionale Aborigeni Indipendenti – ONAI
-Base Ricerca Sociale – BASE IS

Scoperto un palazzo maya

Fonte:http://www.inah.gob.mx
Traduzione: http://ilfattostorico.com/

Un team di specialisti messicani ha scoperto i resti di un palazzo maya nella zona archeologica di Plan de Ayutla, vicino a Ocosingo. Rappresentano la prima testimonianza dell’occupazione dell’area, avvenuta tra il 50 a.C. e il 50 d.C.

Il palazzo è composto da stanze con pareti spesse quasi un metro, i cui angoli sono arrotondati, una caratteristica della prima architettura maya. Solo due abitazioni sono state finora esplorate.

Il direttore del progetto Luis Alberto Martos López ha aggiunto che secoli dopo gli abitanti del luogo smantellarono parte del palazzo e vi edificarono sopra, lasciando sotto i resti che si sono conservati.

Gli edifici più tardi sono stati costruiti tra il 250 e l’850 d.C., durante il periodo classico, quando la città ebbe un ruolo politico importante. Quale fosse poi esattamente la città non è ancora chiaro: è possibile che si tratti di Sak T’zi’, che nel 787 d.C. venne sconfitta in battaglia da Bonampak, oppure di ‘Ak’e, centro politico dal quale arrivò il fondatore di Bonampak.

 

GIRASOLI IN GIAPPONE PER COMBATTERE LA RADIOATTIVITA”

Fonte:http://ca.news.yahoo.com/blogs/good-news/sunflowers-battle-radiation-fukushima-japan-162924686.html
Traduzione: http://www.informarmy.com/2011/09/girasoli-in-giappone-per-combattere-la.html

A 50 km dall’impianto nucleare del disastro di Fukushima, c’è il tempio buddista Joenji, dove il capo monaco, Koyu Abe ed una squadra di 100 volontari hanno iniziato a coltivare e distribuire girasoli, nella speranza sia di elevare gli spiriti che alleggerire l’impatto radioativo.

“Piantiamo girasoli, senape da campo, amaranto e cresta di gallo, che si crede assorbano le radiazioni” ha detto, il monaco ( monk). “Ad ora abbiamo coltivato almeno 200.000 fiori (in questo tempio) e abbiamo distribuito ancora più sementi. Almeno 8 milioni di girasoli in fiore a Fukushima hanno avuto orgine da qui”.

Gli scienziati stanno testando attualmente l’efficacia dei girasoli usati per combattere le radiazioni. Un locale con la casa vicino al punto caldo per la radioattività, ha trovato che i girasoli hanno contribuito a ridurre la radiazione che era oltre i livelli di sicurezza governativi, cosi riporta la MSNBC.

L’acquedotto della città di Fukushima ha lanciato il suo progetto per piantare girasoli (sunflower-planting project), sperando di decontaminare il suolo in un parco famoso un tempo dimora di banchetti di ciliegio in fiore.

In un’altra iniziativa sperimentale un professore di agricoltura spaziale, della Agenzia Giapponese per la Esplorazione Aerospaziale, ha piantato semi di girasole in tre appezzamenti di terreno nella regione.

I girasoli vennero coltivati vicino a Chernobyl dopo il disastro nucleaere del 1986 . The Wall Street Journal dice che dei ricercatori hanno scoperto che i fiori “assorbivano cesio radioattivo e stronzio, dalle loro radici”

I nove inferni di Beppu

Fonte: http://www.ditadifulmine.com/2011/09/i-nove-inferni-di-beppu.html

Beppu è una cittadina giapponese di piccole-medie dimensioni nella prefettura di Ōita di Kyushu, Giappone. Nonostante sia di recente fondazione (1924), la sua fama è velocemente cresciuta per via delle sue fonti termali, considerate una delle meraviglie del mondo naturale.

 

Le onsen (stazioni termali) di Beppu, chiamate anche “I Nove Inferni di Beppu”, rappresentano il secondo volume d’acqua calda del mondo (70.000 metri cubi al giorno), secondo solo a quello dello Yellowstone. Le nove punti geotermali principali, i “Nove Inferni”, dominano una località costellata da migliaia di sorgenti d’acqua calda minori suddivise in otto aree note come Beppu hatto.

Le nove fonti (Umi Jigoku, Oniishibozu Jigoku, Shiraike Jigoku, Yama Jigoku, Kamado Jigoku, Oniyama Jigoku, Kinryu Jigoku, Tatsumaki Jigoku e Chinoike District) sono suddivise tra due distretti della città, e creano un paesaggio talvolta volte lunare, a volte apparentemente uscito dalla mente di uno scrittore fantasy.

La Umi Jigoku (Inferno del Mare) è una pozza d’acqua fumante color turchese, simile al mare di un’isola tropicale. Eè profonda circa 120 metri e ha una temperatura di 90°C.

La Oniishibozu Jigoku (“Inferno della Testa di Monaco”) è una vasca naturale di fango rovente che crea continue bolle simili alla testa rasata dei monaci.

La Shiraike Jigoku, invece, che potrebbe essere tradotta con “Inferno dello stagno bianco”, è uno stagno di forma circolare colmo d’acqua azzurra, dall’aspetto lattiginoso per via dell’alto contenuto di calcio.

Una delle fonti più suggestive è l’ “Inferno del Dragone Dorato” (Kinryu Jigoku), una sorgente termale sovrastata dalla statua di un drago e dotata di una serra riscaldata dalla sorgente stessa.

La Yama Jigoku (Inferno della Montagna) è un vulcano di fango circondato da piccole pozze d’acqua biancastra.

La Kamado Jigoku (Inferno della Pentola Bollente) è una serie di piccoli stagni d’acqua bollente sorvegliati dalla statua di un demone rosso, il “cuoco” della sorgente Kamado.

C’è inoltre anche un geyser, la Tatsumaki Jigoku, che erutta ogni 25-30 minuti emettendo vapore bollente per circa 5 minuti ad un’altezza di 20 metri.

L’acqua o il fango che vanno a formare le onsen sono generalmente ad una temperatura di 50-99,5°C, e alcune emettono un tipico odore solforoso di uova marce. In totale ci sono 2.849 sorgenti che emettono 9 tipi differenti d’acqua termale, un vero e proprio record mondiale.

La qualità delle acque e dei fanghi ha fatto sorgere una crescente industria legata ai trattamenti medici, specialmente alle terapie di riabilitazione e al benessere.

Artico, accordo da brivido

Scritto da: Luca Galassi
Fonte: http://it.peacereporter.net/articolo/30248/Artico%2C+accordo+da+brivido

Rosneft e ExxonMobil raggiungono l’intesa: 2,2 miliardi di euro per lo sfruttamento dei giacimenti ghiacciati

Il boccone è ghiotto: 412 milioni di barili di greggio. Il 22 percento delle risorse di idrocarburi e gas naturale non ancora sfruttate. E’ questo l’unico, fondamentale ragionamento che russi e americani hanno posto alla base delle strategie per la spartizione della torta artica: coalizzarsi. L’accordo firmato nei giorni scorsi in Crimea da Rosneft ed ExxonMobil vale 2,2 miliardi, e spazza via ogni potenziale competitor nell’area, dalla Royal Dutch Shell alla Cairn Energy, che hanno già investito miliardi di dollari per le esplorazioni artiche. Con l’intesa, la Rosneft potrà partecipare ai progetti della ExxonMobil nel Golfo del Messico e in Texas già entro la fine di quest’anno. Parimenti, tecnici, consulenti e funzionari della ExxonMobil potranno essere invitati a prendere parte ai progetti della compagnia russa.

Russi e americani, insieme, potrebbero sfruttare già dal 2015 un colossale giacimento nel sottosuolo ghiacciato della Russia settentrionale, per cominciare a produrre energia dalla prossima decade. Si tratta del blocco di Prinovezemelsky, fonte di gas e petrolio nella zolla continentale russa del Mar di Kara meridionale. Conterrebbe risorse per 4,9 miliardi di tonnellate di petrolio, equivalente a circa 36 miliardi di barili. Se le prospezioni confermeranno tali dati, si tratta della scoperta energetica più importante degli ultimi 50 anni. Si tratta di vedere quanto di quel petrolio è recuperabile.

La Rosneft, che ha già condotto missioni geologiche nell’Artico, prevede che l’esplorazione di Prinovezemelsky avverrebbe tra i 40 e i 350 metri di profondità, in condizioni proibitive e temperature di meno 50 gradi. Altre zone assai ricche sono nel nord dell’Alaska e nei Territori del Nord-Ovest canadesi. La Shell ha ottenuto concessioni dagli Usa per aprire dieci pozzi nei prossimi due anni al largo delle coste dell’Alaska, mentre la scozzese Cairn Energy ha già tre pozzi e ne sta progettando altri quattro al largo della Groenlandia.

L’Artico è una delle aree più pericolose per la trivellazione. Il contenimento delle catastrofi ambientali potrebbe essere molto più difficile rispetto ad altri luoghi di sfruttamento energetico. La costruzione delle piattaforme è più complessa, richiedendo acciaio in grado di resistere per anni senza degradarsi.

Ma il futuro economico di numerosi Paesi i cui territori si trovano nella regione artica dipende proprio dallo sviluppo dei combustibili fossili. Così come l’industria dell’energia si sta muovendo in fretta per sfruttare il prima possibile questa terra inesplorata, anche la legislazione sta compiendo passi da gigante, aprendo la strada ad accordi prima inaspettati. Come quello tra Norvegia e Russia, i cui confini marittimi sono stati fissati di recente, dopo anni di contenziosi e negoziati. O come l’importante accordo raggiunto nel maggio scorso, quando i capi della diplomazia degli Stati membri del Consiglio dell’Artico si sono riuniti in Groenlandia per siglare il trattato di cooperazione per la ricerca, il salvataggio aereo e marittimo nella regione artica. L’importanza dell’incontro, durante il quale – per la prima volta – sono stati firmati trattati che vincolano tutte le nazioni (Canada, Usa, Russia e Paesi scandinavi), a differenza del passato, in cui i patti erano bilaterali o trilaterali, giace nelle colossali opportunità di sfruttamento conseguenti allo scioglimento dei ghiacci. Opportunità che hanno da tempo scatenato la corsa al petrolio, ai minerali, al mercato ittico e alla navigazione commerciale della cosiddetta ‘ultima frontiera’

ENZO MAIORCA

Fonte: http://www.enzomaiorca.it/bio.html

Enzo Maiorca è nato il 21 Giugno 1931 a Siracusa; ha imparato a nuotare a 4 anni e presto ha cominciato ad andare sott’acqua, anche se, secondo una sua stessa confessione, aveva un gran paura del mare. Ma non si pensi che poi, una volta diventato campione, gli sia passata. Anzi, alle giovani leve ripete sempre quanto sia salutare il mare, quanto sia importante averne paura e non prenderlo mai sottogamba. Da ragazzo ha fatto gli studi classici conditi sempre da una gran passione per lo sport, per lo più di quelli legati all’acqua, come è ovvio ( come la subacquea o il canottaggio), anche se ha praticato pure la ginnastica. In quegli anni praticò anche la pesca subacquea immergendosi a 3 o 4 metri di profondità, ma la sua cultura di rispetto della natura e degli essere viventi lo portarono a rinunciare a quel tipo di attività. Un bel giorno, invece, un amico medico gli mostra un articolo in cui si parlava di un nuovo record di profondità a -41 metri strappato a Bucher da Falco e Novelli. E’ l’estate del 1956 e Maiorca rimane fortemente suggestionato da quell’impresa. Dopo una breve riflessione, decide di entrare in competizione con quei grandi nelle immersioni in apnea e si impegna allo spasmo per strappare il titolo di uomo che è andato più in profondità negli abissi marini. Nel 1960 corona il suo sogno toccando -45 metri battendo il brasiliano Santarelli il quale, nel Settembre dello stesso anno, si riappropria del titolo raggiungendo i -46 metri; il primato dura poco perchè già in Novembre Enzo raggiunge i -49 metri. E’ l’inizio di una grande era che lo vedrà sulla scena per 16 anni, fino al 1976. A questo punto decide di astenersi dal mare fino al 1988 quando, per le proprie figlie Patrizia e Rossana (entrambe celebri nel mondo per una bella serie di record mondiali d’immersione in apnea), raggiunge il suo ultimo record di -101 metri.
Ha partecipato nel 1978 ad una particolare spedizione scientifica di ricerca nel triangolo delle Bermuda. Nel Giugno del 1990 partecipa a degli esperimenti presso il centro di fisiologia e patologia dell’immersione dell’ Università di Buffalo, negli Stati Uniti, diretto dal prof. Lungdreen. L’11 Giugno 1993 è protagonista nel ritrovamento del sommergibile Veniero scomparso nel 1925. Nel 1994, nel corso della XII Legislatura, è stato senatore della Repubblica e ha ritenuto di non doversi candidare per la successiva.
Per la sua attività sportiva, Maiora ha ricevuto prestigiosi riconoscimenti:
– Medaglia d’Oro al valore atletico del Presidente della Repubblica (1964)
– Tridente d’Oro di Ustica
– Premio letterario del C.O.N.I. per il libro “A aapofitto nel turchino” (1976)
– Stella d’Oro al merito sportivo del C.O.N.I.
– Medaglia d’Oro al merito di Marina (non solo per lo sport ma anche per la difesa nell’ambiente, 2006).
Sposato con Maria Gibiino, oltre alla famiglia e allo sport, Maiorca ama la campagna, gli animali e la lettura, oltre alla mitologia classica e all’archeologia fenico-punica. Ha dedicato e dedica la sua vita con impegno forte e costante alla salvaguardia profonda ed efficace del patrimonio marino e naturalistico.

Se vuoi centrare i tuoi obiettivi, segui il tuo inconscio

Scritto da: Isabella Berardi
Fonte: http://www.buonenotizie.it/s

Quante volte si dice che la prima impressione è quella che conta? L’idea che ci si fa di una persona, per esempio, è guidata dalla propria irrazionalità. E’ proprio l’inconscio a giocare un ruolo fondamentale non solo in questi casi ma anche in processi più complessi, come il raggiungimento dei propri obiettivi. Sono questi i risultati di una ricerca dell’Alberta School of Business: una testimonianza in più di come la mente umana sia un universo sconosciuto di cui, ogni giorno, si scopre una nuova, sorprendente sfaccettatura. Che in questo caso, mette in ombra il dogma della razionalità.

Sono Sarah Moore e alcuni ricercatori delle Università di Duke e Cornell ad affermare, sulla base dei loro studi, che il raggiungimento dei propri scopi sarebbe influenzato dall’inconscio.

Il gruppo si è focalizzato sul raggiungimento di obiettivi a lungo termine, come tornare in forma o intraprendere un percorso di studi.  E’ proprio l’inconscio a selezionare automaticamente situazioni, espedienti, oggetti, condizioni su cui fare leva per raggiungere il traguardo. Ma la Moore e il suo team si spingono ad affermare che l’inconscio continui ad influenzare anche la percezione di situazioni passate, oggetti, cose legate al raggiungimento della nostra meta. “In un certo senso” afferma la studiosa ”è come un ciclo: se facciamo piccoli passi che vanno a buon fine, ci sentiamo bene e, quindi, continuiamo a percepire positivamente il nostro traguardo”. E’ questo processo, ascolto dell’inconscio, tentativo, riuscita, sensazione di potenza e piacere, a renderci più forti e più propositivi nel fare un nuovo passo in avanti.

Un altro aspetto sorprendente dalla ricerca, pubblicata su Cognition and Emotion è relativa alla percezione del fallimento dei proprio obiettivi: mentre ci si aspettava, dai partecipanti al gruppo di lavoro, una reazione negativa di fronte alle situazioni causa del non raggiungimento dei propri fini, gli studiosi hanno scoperto che il fallimento non ne influenzava affatto la percezione.

“Non bisogna odiare quelle situazioni” spiega la Moore ”perché la vittoria  è da ottenere sul lungo termine: il nostro inconscio ci sta dicendo che non è il momento giusto per raggiungere quel risultato.” Quindi, in caso di risultati negativi, è meglio lasciar perdere per un po’: una nuova meta si profilerà presto all’orizzonte.

E soprattutto, di fronte ad una decisione, spesso ascoltare se stessi profondamente e dare la prima risposta è la cosa giusta.