Asimmetria bellica e asimmetria sociale

Scritto da: Paolo Busoni
Fonte: http://www.eilmensile.it/2012/02/14/asimmetria-bellica-e-asimmetria-sociale/

Sinceramente non c’è da sperare che il governo dei tecnici – o dei “saputelli” visti alcuni suoi esponenti – sia in grado di risolvere i mille nodi della spesa militare italiana. Da parecchio tempo questo giornale, come gran parte delle serie organizzazioni della società civile che si occupano della materia “disarmo”, va dicendo che la spesa militare italiana è troppo alta. Il 2 per cento del prodotto interno lordo, o che dir si voglia 20-25 miliardi l’anno, sono davvero tanti soldi.
In questi giorni il ministro della Difesa, l’ammiraglio Di Paola, fa la spola tra la televisione e le commissioni parlamentari a presentare – sempre s’intende a pezzi e bocconi – la grandiosa riforma della Difesa nazionale. Dobbiamo dire che quel che si è visto fin’ora è davvero poco e brutto: “tagli” vecchi, discorsi fritti e rifritti e mantenimento di posizioni assurde come quelle dell’adozione di alcuni sistemi d’arma, portaerei Cavour e F-35 in
primis.

I risparmi. I tagli sono i soliti, di sicuro non avremo mai un sistema di Difesa basato su 190.000 uomini e donne, una quota stabilita oltre dieci anni fa come “ideale” per il nostro Paese dopo la sospensione della leva obbligatoria. Per fortuna, in questi anni non si sono mai avuti 190.000 militari, tuttavia abbiamo strutture di comando ipertrofiche piene di sottufficiali ed ufficiali -anziani e inabili alle operazioni- che si scambiano carte e documenti da un ufficio all’altro. Un Deserto dei Tartari pieno di galloni e mostrine che non comanda che poche decine di migliaia di soldati in ferma temporanea. Va a finire che per ogni caporaletto di vent’anni ci sono un sergente, un maresciallo, un capitano…. e via a salire fin su ai generali e ammiragli che sono tanti, ma proprio tanti, quasi quanto quelli americani. Il personale delle Forze armate si divide in tre grosse categorie: quelli che ci stanno poco e solo per uno stipendio, cioè i ragazzi in ferma breve o variamente prolungata, sui quali grava davvero la parte operativa. Quelli che ci stanno e ci staranno a vita a prendere uno stipendio per scaldare una sedia. E, infine, quelli che ci credono. E’ lo specchio di ogni amministrazione pubblica nazionale, qui c’è solo un po’ di retorica in più. Difficile che il governo riesca a sanare questa palude. Infatti, gli unici immediatamente scaricabili sono quelli che servono effettivamente a qualcosa (basta non fare più concorsi), ma invece c’è da liberarsi degli altri, la categoria gallonata e “seduta”. Le voci di “mobilità”, esodo incentivato ecc. sono anni che si susseguono, ma finiscono lì. Nessun’altra amministrazione pubblica prenderebbe un ufficiale di fureria: immaginate il generale Buttiglione dei film a caccia di evasori fiscali? I più appetibili per la mobilità sono quelli che negli anni si sono aggiornati, hanno studiato, quelli che ci credono. Ma se se ne vanno quelli si crea un’altro super carrozzone, lo “stipendificio” al cubo, rispetto ad ora. E poi gli esodi incentivati ci sono già, i militari vanno in pensione anticipata: 5 anni prima rispetto agli altri statali, si chiama “ausiliaria”. Quindi sul piano del personale c’è davvero poco da sperare nella novità di questo governo. Ci sarebbero poi trentamila impiegati civili ed alcune migliaia di appaltatori, un’altra giungla, altro che sottobosco! Se tagliare è impossibile tra quelli in divisa, per gli altri -protetti come sono dai vari potentati politici locali- è quasi improponibile. Si ragiona da tempo di chiudere l’arsenale de La Spezia che è un super doppione di quello di Taranto. Ma in questi anni si sono persi tutti i treni dello sviluppo del porto commerciale spezzino, proprio grazie all’immobilismo dei militari e dei politici locali che hanno sempre stoppato ogni discussione.

Le spese. Gli “acquisti indispensabili” sono anche questi ben noti. Il solito F35 che -è bene ricordarlo- NON costa “solo” quindici miliardi di Euro, ma perlomeno il doppio visto che non c’è mai verso di sapere se il prezzo che ci dicono è completo o no. Talvolta se ne parla senza i motori, talaltra con i motori, ma senza il software o senza le armi. Ora, visto che nessuna azienda comprerebbe camion senza motore o senza gomme o senza… insomma siccome i soldi comunque escono della stesse tasche, chiariamoci: l’F35 costerà almeno il doppio! Anche Mario Monti sa che quando un qualsiasi ente pubblico fa i conti alla fine di un “investimento” i costi sono sempre più alti, adesso diciamo 25-30 miliardi, ma fra dodici-tredici anni, potrebbero essere anche di più. Ci saranno da assorbire tutti i ritardi, le varianti in corso di definizione e da risolvere un po’ dei guai insiti nel progetto: ad esempio, tutti sanno che l’F35B a decollo corto-atterraggio verticale -quello fatt’apposta per la Cavour per intenderci- ha fortissimi problemi proprio… nell’atterraggio verticale! Beh, se si discutesse però su una cifra così enorme per i fautori del programma sarebbe come mettere la testa sul patibolo. E poi la Cavour o i nuovi obici per l’Esercito (non sono quelli finiti di consegnare due anni fa, sono quelli ancora a livello di prototipo e già indispensabili), le fregate Fremm, i sommergibili e addirittura le cannoniere volanti che favoleggiano all’Aeronautica sono aggeggi inutili, fuori dalla nostra portata e assolutamente ingestibili se – a fronte dell’acquisto – non c’è una seria politica di investimento e manutenzione. Cattedrali che invece di sorgere nel deserto, stazionano nei porti o nelle fortezze. Ma è la stessa mentalità delle Maserati blindate, prima comprate ed ora ufficialmente in vendita: una vergogna per cancellarne un’altra. E’ la stessa mentalità del precedente sottosegretario che si vantava di aver chiesto una utilitaria (però della Mercedes) come auto di servizio, ma che poi faceva su è giù per il paese con il 31° stormo. Si, quello dei voli di Stato, l’aerotaxi delle prostitute e degli chansonnier, ma che anche prima del governo Berlusconi portava i ministri con familiari e amici a vedere il gran premio di Formula 1 e come direbbe Giorgio Gaber: “…eccetera, eccetera, eccetera”.

Le vendite immobiliari. La vendita dei “gioielli” è un’altra fantasia che ogni tanto si propone, tutte le volte si fanno i nomi di questa o quella caserma o istallazione, come se il mercato immobiliare fosse pronto comprare tutto e a qualsiasi prezzo. Ma la bolla -semmai c’è stata- è già più che scoppiata e non ci sono schiere di Paperoni con il borsellino in mano per prendersi un immobile, bello di sicuro, ma congelato da vincoli e servitù. La vendita si risolverebbe nella solita cartolarizzazione-truffa o nel tentativo di vendere ad altri Enti, Università e Comuni, comportandosi ancora una volta come se i soldi non uscissero dalle stesse tasche.

L’alternativa. Da tempo la società civile più attenta -quella che cerca di decifrare un po’ le criptiche commistioni tra politici, militari e imprenditori armieri- ha la situazione ben chiara: è tutto un gigantesco carrozzone pieno di gente che vive alla giornata, tira a campare tipo “io speriamo che me la cavo”. A far la guerra ci mandano altri, possibilmente facendo in modo che costino poco, per spartirsi quel che resta. Da una parte -i vertici militari e i politici- si fa finta di avere assoluto bisogno di uomini e mezzi, dall’altra – l’industria – fa di tutto per alimentare il bisogno. Nel mezzo invece, stanno tutte le soluzioni: non abbiamo bisogno né di 190.000 né di 100.000 militari, ma se proprio dobbiamo onorare la nostra permanenza nelle organizzazioni internazionali di difesa come la Nato, a venti e passa anni da crollo del muro di Berlino -e anche questo è tutto da discutere- la metà sono anche troppi. Non abbiamo bisogno di portaerei e di bombardieri nucleari come l’F-35, come non abbiamo bisogno di niente che ricordi anche solo lontanamente, la Guerra Fredda. Da oltre vent’anni nel mondo si combattono solo guerre asimmetriche, dove la portaerei, il bombardiere nucleare ecc. sono d’impaccio. E’ paradossale: certi dinosauri, impacciano le guerre e chi le porta avanti ed impacciano con la loro inutile presenza tutti i tentativi di individuare altre vie per la risoluzione dei conflitti. Un F-35 – abbiamo detto – non costerà meno di 200 milioni di Euro, ne vogliono 131, forse 110, al limite 100… quanta “pace” si farebbe con tutti quei soldi spendendoli in benessere per il mondo? Riducendo sì l’asimmetria, ma non quella bellica, quella… sociale?

Carabinieri…

Fonte:http://www.carabinieri-unione.it/unac/news_detail.php?id_nw=1106

Carabinieri. L’Arma verso lo scioglimento L’Unione Europea impone la smilitarizzazione della quarta Forza Armata e l’accorpamento dei carabinieri alla Polizia di Stato. 5 gennaio 2012- Sembrerebbe una bufala attendibile quanto la profezia dei Maya, invece è vero. L’Arma dei carabinieri in un futuro più o meno prossimo, ma certamente non remoto, è destinata ad un inevitabile scioglimento: Benemerita addio, è solo questione di tempo e di trattative politiche. A molti verrà un groppo in gola, sono già entrati nella storia il gruppo leggendario Crimor, appartenente al Ros, protagonista dell’arresto del capo dei capi, Totò Riina, capitanato da Ultimo, o le investigazioni scientifiche del Ris agli ordini del colonnello, ora generale in congedo, Luciano Garofalo, per non parlare del delizioso ‘I racconti del maresciallo’ di Mario Soldati. Un colpo di spugna sui militari caduti in servizio, ma pure sulla figura paziosa e tranquillizzate del maresciallo comandante della stazione di paese, autorità riconosciuta insieme al sindaco e al farmacista, un pò buon padre di famiglia, un pò tutore della legge, filosofo e psicologo, che sapeva dosare perfettamente il bastone e la carota. Sono annosi ormai i richiami del ministero dell’Interno in merito alla necessità di una riforma che veda una reale unificazione delle Forze di Polizia con il contestuale passaggio dell’Arma alle dipendenze di tale dicastero.

Al contempo, si susseguono le esternazioni in senso contrario del ministro della difesa che giura, invece, che i carabinieri resteranno alla Difesa. Versione non del tutto inesatta, i carabinieri in quanto tali, sopravviverebbero con un’aliquota destinata a supportare le nostre missioni all’estero con compiti di polizia militare. Secondo la Ue e il ministero dell’Interno la militarità dell’Arma non è quindi vista come necessità di combattere più efficacemente la criminalità, dal momento che il codice di procedura penale stabilisce modalità di intervento uguali per tutte le Forze di Polizia, aggiungendo che non è ammissibile che le stesse forze dell’ordine si occupino di ordine pubblico dipendendo da amministrazioni diverse. Per arrivare ai colpi bassi, ossia ai dubbi sull’efficienza dell’Arma, voci neanche troppo di corridoio sostengono che con lo scioglimento dell’Arma si spezzerebbe ogni legame con la difesa che, sempre stando a queste voci, in maniera soffocante e per quasi duecento anni, ha condizionato destini, carriere ed efficienza di una forza armata che, nonostante il suo impegno, vede da sempre intere regioni ancora sotto il controllo della criminalità organizzata. In Europa solo la Francia, con la Gendarmerie Nationale, ha una forza di polizia paragonabile ai nostri carabinieri ma con alcuni tratti distintivi essenziali: il Capo del Corpo è un Direttore civile, i compiti sono nettamente distinti da quelli della Police Nationale per aree territoriali di competenza e per specializzazioni. In Olanda, la Koninklijke Marechaussee, oltre ai compiti di polizia militare ha solo compiti di polizia di frontiera.

In Belgio, la Gendarmerie è stata sciolta ed è confluita nella Police Nationale. In Spagna, la Guardia Civil, un Corpo di polizia a ordinamento militare, ha tuttavia un Direttore civile. Questo è un prezzo da pagare alla globalizzazione, ma un maresciallo di lungo corso con rassegnazione confessa “Siamo disamorati, ma io un’altra divisa che non sia quella dell’Arma, non la indosserò mai”. Bisogna poi vedere cona ne penserà a riguardo quando richierà di rimanere a secco senza stipendio e senza pensione. E’ comunque difficile immaginare un’Italia senza carabinieri, foss’anche solo per le barzellette. C’è chi dice che dietro tutto questo vi è comunque la mano dei “Generali” e ” Colonnelli” che non avendo più possibilità di impiego ( sono decisamente troppi) mirano a fare i Questori ed i Prefetti del Paese.

Bulgaria: 007 in tonaca

Fonte: http://www.balcanicaucaso.org/aree/Bulgaria/Bulgaria-007-in-tonaca-111267

L’ennesima apertura dei file della “Darzhavna Sigurnost”, i servizi segreti della Bulgaria comunista, ha portato ad una grossa sorpresa: 11 dei 15 vescovi dell’attuale Sacro Sinodo bulgaro figurano nelle liste dei collaboratori. L’ennesimo colpo per un’istituzione religiosa ormai sempre più isolata e lontana dalla società civile.

Quasi tutti gli attuali vescovi della Chiesa ortodossa bulgara sarebbero stati in passato agenti segreti o collaboratori dei servizi segreti, durante il periodo comunista. 11 dei 15 che conpogono l’attuale Sacro Sinodo avrebbero infatti lavorato per la “Darzhavna Sigurnost”, i servizi segreti del regime.

Le rivelazioni sono arrivate lo scorso 17 gennaio dalla Commissione per i dossier, incaricata in Bulgaria di far luce sugli archivi dell’epoca comunista. Solo il patriarca Maxim, il vescovo di Lovech Garvil, Nikolai, il vescovo di Plovdiv e il vescovo Silistra Mavrosii non avrebbero scheletri nell’armadio.

Anche il famoso metropolita di Varna, il vescovo Kiril, recentemente salito alle cronache per aver speso cifre importanti per acquistare una macchina di lusso, e che più volte ha pubblicamente criticato la Commissione per le sue indagini in merito alla Chiesa bulgara, sarebbe stato nella lista dei collaboratori. I suoi nomi in codice? “Kovachev” e “Vladislav”.

Tra gli altri nomi emersi quelli del metropolita di Stara Zagora, Galaktion; del metropolita di Vidin, Dometian; il vescovo Ignaitii di Pleven; il vescovo Yoanikii di Sliven; il vescovo Grigorii di Veliko Tarnovo; il vescovo Yosif, metropolita di Stati Uniti, Canada e Australia; il vescovo Kalinik di Vratsa; il vescovo Nataniel Nevrokopski; Simeon, metropolita dell’Europa occidentale e centrale e il vescovo Neofit di Ruse.

“Preti con un dossier”, “La chiesa, un ramo dei servizi di sicurezza”, alcuni dei titoli dei principali quotidiani bulgari all’indomani delle rivelazioni della Commissione. Indignate le reazioni dell’opinione pubblica. Alcuni commentatori hanno subito chiesto che all’interno della Chiesa bulgara “si faccia pulizia” e che gli archivi delle comunità religiose locali vengano al più presto resi pubblici.

Perdono

Cinque giorni dopo le rivelazioni della Commissione, il Sacro Sinodo, per voce del patriarca Maxim, ha chiesto il perdono per i vescovi che si sono macchiati della collaborazione con i servizi segreti comunisti. Maxim ha però poi aggiunto che il Sacro Sinodo prenderà una posizione ufficiale nei confronti dei vescovi accusati solo dopo aver analizzato la questione.

Nel frattempo il vescovo di Vratsa, Kalinik, ha chiesto perdono davanti a fedeli e sacerdoti, per aver collaborato in passato con i servizi segreti.

Non tutti hanno reagito così. Il vescovo Nataniel Nevrokopski ha dichiarato che queste rivelazioni altro obiettivo non avrebbero che “introdurre un nuovo controllo totale della Chiesa ortodossa bulgara e che vi sarebbe in atto un tentativo più perfido e maligno di quello attuato sotto il comunismo”. A suo avviso si tratterebbe di un’intromissione negli affari interni della Chiesa. Secondo il vescovo in ogni caso i sacerdoti erano vittime e non collaboratori della repressione del regime comunista.

Nataniel Nevrokopski, assieme ad altri due vescovi, Kiril e Galaktion, ha inoltre emesso un comunicato stampa nel quale l’apertura dei dossier riguardanti la Chiesa ortodossa viene definita quale attività volta a screditare la Chiesa stessa.

Chiesa divisa

Intanto, però, sacerdoti della regione di Nevrokop stanno insistendo affinché tutti i vescovi accusati diano le loro dimissioni dal Sacro Sinodo e venga convocata un’assemblea nazionale d’emergenza.

“Gli 11 vescovi sono servi del Demonio e devono andarsene”, hanno dichiarato ai media bulgari. “Per noi il vescovo Nataniel non esiste più. Non esiste più dal 17 gennaio scorso. Per noi tutti i vescovi-spia sono virtualmente morti… Hanno mentito ai credenti per più di 50 anni. Ci hanno portati sulla strada del male”.

Screditata dagli scandali

Proprio alla vigilia dello scandalo riguardante i vescovi-spia, lo scorso 2 gennaio un gruppo di intellettuali di sinistra aveva sottoscritto un appello a favore della Chiesa ortodossa bulgara. Nell’appello si dichiara che la religione ortodossa è “vero difensore del popolo bulgaro… Si sta imponendo una tendenza sinistra, l’abuso di tutto ciò che è veramente bulgaro e di tutto ciò che ricorda le grandi tradizioni della nostra cultura e identità nazionale”. Tra i sottoscrittori dell’appello anche ex membri del Partito comunista, alcuni dei quali anch’essi nelle liste della Commissione per i dossier.

Ma sembrano essere sempre meno i fedeli che ritengono che la Chiesa sia stata vittima piuttosto che complice del regime.

Quello della collaborazione con i servizi segreti comunisti è infatti solo uno degli ultimi scandali che hanno colpito la Chiesa ortodossa bulgara negli ultimi anni, spesso legati alla vita nel lusso condotta dai suoi vescovi. L’ultimo della serie ha riguardato il vescovo di Varna, Kiril, arrivato ad una riunione di fedeli su una lussuosa Lincoln. “Non l’ho comperata con soldi della Chiesa, ma è stata una donazione di un amico”, la sua giustificazione. Servita poco a placare le polemiche, alimentate tra l’altro da una presa di posizione del Sacro Sinodo che tendeva a minimizzare l’accaduto.

La Chiesa ortodossa bulgara sembra un’istituzione ormai molto screditata. Vi è anche chi sostiene che quest’ultimo scandalo sui vescovi-spie porterà ad una sua scissione. “Si sarebbe evitata di sicuro se si fosse permesso, negli anni ’90, di aprire gli archivi interni della Chiesa”, ha commentato lo storico Momchil Metodiev. Ma la Chiesa ortodossa bulgara sembra ancor oggi un’istituzione molto conservatrice e il suo stato d’agonia potrebbe durare ancora a lungo, prima di una possibile rinascita.

Siria: forze speciali di Gran Bretagna e Qatar in azione?

Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=14496

La Russia contro il groupe des amis de la Syrie” di Sarkozy.

La Russia si è detta preoccupata per le recenti rivelazioni dei media israeliani, secondo le quali Gran Bretagna e Qatar avrebbero già infiltrato in Siria unità delle forze speciali, il che aprirebbe il tanto temuto scenario libico. Oggi il portavoce del ministero degli esteri russo, Alexandr Lukachevitch, ha detto: «non ho visto tali messaggi e verificheremo l’autenticità di queste informazioni, ma è una notizia molto inquietante».

Il sito internet israeliano Debkafile oggi ha scritto che i combattenti che si scontrano con l’esercito siriano intorno ad Homs, dove il regime nazional-socialista di Bahir el Assad  sta massacrando la popolazione, «Sono  assistiti da istruttori appartenenti a delle forze speciali del Regno Unito e del Qatar». Secondo Debkafile, «I militari stranieri non partecipano direttamente alle ostilità, ma agiscono come consiglieri military, assicurano la comunicazione e forniscono ai combattenti armi e  munizioni».

Inoltre britannici e qatariani assicurerebbero anche il tra sporto dei combattenti anti- regime nella zona del conflitto e la  fornitura di carichi che provengono da diversi Paesi, tra i quali la Turchia che ha da subito sostenuto i partigiani anti-Assad.

A 10 mesi dall’inizio del massacro degli oppositori il regime baathista non riesce a soffocare nel sangue la rivolta popolare che con il tempo assume sempre di più caratteri di vera e propria guerra civile ed anche etnico-religiosi, visto che sunniti e kurdi si scontrano con  la minoranza alauita dalla quale proviene la dinastia dittatoriale degli Assad.

La Russia, dopo aver messo, insieme alla Cina, il veto sulle sanzioni Onu al regime siriano, oggi ha detto di non considerare legittimo il “groupe des amis de la Syrie” e Lukachevitch ha ribadito: «Noi consideriamo con prudenza differenti format che non crediamo legittimi riguardo al diritto internazionale e che sono stati creati per regolare questo o quel conflitto internazionale», peccato che Mosca partecipi molto volentieri a “format” simili quando gli conviene o quando è lei a proporli… Ma il portavoce ha sottolineato: «Abbiamo un’esperienza molto cattiva di questo genere di formats ed un’attitudine prudente di fronte ad ogni sorta di gruppi di contatto e di gruppi di amici». Ma poi la lingua batte dove il dente duole: «Abbiamo soprattutto osservato una tale esperienza sfortunata nel caso della Libia. Mosca è ostile ad ogni format che preveda il rafforzamento di un’ingerenza sterna nei conflitti interni».

L’iniziativa di costituire il “groupe d’amis”, con l’intento dichiarato di appoggiare gli sforzi della Lega Araba, è del presidente francese Nicolas Sarkozy che non si rassegna al veto russo-cinese al consiglio di sicurezza dell’Onu e che ha promesso di «Non lasciar uccidere il popolo siriano» e spiegato che uno degli obiettivi del gruppo è quello di «Mantenere ed accentuare la mobilitazione internazionale» in favore dei ribelli siriani.

PIRATI & MAFIOSI. La vera storia del crimine organizzato

Scritto da :Antonella Randazzo
Fonte: http://antonellarandazzo.blogspot.com/

Casa editrice: ESPAVO . Per ordinarlo: nuovaenergia@rocketmail.com
Sono stati scritti molti libri sulla mafia, ma è stato detto tutto?
Gli italiani sanno cos’è davvero la mafia? E’ davvero “made in Italy” come alcuni credono?
Alcune regioni d’Italia sono soffocate dalle organizzazioni di tipo mafioso, e queste organizzazioni criminali incidono non poco sulla vita di molte persone. Eppure gli italiani ignorano molte cose sulla mafia. I mass media, pur trattando temi attinenti, non toccano alcuni tasti che permetterebbero di capire meglio il tragico fenomeno. I recenti fatti di Rosarno rappresentano un triste esempio di ciò.
Come agisce la mafia? Come influisce sull’economia e come impedisce lo sviluppo di intere regioni? E’ stato detto tutto su chi l’ha creata e perché?
Per moltissimi anni persino la sua esistenza è stata negata, ma oggi che tutti sanno benissimo che esiste come mai non viene distrutta da uno Stato che si dice democratico?
Come mai in alcuni luoghi tutti sanno quali sono le “famiglie” che organizzano i traffici mafiosi ma nessuna delle autorità preposte approfondisce e arresta?
Il fenomeno delle organizzazioni criminali viene trattato in questo libro in modo nuovo, partendo da un accostamento insolito fra pirateria e mafia.
Cosa possono avere in comune due fenomeni che di solito intendiamo come distanti nel tempo e nello spazio? Questo libro fa emergere eventi e significati poco conosciuti dell’uno e dell’altro fenomeno, dimostrando come una maggiore comprensione di essi può aiutarci a capire meglio il mondo attuale. Tramite il racconto di eventi storici non presenti nei nostri testi scolastici, il fenomeno della criminalità organizzata viene demistificato e mostrato quale esso è realmente.
Il libro percorre le linee essenziali per comprendere le caratteristiche proprie delle organizzazioni criminali, e come esse non possano essere considerate avulse dal sistema di potere che si fonda sulla guerra, sulla distruttività e sulla diseguaglianza. L’opera affronta anche il problema di come distruggere le organizzazioni criminali per costruire un futuro in cui la cultura dello Stato di Diritto possa prevalere.
La trattazione, pur basandosi completamente su documenti ufficiali, offre al lettore la possibilità di riflettere su contenuti storici che confutano alcuni assunti che eravamo abituati a non mettere in discussione.

INTRODUZIONE

Un accostamento insolito: pirateria e mafia. Cosa possono avere in comune due fenomeni che di solito intendiamo come distanti nel tempo e nello spazio? Questo libro fa emergere eventi e significati poco conosciuti dell’uno e dell’altro fenomeno, mostrando come entrambi siano parte della stessa realtà, e come una maggiore comprensione di essi può aiutarci a capire meglio il mondo attuale. Tramite questo insolito accostamento, e il racconto di eventi storici non presenti nei nostri testi scolastici, il fenomeno della criminalità organizzata viene demistificato e mostrato quale esso è realmente.
Questo libro, considerando fonti storiche ufficiali e attuando logici collegamenti fra gli eventi, prova l’esistenza di insospettabili analogie fra pirateria e mafia, persino nella struttura organizzativa. Entrambi i fenomeni risultano essere organizzazioni criminali create e finanziate dall’oligarchia dominante per portare avanti traffici illegali e generare paura nella popolazione, creando una cultura della violenza altamente involutiva. Si tratta di un modo nuovo di intendere le organizzazioni criminali, considerando la loro esistenza già nei secoli XVII, XVIII e XIX, in cui contribuirono a decretare il prevalere del domino inglese sull’Europa e sul nuovo continente.
Molti stentano a mettere in rapporto le organizzazioni mafiose e il sistema economico-finanziario nel suo complesso. Tuttavia, tale legame è oggi più evidente che mai: numerose banche americane ed europee riciclano milioni di euro e di dollari provenienti dagli affari mafiosi, mentre le istituzioni nazionali e internazionali preposte a lottare contro la mafia non ricevono il necessario per poter essere efficaci, e vengono contrastate e indebolite in vari modi. Inoltre, sono molte le leggi che consentono ai mafiosi di continuare ad operare impunemente.
In nessun altro fenomeno, come nella mafia, le connessioni col sistema di potere sono evidenti. Oltre allo sbarco angloamericano in Sicilia (1943), occasione in cui, come ormai tutti sanno, la mafia fu ricostituita nell’isola, esistono numerosi altri fatti più recenti che attestano la vicinanza dell’organizzazione mafiosa al potere dominante: le guerre americane per il controllo della produzione di droga, oppure la produzione di nuove droghe ad opera della Cia, o, ancora, gli eventi che vedono la partecipazione di autorità statunitensi (come George Bush Senior) a fatti relativi a traffici illegali mafiosi, come il traffico di droga e di armi. Questo libro spiega tali legami, per consentire una vera conoscenza del fenomeno mafioso.
Credere che la mafia sia un fenomeno sociale nato casualmente, circoscritto ad un’area geografica, o addirittura un fenomeno antropologico, equivale a credere ad una casualità assurda, sarebbe come credere che la bomba atomica possa essere caduta casualmente su Hiroshima.
Questo libro spiega le origini storiche del fenomeno della criminalità organizzata, senza cadere nei comuni errori, frutto di mistificazioni e di propaganda finalizzate a nascondere verità scottanti per l’élite al potere.
La stessa ammissione di esistenza della criminalità organizzata è un frutto di recente acquisizione. Fino agli anni Cinquanta, il Direttore dell’Fbi Edgar J. Hoover sosteneva che la mafia non esisteva, e fu costretto a cambiare idea quando in TV tutti videro alcuni boss appena arrestati.
Il concetto di “mafia”, già sul finire del XIX secolo veniva utilizzato in Europa ad indicare la delinquenza. Tuttavia, l’idea che si trattasse di un’organizzazione criminale organizzata e manipolata dall’alto è recente. Nel nostro paese, a lungo le autorità hanno cercato di nascondere il potere mafioso. Ad esempio, il Cardinale di Palermo Ernesto Ruffini, dopo l’attentato di Ciaculli (1963), scrisse al Segretario di Stato Vaticano Cardinal Amleto Giovanni Cicognani che “la mafia era un’invenzione dei comunisti per colpire la D.C. e le moltitudini di siciliani che la votavano”. Per alcuni deputati italiani la mafia era “un’esagerazione della stampa”.
Soltanto nel 1982, dopo l’uccisione di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, fu approvata la legge La Torre (n. 646, G. U. n. 253 del 14 settembre 1982) in cui per la prima volta si definiva il delitto di “associazione di tipo mafioso”.
Che l’esistenza del fenomeno dovesse rimanere segreta era nell’intento di chi l’aveva creato. Si racconta che quando i boss chiesero a Lucky Luciano di dare un nome alla loro organizzazione, egli abbia risposto: “Niente nomi, così questa ‘cosa nostra’ non potrà essere chiamata da nessuno e noi resteremo invisibili”.
Con la definizione esatta del reato di “associazione mafiosa”, si capì chiaramente quanto tale organizzazione fosse distruttiva e nociva per la società civile, e nacque un netto rifiuto da parte dei cittadini.
L’origine storica della mafia è diventata negli anni sempre più chiara: mentre in passato si propagandava l’origine siciliana del fenomeno, oggi è possibile, risalendo alle sue prime manifestazioni, comprendere che essa è stata creata per difendere interessi e potere, presumibilmente a partire dall’inizio dell’Ottocento, periodo in cui alcuni nobili inglesi si appropriarono di miniere e di territori siciliani, e assoldarono personale locale al fine di esercitare potere di repressione sulla popolazione, per difendere le proprietà usurpate.
Il fenomeno mafioso è spesso descritto dai media e dalle produzioni televisive e cinematografiche come un fenomeno antropologico. Nelle produzioni di Hollywood, ad esempio nel film Il Padrino, il mafioso viene presentato come una sorta di tipo antropologico, che utilizza persino un certo tono di voce e un determinato abbigliamento. Questo significa stereotipare un fenomeno estraendolo dal contesto storico reale in cui è stato creato.
La mafia, come questo libro dimostra con abbondanti documenti, testimonianze e studi, è un’organizzazione creata “ad oc” per svolgere determinate funzioni, e riceve precise protezioni, senza le quali non potrebbe esistere. Volerla trasformare in un “tipo antropologico” o in un fenomeno nato dal basso significa occultare come agisce l’oligarchia dominante, e i metodi che essa utilizza per continuare a dominare.
Oltre alla pirateria e alla mafia, oggi esistono altre organizzazioni che commettono crimini, come la massoneria e i servizi segreti. Questo libro prova che tutti questi sistemi sono assai più vicini fra loro di quanto si possa comunemente credere. Spesso la mafia, i servizi segreti e la massoneria hanno agito insieme per attuare azioni criminali, come colpi di Stato o repressioni nel sangue.
La pirateria risulta essere un vero e proprio metodo di conquista del potere, allo stesso modo della guerra, ossia attraverso l’uso del crimine e della forza. Il fenomeno è stato stranamente offuscato nella sua verità, e trattato come argomento fantasioso o avventuroso piuttosto che come fenomeno storico. Col passar dei secoli, le immagini dei pirati diventarono sempre più ammantate di mistero, ambiguità, romanticismo o eroismo. Libri come “Il corsaro nero” di Emilio Salgari presentarono i corsari come figure eroiche, coraggiose e capaci di imprese avvincenti e audaci. Molte produzioni cinematografiche sui pirati sono più che altro di evasione e di intrattenimento, con scene d’azione spettacolari ed eroiche.
La pirateria dunque, anche a causa delle numerose produzioni cinematografiche e letterarie, è un fenomeno storico poco conosciuto nella sua verità e sottovalutato nella sua importanza storica, come fosse del tutto marginale. Questo libro prova il contrario: non soltanto la pirateria è stata una forma storica di criminalità organizzata, ma essa ha avuto molta importanza nelle guerre egemoniche fra le autorità europee.
La pirateria è una prova di come i governi occidentali utilizzassero anche in passato metodi criminali per accrescere il loro potere e per seminare paura fra le popolazioni. Le ricerche sulla pirateria angloamericana hanno portato alla conclusione che il 98% dei pirati angloamericani erano ex marinai di navi mercantili o della Royal Navy, che assumevano l’incarico per conto delle stesse autorità per cui avevano lavorato in precedenza. La differenza era che come pirati dovevano assaltare le navi nemiche e depredarle, portando alle autorità della madrepatria parte del bottino. Le vittime non erano soltanto le navi di nazionalità avversaria, ma anche le popolazioni costiere, assai spesso saccheggiate, e vittime di estorsioni e violenze. La pirateria fu un fenomeno criminogeno tremendo, che costò molte migliaia di vittime e contribuì a generare un ambiente e uno stile di vita improntati alla degenerazioni morale e alla dissolutezza, che produssero infelicità e sofferenza. Gli ambienti frequentati dai pirati erano assai simili a quelli dei gangster, in cui si beveva molto alcol e si praticavano attività come il gioco d’azzardo e la prostituzione, cercando illusoriamente sollievo dall’infelicità. La pirateria mirava a creare una cultura della violenza e della sopraffazione. Spesso le vittime erano donne e bambini inermi, colpevoli soltanto di vivere nelle città assalite. Il pirata che diventava più potente era quello più sadico, che non aveva alcuno scrupolo a torturare e ad uccidere. La pirateria, più che una storia di avventura, è una storia di crimini e di lotte per il potere.
Nella madrepatria, alcuni pirati, come Henry Morgan e Francis Drake, pur avendo commesso azioni efferate, venivano accolti nei salotti dell’alta società, e ammirati come fossero eroi. In realtà essi saccheggiavano e terrorizzavano per conto della Corona, erano, come si direbbe oggi, “terroristi”.
Oggi la pirateria esiste ancora e agisce per gli stessi motivi per cui agiva in passato: per sottrarre ricchezze e per indebolire o controllare determinate aree geografiche.
Questo libro offre un nuovo approccio alla conoscenza del fenomeno delle organizzazioni criminali, mettendo in luce aspetti inquietanti, ma senza i quali non si può acquisire una vera comprensione. Le organizzazioni criminali appaiono come parte integrante del sistema, con l’importante compito di diffondere paura, mercificazione e morte, aspetti importanti per mantenere l’attuale assetto di potere, e impedire ai popoli una vera emancipazione culturale e morale.
Se la mafia è un’organizzazione basata su attività illecite e criminali, occorre constatare che essa non potrebbe esistere senza la possibilità di riciclare denaro o senza sfuggire all’occhio vigile dei servizi segreti internazionali.
Dalla pirateria, alle gang e alle organizzazioni segrete, il libro percorre le linee essenziali per comprendere cos’è un’organizzazione criminale, e come essa non possa essere considerata avulsa dall’attuale sistema di potere.
L’opera affronta anche il problema di come distruggere le organizzazioni criminali per costruire un futuro di pace, in cui la cultura dello Stato di diritto possa prevalere. L’Italia vanta una lunghissima tradizione di lotte contro la mafia. Già nel 1871, il magistrato Diego Tajani denunciò le collusioni dello Stato con la mafia, e se non fosse stato costretto a dimettersi avrebbe portato alla luce tutta la verità sulla mafia, distruggendo il potere mafioso e il sistema iniquo che lo reggeva. Altre personalità della magistratura, delle forze dell’ordine, intellettuali, giornalisti e cittadini comuni hanno portato avanti la lotta alla mafia. Persino gli stessi mafiosi hanno voluto collaborare per distruggere la criminalità organizzata. Nel marzo del 1973, il mafioso Leonardo Vitale decise di consegnarsi liberamente alla polizia e di svelare gli aspetti più incredibili della storia di Cosa Nostra. Lo Stato reagì rinchiudendolo in manicomio. Venti anni dopo, il giudice Falcone prenderà sul serio le stesse rivelazioni fatte da Tommaso Buscetta, iniziando così una lotta efficace contro la mafia. Il pool Antimafia dimostrò che distruggere la mafia non è possibile senza comprenderla nei suoi legami internazionali, e nell’appoggio che essa riceve all’interno del sistema. Per estirpare questo male non basta una dichiarazione d’intenti o il ripudiarla dal profondo della propria anima. Sconfiggere la mafia significa scovare tutti i responsabili.
Questo libro, facendo luce sui fatti, mostra inoppugnabilmente che la mafia è un fenomeno umano circoscritto, che vede il coinvolgimento di persone che potrebbero essere identificate e costrette a subire le conseguenze giudiziarie delle azioni criminali che hanno commesso o avallato. La mafia si può perseguire e si può distruggere, ma per farlo occorre necessariamente considerarla sotto nuovi aspetti, che permettano di capire l’involuzione e la distruttività che essa rappresenta, e come soltanto eliminandola sarà possibile un vero progresso morale, civile ed economico.

Mario Draghi. Il privatizzatore, per conto di chi…

Scritto da: Nicola Mente
Fonte: http://fantpolitik.blogspot.com/

«Un vile affarista. Non si può nominare Presidente del Consiglio dei Ministri chi è stato socio della Goldman & Sachs, grande banca d’affari americana. E male, molto male io feci ad appoggiarne, quasi ad imporne la candidatura a Silvio Berlusconi». Francesco Cossiga, ex Presidente della Repubblica e profondo conoscitore degli scantinati dell’Italia repubblicana, non ha mai avuto mano delicata nei confronti di Mario Draghi, ex governatore di Bankitalia e, dal primo novembre del 2011, nuovo Presidente della Banca Centrale Europea. La dichiarazione è ovviamente datata, nata come risposta ad alcune insinuazioni sorte qualche anno fa sull’eventuale candidatura di Draghi a ricoprire il ruolo di Premier: «Ѐ il liquidatore – prosegue Cossiga – dopo la famosa crociera sul “Britannia”, dell’industria pubblica italiana. Da governatore del tesoro ha svenduto l’apparato produttivo statale, figuriamoci cosa potrebbe fare da Presidente del Consiglio dei Ministri».

Insomma, messaggio chiaro e diretto, che non ha bisogno di alcun filtro. Di filtri ne ha sempre avuti pochi, Francesco Cossiga. Non le ha mai mandate a dire, non si è mai tirato indietro, neanche quando, da Ministro degli Interni, non aveva problemi a reprimere con le cattive qualsiasi moto studentesco che si alzasse sopra le righe consentite, in quel lontano – ma non troppo – 1977.

Chissà quali parole avrebbe speso oggi, avendo la possibilità di ammirare l’italica scenografia. Chissà quante picconate sarebbero piovute sul capo di Mario Monti, Presidente del Consiglio e – a quanto pare – socio di Goldman & Sachs proprio come Draghi. La natura ambigua di Cossiga impone una certa calma nella valutazione di qualsiasi dichiarazione, tuttavia passa agli atti anche l’antipatia del politico sassarese nei confronti di Romano Prodi, definito, alla stessa stregua di Draghi, un «vile» (agosto 2005). Certo, fa specie la differenza di trattamento che Cossiga comunque ha riservato ai due: a gamba tesissima su Draghi, molto più morbido nei confronti del Professor Romano, mai nominato nelle allusioni alla famosa crociera sul Britannia.

Alle crociere, si sa, ormai siamo avvezzi. Francesco Schettino, il “Capitan Codardìa” salito alla ribalta dopo la grottesca tragedia della nave Concordia, è entrato subito nell’immaginario italian-popolare. Nei giorni immediatamente successivi al naufragio del Giglio, ecatombe a mo’ di telenovela, tanto pregna di collegamenti e fili meta-testuali da diventare icona buona per considerazioni sociali e antropologiche, spuntò qualche timido riferimento al Britannia. Riferimenti sottili e sussurrati, inglobati e sommersi dal vorticoso ciclone mediatico scatenatosi sul nuovo kolossal made in Mediterranean Sea, narrazione già pronta per sfamare antologie letterarie e cinematografiche.

Eppure, cosa si intende per “Britannia”? Cosa accadde su quella nave, durante quella crociera allusa da molti e raccontata da pochissimi? Scrive Roberto Santoro, il 7 novembre del 2011: « Il 2 giugno del 1992 il direttore del Tesoro, Mario Draghi, sale sulla passerella del Royal Yacht “Britannia”, il panfilo della Regina Elisabetta ormeggiato nel porto di Civitavecchia. Draghi ha con sé l’invito ricevuto dai British Invisibles, che non sono i protagonisti di un romanzo complottista bensì i rappresentanti di un influente gruppo di pressione della City londinese, “invisibles” nel senso che si occupano di transazioni che non riguardano merci ma servizi finanziari. I Warburg, i Barings, i Barclays, ma anche i rappresentanti di Goldman & Sachs, finanzieri e banchieri del capitalismo che funziona, o funzionava, sono venuti a spiegare a un gruppo di imprenditori e boiardi di Stato italiani come fare le privatizzazioni».

Insomma, si parla di privatizzare. Una parola salita esponenzialmente in auge nell’ultimo quindicennio italico, durante il quale molte aziende statali hanno subito una metamorfosi repentina e non troppo rumorosa. La grande IRI, gigantesco consorzio di aziende che per decenni aveva rappresentato il simbolo dell’efficienza e della produttività statale, si è gradualmente smembrata. L’effetto è quel che oggi possiamo ammirare non senza stupore: un corollario di aziende private, che ormai poco hanno a che fare con il novecentesco concetto di “motore nazionale”, avendo ormai struttura internazionale, grazie a capitali esteri: Buitoni, Invernizzi, Locatelli, Galbani, Negroni, Ferrarelle, Peroni, Moretti, Fini Perufine, Mira Lanza, e per ultima, Fiat.

Privatizzazioni furiose che hanno coinvolto qualsiasi ambito. La privatizzazione dell’Istruzione superiore, con i tagli alla scuola pubblica, la privatizzazione del mercato del lavoro, con il famigerato pacchetto Treu rincarato dalla riforma Biagi. Quel pacchetto e quella riforma intrisa di sangue aprirono il sipario sull’angosciante realtà del precariato, pesante fardello demonizzato e al contempo –chissà perché- difeso e tutelato da qualsiasi esecutivo, di destra e di sinistra, fino ad arrivare a Monti e alle sue infelici esternazioni.

Seguendo la nuova stella cometa, nacque anche Autostrade per l’Italia, nuova società costituita nell’ambito della riorganizzazione dell’originaria Società Autostrade Concessioni e Costruzioni S.p.a., completata nei primi mesi del 2003, che autorizzò, nell’ordine: le partecipazioni nelle società attive nel settore autostradale; le partecipazioni nelle altre società, avviate anche con partner, per lo sviluppo di nuove arterie autostradali in Italia; le partecipazioni nelle società che svolgono attività di progettazione e di pavimentazione di supporto alle attività caratteristiche del comparto autostradale; le partecipazioni in società ed enti operanti in attività comunque connesse alla gestione di strade e autostrade.

Andando a ritroso di tre anni, si scopre che il 7 giugno del 2000 la sorte delle autostrade era toccata alle ferrovie, dando il via ad un lento processo di privatizzazione che, pur non avendo ancora completato il suo corso, ha prodotto l’effettiva metamorfosi di un servizio diventato, col passare degli anni, sempre più vicina all’operatività di un’agenzia di viaggi che a una doverosa funzione di trasporto pubblico. Si pensi al rincaro dei biglietti, alla soppressione di molti convogli economici, o alle poco felici e recentissime sponsorizzazioni dal sapore classista.

Dunque, più che soffermarsi ad analizzare cosa avvenne e quali furono gli argomenti trattati sullo yacht Reale, è utile soffermarsi su ciò che accadde dopo quell’incontro, a cui erano presenti, come scrive Santoro, «il già citato Draghi, il presidente di Bankitalia Ciampi, Beniamino Andreatta, Mario Baldassarri, i vertici di Iri, Eni, Ina, Comit, delle grandi partecipate che di lì a poco sarebbero state “svendute”, così si dice, senza grande acume proprio da coloro che nell’ultimo scorcio della Prima Repubblica le avevano trasformate nei “gioielli di famiglia”».

Correva l’anno 1992, un anno denso di avvenimenti: il 500simo anniversario della spedizione colombiana nel Nuovo Mondo, il terremoto politico in Italia, scatenatosi sotto i colpi di Tangentopoli, che portò al disfacimento di un intero sistema politico, la cosiddetta “Prima Repubblica”. Il 1992 fu anche l’anno della svalutazione della lira, della sanguinosa lotta tra Mafia e Stato, con i cadaveri eccellenti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, macabro preambolo della “stagione delle bombe” del 1993 e del torbido valzer di trattative tra Stato e Cosa Nostra, tornato recentemente di triste attualità. Mauro Bottarelli, oggi firma de Il Riformista, così scriveva l’8 gennaio del 2003: «Nel settembre ’92, soprattutto, l’agenzia di rating Moody’s, la stessa che ha declassato la Fiat poche settimane fa, si accanì particolarmente contro l’Italia: un suo declassamento dei Bot italiani diede infatti il via a una spaventosa speculazione sulla nostra moneta che ci portò fuori dallo Sme. Ecco cosa disse l’allora presidente del Consiglio, Bettino Craxi, al riguardo: «Esiste un intreccio di forze e circostanze diverse». Parlò di «quantità di capitali speculativi provenienti sia da operatori finanziari che da gruppi economici», di «potenti interessi che pare si siano mossi allo scopo di spezzare le maglie dello Sme», di «avversari dell’Unione Europea».

Craxi lo disse allora, ma oggi non può ripeterlo. Craxi non c’è più. Ci sono in compenso altri personaggi che entrano e che escono come caselle perfettamente inserite di un domino. C’è ad esempio Reginald Bartholomew, figlio naturale del caso del 1993 che nel mese di giugno diventerà ambasciatore americano a Roma. Un anno dopo, siamo nel giugno 1994, con la scorpacciata del Britannia bella e consumata, ecco cosa dirà Bartholomew: «Continueremo a sottolineare ai nostri interlocutori italiani la necessità di essere trasparenti nelle privatizzazioni, di proseguire in modo spedito e di rimuovere qualsiasi barriera per gli investimenti esteri».

Ciò che emerge da queste righe è l’evidente parallelismo che alcuni passaggi hanno con la situazione odierna. Oggi Moody’s è sulla bocca di tutti, tanto da attirare le uova degli indignati manifestanti. Si scopre però che i giudizi da penna rossa delle agenzie di rating non sono certo nati con la crisi. L’uscita dallo Sme provocò un terremoto totale, facendo intraprendere al Paese una faticosissima Via Crucis che riportò l’Italia in Europa nella seconda metà degli anni novanta, governata da quel Prodi che assicurò la continuità del progetto Amato: governo tecnico istituito nel 1992 e archiviato con l’uscita della cellula Berlusconi, vera e propria cellula impazzita che avrebbe maramaldeggiato sul paese per quasi vent’anni. Ventennio interrotto appunto dalla parentesi di Romano Prodi e della sua corsa all’Euro. Insomma, per parafrasare il tutto alla ferroviaria maniera, Silvio scese dal vagone Italia sicuro di poterci risalire, ma lasciando a Prodi il compito di azzeccare gli scambi (ferroviari e non solo) in direzione Bruxelles.

Scrive Sergio Romano sul Corriere della Sera, il 16 giugno 2009:

L’ uso del panfilo della Regina Elisabetta sembrò dimostrare che la crociera del Britannia era stata decisa e programmata dal governo di Sua Maestà. E il fatto che l’evento fosse stato organizzato da una società chiamata “British Invisibles” provocò una valanga di sorrisi, ammiccamenti e battute ironiche. Cominciamo dal nome degli organizzatori. “Invisibili”, nel linguaggio economico-finanziario, sono le transazioni di beni immateriali, come per l’appunto la vendita di servizi finanziari. Negli anni in cui fu governata dalla signora Thatcher, la Gran Bretagna privatizzò molte imprese, rilanciò la City, sviluppò la componente finanziaria della sua economia e acquisì in tal modo uno straordinario capitale di competenze nel settore delle acquisizioni e delle fusioni. Fu deciso che quel capitale sarebbe stato utile ad altri Paesi e che le imprese finanziarie britanniche avrebbero potuto svolgere un ruolo utile al loro Paese. “British Invisibles” nacque da un comitato della Banca Centrale del Regno Unito e divenne una sorta di Confindustria delle imprese finanziarie. Oggi si chiama International Financial Services e raggruppa circa 150 aziende del settore. Nel 1992 questa organizzazione capì che anche l’ Italia avrebbe finalmente aperto il capitolo delle privatizzazioni e decise di illustrare al nostro settore pubblico i servizi che le sue imprese erano in grado di fornire. Come luogo dell’incontro fu scelto il Britannia per tre ragioni. Sarebbe stato nel Mediterraneo in occasione di un viaggio della regina Elisabetta a Malta. Era invalsa da tempo l’abitudine di affittarlo per ridurre i costi del suo mantenimento. E, infine, la promozione degli affari britannici nel mondo è sempre stata una delle maggiori occupazioni del governo del Regno Unito.

 

Cameron, il giorno dopo la tragedia della Concordia, ha dichiarato che non potrà essere donato un nuovo Britannia alla Regina Elisabetta in occasione del suo Giubileo di Diamante. Niente Britannia dunque, in tempi così assonanti a quelli che furono, con Monti che fa l’Amato, Napolitano che fa lo Scalfaro (come più volte ripetuto dai giornali, in occasione della recentissima scomparsa di quest’ultimo) e Moody’s che fa Moody’s. Per il resto, ricetta al sacrificio in umido, con lacrime e sangue per questo paese che pare abbia perso ogni identità. Eppure, tanti anni fa, furono i Romani, con Claudio prima e Nerone poi, a coniare il nome Britannia nell’immaginario anglosassone. E se non è legge del contrappasso questa…

Da falco del Pentagono a supermanager di Finmeccanica

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2012/02/da-falco-del-pentagono-supermanager-di.html
Finmeccanica, holding a capo del complesso militare industriale nazionale, ha scelto l’ex viceministro della Difesa degli Stati Uniti d’America, William J. Lynn, come nuovo presidente e amministratore delegato della controllata DRS Technologies, società produttrice di sistemi elettronici avanzati con sede in New Jersey. Secondo il general manager di  Finmeccanica Giuseppe Orsi, la nomina di Lynn è “fondamentale” per rafforzare il ruolo del gruppo nel mercato USA della difesa e della sicurezza e conseguire “un’organizzazione ed una struttura di management più efficienti e competitive”.
A Lynn saranno attribuiti pure i compiti di supervisione delle attività delle altre società di Finmeccanica operanti in nord America (AgustaWestland, OTO Melara, AleniaAermacchi e Selex). Incerto a questo punto il futuro di DRS Technologies. Un anno fa, il consiglio d’amministrazione di Finmeccanica retto da Pier Francesco Guarguaglini era intenzionato a vendere la società e ridurre il deficit della holding valutato intorno ai 4,6 miliardi di euro. Anche il neoamministratore delegato Orsi ha fatto accenno a un piano di ristrutturazione aziendale con la dismissione di comparti “non strategici” per più di un  miliardo di euro. Ma con un manager d’eccellenza come mister Lynn, l’azienda statunitense sarebbe tutt’altro che secondaria per i progetti di rilancio di Finmeccanica ed è dunque improbabile una sua cessione a breve termine.
Si è svolta dentro le mura del Pentagono buona parte della vita e della carriera professionale di William J. Lynn. Viceministro di Obama dal febbraio 2009 all’ottobre 2011, egli ha avuto un ruolo chiave nello sviluppo delle nuove concezioni strategiche del Dipartimento della difesa nel settore nucleare, aerospaziale e della cybersicurity. Molto tempo prima (dal 1982 al 1985) Lynn aveva ricoperto il ruolo di direttore esecutivo per i progetti della difesa dell’ultraconservatore Center for Strategic and International Studies – CSIS e di ricercatore sulle “forze strategiche nucleari e il controllo delle armi” della National Defense University. Successivamente Lynn passò a fare da consigliere militare del senatore democratico Edward Kennedy, per essere poi nominato dal presidente Bill Clinton, sottosegretario alla Difesa e responsabile dei programmi di analisi e valutazione militari.
A partire dell’agosto 2002, William Lynn scelse di dedicarsi direttamente al più redditizio business delle armi, assumendo l’incarico di vicepresidente della Raytheon Company, colosso statunitense nella produzione di sistemi missilistici e nucleari. Nove anni più tardi la contestata nomina a viceministro della Difesa: senatori repubblicani e alcune associazioni politiche denunciarono la violazione della “regola etica” promulgata da Obama secondo cui, per i nuovi membri dell’amministrazione, dovevano trascorrere almeno due anni di tempo dalla conclusione delle attività di lobbying all’assunzione di un incarico ministeriale nell’ambito dello stesso settore. Lynn, invece, si era dimesso da Raytheon solo alla vigilia di giurare fedeltà alla Costituzione. Perché Obama chiudesse un occhio fu sufficiente che il neo viceministro alienasse il pacchetto di azioni dell’industria militare di cui era entrato in possesso. Per le dimissioni bisognerà attendere la nomina di Leon Panetta a segretario del Dipartimento della difesa.
William J. Lynn sostituirà alla guida di DRS Technology l’anziano Mark Newman, figlio di Leonard Newman, fondatore nel 1968 della società di elettronica. Nel 2008 fu proprio Mark a vendere DRS agli italiani, ricevendo in cambio la cifra record di 5,2 miliardi di dollari e riuscendo pure a mantenerne la presidenza e l’amministrazione. L’acquisizione dell’azienda comportò per Finmeccanica l’assunzione di 1,2 miliardi di dollari di indebitamento netto con tre grandi istituti di credito italiani (Mediobanca, Intesa Sanpaolo e UniCredit) e con la statunitense Goldman Sachs International. Ogni singola azione venne rastrellata meticolosamente a 81 dollari, quando in Borsa era stata quotata un mese prima a 63. Alla spericolata operazione finanziaria, secondo IlSole24 Ore, partecipò come intermediario Lorenzo Cola detto “Lollo”, recentemente condannato a tre anni e quattro mesi per riciclaggio internazionale nell’ambito dell’inchiesta sull’affaire Telecom Sparkle-Fastweb.  A incaricare Cola fu l’allora amministratore delegato di Finmeccanica Pier Francesco Guarguaglini. “Fu Cola a rappresentare Finmeccanica nei confronti di Jeffrey Smith, l’avvocato dello studio legale di Washington Arnold& Porter ed ex direttore generale della Cia che si occupò degli aspetti legali dell’acquisizione per contro del gruppo italiano”, ha scritto il giornalista Claudio Gatti.
Il 19 marzo del 2009, Guarguaglini e Cola parteciparono congiuntamente al ricevimento ufficiale organizzato dall’ambasciatore italiano a Washington, Giovanni Castellaneta, oggi presidente di Sace S.p.A. e membro del consiglio d’amministrazione di Finmeccanica. Ospite d’onore del sontuoso party diplomatico, l’allora vicesegretario alla difesa William Lynn. Con oltre diecimila dipendenti e un fatturato annuo che sfiora i tre miliardi di dollari, DRS Technologies è uno dei maggiori fornitori delle forze armate USA di apparecchiature e programmi di comando, controllo e comunicazione, computer, sistemi d’intelligence e sorveglianza, centri di elaborazione dati “AEGIS” per unità navali, componenti varie per carri armati e cacciabombardieri.
A fine 2008, DRS Technologies ha venduto sistemi elettronici e di visione “JV-5” per 531 milioni di dollari, destinati ad oltre quaranta tipi di veicoli ruotati e cingolati dell’US Army e dei Marines. Nell’estate del 2009, l’azienda si è invece aggiudicata contratti per il valore complessivo di 143,9 milioni di dollari per la produzione di “addestratori P5” per i caccia F-15 ed -16 dell’aeronautica e della marina militare statunitense, e di 270 rimorchi “M1000” (Heavy Equipment Transporter) per il trasporto su strada e terreni accidentati dei carri armati M1 “Abrams”.
Due importanti contratti sono stati firmati alla fine dello scorso anno, il primo con Lockheed Martin per la fornitura alla Marina militare USA di sistemi di combattimento e sonar per i sottomarini nucleari delle classi “Los Angeles”, “Seawolf” e “Virginia” (valore 400 milioni di dollari circa); il secondo direttamente con US Army per la fornitura di servizi di supporto per l’Improved Bradley Acquisition Subsystem (IBAS) e di rimessa a punto dei sistemi M1200 “Armored Knight” destinati alle unità di artiglieria campale (47,3 milioni di dollari). Anche il 2012 promette bene per DRS Technologies: il 16 gennaio la società ha ottenuto commesse per 63 milioni di dollari relative all’ammodernamento dei sistemi Improved Altitude Hold and Hover Stabilization (IAHHS) della flotta di elicotteri HH-60G “Pave Hawk” dell’US Air Force e alla fornitura di sistemi GEDMS (Gigabit Ethernet Multiples System) e dei servizi di supporto logistico ai velivoli E-6B “Tacamo” di US Navy.
Non altrettanto fortunata l’altra azienda di punta di Finmeccanica, Alenia North America, che potrebbe perdere la multimilionaria fornitura ad US Air Force di 38 aerei per il trasporto tattico C-27J. Il Dipartimento della difesa ha fatto sapere lo scorso 26 gennaio di essere intenzionato a sospenderne l’acquisto in conseguenza dei tagli previsti al bilancio, nonostante l’azienda italiana abbia già consegnato 13 velivoli e stia completando la costruzione di altre unità. L’holding di Giuseppe Orsi spera ancora di ribaltare la decisione del Pentagono e, qualche giorno fa, ha nominato amministratore delegato di Alenia North America, l’ex ad di Ansaldo STS USA, Alan Calegari. Prima di fare il manager industriale, mister Calegari ha prestato servizio come ufficiale aviatore nel Corpo dei marines.

Ecomafie. Il giornalista Gianni Lannes senza protezione dello Stato

Sctto da: Dario Lo Scalzo
Fonte: http://www.ilcambiamento.it/persone/ecomafie_giornalista_gianni_lannes_senza_scorta.html

Revocata la scorta dall’agosto del 2011, il giornalista freelance Gianni Lannes è vittima dell’ennesima intimidazione nel quasi totale silenzio dei media e nella latitanza complice dello Stato. Nel corso della sua carriera Lannes ha portato avanti delicate inchieste riguardanti le ecomafie, i rifiuti tossici e nucleari, le scorie radioattive, il traffico d’armi tra Stati, gli atti criminosi ed illegali, gli abusi e i reati ambientali.

Non è un giovane giornalista dell’ultima ora, ma un giornalista destinato a fare la storia del giornalismo d’inchiesta del nostro Paese. Gianni Lannes è tra coloro – e ne sono rimasti pochi – che da un quarto di secondo fa il proprio dovere per informare o, forse, sarebbe più corretto dire che ha fatto e continua a fare il servitore della contro-informazione.

Eppure oggi non gode di una così grande notorietà, non gode di spazi nei principali canali televisivi né tra le maggiori testate giornalistiche per le quali tra l’altro ha scritto a lungo. Gianni Lannes è e continua ad essere un vero giornalista, nonostante tutto; ed è un ‘nonostante tutto’ che genera un’enorme amarezza per chi sta scrivendo.

È sufficiente rievocare solo pochi momenti del vissuto di Lannes per rendersi conto della rilevanza del suo lavoro e delle distorsioni di un sistema che ci ha riempito e ci riempie di inganni per renderci ciechi e sordi di fronte ai soprusi e ai raggiri affaristici.

Nella sua vita da reporter ha collaborato, sempre in prima linea, con prestigiose testate italiane; oltre a collaborare con la RAI e con La7 ha infatti lavorato per vari quotidiani e settimanali come L’Espresso, Panorama, La Repubblica, Avvenimenti, Famiglia Cristiana, Il Giornale, Il Manifesto, La Stampa, l’Unità, Il Corriere della Sera ed altri ancora. Ha inoltre fondato e diretto i giornali Esserci ed Italia Terra Nostra.

Con il suo giornalismo, con i suoi libri e con le sue denunce ha fatto luce su alcuni misteri e buchi neri della storia del Belpaese facendo emergere o riemergere delle malefatte dei nostri tempi e portando avanti delicate inchieste riguardanti le ecomafie, i rifiuti tossici e nucleari, le scorie radioattive, il traffico d’armi tra Stati, degli atti criminosi ed illegali, degli abusi e dei reati ambientali.

Da non dimenticare inoltre come il suo libro Nato: colpito e affondato, pubblicato nel 2009, abbia consentito alla magistratura di riaprire indagini su stragi di Stato già archiviate, così come cruciali sono state le sue indagini sulla strage di Ustica e sulla scomparsa dei giornalisti Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Il libro Nato: colpito e affondato ha consentito alla magistratura di riaprire indagini su stragi di Stato già archiviate

Risultato? Isolamento professionale, silenzio, terra bruciata tutt’intorno, emarginazione, disinteresse dello Stato.

Gianni Lannes ha vissuto per due anni sotto scorta della Polizia di Stato mentre la famiglia era sotto vigilanza dei Carabinieri. Ha subito alcuni attentati, è stato vittima di concrete minacce di morte, di esplosioni e sabotaggi di auto, di furti in casa e nel suo studio, di telefonate minatorie e di intimidazioni alla famiglia.

Sono state decine le interrogazioni parlamentari sul suo caso che non hanno ricevuto risposta dai governanti mentre inspiegabilmente ed illegalmente il suo blog Italia Terra Nostra veniva chiuso; si giunge, infine, al 22 agosto del 2011 quando il Ministro dell’Interno Maroni ha deciso irresponsabilmente e immotivatamente di revocare la scorta al giornalista pugliese senza che fossero venute meno le condizioni di minaccia e pericolo. È di alcuni giorni fa, del resto, l’ennesimo eloquente avvertimento con un bigliettino recapitato nell’auto della moglie: “Hai famiglia, non rompere più i coglioni con le stronzate di ecomafia”.

Un’altra storia di coraggio, di senso del dovere e di servizio che si trascina quasi inosservata sotto i nostri occhi. Una storia di controtendenza e di contro-sistema che sembra toccare e coinvolgere troppe poche persone e che invece inevitabilmente diventa la storia di tutti noi, di tutto il popolo italiano.

Nel 2010 Lannes ha ottenuto in Sicilia il ‘Premio Internazionale all’impegno sociale 2010, XVI Memoriale Rosario Livatino e Antonino Saetta’

Sì, ci riguarda direttamente nonostante gli scettici e coloro che snobbano o insabbiano il lavoro di Lannes perché quel lavoro è la voce di un essere libero e svincolato, di un minatore della verità; sì, ci riguarda direttamente perché, al di là delle inchieste, delle denunce, dei misteri svelati, che rimangono l’essenza della vera informazione, siamo di fronte all’ennesima limitazione della libertà di un essere umano e del suo pensiero.

Assistiamo inerti e distrattamente all’oscuramento dei suoi strumenti di espressione, alla negazione del suo sacrosanto diritto di raccontare e informare e di garantire sicurezza e benessere al suo nucleo familiare. Sì, ci riguarda direttamente perché in questo teatro dell’assurdo rappresentato nel palcoscenico della nostra società cercare la verità al cospetto di un sistema ingordo è rivoluzionario.

Sì, ci riguarda direttamente e merita il nostro attivismo affinché la storia non possa averla vinta ancora una volta. Sì, ci riguarda profondamente perché è la vicenda di una violazione dei diritti umani e perché la diversità si innalza a modello positivo di coraggio al quale ispirarsi per rimanere lucidi tra la densa foschia diffusa.

Non possiamo indugiare restando attraccati alla banchina dell’inosservanza e dell’indifferenza che ci fanno complici. Non lasciamolo solo, non abbandoniamo Gianni Lannes!


Emergenza neve: nel fine settimana nuova ondata di freddo

Fonte: http://2duerighe.com/cronaca/4217-emergenza-neve-nel-fine-settimana-nuova-ondata-di-freddo.html

Il bilancio delle vittime è salito ieri a quasi trenta persone, oggi la situazione sembra esser tornata quasi alla normalità a Roma mentre resta alta la tensione nel frusinate dove sono ancora centinaia le famiglie isolate e senza luce, gas e acqua corrente. A Filettino (Fr) ieri dei lupi si sono spinti fino al centro cittadini in cerca di cibo, ciò lascia ben intendere fino a che punto la neve abbia letteralmente portato indietro di anni ed anni alcune piccole frazioni della Ciociaria come questa. Per il meteorologo e climatologo Mario Giuliacci però non è ancora finita, ci aspetta difatti il fine settimana più critico e difficile di questa ondata di gelo che ha investito il nostro paese: “Tra venerdì sera e sabato a Roma ci sarà una seconda mega-nevicata” afferma Giuliacci che poi aggiunge che il peggio non è ancora passato e porterà altri disagi in zone già duramente colpite come le Marche e il Frusinate dove si rischierà “di oltrepassare il limite di sopportabilità”. Bisogna quindi prepararsi al peggio secondo il meteorologo in quanto nella notte tra domani e venerdì vi saranno nuove nevicate e un notevole calo delle temperature , inoltre vi saranno piogge al Sud e sulle Isole.
Venerdì quindi potrebbe tornare a nevicare e le regioni più interessate saranno il Trentino Alto Adige, il Veneto, la bassa Lombardia, il basso Piemonte, la Liguria, l’Emilia Romagna, la Toscana, l’Umbria, le Marche, l’Abruzzo, il Molise e in tarda serata anche il Lazio.
Giuliacci infine afferma che bisognerà attendere il: “15 febbraio per far si che le temperature si alzino gradualmente. Si passerà quindi da un freddo siberiano a uno più moderato fino ad arrivare alle normali temperature invernali. Ma questa previsione può cambiare».
La previsione di una nuova nevicata a Roma ha contribuito ad alimentare gli attriti già forti fra Protezione Civile, Comune e Regione. Secondo un nuovo comunicato dell’Enel sono ancora 11.400 le utenze senza elettricità.A Roma come detto la situazione si sta normalizzando e domani le scuole saranno riaperte, in vista della nuova nevicata prevista per venerdì Alemanno ha affermato: “Domani faremo una nuova riunione con tutte le strutture di protezione del Comune ci prepareremo al meglio, leggendo tutti i bollettini in senso peggiorativo, non fidandoci più di quanto ci viene trasmesso”.
Il sindaco di Valmontone, Egidio Calvano, nel frattempo in una lettera denuncia: “A Valmontone ci sono famiglie che, ormai da 120 ore, sono senza energia elettrica. Nelle case ci sono anziani e bambini allo stremo delle forze e malati bisognosi di cure mediche”.
A Venezia l’allarme neve è attivo da questa mattina, sono già in azione i mezzi spargisale e sono già pronti quelli per spalare la poca neve già caduta.
In Friuli Venezia Giulia, è soprattutto il vento a che per il decimo giorno consecutivo imperversa su Trieste a preoccupare, fin ora ha provocato decine di feriti e questa mattina ha toccato i 150 kmh. Disagi inoltre sulla linea ferroviaria Trieste-Venezia, rimasta bloccata per un tratto dalle 5.30 alle 8 del mattino a causa di un incendio di sterpaglie scoppiato a Duino, tra il capoluogo regionale e Monfalcone, non lontano dai binari.
Neve anche in Emilia Romagna, soprattutto a Bologna, si prevede che da qui alle prossime 24 ore possano posarsi sulla città almeno 10 centimetri di manto bianco, le scuole oggi sono comunque aperte, le lezioni sono sospese solo nei comuni di montagna. Anche in Emilia Romagna per il week-end è prevista una grande nevicata che potrebbe portare oltre 40 cm di neve.
Deboli nevicate anche in Toscana sui versanti orientali dell’Appennino toscano, ovunque temperature sotto lo zero.
Problemi di viabilità in Puglia dove nella notte è continuata a cadere la neve soprattutto nelle provincie di Foggia, Bari e Barletta.
Situazione critica anche in Sicilia, dove soprattutto nelle zone di montagna vi sono grandi difficoltà di transito e in Basilicata dove sulla statale 96 e la ex statale 380 Matera-Metaponto ci sono molti mezzi rimasti bloccati a causa del ghiaccio e della neve.

La serenità assicurata dai violenti

Scritto da : Antonio Lubrano
Fonte: http://www.iljournal.it/2012/la-serenita-assicurata-dai-violenti/305308

“La protezione dello Stato prima o poi finisce, la camorra invece c’è sempre”. Questa frase, che ho sentito pronunciare in televisione da un imprenditore napoletano e che i quotidiani del giorno dopo hanno riportato con minima evidenza, è uno schiaffo alle istituzioni, il tramonto se non la fine della pubblica sicurezza. Il fatto stesso che i giornali non diano più rilievo a storie del genere è di per se significativo. Assuefazione, sottovalutazione, indifferenza progressiva?
Ne’ si sono registrate reazioni da parte di qualche organo rappresentativo dello Stato. Un silenzio che di per se diventa una vera e propria dichiarazione di impotenza.
Da dove nascono parole tanto amare? L’imprenditore Luigi Imberbe è uno di quelli che si è rifiutato di pagare il pizzo, anzi ha denunciato il racket, ha promosso la nascita di una associazione di aziende “anti”ed ha sopportato dapprima il fuoco appiccato alla porta della sua abitazione, poi una raffica di proiettili contro l’ auto e infine giorni fa, di fronte all’incendio a Portici del suo deposito di generi alimentari, ha alzato le mani. “Basta, hanno vinto loro”.
E’ un uomo maturo e tuttavia ancora dall’aspetto giovanile, gli occhi fermi ma velati di tristezza. Arriva a dire che d’ora in poi, invece di incitarli alla denuncia, dirà ai suoi colleghi di trovare comunque un accordo con quelli del racket , una rata meno pesante per esempio e comunque di pagare. Per conquistare finalmente “una serenità che la camorra riesce a dare e lo Stato invece no”.
Una serenità, capite? Per fare il proprio mestiere, per lavorare. Bisogna ricorrere alla violenza dei criminali per conquistare un briciolo di serenità. Aberrante.
L’episodio di Portici coincide con la nuova denuncia di Roberto Saviano(Repubblica di venerdì 3 febbraio) sul quartiere napoletano di Scampia dove vige una sorta di coprifuoco dei clan. Per non disturbare il mercato della droga e anche – pensate un po’ – per lasciare campo libero alle sparatorie possibili, alle sette di sera tutti rintanati in casa, negozi chiusi, qualsiasi attività sospesa.
Se siamo a questo, non ci sono ulteriori margini per la speranza. E’ la sconfitta dello Stato. E il guaio peggiore è che tutti fingono di ignorare questa progressiva abdicazione.