ECOMAFIA DEL VATICANO: “FALDA INQUINATA DAI RIFIUTI DELL’OSPEDALE SAN PIO”

Scritto da: Gianni Lannes
Fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/

Scorie radioattive e rifiuti pericolosi, un micidiale miscuglio proveniente dall’ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza” finanziato dalla Regione Puglia di Nichi Vendola – fondato da Padre Pio, santificato in tempi recenti da Papa Wojtyla – scaricati nottetempo in una voragine carsica del Gargano (area “protetta” e parco nazionale dal 1991). E’ accaduto per anni nell’agro di San Giovanni Rotondo. Lontano da occhi indiscreti: il sistema più facile per sbarazzarsi di spazzatura speciale. C’era solo l’imbarazzo della scelta, per via delle 500 cavità naturali note, ma poco esplorate nella “montagna del sole”. Risultato? Falde acquifere gravemente inquinate e denunce frettolosamente archiviate dalla Procura della Repubblica di Foggia.

Itinerario – Alla grava San Leonardo, in località “Donna Stella” si arriva percorrendo la strada statale 89 (Foggia-Manfredonia). Al bivio er San Giovanni Rotondo si prende a destra la nazionale 273 per dodici chilometri. Superato un chiosco s’imbocca sulla destra una mulattiera asfaltata. Dopo quattro chilometri, a sinistra una carrareccia conduce alla bocca (diametro 23 metri) della grande grotta carsica.
Discarica sotterranea – Là sotto si trova di tutto – hanno rivelato gli speleologi Carlo Fusilli e Paolo Giuliani – da molti anni giacciono tonnellate di medicinali avariati ed altro materiale sanitario infetto, scaricati da un famoso ospedale che qui ha trovato un comodo quanto economico sistema per disfarsi dei propri rifiuti. L’enorme massa inquinante oltre ad aver ridotto la cavità ad una vera e propria discarica, costituisce una costante minaccia per l’integrità delle acqua di falda».
Denuncia insabbiata – Nel 1977 i primi speleonauti si calano a 76 metri di profondità. Così tra stalattiti e stalagmiti si imbattono in cumuli di rifiuti e cascami radioattivi di origine sanitaria. Scatoloni, sacchi e contenitori di varia foggia e dimensione portano la dicitura inequivocabile “Casa Sollievo della Sofferenza”, oppure “Croce Rossa Italiana”, “Hoechst Italia Spa”, perfino “Per Padre Pio” e altro ancora. Nel 1982 lo speleologo Giuliani ed il geologo Carlo Lancianese (scomparso in tragiche circostanze) si rivolgono alle autorità competenti. «L’esposto partì corredato di foto e dettagliata relazione – rivela la speleologa Anna Di Donato – ma il tempo, la burocrazia hanno fatto in modo che la denuncia percorresse un viaggio lungo e tortuoso di andata e ritorno per poi definitivamente perdersi nei meandri della Procura di Foggia. Siamo andati anche alla Prefettura ma non c’era più niente». All’epoca il dottor Pasquale Sanpaolo, responsabile dell’Ufficio Igiene e Sanità Pubblica scrive al sindaco: «Data la gravità di quanto in esso contenuto comprovata anche dalle immagini fotografiche fornite e ritenuto indispensabile rimuovere al più presto tutto il materiale indiscriminatamente scaricato e attualmente presente nella grava di San Leonardo». Il medico invita senza successo il primo cittadino a «voler disporre in maniera urgente gli accertamenti e la rimozione dei rifiuti presenti, nonché ad adottare opportuni provvedimenti atti a prevenire tali abusi». Parole determinate, ma dissolte nel vento e seppellite dall’oblio. Incredibilmente, nonostante le prove schiaccianti, nel ’95 il sostituto procuratore Francesco Federici della Pretura Circondariale di Foggia chiede al giudice per l e indagini preliminari «l’archiviazione del procedimento penale numero 14773/94». E il gip Salvatore Russetti, senza pensarci sopra poi tanto, in un baleno accoglie l’immotivata richiesta. Allora, il direttore sanitario rispondeva al nome di Orazio Pennelli, un nipote di padre Pio, che interpellato se la cavò con un “no comment”. «Ormai i colpevoli protetti da curie e dalla prescrizione dei reati, possono dormire sonni tranquilli» accusano i rari ecologisti locali. Mentre i rigagnoli avvelenati scorrono nel torrente ipogeico dal quale attingono acqua attraverso i pozzi, ignare popolazioni. In seguito il il Gruppo Speleologico Dauno e la Lipu ci riprovano. «Alla data odierna malgrado le scriventi associazioni abbiano già richiesto in sede di denuncia di conoscere lo sviluppo delle azioni tese al recupero del sito, non è prevenuta alcuna comunicazione circa l’esito delle analisi, ovvero le azioni programmate per la bonifica, scrivono Vincenzo Cripezzi e Alessandro Paolucci. Così la Federazione Speleologica Pugliese ha presentato un altro esposto ma senza esito alcuno. Eppure, la magistratura indagando potrebbe approfondire circostanze davvero singolari. E scoprire altri siti di sepoltura di scorie e lupare bianche.

Wikileaks ha tradito la spia del Mossad impiccata in Iran

Fonte: http://www.globalist.it/
Scritto da: Francesca Maretta da Londra

Majid Jamali Fashi, 24 anni, impiccato ieri nella prigione di Evin a Teheran con l’accusa di essere una talpa del Mossad, sarebbe stato individuato grazie a WikiLeaks. La sua condanna è seguita a una confessione-show in cui ammetteva di essere una spia pagata da Israele per sabotare il programma nucleare iraniano. Fashi è stato giustiziato per l’omicidio del Professor Ali-Mohammadi, uno scienziato che insegnava fisica all’Università di Teheran. Ali-Mohammadi saltò in aria nel gennaio 2010 davanti casa sua, dove era parcheggiato un motorino-bomba.

Il cablogramma che avrebbe portato all’identificazione di Fashi, pubblicato da WikiLeaks a dicembre 2010, è datato 1 settembre 2009. Si tratta di un file che riporta informazioni classificate provenienti dall’Ambasciata Usa a Baku. Nel documento è menzionata una fonte indentificata come «esperto e insegnante di arti marziali». Nel cablogramma si legge che la stessa fonte rivelava come le autorità iraniane stessero rendendo la vita difficile alle società sportive specializzate in arti marziali, in cui erano stati mandati ad allenarsi uomini delle milizie del regime Basij e guardie rivoluzionarie. Majid Jamali Fashi è stato arrestato poco dopo la pubblicazione dei file di WikiLeaks, insieme ad altre 15 persone di cui non si conosce la sorte. A tradirlo sarebbe stata la sua partecipazione a un torneo di arti marziali in Azerbaijan, dove aveva vinto una medaglia. Secondo quanto poi avrebbe confessato in processo a porte chiuse a Teheran, proprio a Baku avrebbe ricevuto documenti falsi e soldi dagli uomini del Mossad. Per sua stessa “ammissione”, Fashi sarebbe stato addestrato in una base militare israeliana, raggiunta volando da Baku a Tel Aviv.

Che Israele abbia talpe in Iran, dove riesce ad assestare colpi contro il regime, è cosa nota. L’ultimo omicidio di uno scienziato coinvolto nel programma nucleare risale a gennaio scorso. Mustafa Ahmadi-Roshan, direttore della centrale per l’arricchimento dell’uranio di Natanz è saltato in aria nella sua auto. Qualcuno deve pur mettere le bombe.

Il caso del Professor Ali-Mohammadi però è a dir poco ambiguo. Prima cosa non risulta a nessuno che fosse coinvolto nel programma nucleare iraniano, anzi, pare fosse un ambientalista. Secondo, esponenti dell’opposizione al regime iraniano dicono che aveva progettato di espatriare in Svezia, parlandone prima che lo facessero fuori. Nella guerra a distanza contro Israele, gli Usa e il blocco sunnita regionale, Teheran di sicuro ci guadagna esponendo rei confessi che raccontano complotti del Mossad. Magari però il regime non si fida di scienziati che vogliono emigrare. Chissà cosa potrebbero raccontare, a maggior ragione se non sono implicati col potere. Facendoli levare di mezzo ai servizi di paesi nemici si prendono due piccioni con una fava. Tutta teoria? Certo. Ma pare una favola pure che un ragazzino di 24 anni che si allenava da mattina a sera sia andato a fare il Rambo a Tel Aviv. In questa vicenda va sottolineato a penna rossa un punto.

Era solo questione di tempo che qualcuno fosse ammazzato per le rivelazioni di WikiLeaks.

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L’Ordine Nero

Scritto da:Fabrizio Beneglia
Fonte:http://www.daltramontoallalba.it/speciali/ordinenero.htm

(Foto: http://www.reddickmilitaria.com)

Vestfalia nord-occidentale, inverno 1934. Due uomini si inoltrano nel cuore della foresta di Teutoburgo.

Uno dei due è il mago nero Karl Maria Wiligut, occultista ed esperto di rune, l’altro è Heinrich Himmler, supremo capo delle SS. Quest’ultimo si sta affermando come uno degli uomini più potenti del III Reich ma non è un politico avido di successi, nè un militare di carriera. Egli è un mistico visionario che rappresenta un filone sotterraneo di legami paramassonici ed esoterici che stanno alla base della Germania Hitleriana ormai quasi pronta a decidere i destini del mondo. Himmler si intende di occultismo, astrologia e teorie eugenetiche. Egli è convinto di essere la reincarnazione di Enrico I di Sassonia l’Uccellatore, signore dei Sassoni e primo re di Germania, alla cui tomba si reca spesso in pellegrinaggio. Wiligut conduce Himmler al cospetto di un antico maniero che si trova poco distante dalla cittadina di Paderborn, il castello in stato di abbandono è da sempre conosciuto come lo Schloss Wewelsburg.

Himmler rimase colpito dal castello, e lo vuole per se; così solo pochi mesi dopo quella visita, l’antico maniero diventa proprietà di quello che sarà il suo ultimo signore: il Reichsfuhrer delle SS. Il castello è citato nelle cronache medievali per la prima volta nel 1123 d.C. come residenza del Conte Friedrich von Amsberg ma la sua origine è sicuramente più antica. Il borgo fortificato faceva infatti parte di una rete di monasteri e castelli di matrice benedettina collocati in posizioni simboliche importanti. Il Cavaliere Raubritter Wewel von Buren diventa signore del castello all’inizio del XVII secolo. Sotto di lui la fortezza vive il suo ultimo periodo di splendore. Nel corso del 1600 inizia infatti per Wewelsburg una lenta ma inarrestabile decadenza che lo porta allo stato di abbandono in cui lo trovano gli uomini delle SS. La chiave per rispondere a molte domande non deve essere cercata nelle vicende storiche del borgo ma nella sua forma architettonica e nella sua posizione geografica. Quello che differenzia questo borgo dagli altri presenti in Germania infatti è il posto dove è stato edificato. Wewelsburg sorge nel cuore della foresta di Teutoburgo, non lontano dal luogo dove nel 9 d.C. ventimila legionari romani, che stavano marciando agli ordini del legato Quintilio Varo attraverso quella impenetrabile selva, trovarono la morte cadendo in un’imboscata tesa loro dalle bellicose tribù germaniche che abitavano quelle tetre lande. I Germani per contrastare l’espansione romana si erano uniti sotto la guida di Arminio, il primo eroe nazionale germanico. Fu la prima grande vittoria dei Germani sulle truppe di occupazione romane. Nel folle progetto di onnipotenza pangermanica che Himmler e Hitler stanno per attuare figure storiche come Arminio diventano simboli della distorsione del corso degli eventi passati per fini propagandistici. Ma lì vicino si trovavano anche le “Externsteine” che è stato per secoli un luogo sacro per le tribù germaniche in quanto vi si riunivano per celebrare il solstizio d’estate. E’ la “Stonehenge tedesca”.

In questo luogo, prima i Pagani e poi anche gli stessi Cristiani hanno sempre trovato un luogo magico per svolgere i loro rituali. Domina su tutto il simbolo celtico dell’albero della vita ed un altare con un buco circolare che consente il perfetto incastro del disco solare all’alba e al tramonto del solstizio d’estate. Himmler è sempre più intenzionato a dare un’aura quasi sacrale alle sue SS, rappresentati per eccellenza di un nuovo credo politico ma anche religioso: ossia il nazionalsocialismo. Quel luogo spettrale è oltretutto la realizzazione in natura del lugubre paesaggio rappresentato nel quadro intitolato “L’Isola dei Morti”. Questo quadro è passato alla storia come uno dei dipinti più, magnetici che siano mai stati realizzati.

Il castello di Wewelsburg sorge quindi in un luogo solo apparentemente sperduto fra le foreste della Vestfalia. In realtà questa zona è carica di simbolismi religiosi e storici. C’è un profondo e arcano motivo che solo gli “eletti” della storia sanno leggere. Wiligut e Himmler ne sono convinti e ne trovano ulteriore conferma nella particolare forma della pianta dell’antico maniero. In tutta la vecchia Europa non esiste un altro castello con una pianta simile: le mura di Wewelsburg formano infatti un triangolo al vertice del quale sorge un torrione che punta verso il Nord. La particolare forma del castello a freccia ortogonale si basa su un orientamento volutamente anticristiano dato che la sua direzione Sud-Nord contrasta con l’orientamento Est-Ovest di tutte le Chiese Cristiane. Per i massimi rappresentanti dell’esoterismo nazista questa particolare disposizione del perimetro delle mura richiama volutamente la forma della Sacra Lancia di Longino, la lancia con cui il centurione ha trafitto il costato di Cristo. Essa è quindi l’arma di ogni potere, come reliquia è seconda per importanza solo al Santo Graal. Gli eserciti guidati da tale Lancia non saranno mai sconfitti. Secondo la Geomanzia, che è la dottrina che studia la forza primaria e magnetica della Terra e che ha molta presa nei circoli esoterico-nazisti di quegli anni, Wewelsburg si trova su una delle direttrici di questo fiume di energia sotterranea.

LA CAMELOT NERA

Wewelsburg dovrà assurgere a Omphalos, centro del mondo, un luogo dove l’élite delle SS potrà incontrarsi a dare luogo ad una sorta di concili esoterico-religiosi nei quali perfezionare tramite meditazioni e rituali impostati su schemi occulti un nuovo credo neopagano: quello del ritorno all’età della civiltà ariana. A Wewelsburg prendono così forma tutti quei simbolismi e quei rituali esoterici che negli anni Venti e Trenta avevano caratterizzato in Germania le società segrete di stampo esoterico quali Thule e Vril che tanta parte ebbero nel sostenere dietro le quinte l’avvento dei nazisti al potere. Questi circoli esoterici tedeschi raggruppavano uomini di una certa levatura sociale, economica e politica, oltre a personaggi appartenenti ai vari filoni occulti della cultura tedesca; l’ideale che teneva uniti gli appartenenti a queste logge era la realizzazione di una società ariana. I nomi stessi di queste società si ispiravano a tale progetto; Thule era appunto il nome della mitica patria degli Iperborei, prima popolazione “eletta” della storia dell’Umanità. Gli Iperborei erano gli antenati degli Ariani.

Vril era la forza e l’energia soprannaturale che alcuni degli iniziati a queste società traevano dal contatto medianico con gli antichi antenati Iperborei e Ariani. Per entrare in Thule o in Vril era necessario non solo far parte dei ceti altolocati ma dimostrare anche il proprio patrimonio razziale. Il futuro Reichsfuhrer delle SS fu sicuramente quello più sensibile alle ritualità esoteriche di tali società segrete, e non si limitò solo ai progetti politici di creare una nuova classe dominante in Germania attraverso la crescita del partito nazista. Venendo in contatto durante queste riunioni con personalità magnetiche e complesse dell’occultismo tedesco, in Himmler maturò la convinzione quasi messianica di creare per la Germania di Hitler una nuova religione incentrata sui valori ariani della cultura tedesca. Il tempio di questa triste religione del male e delle tenebre doveva essere proprio Wewelsburg. E i monaci-guerrieri di questo nuovo culto le sue SS.

L’ORDINE NERO

Nell’originario arredamento della Gruppenfuhrersaal (ovvero la sala dove si riunivano l’èlite delle SS facenti parte dell’Ordine Nero detti OberGruppenfuhrer), esattamente sopra lo Schwarz Sonne si trovava un tavolo rotondo, attorno ad esso sedevano i dodici OberGruppenfuhrer. Himmler era il novello Artù, ed egli aveva ricreato la sua cosiddetta Camelot Nera; le sue SS sono i cavalieri della nuova Tavola Rotonda che ha il suo centro nello Schwarze Sonne della sala. Nascono così i Cavalieri dell’Ordine Nero, novelli Templari della crociata neopagana nazista. Il numero dodici si ripete ossessivamente nel castello perchè anch’esso è un simbolo. Questo è da sempre il numero “perfetto” per gli iniziati. Ognuno dei dodici cavalieri neri ha riservata per se una stanza all’interno del castello. Ogni stanza è arredata a tema con autentici pezzi d’epoca trafugati da mezza Europa in modo da far identificare il suo ospite con un personaggio storico ben determinato nell’iconografia esoterico-nazista. Se Himmler, grande appassionato di stori medievale, è convinto di essere la reincarnazione di Enrico I l’Uccellatore, anche i dodici rappresentanti dell’èlite SS devono calarsi nelle vesti di figure storiche quali Ottone il Grande, Enrico il Leone Federico Hohenstauffen, Re Artù. Hitler per esempio rappresentava Federico Barbarossa, e la sua stanza era arredata per ricordare quest’ultimo. Le SS, nate come un unità speciale che si doveva occupare della sicurezza del Fuhrer, si stanno così trasformando in vati e custodi di un sapere iniziatico di matrice esoterica che porterà al nuovo ordine mondiale hitleriano. Se la Gruppenfuhrersaal è sicuramente uno dei luoghi simbolicamente più importanti di tutto l’antico maniero di Wewelsburg, la Cripta della Torre Nord, che si trova esattamente sotto questa sala è il luogo più recondito del castello, il fulcro culturale di questa triste religione delle tenebre che va prendendo sempre più forma in questo tetro castello della Vestfalia. La struttura della cripta ricorda i modelli dell’architettura tombale micenea. Lungo il perimetro si trovano dodici piedistalli disposti circolarmente. I dodici OberGruppenfuhrer trovavano posto su queste dodici mezze colonne per dare vita a delle cerimonie che si basavano sulla meditazione runica. Queste meditazioni servivano a rievocare le antiche civiltà “elette” degli Iperborei e dei loro discendenti Ariani. Ognuno dei dodici cavalieri cercava tramite la meditazione runica nel profondo di se stesso un intimo legame con queste perdute civiltà.

Più si osserva la struttura della cripta più emergono dettagli che ci svelano la sua visionaria funzione. Le finestre ad esempio sono orientate appositamente per convogliare la luce al centro del locale. Al centro della cripta si trova infatti una zona circolare leggermente sbassata rispetto al resto della sala. E’ questo il cosiddetto “Cerchio Sacro”. Nel punto centrale del cerchio si trova ancora oggi traccia di un tubo che nel periodo dei rituali nazisti serviva ad alimentare con il gas una fiamma: il “Fuoco Sacro”. Il contrasto è notevole considerando che tutt’intorno regna la semioscurità: le pareti sono spesse più di un metro. Esattamente sopra il Cerchio Sacro la volta del soffitto presenta una grata a forma di svastica.
La presenza di alcuni fori sulla svastica ha fatto pensare ad alcuni studiosi che servissero a convogliare il fumo del fuoco che veniva acceso durante i riti.  Il più importante fra i vari rituali che venivano celebrati in questa cripta era quello
del solstizio d’inverno.  I dodici OberGruppenfuhrer in questa occasione davano fuoco ad uno stendardo con la Croce Uncinata consacrato da Hitler con il sangue dei primi martiri del nazismo caduti durante il Putsch di Monaco. Il fuoco serviva ad evocare lo spirito degli antichi maestri. Il fumo saliva nella Gruppenfuhrersaal soprastante nella quale altre SS vestite di nero traevano auspici da quelle grige spire. Questo rituale è storicamente attestato nelle carte culturali che Wiligut ha lasciato nel castello. Le quattro cavità presenti nella svastica, che oggi non comunicano più con il simbolo del Sole Nero del pavimento sovrastante avevano anche una funzione acustica potenziando l’effetto eco di chi si trovava al centro del Cerchio Sacro. Chi si posizionava in piedi vicino alla fiamma del Fuoco Sacro e sotto la svastica del soffitto veniva così a trovarsi immerso in un gioco simbolico di luci e rumori che in maniera suggestiva doveva aiutarlo nella rituale meditazione runica. Vari emissari furono mandati da Himmler in cerca del Graal, la preziosa reliquia tanto agonata dai nazisti. Il Sacro Calice avrebbe trovato collocazione proprio al centro del Cerchio Sacro del Walhalla costituendo l’altare di una nuova religione che si basava su pratiche esoteriche e teorie eugenitiche. Ma perchè il Graal, che era la reliquia per eccellenza del Cristianesimo, aveva tanta importanza per i cultori di questo neopaganesimo nazista? Il Graal secondo la tradizione più diffusa sarebbe un calice sacro fatto con un enorme smeraldo appartenuto al diadema di Lucifero e tagliato in 144 facce. E sarebbe altresì il calice usato durante l’ultima cena da Gesù. Ma è anche la sacra coppa usata da Giuseppe d’Arimatea per raccogliervi il sangue di Cristo trafitto dalla Lancia di Longino che per gli esoteristi legati al Nazismo non sarebbe altro che un rappresentante della scomparsa razza ariana. Anche il Santo Graal è dunque uno strumento di potere in quanto è stato in contatto con il sangue divino di un ariano, ed è da venerare nell’ambito delle cerimonie tenute a Wewelsburg per evocare il ritorno di una civiltà ariana che tragga le sue origini da quella Iperborea. Solo con il Santo Graal nelle mani dell’Ordine Nero si sarebbe potuto dare vita ad un nuovo ordine mondiale e compiere così l’originario programma delle società segrete Thule e Vril.

BIBLIOGRAFIA

· M. Dolcetta – Nazionalismo Esoterico, studi iniziatici e misticismo iniziatico nel regime hitleriano – Cooper Castelvecchi 2003
· G. Gallli – Hitler e il nazismo magico, le componenti esoteriche del Reich millenario 1999
· P. Moon – The Black Sun – Sky Books 1997
· A. Brissaud – Hitler et l’Ordre Noir – Libraire Academique Perrin 1969
· T. Ravenscroft – La Lance du Destin – Michel 1973
· O.Rahn – Crociata contro il Graal – Brabarossa 1979
· O.Rahn – La Corte di Lucifero – Barbarossa 1989
· Rivista Archeomisteri i quaderni di Atlantide 200

Meno biodiversità in città = più allergie e asma

Fonte: http://www.improntaecologica.it

Stando allo studio condotto da un team di ricercatori del Dipartimento di Bioscienze dell’Università di Helsinki (in Finlandia) e pubblicato sulla rivista scientifica PNAS (Proceedings of the National Academy of Sciences of the United States of America), la perdita progressiva della biodiversità contribuirebbe all’aumento di asma, allergie e altre malattie infiammatorie croniche tra le persone che vivono nelle città di tutto il mondo.
In particolare il team guidato da Ilkka Hanski, prendendo in considerazione un campione di 118 adolescenti che vivono nella parte orientale della Finlandia, ha cercato di capire se e come il contatto ridotto con la Natura e la biodiversità influenzasse la composizione di quei batteri che abitano la pelle, le vie aeree e l’intestino e la sensibilità agli allergeni.
I ricercatori hanno così scoperto che i ragazzi che vivono in campagna o vicino ai boschi hanno più specie diverse di batteri sulla pelle, e una sensibilità agli allergeni inferiore rispetto ai coetanei che vivono in aree in cui la biodiversità ambientale è ridotta, come appunto le città.
Inoltre, i soggetti risultati più sensibili agli allergeni, rispetto agli adolescenti sani, presentano sulla pelle una bassa diversità dei batteri, i così detti gammaproteobatteri, che possono aumentare la tolleranza immunitaria.
I risultati della ricerca suggeriscono, dunque, che la crescente diffusione di malattie infiammatorie può essere associata con il cambiamento della biodiversità dell’ambiente in cui si vive, fattore questo che influisce sulla popolazione di batteri “buoni” che ospitiamo sopra e dentro il nostro organismo.

«I miei anni nel carcere dell’Asinara»: la testimonianza di Carmelo Musumeci

Scritto da: monia Melis
Fonte: http://www.sassarinotizie.com/

«La cella sembrava una scatola di sardine», scrive Musumeci

SASSARI. È un groviglio di storie e di situazioni l’isola dell’Asinara: è stata sede di un lazzareto, di un carcere tristemente famoso e da quasi un anno Isola dei cassintegrati Vinyls, occupata in segno di protesta. Oltre al ruolo ufficiale di Parco nazionale, senza guida e strategia.
Carmelo Musumeci ha conosciuto e vissuto l’Asinara dell’era del carcere di Fornelli, da egastolano, negli anni ’90. Ecco il suo racconto in un’intervista domanda e risposta.

Le storie, una storia. Non è semplice contattare un detenuto, se non tramite la preziosa collaborazione dei volontari. Carmelo Musumeci ha vissuto in regime di 41 bis (legge n. 354 del 1975), il cosiddetto carcere duro ma ora si trova in regime di AS (alta sicurezza) e può quindi incontrare periodicamente i volontari. Grazie all’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, al servizio del carcere di Spoleto, in Umbria, dove è recluso, SassariNotizie si è messa in contatto con Musumeci che è stato recluso nel carcere dell’isola dell’Asinara per cinque anni: dal 1992 al 1997. I reati per cui è stato condannato sono associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio, estorsione, detenzione di armi e altro. Le domande sono state inviate via e.mail attraverso Nadia Bizzotto che le ha presentate a Musumeci. Un messaggio in bottiglia che è passato attraverso le visite in carcere, di settimana in settimana, fino al file finale completo che vi proponiamo qui sotto senza nessun filtro. Una testimonianza dura, quella di Musumeci che ha raccolto anche in un libro: “Gli uomini ombra” il nuovo libro, pubblicato da Gabrielli Editori.

Quanto tempo è stato in regime di 41 bis nel carcere dell’isola dell’Asinara?
Nell’isola del Diavolo, come la chiamavo io, ci sono stato cinque anni.

Per quale reato? E in che anni?
Associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio, estorsione, detenzione di armi e altro. Ci sono stato dal 1992 al 1997.

Può raccontare una giornata tipo di quel periodo? In che anni è stato?
Posso raccontarvi la mia prima giornata nell’isola del Diavolo, che ho riportato in un libro scritto con Alfredo Cosco, l’amministratore principale del blog. “Urla dal silenzio”, libro che probabilmente non vedrà mai la luce perché troppo pericoloso per me e per l”Assassino dei Sogni. (come chiamo io il carcere)
Ecco la mia prima giornata tipo all’Asinara:

22 luglio 1992
La chiamavano l’Isola del Diavolo. Era di luglio faceva un caldo torrido. Ero arrivato nell’isola con gli elicotteri.
Non ero mai stato in elicottero, non avevo neppure mai preso un aereo. Appena sceso dall’elicottero mi presero in consegna le guardie. Mi scaraventarono in una gabbia allestita provvisoriamente al centro del campo sportivo davanti alla famigerata sezione Fornelli. Notai subito che non c’era muro di cinta. Non serviva. Eravamo in un’isola. Il mare era il muro di cinta. Tre elicotteri, per portare i detenuti nell’isola, facevano avanti e indietro da Porto Torres all’Asinara.
La sera i viaggi dell’elicottero finirono di scaricare carne umana.
La gabbia era piena. Eravamo schiacciati come sardine.
Avevamo una sete tremenda.
Ci diedero solo una bottiglia d’acqua a testa.
Ci urlarono. – Se la finite subito, peggio per voi… ve ne spetta solo una al giorno.
Ad un tratto i senzanima si schierarono a destra e a sinistra lasciando un corridoio nel mezzo che portava dritto dentro il carcere. Le guardie avevano scudi in plexiglass e manganelli nelle mani. Mi guardai intorno. Ero già esperto di carcere.
Ad alcuni prigionieri vicino a me sussurrai:
– Appena aprono il cancello, correte più che potete e qualsiasi cosa vi accade non vi fermate fin quando non vi troverete chiusi in una cella.
Notai subito che la maggioranza dei compagni che avevo intorno non erano svegli.
Erano detenuti mafiosi alla loro prima esperienza carceraria.
Non erano come i delinquenti abituati fin da minorenni alle esperienze dei riformatori e ai carceri minorili.
I prigionieri mafiosi erano forti fuori, ma deboli in carcere.
In galera subivano e non si ribellavano mai.
Fuori erano dei boss abituati a comandare, dentro se la facevano sotto dalla paura. In galera sei solo contro tutti e non hai armi a parte il tuo coraggio.
Se vuoi sopravvivere, devi dimostrare quanto vali.
Io invece sono stato un ribelle sociale e ho sempre lottato sia contro la mafia sia contro lo Stato. Per me i due poteri erano la stessa cosa. Pensavo che per tanti anni la mafia e lo Stato fossero andati d’accordo ora invece si stavano bisticciando fra di loro. E ci stavo andando di mezzo io e qualche altro criminale onesto. Cercavo di proteggermi la testa, ma le manganellate arrivarono proprio lì. Ad un tratto sentii un colpo secco in testa accompagnato da una fitta tremenda di dolore, sbandai come un ubriaco. Proprio mentre stavo per cadere mi sentii afferrare per il collo della maglietta. Era un mio amico che riuscì a trascinarmi con sé. Arrivammo dritti nel corridoio della sezione.
Le celle erano già aperte. Man mano che le celle si riempivano le guardie chiudevano il cancello e sbattevano il blindato.
Alla prima che vidi vuota mi ci infilai dentro al volo.
Il mio amico fece altrettanto con quella accanto.

Può descrivere anche fisicamente i luoghi della sua detenzione nel carcere dell’Asinara?
La cella sembrava una scatola di sardine. Un fazzoletto di cemento, con la branda piantata al pavimento.
Un tavolino di pochi centimetri inchiodato al muro.
Una finestra con doppie sbarre. Una porta blindata spessa una spanna. Un bagno turco aperto senza nessuna riservatezza.
A lato un piccolo lavandino. Lo spazio nella stanza era minimo e a mala pena riuscivo a stare in piedi e potevo fare giusto qualche passo avanti e indietro. Le celle dell’Assassino dei Sogni dell’Asinara erano allocate nella parte meno illuminata della prigione. Più che celle sembravano tombe. L’aria sapeva di chiuso e di muffa. Mancava l’aria e la luce.
Dalla finestra della cella si poteva vedere solo una fetta di cielo, la parte più alta.
Nella finestra c’erano doppie file di sbarre e poi per completare l’opera una rete metallica fitta. L’acqua non era potabile e veniva giù marrone.

Ho letto che nel carcere dell’Asinara lei ha studiato.
Ho studiato per non impazzire, quando oltre al regime di tortura del 41 bis mi hanno applicato anche l’isolamento diurno, restando isolato da tutti e da tutto 24 ore su 24.
Ho studiato per corrispondenza perché non potevo ricevere libri e il mio tutore, Giuliano Capecchi, maestro in pensione, mi mandava qualche pagina di libro dentro le lettere.

Quali erano le sue attività?
Nessuna. A quel tempo il regime di tortura del 41 bis non prevedeva nessuna attività culturale, sportiva, lavorativa.

Conosceva l’isola e il carcere prima?
No!

Negli anni in cui è stato lei chi erano i detenuti illustri?
I detenuti illustri si sono subito pentiti e sono diventati collaboratori di giustizia.

Come si viveva?
Da cane in un canile.

Il rapporto con le guardie penitenziarie?
Come il carnefice con la vittima.

C’erano detenuti sardi?
Purtroppo non c’erano detenuti sardi perché se ci fossero stati forse le guardie per paura di rappresaglie locali non avrebbero fatto quello che hanno fatto.
Solo per un breve periodo ci sono stati due detenuti sardi nel carcere dell’Asinara.

Quali differenze tra il carcere dell’Asinara e gli altri?
Il giorno con la notte.

Che significa vivere in regime di 41 bis?
Essere torturato giorno e notte e non lo dico solo io, ma lo dice pure un famoso Procuratore di Palermo.
In questi giorni ho letto che un procuratore della direzione distrettuale antimafia di Palermo al convegno nazionale del SEAC ha dichiarato: “Non vanno toccati né il 41 bis né l’ergastolo (…) E’ storia che tutti i collaboratori di giustizia erano ergastolani, solo l’ergastolo ha costituito la molla che li ha spinti a collaborare” (Fonte: 43° Convegno Nazionale 2010 “Il crimine organizzato e l’ergastolo”).
Da un’altra parte ho letto: “I detenuti sottoposti al regime del carcere duro (41 bis) si uccidono con una frequenza 4,45 volte superiore al resto della popolazione carceraria” (Fonte: Ristretti Orizzonti). Ecco perché sono contento di essere quello che sono e di non essere una persona “perbene” come questo procuratore che, nonostante qualche morto, ritiene utile sia l’ergastolo che il carcere duro.

C’è chi propone di far diventare il carcere dell’Asinara un museo e chi addirittura vorrebbe farne un albergo o una struttura ricettiva. Cosa ne pensa?
Vorrei che diventasse un museo per ricordare a tutti cosa è stato l’Asinara. Si sa molto su cosa è accaduto cento, cinquecento, mille anni fa, ma si sa pochissimo su cosa è accaduto venti, dieci, cinque anni fa e non si sa nulla di quello che sta accadendo adesso.
Concludo con un breve brano sempre tratto dal libro che ho scritto con Alfredo Cosco sull’Asinara.

Nel giro di poche settimane i detenuti si adattarono a qualsiasi angheria. E per le guardie diventarono come dei giocattoli.
I senzanima ci trattavano come bestie. Ci torturavano, ci annientavano e ci umiliavano ma noi non reagivamo.
Alle guardie non erano mai capitati dei detenuti così docili e ne approfittarono. Molti di noi piuttosto che reagire decisero di diventare pentiti.
Alcuni mafiosi di spessore arrivarono nell’isola e dopo pochi giorni andavano via come collaboratori di giustizia.
Molti di loro si sentivano morti. Io mi sentivo ancora vivo.
Io resistevo, non avevo nulla di cui pentirmi. Non mi sentivo in colpa verso la società. Mi sentivo in colpa solo verso la mia compagna e i miei figli per averli lasciati soli.
Non avevo nulla da rimproverarmi. Avevo sempre rischiato del mio. Non avevo mai rischiato la vita degli altri. Nel mio modo di vedere era sbagliato uscire dal carcere mettendo un altro al posto mio. Non l’avrei mai fatto.

Il libro si intitola “Gli uomini ombra”, edito da Gabrielli Editori.
Si ringrazia per la collaborazione Nadia Bizzotto.

Produciamo abbastanza cibo per 10 miliardi di persone, ma la fame è in aumento. Perchè?

Scritto da: Luciano Tavella
Fonte: http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=606

Fame nel mondo e povertà. Un nuovo studio della McGill University e l’Università del Minnesota, pubblicato sulla rivista Nature, mette a confronto non solo le differenze di resa dell’agricoltura biologica rispetto a quella convenzionale ma anche quali siano le azioni da seguire per combinare le potenzialità dell’agricoltura convenzionale e biologica per soddisfare la doppia sfida legata ad una popolazione in crescita ed una dieta a base di carne e ad alto contenuto calorico, riducendo al contempo al minimo l’impatto ambientale.

Rimane il nodo riguardante la fame nel mondo.

Lo studio conclude che la fame nel mondo è causata dalla povertà e disuguaglianza, e non dalla scarsità di produzione. Negli ultimi due decenni, il tasso di produzione alimentare mondiale è cresciuta più velocemente del tasso di crescita della popolazione mondiale.

Il mondo produce già più di 1 volta e mezzo cibo sufficiente per sfamare tutti gli abitanti del pianeta. Questo significa che il mondo produce già abbastanza cibo per sfamare 10 miliardi di persone, ovvero il picco della popolazione previsto entro il 2050. Ma le persone che guadagnano meno di 2 dollari al giorno – la maggior parte dei quali sono agricoltori con scarse risorse che coltivano piccoli appezzamenti di terreno, non può permettersi di comprare questo cibo.

In realtà, la maggior parte della produzione industriale va per i biocarburanti e l’alimentazione degli animali confinati piuttosto che per alimentare 1 miliardo di affamati. Quindi l’invocata chiamata a raddoppiare la produzione alimentare entro il 2050 servirà solo se continuiamo a dare priorità alla crescente popolazione di bestiame ed automobili rispetto alle persone che soffrono la fame.

Lo studio conclude che il gap esistente fra le rese di produzione dell’agricoltura biologica rispetto a quella convenzionale non è tale da giustificare l’adozione del “metodo di coltura convenzionale” rispetto al “modello di coltura biologico” nei prossimi decenni. Questo in quanto si sono considerati nello studio il cambiamento climatico nei prossimi 40 anni, l’impoverimento del terreno e l’inquinamento legato all’utilizzo di fertilizzanti chimici.

Consiglio di continuare la lettura con questo articolo sullo spreco di cibo “Taste the Waste” : www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=534

USA e Italia in Giordania a provare la guerra

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/

A partire dal prossimo 15 maggio, la Giordania sarà al centro di una delle più imponenti esercitazioni belliche mai realizzate nello scacchiere mediorientale. Più di 12.000 militari provenienti da 17 paesi daranno vita ad Eager Lion 2012 che – secondo il Comando USA per le operazioni speciali – “avrà come obiettivo il rafforzamento delle relazioni tra le differenti forze armate attraverso un comune approccio multinazionale ed inter-governativo per affrontare tutte le odierne e future sfide per la sicurezza”. Salvo imprevisti, i giochi di guerra in Giordania dovrebbero concludersi entro i primi giorni di giugno.

In passato Eager Lion veniva svolta ogni due anni solo dai militari di Stati Uniti e Giordania. Da quest’anno invece vedrà la partecipazione dei reparti terrestri, aerei e navali dei principali paesi della regione mediorientale, Siria esclusa. “Essi verranno addestrati alla guerra irregolare, alle operazioni speciali e alla contro-insorgenza con il coordinamento di una task foce multinazionale guidata dai generali Ken Tovo dell’U.S. Special Operations Central Command e Mohammed Jeridad, direttore del comando per l’addestramento delle forze armate giordane”, ha dichiarato il maggiore Robert Bockholt, portavoce dei reparti speciali Usa. Le unità straniere sono giunte ad Amman nella prima settimana di maggio insieme a numerosi mezzi da guerra come carri armati, aerei ad ala fissa ed elicotteri d’attacco. Sempre secondo il maggiore Bockholt, nel corso delle operazioni sarà simulato un grave incidente chimico affinché “vengano preparati i corpi speciali nella gestione di interventi d’emergenza”.
I 12.000 militari saranno dislocati in diversi centri sparsi in tutto il paese e in particolare alle frontiere “critiche” con Israele e la Siria. Dopo che gli organi di stampa giordani hanno legato Eager Lion 2012 alla drammatica crisi che tormenta il regime di Damasco, il portavoce del Pentagono è intervenuto per spiegare che l’esercitazione non ha alcuna “relazione” con il conflitto interno e che è “mera coincidenza” che essa si realizzi contemporaneamente all’avvio della missione degli osservatori Onu in Siria. Per timore di un possibile inasprimento della crisi siriana, l’amministrazione Obama aveva deciso di annullare qualche mese fa la vasta esercitazione bilaterale Usa-Israele programmata per la primavera (Austere Challenge 12). Ad essa avrebbero dovuto partecipare i reparti d’élite dei due paesi dotati di batterie missilistiche, cacciabombardieri, tank e sistemi radar.
Con Eager Lion usciranno comunque rafforzati i legami tra gli Stati Uniti e il regno giordano. Amman è sin d’ora uno dei maggiori beneficiari degli “aiuti” economici e militari Usa in Medio Oriente (più di 2,4 miliardi di dollari negli ultimi cinque anni). Amman è pure sede di una delle maggiori basi operative d’oltremare delle forze armate statunitensi. A fine 2008, il consorzio AICI-Syska-Archirodon L.L.C. di Arlington vi ha realizzato un centro di addestramento per le operazioni speciali di US Army, intitolato al re Abdullah II (costo finale, 70 milioni di dollari). Sarà proprio il King Abdullah Special Operations Training Center ad ospitare il comando centrale di Eager Lion 2012.
Ancora oggi, il Pentagono mantiene il massimo riserbo sui paesi che parteciperanno alla vasta campagna militare di primavera in Giordania. Sicura tuttavia la presenza delle forze armate italiane. Nel corso della sua recente visita ad Amman dove ha incontrato il sovrano Abdullah II e il principe Feisal (assistente del Capo dello Stato Maggiore giordano), il ministro della difesa Giampaolo Di Paola ha annunciato la presenza di 43 militari italiani ad Eager Lion. “L’esercitazione multinazionale è stata organizzata con l’obiettivo di rafforzare l’interoperatività e le relazioni tra i paesi partecipanti nell’ambito delle Crisis Response Operations”, recita il comunicato emesso dal ministero della difesa. “Tra gli altri temi al centro dei colloqui italo-giordani, il Piano di Cooperazione bilaterale in campo tecnico – militare ed industriale. Per quanto attiene le operazioni internazionali, si è discusso pure della situazione in Afghanistan, delle lezioni apprese dall’operazione NATO Unified Protector in Libia ed è stata ribadita l’importanza del ruolo svolto dal nostro Paese per gli equilibri del Medio Oriente con l’operazione UNIFIL in Libano”.
Da rilevare come la visita del ministro-ammiraglio italiano e l’annuncio dei nuovi giochi di guerra in Giordania siano avvenuti in contemporanea all’inaugurazione della Jordan’s Special Operations Forces Exhibition (Sofex), la fiera annuale sugli ultimi ritrovati tecnologici delle industrie belliche internazionali. Tra gli operatori presenti, Selex Galileo, società del gruppo Finmeccanica, giunta ad Amman per presentare innanzitutto gli aerei a controllo remoto e d’attacco Falco, i sistemi elettro-ottici per il controllo del fuoco e le tecnologie per soldati che “possono dare una marcia extra alle operazioni speciali della Giordania ed alle forze di sicurezza interna”, come spiegato dai manager Selex.
“Il Falco è già in servizio operativo con quattro Nazioni ed è disponibile immediatamente”, hanno aggiunto. “Il velivolo ha una capacità di carico multipla e può essere integrato con un pacchetto di sensori che includono EO, radar Active Electronically Scanned Array (Aesa) radar e sistemi M-Scan”. Alla fiera dei piazzisti d’armi, la società ha pure offerto ai potenziali clienti l’elicottero d’attacco Linx e i sofisticati sistemi di controllo Aspis e Scorpio.

Lugano addio: il paradiso fiscale più forte d’Europa è finito sotto assedio

Scritto da: Vittorio Malagutti
Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/

Gli Stati Uniti demoliscono il segreto bancario. Gran Bretagna, Germania, Austria e ora Italia vogliono le tasse non pagate dagli evasori che hanno esportato capitali. E un intero sistema, quello della Svizzera, inizia a crollare.

“Sentito che cosa ha detto quella? Qui è finita per tutti. È solo questione di tempo, qualche anno, e poi ci costringono a chiudere bottega. La Svizzera intera può chiudere bottega”. Il cielo cupo sopra Lugano in una domenica di pioggia ispira pensieri tristi, ma il banchiere che si fuma l’ennesima sigaretta seduto a un tavolo con vista lago non ha l’aria, e neppure il curriculum, dell’uomo sentimentale. Se la prende con una donna, la maledice senza neppure nominarla.

La signora in questione si chiama Eveline Widmer-Schlumpf e siede al governo di Berna come presidente e responsabile delle Finanze. È lei, ormai, il nemico numero uno dei banchieri. La ministra svende agli stranieri il futuro della Confederazione, questa l’accusa. Peggio: si è arresa senza combattere di fronte alle pressioni di americani, tedeschi, inglesi, perfino degli italiani, tutti impegnati a dare la caccia al denaro nero degli evasori fiscali nascosto nelle banche elvetiche. Finanza contro politica, mai visto nulla di simile da queste parti, in un Paese che ha sempre visto il governo allinearsi scrupolosamente alle direttive dei signori del denaro. Per la prima volta l’esecutivo di Berna ha osato mettere in discussione il tabù nazionale, l’inviolabile segreto bancario su cui il Paese degli orologi a cucù e del cioccolato ha costruito la sua enorme ricchezza. “La Svizzera lava più bianco”, accusava più di vent’anni fa il sociologo ginevrino Jean Ziegler in un libro che faceva a pezzi la casta del potere elvetico, complice di un colossale sistema di riciclaggio.

Le nuove paure

I tempi cambiano. La Svizzera adesso ha paura. Gli Stati Uniti e l’Europa, travolti da una crisi economica senza precedenti, non possono più permettersi di ignorare il tesoro accumulato nei forzieri di Zurigo, Ginevra e Lugano da milioni di evasori fiscali. Mentre i tagli in bilancio massacrano il welfare, i governi devono dare un segnale d’impegno anche sul fronte delle entrate. E visto che le tasse, nuove e vecchie, finiscono per massacrare i soliti noti, che c’è di meglio di una crociata contro i santuari dell’evasione fiscale? A Berna hanno capito il messaggio.

“Il dovere di diligenza dei banchieri va esteso per evitare che giungano nei nostri istituti di credito fondi stranieri non dichiarati al fisco”. Ecco, testuali, le parole della ministra Widmer-Schlumpf che tre mesi fa hanno acceso le polemiche. Se una simile riforma andasse in porto sarebbe una mezza rivoluzione. Adesso i banchieri hanno il dovere di fare ogni accertamento possibile sulla provenienza del denaro depositato dal cliente. Se c’è il sospetto che i soldi siano il frutto di attività criminale allora scatta l’obbligo di denuncia all’autorità anti-riciclaggio. Il governo di Berna, questa la novità, vorrebbe che le verifiche del funzionario di banca fossero estese anche alle questioni fiscali. Non pagare le tasse diventa un crimine e quindi il cliente sospetto evasore va denunciato, proprio come il riciclatore del denaro della droga. E se un Paese straniero dovesse chiedere assistenza in un’indagine, anche amministrativa, su una presunta evasione tributaria, la banca svizzera sarebbe obbligata a fornire le informazioni richieste.

Sempre meno segreti

Gli ambienti finanziari protestano: fin qui le questioni fiscali erano al riparo da qualsiasi indagine. Il segreto bancario copriva tutto. “Va a finire che ci tocca chiedere la dichiarazione dei redditi ai clienti”, esagera il banchiere ginevrino. I politici però insistono. Il governo di Berna, ha pubblicato un documento, una trentina di pagine, intitolato “Strategie per una piazza finanziaria competitiva e conforme alle leggi fiscali”. É la “Weissgeldstrategie”, la strategia del denaro bianco che serve a tagliare i ponti, almeno a parole, con un passato imbarazzante. Buoni propositi, niente di più. Ma le ipotesi di riforma su una materia tanto delicata hanno mandato in bestia i banchieri. Sentite che cosa ha detto, una decina di giorni fa, il ticinese Sergio Ermotti, l’ex braccio destro di Alessandro Profumo all’Unicredit approdato l’anno scorso sulla poltrona di numero uno di Ubs, colosso del credito elvetico: “Gli attacchi al segreto bancario non sono altro che una guerra economica”, ha dichiarato Ermotti al giornale zurighese SonntagsZeitung.

“Questa guerra mira a indebolire la piazza finanziaria elvetica per favorire i nostri con-correnti” ha aggiunto il capo di Ubs. Insomma, il mondo intero trama per svaligiare i forzieri svizzeri. La posta in gioco è colossale. Si calcola che le 320 banche della Confederazione gestiscano patrimoni per oltre 4.500 miliardi di euro. Più della metà di questo tesoro proviene da Paesi stranieri. La sola Italia avrebbe contribuito con 150 miliardi. Una stima per difetto, probabilmente. I banchieri temono che la semplice possibilità di un accordo sulla tassazione dei capitali esportati illegalmente sia sufficiente a mettere in fuga buona parte dei clienti. E questo sarebbe un problema serio per un’economia come quella elvetica in cui il settore finanziario produce oltre il 10 per cento del valore aggiunto complessivo.

La crisi oltre la finanza

La Svizzera però non è solo finanza. Nel territorio della Confederazione hanno sede migliaia di imprese che fanno business con l’Europa. E allora bisogna mantenere buoni rapporti con i Paesi vicini, altrimenti rischia di affondare l’economia, in gran parte orientata all’export.

Quando era ministro dell’Economia, Giulio Tremonti ha fatto in modo che la Svizzera venisse inserita nella black list dei Paesi non collaborativi in materia fiscale, tipo Cayman e Bahamas. Questa decisione ha creato enormi problemi alle aziende svizzere che lavorano con l’Italia. Per questo Berna non può fare a meno di inviare segnali distensivi. Che cosa succederebbe, per dire, se Londra sospendesse l’autorizzazione delle banche elvetiche a lavorare nella City? Nasce con queste premesse il negoziato per i nuovi trattati fiscali con Germania e Inghilterra. E anche il governo di Mario Monti adesso ha imboccato la stessa strada.

Il conto agli evasori

Una multa pesante, fino al 44 per cento della somma esportata illegalmente, e la promessa di pagare le tasse in futuro. Sono questi gli ingredienti del colpo di spugna per i furboni del fisco. Un regalo agli evasori, protesta l’opposizione socialdemocratica tedesca. E anche in Gran Bretagna l’accordo, deve ancora essere ratificato dal Parlamento. In Italia la trattativa con Berna ripartirà il 24 maggio, come annunciato mercoledì da una nota dei due governi. Trovare l’accordo non sarà facile. A meno che non siano gli svizzeri a mandare tutto a monte. L’Udc, il partito nazionalista di Cristoph Blocher minaccia di promuovere un referendum per bloccare i negoziati. I banchieri approvano.

Il presidente Perona: “A Bolzano un’Adunata storica, condivisa da tutti”. Oltre 300.000 per le penne nere

Fonte : http://www.ana.it/

“Quella di Bolzano è stata un’Adunata storica, condivisa da tutti i cittadini, una grande festa popolare in cui hanno trionfato lo spirito di fratellanza amicizia e responsabilità. Grazie ai cittadini di Bolzano e alle istituzioni locali che hanno lavorato con noi per questo straordinario successo”, con queste parole Corrado Perona, presidente dell’Associazione Nazionale Alpini, ha chiuso l’85ª Adunata delle Penne Nere. Oltre 300mila persone sono arrivate nella città altoatesina per assistere alla sfilata degli alpini, durata più di 10 ore.

Erano presenti il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, il Capo Stato Maggiore della Difesa Biagio Abrate il Capo Stato Maggiore dell’Esercito Claudio Graziano e il comandante delle Truppe Alpine Alberto Primicerj; il presidente Franco Marini ha partecipato in rappresentanza del Senato. Momenti di forte commozione quando il caporale maggiore Luca Barisonzi gravemente ferito in Afghanistan ha sfilato con la sezione di Milano e, arrivato davanti al Labaro dell’ANA, nonostante i gravi problemi di mobilità alle braccia, ha fatto il saluto.

Dice Perona, “E’ stato un momento di profonda emozione. Questa Adunata è stata per noi piena di momenti commoventi: il ritorno nei luoghi dove molti hanno fatto la naja, il calore dei bolzanini e la città piena di Tricolori.”

Un lungo applauso ha accolto anche il plotone in armi del Battaglione San Marco che ha sfilato insieme agli alpini. Sotto la tribuna d’onore lo striscione: “Gli alpini al fianco dei marò” per tenere alta l’attenzione sul destino dei due fucilieri di Marina, Massimiliano Latorrre e Salvatore Girone. “Gli alpini non lasciano mai indietro nessuno, terremo alta l’attenzione su questi nostri soldati. Finché non saranno tornati a casa.”, ha concluso Perona, “E vogliamo che siano con noi alla prossima Adunata”. Appuntamento a Piacenza, nel 2013.

Una sperimentazione per usare il curry in caso di cancro

Scritto da: Andrea Piccoli
Fonte: http://www.italiasalute.it/11063/h/Una-sperimentazione-per-usare-curry-in-caso-di-cancro.html

Si era già parlato dell’eventuale efficacia della curcumina in caso di cancro, ma ora un team di ricercatori dell’Università di Leicester sembra intenzionato a verificarla su modello umano.
I ricercatori sperano di dimostrare che la sostanza è in grado di migliorare la risposta dei pazienti alla chemioterapia. Studieranno se le pastiglie che contengono curcumina, che si trova nella curcuma, possono essere aggiunte senza rischi alle cure standard per il cancro intestinale che si è diffuso in altre parti del corpo.
I pazienti in stadio avanzato di cancro intestinale di solito ricevono una cura chiamata FOLFOX, che riunisce tre farmaci chemioterapici. Circa il 40-60% dei pazienti però non risponde al trattamento e per quelli che rispondono gli effetti collaterali spesso includono un grave formicolio o dolore del nervo, che possono limitare il numero diil numero di cicli di cura che i pazienti possono ricevere.
Il coordinatore della ricerca, il professor William Steward dell’Università di Leicester, osserva: “una volta che il cancro intestinale si è diffuso è molto difficile curarlo, in parte a causa degli effetti collaterali della chemioterapia che possono limitare il tempo per il quale i pazienti sono in grado di ricevere la cura. La prospettiva che la curcumina possa aumentare la sensibilità delle cellule del cancro alla chemioterapia è interessante perché potrebbe significare che potremmo darne dosi più basse, in modo che i pazienti abbiano meno effetti collaterali e possano sottoporsi alla cura per più tempo. Si tratta di una ricerca ancora allo stato iniziale, ma studiare le potenzialità delle sostanze chimiche delle piante per curare il cancro è un’idea affascinante e speriamo di poter fornire indicazioni per sviluppare nuovi farmaci in futuro”.
Lo studio analizzerà approssimativamente 40 pazienti affetti da cancro intestinale che si è diffuso nel fegato. Tre quarti dei pazienti assumeranno pastiglie di curcumina per sette giorni, prima di essere sottoposti alla cura con FOLFOX. Il resto del gruppo fungerà da gruppo di controllo in modo che gli scienziati possano confrontare i risultati e riceveranno solo la cura FOLFOX.
Uno dei partecipanti, Colin Carroll, un consulente di 62 anni di Loughborough nel Regno Unito, ha accettato di partecipare all’esperimento dopo la diagnosi di cancro intestinale avanzato a gennaio.
“La diagnosi è stata uno shock perché non avevo avuto sintomi a parte alcuni crampi occasionali. Avevo fatto degli esami ed erano risultati negativi e avevo appena prenotato una tomografia computerizzata (TC) quando sono stato portato d’urgenza in ospedale con un sospetto di blocco intestinale. Sapere di avere una cosa che avanza dentro di me senza che io ne abbia alcun controllo mi ha fatto venire la voglia di lottare. Per questo ho accettato subito di partecipare all’esperimento”.
I sintomi del cancro intestinale comprendono la presenza di sangue nei campioni di feci e un inspiegabile cambiamento delle abitudini dell’intestino, come diarrea o costipazione prolungate. Un’inspiegabile perdita di peso costituisce un altro sintomo.