Emergenza caldo: i consigli del Ministero della Salute

Fonte: http://www.informasalus.it/it/articoli/emergenza-caldo-consigli.php

È previsto tra giovedì e venerdì il picco dell’ondata di caldo portata in Italia dall’anticiclone africano Scipione. Il bollettino quotidiano del ministero della Salute prevede infatti per venerdì ‘allarme rosso’ per nove città, contro le sei di giovedì.

Saranno Brescia, Cambopasso, Firenze, Frosinone, Latina, Perugia, Rieti, Roma e Viterbo le città dove sono attese condizioni di emergenza con possibili effetti negativi sulla salute di persone sane e attive e non solo sui sottogruppi a rischio come gli anziani, i bambini molto piccoli e le persone affette da malattie croniche.

Il Ministero della Salute ha pubblicato sul proprio sito un vademecum per affrontare le alte temperature. Bere molto, evitando alcolici e possibilmente bevande con zucchero, mangiare frutta fresca, agrumi, fragole, meloni e verdura colorate che proteggono dai danni provocati dall’ozono. È sconsigliata l’uscita a bambini molti piccoli, anziani e persone non autosufficienti durante la fascia oraria della 11 alle 18.

Si consiglia poi di indossare abiti comodi e leggeri, possibilmente proteggere la testa dal sole con un cappello di colore chiaro e gli occhi con occhiali da sole. Alcune condizioni abitative (es. scarsa ventilazione, assenza di aria condizionata) possono causare disagio ed effetti dannosi sulla salute delle persone più a rischio.

La doppia vita della figlia del dittatore

Fonte: http://www.iljournal.it/2012/la-doppia-vita-della-figlia-di-un-dittatore/358430

La figlia del dittatore dell’Uzbekistan Islam Karimov, è una stilista, una benefattrice, una cantante. Ma è anche la persona più odiata del suo paese perchè sospettata di affari illeciti.

Se basta dire Googoosha per ottenere dagli appassionati della musica da discoteca, un immediato cenno di riconoscimento ed anche qualche accenno della canzone più famosa della cantante in questione, pronunciare il nome di Gulnara Karimova fa scendere un silenzio di totale ignoranza.

Somo la stessa persona in realtà ma la Karimova fino ad ora è stata brava a tenere separate le sue due vite: quella di figlia del feroce (si dice) dittatore dell’Uzbekisatn Islam Karimov e quella di popstar e creatrice di moda. Ovviamente nella sua patria sanno tutto di lei ed anche sulla figura di Gulnara girano voci tutt’altro che tranquille: la maggior parte degli uzbeki la considera un brigante, ed è la persona più odiata del paese. Di più sarebbe anche legata alla mafia russa secondo alcuni suoi connazionali, e nel commercio di bambini per la raccolta del cotone al punto che l’anno scorso a New York un gruppo di manifestanti costrinse la Karimova a cancellare il lancio di una sua linea di moda, Guli.

La Karimova ha 39 anni, è stata istruita ad Harvard, partecipa ad una importante iniziativa di beneficenza per la lotta contro il tumore al seno e sostiene con parecchi soldi le fondazioni presiedute da Bill Clinton e dal Principe Alberto di Monaco.

Vive in Svizzera e registra canzoni di successo per ballare, come il suo hit più importante per adesso “Run Round”.

 

Monsanto presenta Roundup: efficace diserbante che distrugge anche il tuo DNA

Fonte: http://www.altrainformazione.it/wp/2012/06/18/monsanto-presenta-roundup-efficace-diserbante-che-distrugge-anche-il-tuo-dna/

Miliioni di once di Roundup usate ogni anno sui giardini d’America, sulle siepi e molto intensamente anche nelle fattorie con coltivazione OGM … “raccolti pronti col Roundup”.
Anche se poco dopo averlo sparso sul suolo ci si può anche dimenticare di lui, non averne più il ricordo nemmeno quando si mangiano le patatine o il cibo già pronto che lo contiene, dal grano e soia che vi sono presenti… il pesticida non scompare magicamente.
Nuovi studio mostrano che il glifosato, l’ingrediente attivo nell’erbicida Roundup della Monsanto, contamina ogni cosa: dal cibo, all’aria, alle falde acquifere e gli esseri umani.
Non ultimo: È STATO TROVATO DEL GLIFOSATO NELLE URINE UMANE. Nella rivista tedesca ITHACA, una ricerca ha rivelato che esistono significative concentrazioni di glifosato nei campioni di urine di abitanti di città. I partecipanti allo studio avevano concentrazioni di glifosato da 5 a 20 vole oltre i limiti per quel che riguarda l’acqua potabile!
La sostanza chimica non è usata solo nella produzione di cibo ma viene anche spesso spruzzata lungo i binari della ferrovia, ai cigli delle strade e nelle pavimentazioni urbane. Il glifosato è uno dei veleni più sottovalutati nel mondo. Una ricerca pubblicata nel 2010, ha mostrato che la sostanza chimica, che agisce inibendo l’enzima sintesi EPSP, necessario alle piante per crescere, causa malformazioni alla nascita negli embrioni di rane e polli in livelli inferiori che se usato in agricoltura e giardinaggio. Sconvolgente, ma la quantità di glifosato residuo a cui possiamo essere sottoposti con i cibi che lo contengono, è decisamente alta, ovvero è vicina al limite residuo massimo consentito.
Senza contare che, quando applicato ai raccolti, il glifosato diventa sistemico in tutta la pianta, ovvero non può essere eliminato da essa. Una volta che mangiate questo grano, il glifosato finisce nel nostro corpo e tratto gastrointestinale, dove può decimare i batteri benefici, cosa che può mandare il tilt la salute; l’80 percento del sistema immunitario risiede in quegli organi.
Quale il seguito delle affermazioni della Monsanto sul fatto che il Roundup sia biodegradabile e “Environmentally Friendly” (non danneggi l’ambiente)?
È evidente che la sostanza chimica persiste nell’ambiente a livelli allarmanti, nonostante la Monsanto affermi il contrario.
Uno studio recente ha utilizzato una analisi immunologica di una particella magnetica per testare la presenza di glifosato in circa 140 campioni di acqua freatica provenienti dalla Catalogna, Spagna; dall’indagine risulta che il glifosato è presente oltre il limite di quantificazione nel 41 per cento dei campioni. Dato che l’acqua freatica è usata come fonte per l’acqua potabile, tale contaminazione costituisce un rischio per animali, piante ed umani.
Oltre alle potenziali implicazioni per la salute animale ed umana, la sostanza chimica è anche collegata ad un numero di devastanti conseguenze ambientali, inclusa la sindrome di morte improvvisa (Sudden Death Syndrome SDS), incluso una seria malattia vegetale e la creazione di supererbacce (superweeds).
Evitare OGM significa frenare l’uso di glifosato. È importante evitare l’uso del roundup nei giardini di casa e nelle aiuole ma su più ampia scala, il modo migliore per combattere contro questa sostanza chimica è boicottare i raccolti OGM, che sono stati sviluppati per l’uso di questa sostanza. OVVERO NON ACQUISTARE PRODOTTI OGM.

Frutta e verdura: ecco i 10 cibi che fanno abbronzare di piu’

Scritto : Verdiana Amoros
Fonte: http://greenme.it/mangiare/di-stagione/7897-frutta-verdura-abbronzanti-coldiretti

Frutta e verdura alleate dell’abbronzatura e contro il caldo. La tintarella vien mangiando gli alimenti giusti! Carote, insalate, cicoria, lattughe, meloni, peperoni, pomodori, albicocche, fragole e ciliegie: è la top ten dei “cibi abbronzanti”, in grado di stimolare la produzione di melanina, e quindi l’abbronzatura, ma anche proteggere l’organismo dal caldo estivo.

A confermarlo è la Coldiretti, che – dopo l’arrivo improvviso del caldo e dell’afa portata dall’anticiclone “Scipione l’Africano” – ha stilato una classifica degli alimenti naturali, che aiutano l’abbronzatura e idratano l’organismo.

Questi alimenti infatti tipici della stagione estiva, riescono – grazie all’alto contenuto di liquidi e sali minerali – a proteggere l’organismo dai colpi di calore e dagli effetti provocati dalle temperature molto alte, nettamente superiori alle medie stagionali.

Con il grande caldo, infatti, – ha detto la Coldiretti – consumare carote, insalate, cicoria, lattughe, meloni, peperoni, pomodori, albicocche, fragole o ciliegie serve a difendersi dai colpi di calore, ma anche a preparare l’abbronzatura estiva. Anche chi è ancora costretto a rimanere in città infatti può difendersi dal caldo e prepararsi alla tintarella estiva con una dieta adeguata, che si fonda sul consumo di cibi ricchi di vitamina A che – ha continuato la Coldiretti – favorisce la produzione nell’epidermide del pigmento melanina per donare il classico colore ambrato alla pelle“.

Ma perché questi cibi sono particolarmente indicati per l’abbronzatura?

Per il loro alto contenuto di vitamina A, che stimola la produzione di melanina, favorendo quindi una tintarella naturale.

Al primo posto della classifica della Coldiretti troviamo ancora una volta le carote, abbronzante naturale per eccellenza, che contengono 1200 microgrammi di vitamina A (o quantità equivalenti di caroteni) ogni 100 grammi di polpa.

Al secondo posto ci sono invece i radicchi, che ne contengono circa la metà, mentre al terzo le albicocche, seguite immediatamente da cicoria, lattuga, melone giallo e sedano, peperoni, pomodori, ma anche pesche gialle, cocomeri, fragole e ciliegie, che evidenziano comunque contenuti elevati di vitamina A o caroteni.

Inoltre, il consumo regolare ed abbondante di frutta e verdura, ricca di vitamine e sali minerali, aiuta l’organismo a stare in forma e a combattere i radicali liberi derivanti dall’esposizione solare.

Insomma, la frutta e la verdura (e in particolare i cibi che rientrano nella top ten della Coldiretti) sono dei veri e propri toccasana, perché nutrono, dissetano, reintegrano i sali minerali persi con il sudore, riforniscono di vitamine, regolano l’intestino (grazie alla presenza di fibre) e contrastano l’azione dei radicali liberi.

Via libera quindi a macedonie, smoothie e insalate, specie se a base di verdure crude!

Lettera a mio fratello. Che ha violentato mio figlio, suo nipote.Ed al mondo che lo difende.

Scritto da : Massimiliani Frassi
Fonte: http://www.massimilianofrassi.it/blog/

Sono tante le lettere di questo tipo che ogni settimana riceviamo. Dolorosissime nel contenuto, ma per certi versi terapeutiche, nella scrittura. Che permette in qualche modo al male di uscire, trovando, almeno in questo spazio, un momento di comprensione oltre che appunto di condivisione.
Elena, il nome è di fantasia, o forse no, poco importa. Vivo, vivissimo il suo dolore. Sembra lava accesa che solo passandoti accanto brucia e trasmette quel calore che qua è DO-LO-RE.
A lei scrivo qua quello che in privato più volte le ho detto. Solo vivendo. Solo riportando (come sta facendo) il suo bimbo alla vita, ad una vita serena, lei avrà vinto. E da grande il suo piccolo gliene renderà merito. Da tempo è sulla buona strada e ogni tanto è umano che ci sia un momento di sconforto. Solo i predatori di bambini non hanno momenti di sconforto, anche in quello sono diversi da noi.

“quanto male hai fatto ad un bambino e sottolineo BAMBINO. come hai potuto. tu che sei purtroppo mio fratello e a te ho affidato il mio cucciolo nel periodo più buio della mia vita! dovevi proteggerlo cullarlo dargli amore affetto sostituendo per un po’ l’assenza del suo adorato papà che lottava contro un male veramente duro da combattere. tu che eri sempre così disponibile! tu che eri sempre pronto ad aiutarmi! tu che mi convincevi che mio figlio era violento perchè gli mancava il padre! tu che maledizione eri mio fratello! tu che gli hai fatto le cose più orribili! tu essere immondo che hai fatto credere ad un bambino di appena 2 anni che quelli erano giochi!…. zio questo gioco non mi piace! perchè mi fai male?!? tu che gli rispondevi: perchè sei stato cattivo e io ti sto punendo. tu bestia! che hai 2 bambini di cui mi preoccupo ogni giorno! tu che hai rubato un infanzia!!!! perchè??? rispondimi!!! mi senti?!? perchè gli hai fatto le cose più mostruose???….. hai abusato di mio figlio per 7 lunghi anni, hai approfittato della nostra fragilità, vulnerabilità, dei nostri drammi , dell’ignoranza della gente facendo credere di essere una persona normale o addirittura esemplare…vergognati!!! e di quelli che sono i miei genitori che dire?!?
non ho definizioni per un padre che chiede di ritirare la denuncia solo per poter morire in pace e senza chiedere una sola volta di come stesse il nipote! quel bambino che tanto soffriva!!!!!!!! di una madre che ha definito il proprio nipote un complessato, un handicappato. una madre che pur di difendere il falso ha tirato fuori con una crudeltà disarmante la più grande sofferenza della propria figlia..una violenza! avevo solo 14 anni!
mi fai schifo mamma!!!
tutto questo per far si che si credesse che quel bimbo ha una mamma che non è stabile in quanto ha subito una violenza! quando l’ho saputo ho avuto male allo stomaco e non ho potuto fare a meno di vomitare. provo un dolore immenso per il male fatto a mio figlio! la giustizia non è stata così giusta!!! mi vergogno di avere avuto una famiglia crudele! ma allo stesso tempo sono orgogliosa di essere la persona che sono oggi. sono fiera di mio marito e dei nostri straordinari figli del nostro ridere, piangere, lottare, vivere….. e tutto questo è grazie a noi che abbiamo creduto nella forza dell’amore che ci aiutiamo a vicenda ogni volta che cadiamo..
.. che DIO vi perdoni!!!
perchè io non lo farò mai!
con profondo disprezzo
ELENA”

Gli USA e la politica mediorientale “preelettorale”

Fonte: One Response
Tradotto da : http://www.medarabnews.com/

I fatti epocali, e spesso sanguinosi, che stanno cambiando il volto del Medio Oriente, hanno in gran parte distolto l’attenzione dall’evoluzione delle politiche americane nella regione.

Esse tuttavia rimangono di importanza cruciale, anche nel determinare il corso degli eventi attuali, malgrado i numerosi discorsi che sono stati fatti sul declino dell’influenza americana a livello mondiale.

A prima vista, Washington sembra mantenere un “basso profilo”, o comunque un approccio “mediano” e multilaterale, in molte delle crisi mediorientali – dalla transizione egiziana alla rivolta siriana, alla crisi nucleare iraniana.

La necessità di rimettere ordine in casa propria, innanzitutto facendo fronte alla grave crisi economica interna, e le elezioni presidenziali del prossimo mese di novembre, sembrano distogliere ulteriormente la Casa Bianca dagli affari mediorientali, spingendola in apparenza verso un impegno più sfumato e diluito nel tempo, e certamente meno incline a ulteriori “avventure” militari dopo le disastrose esperienze dell’Iraq e dell’Afghanistan.

Eppure le scelte di Washington, a prescindere dal loro orientamento, continuano ad essere determinanti, ed alcuni atteggiamenti dilatori, così come certe manifestazioni di intransigenza – comportamenti dettati rispettivamente dall’esigenza di rinviare alcune questioni cruciali a dopo le elezioni, e da quella di attrarre il maggior numero di consensi nella campagna elettorale in corso – rischiano di avere gravi ripercussioni sulla regione mediorientale.

Le rivelazioni apparse sulla stampa americana nelle scorse settimane – che hanno messo a conoscenza l’opinione pubblica (non solo americana, ma internazionale) di un’escalation senza precedenti nelle operazioni condotte dagli aerei senza pilota (droni) in Pakistan e nello Yemen, e del ruolo di primo piano giocato dall’amministrazione Obama in una guerra “segreta” in atto (a livello informatico, e non solo) contro l’Iran – certamente non sono prive di conseguenze.

Almeno una parte di tali rivelazioni, a giudizio di molti osservatori, sarebbe stata “pilotata” direttamente dalla Casa Bianca nell’ambito di una campagna di immagine volta a promuovere, in patria, la candidatura di Obama al suo secondo mandato.

Ma se far sfoggio di determinazione, e di una politica del “pugno di ferro” quando si tratta di difendere la sicurezza nazionale, certamente rafforza Obama sul fronte interno e neutralizza gli attacchi dei repubblicani che lo accusano di passività e arrendevolezza, per altro verso ciò ha effetti devastanti sull’immagine dell’America in Medio Oriente e rischia di compromettere ulteriormente il già traballante negoziato sulla questione nucleare iraniana alla vigilia dei colloqui di Mosca (da alcuni considerati come “l’ultima spiaggia” dopo il deludente esito dell’incontro di Baghdad).

DALL’AUDACIA DELLA SPERANZA AL “PRAGMATISMO” BIPARTISAN

Le recenti rivelazioni rappresentano inoltre l’ennesima dimostrazione di quanto Obama si sia allontanato dagli assunti retorici con cui si era presentato al mondo islamico al momento della sua elezione, ricadendo in un approccio non troppo distante da quello del suo predecessore alla Casa Bianca.

Al momento di assumere il proprio incarico nel 2009, Obama si era riproposto di rivoluzionare i rapporti dell’America con il mondo islamico aprendo una nuova pagina di dialogo e cooperazione, di porre fine alle guerre in Afghanistan e in Iraq, di riavviare il processo di pace israelo-palestinese, e di privilegiare l’approccio diplomatico con l’Iran.

Ma, a più di tre anni da allora, la popolarità degli USA nel mondo islamico rimane ai minimi storici, il processo di pace in Palestina appare irrimediabilmente compromesso, il ritiro dall’Iraq è stato portato a termine lasciandosi alle spalle un paese diviso e sempre sul punto di ripiombare nella violenza settaria, l’impegno in Afghanistan non ha raggiunto alcun obiettivo duraturo mentre nel paese continua a scorrere il sangue, e l’apertura diplomatica nei confronti dell’Iran si è dissolta in un’escalation di sanzioni e di tensioni che potrebbero addirittura sfociare in un conflitto armato.

Come ha scritto l’analista arabo-americano James Zogby, l’establishment politico di Washington ha continuato a vivere “nella casa costruita da Bush”. Sia in patria che all’estero, gli effetti delle disastrose politiche della precedente amministrazione sono rimasti evidenti ovunque.

Pur abbandonando l’insostenibile approccio bellico su scala globale di Bush, Obama non ha saputo promuovere una politica realmente alternativa, rimanendo intrappolato nelle categorie mentali del suo predecessore.

Al di là delle aspre battaglie retoriche che contrappongono i democratici ai repubblicani, quello che è emerso dopo la fine dell’era Bush è un notevole “consenso bipartisan” sulle principali questioni di politica estera, in particolare per quanto riguarda il Medio Oriente.

Certamente esistono delle differenze tra Obama e il candidato repubblicano Romney, soprattutto rispetto all’approccio nei confronti di Israele, dell’Iran o della Russia. Ma tali differenze spesso riguardano i mezzi, più che i fini, e sono certamente acuite dalla retorica preelettorale.

Ad esempio, senza dubbio Romney è più schiacciato sulle posizioni del governo israeliano di quanto non lo sia Obama, ma ciò non ha impedito a quest’ultimo di cedere su tutta la linea per quanto riguarda il negoziato con i palestinesi, ed allo stesso tempo di sostenere Israele sotto il profilo della “sicurezza” (accordando aiuti tecnologici e militari) come forse nessun’altra amministrazione USA aveva fatto prima d’ora.

Similmente, nei confronti dell’Iran Obama certamente privilegia il binomio “sanzioni-negoziati” rispetto a un’eventuale opzione militare più di quanto non faccia Romney. Ma ciò non significa che l’attuale presidente abbia fatto concessioni significative a Teheran, né che egli non sarà pronto a intraprendere un’azione militare qualora l’Iran non ceda alle richieste americane, smantellando gran parte del proprio programma nucleare e sottoponendolo a una strettissima supervisione internazionale.

Allo stesso modo, Obama non ha affatto abbandonato la guerra globale “al terrore”, ma l’ha semplicemente riformulata, affidandosi alle operazioni speciali ed alle campagne degli aerei senza pilota piuttosto che ai costosi e insostenibili interventi militari tradizionali incentrati sull’invio di “truppe sul terreno”.

Emblematica di questo approccio è stata l’operazione piena di ombre e punti interrogativi con cui è stato “liquidato” Osama bin Laden.

Il nuovo consenso bipartisan sulla “guerra al terrore” richiede che i “cattivi” vengano uccisi prima che possano colpire l’America (cioè, mantiene il principio della “guerra preventiva”, senza starsi troppo a preoccupare sull’effettiva identità dei presunti “cattivi” e sulle loro reali intenzioni, come apparirà meglio nel seguito dell’articolo), ma sostiene che sia possibile farlo senza invadere altri paesi e senza accollarsi perciò la responsabilità di ricostruirli.

Allo stesso tempo, al di là della retorica preelettorale, all’interno dell’establishment politico americano vi è la consapevolezza diffusa che, nell’attuale contesto delle rivolte arabe e della rinnovata lotta per l’egemonia in Medio Oriente, gli Stati Uniti hanno a disposizione un ventaglio di opzioni alquanto ristretto e una limitata capacità di influenzare la politica interna di paesi come l’Egitto, la Siria o il Bahrein.

Il nuovo “consenso bipartisan”, tuttavia, non esclude nuovi interventi militari in Medio Oriente. Tali interventi dovranno essere però più selettivi e mirati, laddove sono davvero in gioco vitali interessi americani, ed il più possibile basati sul principio del “leading from behind” affermatosi con la guerra in Libia: in altre parole, si tratta (laddove è possibile) di “subappaltare” gli interventi a forze regionali e locali, e di renderli più “multilaterali”.

L’INESTRICABILE GROVIGLIO DELLA CRISI SIRIANA E DELLA QUESTIONE NUCLEARE IRANIANA

Questo “consenso bipartisan” non impedisce che le crisi che stanno attualmente incendiando il Medio Oriente vengano utilizzate come altrettante “armi” per attaccare l’avversario nello scontro preelettorale senza esclusione di colpi che è in corso in America.

Il candidato repubblicano Romney, ad esempio, sbandiera la questione nucleare iraniana e la crisi siriana per accusare Obama di debolezza e indecisione davanti all’opinione pubblica americana. Alcuni suoi sostenitori, come i senatori Lindsey Graham e John McCain, si sono spinti ancora oltre – il primo invocando un intervento militare USA in Siria, il secondo chiedendo di armare i ribelli e di creare “zone protette” in territorio siriano in cui essi possano trovare rifugio.

L’amministrazione Obama, pur non facendo proprio l’interventismo repubblicano, ha mantenuto in entrambe le crisi un approccio negoziale più che altro “dilatorio”, privo di qualsiasi contenuto reale (in ogni negoziato bisogna essere pronti a fare delle concessioni – in questo caso nei confronti di attori come la Russia e l’Iran – che però la Casa Bianca non ha esplicitato in alcun modo), ed ha mantenuto un atteggiamento ambiguo di fronte alla prospettiva di armare i ribelli in Siria.

Se diversi esponenti dell’amministrazione hanno messo in guardia contro i rischi di una simile operazione, si moltiplicano però le notizie secondo cui Washington starebbe cercando di coordinare l’afflusso di armi in Siria che proviene, in maniera sempre più massiccia dai paesi del Golfo – un’operazione che rischia di far sprofondare definitivamente la Siria in una sanguinosa guerra civile.

Allo stesso tempo, contribuendo a plasmare all’estero l’opposizione al regime di Damasco, e ad organizzarla sotto l’ombrello del Consiglio Nazionale Siriano (insieme a paesi come la Turchia, il Qatar e la Francia), l’amministrazione Obama sembra aver fatto proprio il concetto apertamente sbandierato dai suoi avversari repubblicani – cioè che rovesciare Assad è, prima ancora che un imperativo umanitario, un’occasione unica per alterare gli equilibri strategici regionali.

Il regime siriano rappresenta infatti il collegamento che unisce l’Iran a Hezbollah in Libano, e a Hamas in Palestina. Rovesciare Assad rappresenterebbe dunque per l’Iran “la più grande sconfitta strategica degli ultimi 25 anni”, come ha affermato il comandante dell’US Central Command (CENTCOM) generale N. James Mattis, in una recente audizione al Congresso.

Ma per l’amministrazione Obama accettare questo principio significa inevitabilmente attirarsi la strenua opposizione di Iran e Russia, cioè proprio di quei paesi con i quali si dovrebbe giungere eventualmente ad un compromesso negoziale per risolvere il conflitto siriano.

Inoltre, la Casa Bianca non può certo sperare di strappare all’Iran significative concessioni sulla questione nucleare se nel frattempo muove guerra – seppure solo indirettamente, sostenendo i ribelli siriani – al principale alleato di Teheran nella regione, la cui caduta contribuirebbe in maniera determinante a stringere il cappio attorno al collo del regime iraniano.

Non a caso, i negoziatori iraniani hanno chiesto di inserire la questione siriana nell’agenda negoziale ai recenti colloqui di Baghdad.

Washington, tuttavia, non solo ha rifiutato questa proposta, ma si è mostrata particolarmente intransigente in tali colloqui, imponendo la propria linea sul più morbido approccio europeo. In base a tale linea, sono stati offerti all’Iran solo pezzi di ricambio per la sua aviazione civile (e nessun alleggerimento delle sanzioni) in cambio dell’eventuale promessa iraniana di congelare l’arricchimento dell’uranio al 20% – una proposta che l’Iran avrebbe difficilmente potuto accettare.

OBAMA IL CYBER-GUERRIERO

Ancora una volta non è del tutto chiaro se tale intransigenza sia stata dettata dalla necessità di contrastare le accuse di debolezza lanciate a Obama dal suo sfidante repubblicano Romney, o dalle pressioni esercitate nei confronti dell’amministrazione dal governo Netanyahu e dalla lobby filo-israeliana a Washington.

In ogni caso, proprio nel bel mezzo del delicato negoziato nucleare, che è visto da molti come l’ultima speranza per evitare un conflitto potenzialmente catastrofico, è giunta la rivelazione del New York Times secondo cui, fin dai primi mesi della sua presidenza, Obama ha intensificato la “guerra segreta” avviata da Bush contro l’Iran, ordinando attacchi ai sistemi informatici che gestiscono il programma nucleare iraniano.

Gli Stati Uniti in collaborazione con Israele avrebbero dunque sviluppato il potentissimo virus “Stuxnet” che ha causato notevoli danni alle centrifughe dell’impianto iraniano di Natanz.

Questa campagna di sabotaggio cibernetico è stata accompagnata da una serie di “omicidi mirati” ai danni di scienziati nucleari iraniani, e da altre azioni di sabotaggio a installazioni della Repubblica Islamica, che molti analisti hanno attribuito a Israele.

La conferma del coinvolgimento americano (un coinvolgimento che peraltro molti sospettavano da tempo) in questa guerra “sotto copertura”  contro il regime iraniano è giunta in un momento in cui l’Iran è nuovamente sotto attacco informatico, questa volta a causa di un’entità chiamata “Flame”.

La notizia pubblicata dal New York Times ha perciò suscitato le reazioni furiose di molti commentatori iraniani, che avevano a più riprese definito l’attacco informatico di Stuxnet una palese violazione del diritto internazionale e della Carta dell’ONU, contro un paese come l’Iran che tuttora aderisce al Trattato di non-proliferazione e che continua a dichiarare che il proprio programma nucleare ha esclusivamente scopi civili.

Quello che si può dire è che certamente – a prescindere dalle reali intenzioni di Teheran riguardo al proprio programma nucleare – se un simile attacco fosse stato compiuto dall’Iran contro gli Stati Uniti o uno dei loro alleati, sarebbe stato considerato da Washington alla stregua di un atto di guerra e sarebbe andato incontro a una pesante rappresaglia.

Ma il dato più rilevante è che la conferma del coinvolgimento americano in questa guerra segreta all’Iran, avviata proprio mentre Obama ufficialmente tendeva la mano al regime iraniano all’inizio del suo mandato presidenziale, contribuisce a minare la fiducia iraniana nella possibilità di negoziare con una controparte che in più di un’occasione ha dimostrato di mentire.

Ancora una volta, però, una rivelazione che compromette l’immagine dell’America in una parte del mondo islamico è destinata ad accrescere i consensi nei confronti di Obama in patria.

Anche grazie al bombardamento mediatico che hanno subito, gli americani in gran parte ritengono il programma nucleare iraniano una minaccia reale, e un recente sondaggio ha indicato che il 53% di essi appoggerebbe un attacco militare all’Iran “anche se ciò dovesse causare un aumento del prezzo della benzina”.

E’ dunque facilmente immaginabile che la maggioranza degli americani sostenga un attacco informatico in grado di ritardare il programma nucleare iraniano. E che un simile attacco possa essere considerato dall’Iran come un atto di guerra probabilmente non ha per  loro grande importanza.

LA GUERRA DEI DRONI

Per ragioni analoghe, la notizia – riportata ancora una volta dal New York Times –secondo cui Obama supervisionerebbe direttamente una “lista di nominativi” di al-Qaeda da eliminare, ed approverebbe personalmente gli attacchi condotti dai droni, ha suscitato il consenso di molti americani, e ben poche critiche.

Sebbene entrambe le rivelazioni fatte dal quotidiano statunitense mettano in luce un grave deficit di trasparenza nel modo in cui la Casa Bianca prende decisioni rilevanti per la sicurezza nazionale (spesso tenendo all’oscuro il Congresso), è probabile che molti americani apprezzino il comportamento “deciso” del presidente “a difesa del paese”.

Recenti sondaggi indicano che fra gli americani vi è un alto gradimento per le politiche antiterrorismo del presidente, ed in particolare per le operazioni condotte dai droni.

Poco importa che questi apparecchi compiano degli “omicidi mirati”, talvolta liquidando per via extragiudiziale presunti “terroristi” che sono anche cittadini americani (come lo yemenita di nazionalità statunitense Anwar al-Awlaki), o che spesso colpiscano anche dei civili. L’aspetto più rilevante per molti americani è che i droni colpiscono i loro “nemici” senza bisogno di impegnare truppe USA, e dunque prevengono possibili perdite americane.

Al di là dell’effettiva veridicità della rivelazione del New York Times riguardante la “lista di nominativi” da eliminare, è un fatto assodato che Obama ha incrementato enormemente le campagne condotte dai droni, e più in generale le cosiddette “operazioni speciali”.

Uno degli aspetti più negativi di queste operazioni è che ai reparti che le conducono viene riconosciuto il massimo dell’autonomia, sia dal punto di vista economico che da quello decisionale, e vi è perciò il rischio concreto che simili operazioni diventino “indipendenti dalla politica”.

A partire dall’11 settembre, il bilancio delle operazioni speciali si è quadruplicato, ed esse coinvolgono ormai un personale militare e civile di ben 66.000 persone, che opera in un “teatro di operazioni” in continua espansione che va dall’Asia all’Africa, all’America Latina.

Di pari passo si sono estese le campagne dei droni controllate dalla CIA, che vanno dal Pakistan alla Somalia passando per lo Yemen, e che oltre a colpire “obiettivi militari” hanno ucciso centinaia di civili.

In Pakistan le missioni dei droni sono una delle cause di maggior attrito fra Islamabad e Washington, mentre i due paesi sono ormai da tempo sull’orlo di una totale rottura dei rapporti. Alla decisione americana di intensificare le missioni, Islamabad ha risposto rifiutandosi di riaprire le vie di approvvigionamento per le forze NATO in Afghanistan chiuse ormai dallo scorso novembre, quando 24 soldati pakistani rimasero uccisi in un bombardamento americano per cui Washington a tutt’oggi rifiuta di chiedere scusa.

In realtà, come ha scritto l’ex agente della CIA Robert Grenier, in Pakistan gli Stati Uniti si sono spinti ben al di là di una limitata campagna contro terroristi internazionali, e utilizzano i droni come strumento di “controinsorgenza”, cioè per colpire i militanti che combattono contro le truppe alleate in Afghanistan.

Come sottolinea Grenier, ormai in questo tipo di operazioni nelle aree tribali del Pakistan la distinzione fra elementi combattenti e non-combattenti è divenuta estremamente labile, e si è giunti al punto che la differenza fra terroristi, militanti e semplici simpatizzanti ha praticamente perso ogni significato, con conseguenze che sono facilmente immaginabili.

SI RIACCENDE UN VECCHIO FRONTE DELL’ETERNA GUERRA AL TERRORE

Qualcosa di molto simile sta avvenendo attualmente nello Yemen, un paese colpito da una spaventosa crisi umanitaria dovuta alla scarsità di acqua e di cibo, dove il coinvolgimento militare americano sta aumentando in maniera preoccupante.

Un crescente numero di uomini delle forze speciali USA sta nuovamente addestrando il personale militare yemenita (secondo uno schema del tutto simile a quello che era in atto con il deposto dittatore Ali Abdullah Saleh).

Lo Yemen è considerato il “ventre molle” della penisola araba, e si ritiene che al-Qaeda abbia una significativa presenza nel paese. Ma in realtà i problemi dello Yemen vanno ben al di là di al-Qaeda, e comprendono una rivolta tribale sciita nel nord (che preoccupa particolarmente Riyadh) e un movimento secessionista nel sud.

Pur essendo poverissimo, il paese ha una rilevanza strategica enorme: dallo Yemen si controllano le vitali rotte marittime dell’Oceano Indiano, attualmente minacciate dalla pirateria somala, e si controlla lo stretto di Bab el-Mandeb, che permette l’accesso al Mar Rosso.

Soprattutto a causa della rivolta sciita nel nord, lo Yemen rischia di diventare uno dei teatri dello scontro a sfondo settario che contrappone Riyadh a Teheran; e il crescente coinvolgimento militare americano nel paese fa temere che gli Stati Uniti si stiano facendo trascinare in questo confronto che potrebbe appiccare il fuoco all’intera regione.

Nello Yemen come in Pakistan, i droni americani troppo facilmente scambiano militanti locali per agenti di al-Qaeda, e spesso colpiscono i civili. Per citare ancora una volta Grenier, “ci si potrebbe chiedere quanti yemeniti potranno essere spinti in futuro verso l’estremismo violento per reazione ad attacchi missilistici condotti con noncuranza, e quanti militanti yemeniti che perseguono un’agenda strettamente locale diventeranno nemici giurati dell’Occidente in risposta alle azioni militari americane condotte contro di loro”.

Ancora una volta, sia in paesi periferici come lo Yemen e il Pakistan, sia nel cuore stesso del Medio Oriente, le politiche americane – siano esse il frutto di un clima preelettorale, o di strategie più consolidate e a lungo termine – rischiano di scavare un solco di odio e di sangue fra gli Stati Uniti e il mondo islamico.

 

Una pesca al giorno salva pelle e capelli

Fonte: http://www.riza.it/dieta-e-salute/mangiare-sano/3258/una-pesca-al-giorno-salva-pelle-e-capelli.html

Cominciano ad arrivare sul mercato questi frutti, fra i più curativi della bella stagione: da mangiare ma anche da usare come impacco rinvigorente e antiossidante

Il pesco, albero così comune alle nostre latitudini, proviene dalla Cina. Di qui giunse in Siria e poi in  Persia, paese che dette il nome alla specie, ovvero Prunus persica. Il suo frutto profumato è ricco di vitamine preziose per la salute dei tessuti: la vitamina C, la vitamina A e varie vitamine del gruppo B, oltre a minerali quali ferro e potassio. Inoltre la presenza di fibra insolubile e la capacità di stimolare la liberazione di succhi gastrici fanno della pesca un frutto eccellente per proprietà depurative, diuretiche e lassative. Per i trattamenti ricostituenti per pelle e capelli, oltre che per gustare le pesche in macedonia, vanno preferiti i frutti maturi, che racchiudono il meglio dei principi curativi: se abbiamo in casa pesche non ancora perfettamente mature, possiamo tenerle in sacchetti di carta per 2 o 3 giorni a temperatura ambiente. La carta trattiene l’umidità prodotta dalla pesca durante la maturazione e mantiene la giusta temperatura, permettendo alla pesca di maturare al punto giusto senza avvizzire.

Ottima nella macedonia

L’azione ristrutturante e rivitalizzante della pesca sui capelli e sull’epidermide (non a caso si dice “avere una pelle di pesca”!) è garantita anche dal consumo regolare di questo frutto fresco in macedonia. Ovviamente andranno preferite le pesche di coltivazione biologica, che si possono gustare anche con la buccia.

Mangiala ogni giorno per tutta l’estate

Per tutto il mese di giugno e, se puoi, per tutta l’estate, mangia due pesche al giorno in macedonia, con un cucchiaino di miele e un vasetto di yogurt naturale.

Come maschera anti caduta: rinforza la capigliatura a partire dalla radice

La polpa di pesca migliora la lucentezza e la massa della chioma, che appare più voluminosa e sana. Ecco come utilizzarla per una maschera rinforzante.

Procurati tre pesche mature, sbucciale e frullane la polpa. Aggiungi un cucchiaio di argilla verde ventilata, il succo di un limone e mescola bene. L’impacco così ottenuto si applica sui capelli e si lascia agire per almeno mezz’ora, indossando una cuffietta di plastica trasparente. Infine si sciacqua e si procede col normale shampoo. Si ripete 2 volte alla settimana.

Egitto, i militari riprendono il potere

Scritto da: Rossana Miranda
Fonte: http://www.formiche.net/dettaglio.asp?id=29871&id_sezione=93

Sciolto il Parlamento perché la leggere elettorale è stata considerata “incostituzionale” dal Tribunale Supremo, la Giunta militare ha ripreso il controllo del paese a due giorni dalle elezioni presidenziali.

Non c´è stabilità in Egitto. Un ultimo colpo di grazia minaccia il processo di transizione. La giunta militare ha deciso di riprendere il potere dopo che il Tribunale Costituzionale ha dissolto il Parlamento e annullato un terzo dei suoi deputati. “D´accordo con la legge e la Dichiarazione Costituzionale (in vigore da marzo del 2011), il potere legislativo ridà il potere al Consiglio Supremo delle Forze Armate”, secondo quanto ha annunciato il colonnello Mohamed Askar.
La decisione, che dà anche il via libera all´ex primo ministro di Mubarak, Ahmed Shafiq, di partecipare come candidato alle elezioni, è stato definito da diverse forze politiche del paese come un “colpo di Stato”.
La notizia ha fatto scoppiare la rabbia dei Fratelli Musulmani, principale organizzazione islamica il cui partito deteneva la maggioranza dei seggi. La sentenza della Corte, a due giorni da ballottaggio, “costituisce un colpo di Stato totale attraverso il quale il Consiglio militare ha cancellato il più nobile periodo della nostra storia” ha detto il leader dei Fratelli musulmani, Mohammed Baltagui.
La Corte ha infatti abrogato la “legge sull’isolamento politico” che impediva agli ex dirigenti del regime dell’ex presidente Hosni Mubarak di presentarsi alle elezioni, confermando in tal modo la possibilità per l’ex premier di partecipare al ballottaggio.

Vero affare: ora Monti regala agli strozzini il nostro futuro

Scritto da: Massimo Ragnedda
Fonte:http://notizie.tiscali.it/socialnews/
L’avevamo detto sin da subito: Monti tutelerà gli interessi di chi l’ha voluto al governo di uno stato, ovvero le banche d’affari e le multinazionali. È un dato di fatto ed è inutile prenderci in giro o far finta di non vedere. Monti è l’uomo delle banche, membro della Trilaterale, del gruppo Bildeberg, proviene dalla Goldman Sachs, presidente di Università privata che sforna manager per multinazionali, il figlio lavora alla Morgan & Stanley con la quale lo stato italiano lo scorso 3 Gennaio ha negoziato la chiusura di un contratto di strumenti finanziari derivati pari a 2.567 milioni di euro, più o meno i soldi risparmiati, per il 2012 dalla riforma delle pensioni.

Questo punto merita di essere spiegato meglio: la riforma delle pensioni, ovvero obbligare le persone a lavorare 5 anni in più, ha fruttato all’erario, nel 2012, circa 3 miliardi di euro, più o meno la somma data ad una banca d’affari dove lavora il figlio del primo ministro. Certo quei soldi erano dovuti, ma si potevano rateizzare e soprattutto si poteva dare la precedenza a tutte le piccole e medieimprese italiane che vantano crediti con l’erario. Invece al primo posto ci sono le banche, così giusto per ricordare con chi abbiamo a che fare. Insomma cose dette e ridette. Io, ed altri commentatori molto più autorevoli di me, scrivevamo già a Novembre: il compito di Monti sarà quello di tartassare i cittadini e poi privatizzare i gioielli di famiglia.
Lo dico in maniera brutale: il compito di Monti era ed è quello di svendere i beni immobiliari, di privatizzare i servizi sociali, aumentare l’età pensionabile, ridurre i diritti dei lavoratori, privatizzare le aziende di stato e sostituire il pubblico con il privato facendo arricchire i pochi ed impoverendo i più. Insomma, per essere ancora più espliciti: Monti è stato nominato con un golpe finanziario per svendere l’Italia e saccheggiare le sue ricchezze. E ci sta riuscendo. Così in questi giorni, da Berlino dove ha ricevuto il premio “Responsible Leadership Award”, ha annunciato: “Stiamo preparando la cessione di una quota dell’attivo del settore pubblico, sia immobiliare che mobiliare, anche del settore locale”. È il vecchio gioco del debito e della privatizzazione, dello strozzino che costringe l’indebitato e svendere tutto. Già nel XVIII secolo John Adams (1735-1826) sosteneva: “ci sono due modi per conquistare e schiavizzare una nazione. Una è con la spada, l’altra è con i debiti”.
Monti è stato nominato dagli strozzini dello stato italiano, le banche d’affari, per (s)vendere il patrimonio immobiliare, privatizzare i servizi e (s)vendere le aziende attive. E ci sta riuscendo con la complicità della sua eterogenea maggioranza e dei principali media italiani, in particolare RCS (in passato è stato nel consiglio di amministrazione della Rizzoli), De Benedetti (è stato nel CdA della Aedes controllata ora da De Benedetti) e il gruppo Telecom-La 7 (Bernabè, Amministratore delegato di Telecom ha partecipato sia nel 2012 e sia nel 2011 assieme a Mario Monti alla riunione del gruppo Bildeberg, gruppo del quale fa parte anche la Bonino e da qui l’appoggio di La 7 e di Lilli Gruber in particolare, anche lei presente nel 2012, alla candidatura della Bonino come presidente della Repubblica nel 2013).
Venderà dunque: ma a chi?Chi potrà permettersi di acquistare i beni? Elementare Watson: chi, se non chi ha i soldi o vanta crediti nei confronti dell’erario, ovvero le banche? Il gioco è molto semplice: si fa indebitare lo stato, concedendo prestiti che si sa non può permettersi di onorare, dopodiché si chiede ai cittadini di pagare con l’introduzione di nuove tasse (vedi IMU) o aumentando l’età pensionabile (vedi riforma Fornero); poi quando il paese è alla disperazione ed altre tasse sono impensabili si svende il patrimonio immobiliare e poi, alla fine, si svendono le aziende di stato (quelle produttive, si intende, in particolare ENI e ENEL e non è un caso che entrambi gli amministratori delegati abbiano partecipato al meeting del gruppo Bildeberg). Monti fa il loro gioco: svende. D’altronde è stato nominato per questo. Non deve rispondere agli elettori che mai si sono pronunciati, ma alle banche. Comunque svendere non basterà. Si parla già, tra le altre cose, di introdurre il ticket sui ricoveri: da 10 a 100 euro. Il primo passo verso la privatizzazione della sanità. E sarà un crescendo: meno diritti, meno servizi sociali, più povertà e disuguaglianza sociale.E se non ce la dovesse fare neanche così? Beh allora l’Italia chiederà prestiti al fondo “salva stati”. Come ha fatto la Spagna in questi giorni, dove le banche, dopo aver eseguito azioni di recupero su 320.000 famiglie togliendo loro, senza tanta eleganza, la casa e lasciandoli in strada, hanno ottenuto un prestito. 100 miliardi di euro (una cifra mostruosa) dati alle banche senza che le banche restituiscano le case agli spagnoli. Cittadini scippati due volte. Ma da dove arrivano questi soldi e come li ripagheranno? I soldi arrivano dal fondo salva stati dove sinora l’Italia ha messo 48,2 miliardi di euro (provenienti dalle nostre tasche) e dovrà versare altre tre rate entro la metà del 2014. In altri termini noi ci indebitiamo per aiutare gli altri, ma così facendo, come in un grande gioco perverso, anche noi avremo bisogno di aiuti e questo esporrà gli altri stati e così via. Parliamo di numeri: secondo i dati forniti lo scorso 31 maggio dalla Banca d’Italia, nel 2011 sono stati erogati prestiti per 110 miliardi di cui 74,9 da parte di Paesi (compresa l’Italia) e istituzioni finanziarie europee e 35,1 da parte del Fondo Monetario Internazionale: per la precisione 41,5 a favore della Grecia, 34,5 a all’Irlanda e 34 al Portogallo. Nel 2012 il prestito sarà ancora maggiore, visti i 100 miliardi dati alle banche spagnole.
Come ripagheremo? Semplice: svendendo i gioielli di stato e privatizzando i servizi sociali, dalla sanità all’istruzione.

Nel frattempo, mentre gli stati si indebitano, la finanza internazionale fa affari d’oro. Tra i tanti, cito solo un caso: lo scorso 15 maggio, un solo investitore, tale Kenneth Dart, ha incassato 400 milioni (più o meno lo stipendio mensile di circa 400mila operai) dalla Grecia, ovvero uno Stato che non ha più soldi per pagare gli stipendi. Uno Stato dove, secondo l’Unicef, ci sono 400mila bambini sottonutriti. C’è da aggiungere che quei soldi, manco a dirlo, sono esentasse, perché l’investitore è un esiliato fiscale dagli Stati Uniti alle Cayman. La legge internazionale, che tutela gli strozzini e non gli strozzati, glielo permette. Così, morale della favola, mentre il signor Kenneth Dart se ne sta nel suo yacht da 70 metri senza pagare tasse, gli stati, governati da persone che provengono da quel mondo, si indebitano con loro e per onorare i debiti e pagare i loro yacht introducono l’IMU, privatizzano beni e servizi, ci mandano in pensione 5 anni dopo e, come nel caso degli esodati, lasciano senza stipendio e pensione centinaia di migliaia di persone. Ora chiediamoci: di chi fa gli interessi Prof. Monti: di persone come Kenneth Dart o dei 390 mila esodati senza stipendio e pensione? Delle banche o dei cittadini?

MONTI: LIQUIDAZIONE E SVENDITA TUTTA ITALIANA!

Fonte: http://icebergfinanza.finanza.com/2012/06/14/monti-liquidazione-e-svendita-tutta-italiana/

Diamo un’occhiata a quanto ci racconta Repubblica a proposito.

“Stiamo preparando la cessione di una quota dell’attivo del settore pubblico, sia immobiliare che mobiliare, anche del settore locale”. Dunque sì alla cessione di una parte del patrimonio pubblico nazionale, compresi i ‘gioielli’ degli enti locali.”

Una domanda professor Monti!

I soldini incassati dalle solite svendite di assets pubblici e privatizzazioni varie servono per pagare gli interessi al 6 % sul debito pubblico per consentire poi all’Italia di regalarli alla Spagna ad un tasso del 3 %.

Tralascio ogni commento sull’alienazione del patrimonio pubblico compresi quei gioielli che non sappiamo bene cosa siano ma visto che era sul tavolo da mesi ci voleno oltre sei mesi per tirare fuori dal cilindro una simile opzione.

Ho un sospetto ma me lo tengo!

Cosa c’è di cosi misterioso e segreto in Svizzera da continuare a rimandare il momento della verità per miliardi di evasione ed elusione sottratti alle risorse del Paese. Ormai gli amici degli amici dovrebbero avere avuto tutto il tempo per trasferire i propri capitali in altri stati o paradisi fiscali.
Monti, in Germania, ha provato a dare rassicurazioni sulla salute dell’economia italiana. “Il nostro sistema non è fragile, ha alcuni aspetti fragili come l’alto debito, ma ha alcuni aspetti ben più solidi come il sistema bancario visto che è paragonabile per solidità a quello tedesco”.

Ma ci siamo o ci facciamo, il sistema finanziario tedesco sarebbe solido ? Immagino che la Germania abbia nazionalizzato sei banche FALLITE solo per impiegare il surplus commerciale e non dare troppo nell’occhio. Ma che le ha fatto Angelina per avere la sua totale ammirazione non sarà mica perchè le ha detto che ha … misure straordinarie!

E ancora: “Noi italiani tendiamo a oscillare come stati d’animo da momenti di euforia irresponsabile a momenti di depressione ingiustificabile”.

Chissà chi ha depresso l’Italia in questi ultimi mesi chissà!