Domate le fiamme all’orizzonte degli eventi

Scritto da: Marco Malaspina
Fonte: http://www.media.inaf.it/2013/03/07/firewall-paradox/

cerchio-fuoco-340x266l “paradosso del firewall”, stando al quale una sorta di “muro di fuoco” circonderebbe i buchi neri, sembrerebbe risolto. Ne parliamo con uno degli autori dell’articolo appena uscito su Physical Review Letters, Stefano Pirandola.

Precipitare in un buco nero non capita tutti i giorni, per fortuna. Ma se anche dovessimo trovarci a vivere questa brutta avventura, l’esperienza potrebbe rivelarsi meno traumatica di quanto l’immaginazione suggerisca: stando alla fisica convenzionale, infatti, essendo in caduta libera nemmeno ce ne dovremmo rendere conto, almeno non fino all’istante della “spaghettificazione” finale, quando la differenza di gravità fra testa e piedi si farebbe così grande da “stirarci” per il lungo come nemmeno la più estrema delle diete. Da qualche tempo, però, questa rassicurante previsione – battezzata in modo significativo “No Drama” – aveva ceduto terreno a un’ipotesi più drammatica che mai. Mettendo assieme tutti i tasselli del complicatissimo puzzle, era emerso dalle equazioni un fenomeno non previsto e nient’affatto confortante: la presenza di un “firewall” (in italiano, “muro di fuoco”) attorno al buco nero, ustionante al punto da rendere la nostra ipotetica caduta tutt’altro che indolore. Una presenza inquietante anche dal punto di vista teorico, perché metterebbe in discussione un caposaldo come il principio di equivalenza di Einstein.

Ebbene, a domare l’incendio arriva ora una teoria che, tenendo in considerazione l’entanglement fra particelle poste al di qua e al di là dell’orizzonte degli eventi, pare in grado di risolvere il paradosso, restituendoci così la serenità di una discesa spensierata. Pubblicata su Physical Review Letters, la teoria affronta il problema con gli strumenti dell’informazione quantistica, ed è firmata da Samuel Braunstein, Karol Życzkowski e dall’italiano Stefano Pirandola, professore associato all’Università di York.

Professor Pirandola, partiamo da questo “muro di fuoco”: è solo una metafora o una vera e propria sfera fiammeggiante?

«Secondo la teoria del firewall, si dovrebbe creare uno stato altamente energico attorno al buco nero. Più esattamente, in prossimità dell’orizzonte degli eventi, che corrisponde alla “zona di cattura” del buco nero, un osservatore sperimenterebbe temperature via via più elevate. Questo accadrebbe anche quando il buco nero è supermassivo ovvero la curvatura del suo orizzonte è praticamente piatta. Ora quest’ultimo scenario andrebbe in contraddizione con il principio di equivalenza di Einstein, per cui un osservatore in caduta libera (uniformemente accelerato) non dovrebbe rilevare nessun effetto locale dovuto alla gravità. Immaginate un astronauta all’interno di una capsula completamente chiusa che viene attratta dal buco nero supermassivo. Secondo Einstein, l’astronauta non si accorgerebbe di nulla, mentre la teoria del firewall prevederebbe una fatale sauna per il povero esploratore!»

Sauna fatale che però i vostri risultati sembrano scongiurare. Come siete riusciti a domare le fiamme di questo paradosso?

«La nostra teoria risolve il paradosso del firewall ricorrendo all’entanglement quantistico, ovvero quella proprietà delle particelle elementari di potersi correlare perfettamente tra di loro, in maniera tale che qualunque azione su di una particella si trasmette istantaneamente su di un’altra, senza la necessità di una interazione diretta. La nostra teoria considera un modello di buco nero nel quale sia presente entanglement tra la regione interna e quella esterna all’orizzonte degli eventi. Grazie a quest’assunzione, tali regioni sono ora descritte da stati energetici fondamentali ovvero sono “fredde”. In poche parole, l’entanglement attraverso l’orizzonte “estingue” il firewall. In particolare, questo accade anche per buchi neri supermassivi, per i quali si ristabilisce dunque il principio di equivalenza: niente più sauna, dunque, per l’astronauta in caduta libera».

La vostra teoria ha conseguenze anche per quanto riguarda il paradosso dell’informazione del buco nero? Quello che ha fatto perdere la scommessa a Stephen Hawking, costretto a regalare un’enciclopedia del baseball al fisico John Preskill quando saltò fuori che l’informazione della materia precipitata in un buco nero non andrebbe distrutta per sempre?

No, la scommessa è persa di nuovo. Ma per poco. Secondo la nostra teoria, l’informazione riguardante tutta la materia che viene inghiottita dal buco nero durante il suo ciclo di vita viene poi riemessa dalla radiazione di Hawking, ma soltanto alla fine, ovvero poco prima della sua completa evaporazione.

Paradosso risolto, muro di fuoco spento, e tutto grazie all’informazione quantistica: il suo campo di lavoro da quando, dopo una laurea e un dottorato in Italia, ha iniziato a fare ricerca dapprima al MIT di Boston e ora all’Università di York. Ma di che disciplina si tratta?

L’informazione quantistica è la comunione tra la fisica quantistica e la teoria dell’informazione. Da una parte si usano i quanti per disegnare nuovi computer, fare crittografia, teletrasportare informazione. Dall’altra si usa il concetto di informazione per approfondire e sviluppare la stessa meccanica quantistica.

Per saperne di più:

  • Leggi su Physical Review Letters l’articolo “Better late than never: Information retrieval from black holes“, di Samuel L. Braunstein, Stefano Pirandola e Karol Życzkowski
  • Sul paradosso del firewall, leggi il bell’articolo divulgativo di Jennifer Ouellette, ”Alice and Bob Meet the Wall of Fire“

 

La Germania investe sulla rotaia fino al 2030, in attesa che le auto elettriche costino meno!

Scritto da: Luca Scialò
Fonte: http://www.tuttogreen.it/

TreniGermania

Stando a uno studio britannico commissionato dalla Low Carbon Vehicle Partnership (Lcvp), i costi legati all’acquisto e alla manutenzione di un’auto elettrica si prospettano molto più elevati rispetto a quelli per un’auto a diesel o a benzina. Arrivando a costi perfino doppi rispetto a queste ultime. Una disparità che pare si protrarrà almeno fino al 2030.

 

A fronte di ciò, è allora preferibile investire su un mezzo di trasporto tradizionale, ossia il treno, facendo sì che esso funzioni sempre più con energia pulita. Ne è un esempio la Germania, dove la compagnia ferroviaria nazionale Deutsche Bahn ha annunciato che nei prossimi 3 anni muoverà le sue macchine utilizzando il 28% di energia pulita rispetto all’attuale 19,8%. Per arrivare nel 2050 ad un approvvigionamento elusivamente basato sulle energie rinnovabili.

In realtà nella Repubblica Federale ci sono già delle tratte ferroviarie completamente alimentate con energia rinnovabile, come ad esempio la linea locale di Amburgo. Ma è l’anno 2014 il termine entro il quale si prevede che anche un terzo dei treni a lunga distanza sarà mosso solamente da energia verde.

A tal fine, fondamentali sono alcune partnership intraprese da DB, come quella con la Rwe, compagnia elettrica con sede ad Essen. Le due hanno firmato un contratto da 1.3 miliardi di euro per la fornitura, nei prossimi 15 anni, di ben 900 milioni di chilowattora all’anno tutti prodotti da fonti idroelettriche. Ma anche con energia “auto-prodotta”, visto che si stanno installando impianti fotovoltaici sui tetti di quasi seimila stazioni ferroviarie tedesche.

Dunque, in attesa che le auto elettriche diventino accessibili alla massa, è giusto rendere quanto meno inquinanti possibili i mezzi di trasporto pubblico. Un settore che, bisogna dirlo, sta facendo un po’ in tutti i Paesi occidentali grandi passi in avanti in questo senso.

La parola alla formica

Fonte: http://andreamulas.wordpress.com/

mnjud

Si comunica tra esseri umani in tanti modi:gesti, sguardi, parole……Le formiche  hanno un loro modo tutto particolare per farlo tramite molecole prodotte dalle loro stesse ghiandole e che in uno slang comune a tutti i biologi prendono il nome di feromoni. Questi piccoli insetti possono dire tante cose con la chimica: “Fermo qua!”- “Attento c’è un pericolo!” -”Io appartengo all’aristocrazia!”……..L’organo che permette questa svariata interazione sono le antenne sottili dette funicoli che permettono di captare questi segnali. Un po’ meno noto però risulta il fatto che le formiche possano “parlare”….Si tratta infatti della emissione di onde sonore tramite lo sfregamento delle zampe posteriori su di un particolare organo a punta posizionato a livello del loro addome. Questa capacità è stata scoperta da diversi anni in  specie del genere Myrmica che vivono in Europa e in Asia. Più recentemente un entomologo del Centre for Ecology & Hydrology, Wallingford (UK), Karsten Schönrogge, ha scoperto insieme alla sua equipe qualcosa di più su questo stile comunicativo. Le formiche adulte sono infatti l’ultimo stadio nello sviluppo di questo essere vivente, dalla nascita in poi si trovano in linea temporale le larve, le pupe immature e le pupe mature. Registrando i diversi stadi della Myrmica scabrinodis con un microfono molto sensibile Karsten si è accorto che oltre alle adulte anche le pupe mature sono in grado di emettere suoni. Il segnale sonoro sarebbe un HELP! diretto alle operaie adulte. Le operaie infatti in caso di pericolo cercano di prestare aiuto agli altri abitanti del formicaio. Non sono però delle vere e proprie buon samaritane, infatti danno precedenza alle pupe mature rispetto agli altri stadi. L’equipe inglese ha potuto constatare che eliminando l’organo a forma di punta da alcune pupe mature, le operaie non le salvavano. Il suono prodotto anche in questo caso permette quindi di definire il proprio rango….

“Stiamo morendo di tasse”

Scritto da: Giovanni Spagnuolo
Fonte: http://www.liberamenteonline.info

tasse

Pensate sia facile convincere un imprenditore a smontare tutto e a ricominciare in un territorio estero lontano dall’Italia ? In realtà la scelta è sempre difficile e quando l’imprenditore prende questa decisione lo fa perché sa che per lui è l’unica possibile. E con i capannoni abbandonati al silenzio se ne vanno capitali, talento, lavoro, speranze. Ormai è impressionante il numero di imprese italiane che decidono di trasferirsi all’estero. Lo fanno per salvarsi. Lo fanno per andare via da un’Italia che le opprime in termini di tassazione sulle attività produttive e sui redditi personali. Ma come ci spiegano molti industriali la pressione fiscale non è l’unico problema.

Le imprese fuggono per la scarsa detassabilità degli investimenti in ricerca e sviluppo , per la scarsezza di aree industriali accessibili, per il mercato del lavoro ingessato e ancora per le difficoltà di accesso al credito. Per ogni azienda poi si sa che una componente fondamentale è il costo dell’energia necessaria per produrre. Ed ecco che a fronte di un paese come il nostro che ha rinunciato al nucleare, le imprese italiane preferiscono andare in Svizzera dove nel 2011 l’energia nucleare ha generato il 40,8% dell’energia elettrica prodotta in totale nel Paese e grazie al nucleare il costo della bolletta per le imprese è molto più basso. Basta fare un rapido esame delle “corporate tax” (ovvero delle imposte sulle società ) nei vari paesi europei per rendersi conto come in Italia secondo i dati Eurostat 2012 la tassazione media sugli utili d’impresa è del 31,4 % . In più se a tale tassazione aggiungiamo la tassazione sul lavoro pari a 42,6 % ,ecco che il carico fiscale complessivo ( total tax rate) per le aziende italiane arriva a un peso pari al 68,6% dei profitti commerciali, rispetto a una media europea del 44,2 %. Significativo è che in Germania il “total tax rate ” sia di 48,2 %, venti punti in meno rispetto all’ Italia.

Insomma stiamo morendo di tasse. E’ questa la frase detta tempo fa dal presidente di Confindustria Squinzi che racchiude un po’ tutta la sofferenza dell’ imprese italiane. “Dateci minor carico fiscale, stiamo morendo di fisco. Siamo disponibili a rinunciare a tutti gli incentivi in cambio di una riduzione della pressione fiscale a carico di imprese e famiglie” aggiunge il leader degli imprenditori. Nel periodo tra il giugno 2011 e il giugno 2012 i dati Eurostat ci dicono inoltre che in Italia il deflusso di investimenti esteri è stato di 235 miliardi, pari al 15 % del Pil. Ma dove vanno quindi questi capitali ? E dove portano talenti e lavoro ? Quali sono in Europa le nazioni con il carico fiscale complessivo più basso? Innanzitutto la Svizzera dove c’è : una corporate tax e imposte sui redditi personali variabili da cantone a cantone, un ottimo sistema bancario, incentivi alla creazione di posti di lavoro, burocrazia quasi assente. Poi abbiamo l’Austria dove non esiste l’Irap e c’è la quasi completa deducibilità dei costi; la Slovenia dove la corporate tax scenderà al 15% entro il 2015; ancora l’Olanda ,la Romania. Last but not least abbiamo la Polonia dove la Fiat pensate, in 41 anni con i suoi due stabilimenti, ha prodotto ben dieci milioni di vetture. In Polonia sono enormi i fondi europei investiti, nelle 14 zone economiche speciali sono a disposizione esenzioni fiscali per investimenti oltre 100mila euro. Il quadro che emerge è sconfortante specie alla luce della attuale situazione politico-economica che stiamo attraversando. La fuga di aziende dall’Italia è una emorragia che andrebbe bloccata immediatamente con un abbassamento della pressione fiscale e con un serio progetto di sviluppo economico per l’Italia.

La Shell rinuncia alle trivellazioni offshore nell’Artico. Moratoria per il 2013 –

Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=20652

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Sierra Club: «Se ne vanno con la coda tra le gambe dopo un anno di disastri»

 La multinazionale petrolifera Royal Dutch Shell ha annunciato che sospenderà per tutto il 2013 le sue attività di trivellazione petrolifera offshore nei mari di Beaufort in Alaska e nel Mar Chukchi «Per preparare attrezzature e piani per una ripresa dell’attività in una fase successiva».

Marvin Odum, direttore Upstream Americas della Shell, cerca di mascherare il vero e proprio disastro tecnico ed economico della gigantesca compagnia petrolifera nell’Artico statunitense: «Abbiamo fatto progressi in Alaska, ma si tratta di un programma a lungo termine che stiamo perseguendo in modo sicuro e misurato. La decisione di prendere una pausa nel 2013 ci darà tempo per garantire la disponibilità di tutte le nostre attrezzature e delle persone che hanno seguito la stagione di perforazione nel 2012».

Nel comunicato che annuncia la moratoria di un anno la Shell non cita mai i continui incidenti ma sottolinea che «L’Alaska possiede importanti risorse energetiche. Allo stesso tempo, garantire l’accesso a tali risorse richiede competenze specifiche, tecnologia e una profonda conoscenza delle sensibilità ambientali e sociali uniche della regione. Shell è uno dei leader dell’industria che partecipa all’esplorazione offshore dell’Artico. La company continua a utilizzare la sua vasta esperienza negli ambienti artici e sub-artici per prepararsi per le attività di sicurezza in Alaska. Nel lungo periodo, l’Alaska rimane un settore ad alto potenziale per  Shell e la company si è impegnata a produrre di nuovo in futuro. Se l’esplorazione avrà successo, ci vorranno anni per sviluppare le risorse».

Nel 2012 la Shell completato la trivellazione “top-hole” di due pozzi nel Mare di Beaufort e nel Mare di Chukchi, segnando così il ritorno dell’industria petrolifera offshore nell’Artico dell’Alaska dopo più di un decennio. Nonostante le proteste di ambientalisti e comunità indigene e locali, la multinazionale dice che «Queste trivellazioni sono state completate in modo sicuro, senza feriti gravi ad impatto ambientale. Dopo che  la stagione di trivellazione si è conclusa, tuttavia, uno delle piattaforme di trivellazione della Shell, la Kulluk, è stata danneggiata in un incidente marittimo a causa di  brutte condizioni atmosferiche. La Kulluk e la seconda piattaforma di trivellazione, la Discoverer Noble, verranno rimorchiate  in località in Asia per la manutenzione e le riparazioni».

Odum, che sembra avere una discreta faccia di bronzo, sorvola sulle recenti condanne della compagnia petrolifera per l’inquinamento nel Delta del Niger ed assicura che «Shell resta impegnata nella realizzazione di un programma di esplorazione artica che dia fiducia agli stakeholders ed alle autorità di regolamentazione e soddisfi gli elevati standard che la società applica alle sue operazioni in tutto il mondo. Continuiamo a credere che un ritmo misurato e responsabile, soprattutto nella fase di esplorazione, si adatti meglio a questa area  remota».

Gli ambientalisti statunitensi sanno però che dietro questa prudente sicumera della Shell si nasconde la presa d’atto di un  anno di fallimenti e incidenti imbarazzanti. Il direttore esecutivo di Sierra Club, Michael Brune, ha sottolineato: «E’ incoraggiante che sia stata data una tregua all’incontaminato Artico americano e siamo felici che Shell abbia ormai ufficialmente riconosciuto che non possono tranquillamente trafficare nella regione artica. Ora, è il momento che l’amministrazione Obama riconosca la stessa cosa. Shell ha dato il via alla sua follia artica dichiarando che avrebbe preso tutte le misure possibili per garantire la sicurezza e quindi ha immediatamente cominciato a non farlo più e più volte. In soli 12 mesi, piattaforme Shell e navi hanno preso fuoco, si sono arenate, hanno perso il controllo e sono diventate oggetto di indagine penale. Ora si ritirano dall’Artico con la coda fra le gambe e trasportato le loro piattaforme rotte in Asia per ripararle. I loro migliori sforzi per forare in sicurezza nell’Artico sono stati una catastrofe che ci ha solo spinto sull’orlo del disastro. Se una delle compagnie più grandi e più ricche del mondo non può trivellare in sicurezza nell’Artico, vuol dire che non si può fare. L’amministrazione Obama dovrebbe dichiarare l’Artico off-limits per le pericolose  trivellazioni, annullare i permessi Shell e mettere immediatamente fine alle aste per le licenze, prima che ci si trovi di fronte ad un disastro ancora più grande».

Esulta anche Phil Radford, direttore esecutivo di  Greenpeace Usa: «Questa è la prima cosa fatta da Shell in Alaska: farla finita. La Shell doveva essere il meglio del meglio, ma la lunga lista di incidenti e quasi-disastri è una chiara indicazione che anche le “migliori” company non possono avere successo nella trivellazione dell’Artico. Il segretario Salazar e il presidente Obama hanno dato la possibilità di trivellare, ora la decisione responsabile è quella  di far diventare off-limits per sempre la trivellazione nell’Artico. Prendere l’iniziativa di risparmiare l’Artico dallo sfruttamento pericoloso non solo protegge il fragile ecosistema artico e le comunità che dipendono da esso, invierà un segnale forte alle altre nazioni che è ora di uscire dalla nostra dipendenza da combustibili fossili. Le trivellazioni nell’Artico ci spingono verso  il cambiamento climatico catastrofico, quindi devono finire ora. L’annuncio della Shell è una ammissione che i milioni di persone in tutto il mondo, avevano ragione a sollecitare Obama a tener fuori la compagnia dalla regione artica. Ora Obama deve ascoltare i 2,7 milioni di persone che hanno aderito a #SaveTheArctic e  rendere la trivellazione dell’Artico off-limits per sempre».

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