Ragionamenti alla rovescia per una Civiltà dell’ Inganno

Fonte: http://mon-dart.blogspot.com/p/balote.html

“Inganno” non è solo quello macroscopico condotto dai Media, dalle Banche e dagli Stati contro le proprie popolazioni, ma anche quello più subdolo, quello che “respiriamo con l’ aria” fin dalla nascita, ossia quello Culturale, fattoci assimilare come pane tramite le istituzioni, gli affetti, gli amici, la comunità in cui viviamo, il gruppo sociale cui apparteniamo.

L’ inganno è il “luogo comune”, l’ affermazione ormai talmente incarnata dentro di noi che la diamo per valida e scontata senza nemmeno osare metterla in discussione.

Sono proprio queste figure introiettate a guidare il comportamento delle masse. Questo lo sanno bene gli “Spin doctors” ed i creatori di opinione in genere, che sono innanzitutto creatori di “inganni ben confezionati”, talmente ben confezionati che andranno a formare l’ unica nostra fonte di conoscenza, e saranno facilmente introiettati come assiomi non discutibili andando a formare quei luoghi comuni, quelle “immagini fotografiche” che guideranno inconsciamente il nostro comportamento in merito.
E plasmando a tavolino assiomi su assiomi si arriva facilmente a plasmare un’ intera cultura, un intero modo di vedere le cose, si arriva alla formazione di quel maledetto Pensiero Unico che oggi ci guida tutti come poveri allocchi, ed il cui primo e fondamentale comandamento recita che “non ci sono alternative”.

E’ fondamentalmente cattivo l’ uomo ? La guerra è un male necessario ?  Lo Stato si identifica con la sua popolazione ?  Libero Mercato e Marxismo sono davvero due pensieri antitetici ?  L’ impiegato modello contribuisce a migliorare la struttura in cui lavora ?  La maggior consapevolezza dei singoli favorisce l’ emancipazione di massa ?  La Democrazia è la miglior forma di governo attuabile ?  Internet è un’ opportunità democratica di conoscenza e di crescita ?

Provate a chiederlo in giro, e certo il popolino risponderà “Sì” a tutte quante le domande.

In questa sede ci prenderemo invece la briga non solo di dimostrare che la risposta è “No”, ma cercheremo di capire in quale esatto modo si formino questi assiomi, questi luoghi comuni, queste immagini interiori che poi ci condurranno ad agire e comportarci da automi senza cervello.

Andremo oltre, a dimostrare che le Democrazie, nella loro formulazione attuale, altro non sono che la miglior “Macchina a Delinquere” atta a:
1) Sostituirsi decisionalmente al singolo, depredarlo di ogni bene e di ogni sovranità
2) Fornire le basi legali e giuridiche, sociali e mediatiche, affinchè una ristretta cerchia di “Nobili” sia il solo autista della macchina.

… Non a caso è il modello che il potere si ostina ad “esportare”, costi quel che costi.

( E non si preoccupino quelli che profetizzano un “Nuovo Ordine Mondiale” dipingendolo coi tratti cupi di uno stato unico e totalitario: se mai ci arriveranno – e non penso – non sarà così, semplicemente perchè al potere non converrebbe. Molto più conveniente un apparato multipolare e democratico ).

SAN GIOVANNI, SALVACI DAGLI INGANNI !

Cercheremo quindi di rispondere alle domande esposte sopra, indagando uno ad uno i principali inganni, gli assiomi indiscutibili introiettati come fossero i dieci comandamenti, e spalmati sul pane fin da piccoli come fossero nutella. Come enunciato dal sottotitolo, useremo la tecnica della  “Reductio ad Absurdum”, ossia cercheremo la contraddizione portando alle estreme conseguenze i postulati stessi delle pseudo-verità che ci sono state inculcate.

… Un po’ alla volta, per non distruggere di colpo tutte le vostre amate certezze.

Cosa c’è nella mente di un pedofilo

Scritto da:  Claudia Santini
Fonte: http://www.giornalettismo.com/archives/176115/cosa-ce-nella-mente-di-un-pedofilo/

Psichiatri e scienziati rivelano nuovi dettagli su quella che considerano una malattia mentale

La pedofilia è un argomento delicato, doloroso, difficile da trattare, spesso purtroppo grande protagonista degli avvenimenti di cronaca. Ma cosa sappiamo veramente dei pedofili? Conosciamo i meccanismi attraverso i quali giustificano i propri crimini e cosa accade esattamente nel loro cervello? Nuovi studi di psichiatri e scienziati da tutto il mondo, riportati dal Daily Beast, ci rivelano questi ed altri dettagli sulla malattia mentale che suscita orrore.

VISIONE MEDICA – La pedofilia, almeno a livello medico, viene considerata una malattia mentale che diventa un crimine solo quando il malato entra in azione. Questa la visione prettamente statunitense, mentre in Italia l’idea sembra maggiormente dibattuta tra aspetti medici e legali: un esempio è la sentenza della Cassazione Penale del 2003 secondo la quale “la pedofilia non è una malattia mentale e non attenua capacità di intendere e volere”. Secondo recenti studi di esperti statunitensi, la chiave per prevenire e curare il disturbo potrebbe risiedere nei dettagli clinici. Anche tra psichiatri a livello mondiale, la visione sull’aspetto medico della pedofilia muta molto: alcuni ricercatori la definiscono come una dipendenza, altri come un orientamento sessuale, altri ancora invece si affidano a scansioni del cervello per trovarvi i segni della pedofilia.

Tutti sembrano concordare però su un’unica definizione. La pedofilia è un criterio che definisce il desiderio erotico rivolto interamente o parzialmente a bambini prepubescenti, tipicamente minori di 13 anni. La ragione è ancora da stabilire, ma esistono molti più uomini pedofili che donne; secondo alcune stime, il 94% degli abusi sessuali su bambini è perpetrato da uomini. Lo studio della malattia negli USA è complicato dal fatto che, negli Stati Uniti, le leggi del 1990 richiedono a terapisti e medici di segnalare ai servizi di protezione dei minori chiunque possa costituire una minaccia per il bambino. La legge vince sul rapporto medico-paziente e, seppur sia un ottimo sistema di prevenzione, scoraggia i pedofili dal rivolgersi agli psichiatri per chiedere aiuto. A causa di ciò, la maggior parte degli studi è stata condotta su persone che hanno commesso crimini e sono – o sono state – in prigione. Questi costituiscono poco più del 5% dei casi che potrebbero invece essere studiati.

UNO STUDIO – Fred Berlin, psichiatra e direttore dell’unità sul comportamento sessuale alla Johns Hopkins, è uno dei migliori ricercatori conosciuti e rispettati del paese sulla pedofilia. Berlin ritiene che l’istintiva condanna morale non abbia nulla a che fare con gli studi: “Non sappiamo perché proviamo determinati desideri sessuali. Per tanto tempo, abbiamo considerato tutto ciò dal punto di vista morale – si presuppone che le persone abbiano determinati desideri – e certe volte la società ha deciso che le persone che provano desideri o pulsioni differenti non sono moralmente degne. Non è colpa di nessuno se si soffre di una certa condizione, ma è responsabilità dell’individuo fare qualcosa. Se qualcuno mi dice che soffre di pedofilia, è come se qualcuno dicesse che io sono eterosessuale. Questo dettaglio non suggerisce se sono introverso o estroverso, se sono una persona crudele, se sono intelligente o stupido”.

CASI DIVERSI – Berlina ha studiato diverse tipologie di pedofili: “Ci sono pazienti che soffrono di pedofilia, ma vivono una negazione in modo simile ad un alcolista che nega di avere un problema con l’alcol. Ce ne sono altri che ritengono che la società debba cambiare, ma sono la minoranza. Ce ne sono altri che cercano disperatamente aiuto per assicurarsi che sia tutto sotto controllo e molti sono sollevati sapendo che esiste un farmaco che li potrebbe aiutare”. Il farmaco abbassa i livelli di testosterone per smorzare il livello di desiderio sessuale. Allo stesso tempo, molti psichiatri somministrano anche antidepressivi e psicoterapia con metodi cognitivo-comportamentali per correggere la visione distorta dei pazienti. Una di questi psichiatri che applica terapie cognitivo-comportamentali sui pedofili è Judith Becker: spesso chiede ai pazienti di ricordare quanti anni avevano quando hanno iniziato a considerare atti sessuali con bambini. Per molti è una rivelazione: riscoprono che si rivedono nella stessa identica età della vittima. È come se, secondo la Becker, fossero rimasti ad una fase precedente del proprio sviluppo.

REGRESSIONE – I pedofili spesso passano mesi ad insinuarsi nella vita della vittima, giocando con loro, offrendo loro giocattoli e regali ed entrando nell’universo del bambino in modo tale che questi non riconosca l’abuso. Il pedofilo non cerca nel bambino solo la gratificazione sessuale momentanea, ma cerca soddisfazione anche nel legame stabilito e molti pedofili si identificano fortemente con le proprie vittime. La terapia mira a riavvicinare il pedofilo agli adulti, ricreando normali competenze sociali di cui spesso sono sprovvisti. Becker sottolinea anche che molti pedofili non operano con fredda chiarezza circa la moralità di ciò che fanno, ma creano “distorsioni cognitive”, assolvendo se stessi dalla colpa e dalla responsabilità. Per esempio, spesso si giustificano dicendo che “Il bambino non ha detto no quando ho iniziato”, o “qualcuno lo ha fatto a me quando ero un bambino e ho pensato che fosse normale”, oppure “amo veramente il bambino. ”

NORMALITA’ APPARENTE – Mark Deantonio, psichiatra presso l’UCLA, riporta che amici e vicini di pedofili sottolineano sempre che l’aguzzino sembrava “una persona normale” di cui nessuno avrebbe mai sospettato. La fissazione erotica per i bambini pre-pubere è “una zona di orribile devianza per qualcuno che potrebbe altrimenti condurre un’esistenza normale. I desideri sessuali di queste persone sono come “compartimenti stagni””. Idee che non sembrano concordare con i risultati delle ricerche di James Cantor, professore associato nel dipartimento di psichiatria presso l’Università di Toronto, che è uno dei pochi ricercatori al mondo che studiano la pedofilia dal punto di vista biologico, alla ricerca di differenze fisiche e cerebrali che distinguono i pedofili dai non-pedofili.

CARATTERISTICHE DEL PEDOFILO – Cantor ha scoperto che, in media, i pedofili hanno un quoziente intellettivo che è di 10 punti inferiore alla media della popolazione, sono 2.5 centimetri più bassi della media e sono per la maggior parte mancini o ambidestri. I mancini sono più numerosi anche nei casi di autismo e schizofrenia, due condizioni psichiatriche con “chiare basi biologiche”. Utilizzando la scansione del cervello, ha scoperto significative differenze nella materia bianca tra pedofili e non pedofili, ovvero nella sostanza che collega una regione del cervello ad un altra. Nel gruppo di pedofili analizzati, Cantor ha scoperto un deficit di connessione dovuto alla materia bianca nelle regioni del cervello. Quando non c’è abbastanza materia bianca, la rete cerebrale che identifica oggetti potenzialmente sessuali non funziona a dovere

 

Giardini sui tetti: una silenziosa rivoluzione verde

Scritta da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it/01122011/giardini-sui-tetti-una-silenziosa-rivoluzione-verde/

E’ sempre più frequente, anche nelle grandi città, una nuova concezione di giardino, che consente di veder crescere un prato anche dove c’è solo cemento. I giardini pensili sono una nuova tecnologia ambientale che consente di piazzare manti erbosi, fiori, ortaggi, frutti e perfino alberi su qualunque superficie piana e impermeabile, come quella dei tetti di molti edifici.

Il peso e lo spessore (al massimo 20 centimetri) del terriccio sono molto ridotti: si preferisce infatti usarne uno costituito da materiali minerali vulcanici. La manutenzione del materiale è semplice e ridotta: questo terriccio si muove e si zappa facilmente, necessita di poca irrigazione e di poco concime.

La pratica è nata nell’Europa del nord – pensate che nella città tedesca di Stoccarda i giardini sui tetti sono addirittura obbligatori – ma poi il fenomeno si è diffuso rapidamente anche altrove. A Cinisello Balsamo, nell’hinterland milanese, i tetti delle case comunali sono stati riqualificati e trasformati in 1500 metri quadri di verde. Così ogni inquilino ha il suo lotto con vista, che può curare e attrezzare a piacere.

Oltre al benefico effetto che ha questo tipo di rilassante giardinaggio sulla qualità di vita del proprietario, e a incrementare il valore dell’immobile, i tetti verdi urbani apportano molti altri vantaggi ambientali: riducono l’inquinamento acustico ed elettromagnetico, migliorano la temperatura urbana, permettendo soprattutto d’estate un ottimo isolamento termico – con conseguente risparmio energetico.

E poi un giardino pensile è utile per la tutela della biodiversità, perché in queste piccole oasi si possono ricreare gli habitat distrutti dall’urbanizzazione. Non ultimo, questi giardini pensili svolgono un ruolo importante nel controllo delle piogge abbondanti – in quanto trattengono buone quantità di acque piovane e alleggeriscono l’opera di smaltimento idraulico di tombini e fogne.

Opposizione sociale nell’era di Internet: militanti “desktop” e intellettuali pubblici

Scritto da : James Petras
Fonte:
http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=6353 Tradotto da: Curzio Bettio

Lettura ad invito in occasione del “Symposium on Re-Publicness”, sponsorizzato dall’Ordine degli ingegneri elettrotecnici ed elettronici, ad Ankara, Turchia, 9-10 dicembre 2011

Introduzione

La relazione della tecnologia dell’informazione (IT), e più specificatamente di Internet, con la politica è una questione centrale che interessa i movimenti sociali contemporanei.
Come molti progressi scientifici precedenti, le innovazioni nelle tecnologie dell’informazione hanno un duplice effetto: da un lato, hanno accelerato il flusso globale di capitali, soprattutto del capitale finanziario, e hanno facilitato la “globalizzazione” imperialista; d’altra parte Internet è servita a fornire fonti alternative di analisi critica, e per una facile e rapida comunicazione in grado di mobilitare i movimenti popolari.
L’industria della tecnologia dell’informazione ha creato una nuova classe di miliardari, dalla Silicon Valley in California a Bangalore, in India. Costoro hanno svolto un ruolo centrale nell’espansione del colonialismo economico tramite il loro controllo monopolistico nelle diverse sfere dei flussi informativi e dell’intrattenimento.
Per parafrasare Marx, “Internet è diventato l’oppio dei popoli”.
Giovani e vecchi, occupati e disoccupati, allo stesso modo passano ore a guardare ad occhi fissi e passivamente spettacoli, pornografia, videogiochi, vendite consumistiche on-line e anche “news” in completo isolamento dagli altri cittadini, dai compagni di lavoro e di occupazione.
In molti casi il “troppo pieno” di “notizie” su Internet ha saturato Internet, assorbendo tempo ed energie e deviando gli “spettatori” dalla riflessione e dall’azione.
Così come notizie scarse e non obiettive fornite dai mass media distorcono la coscienza popolare, la pletora di messaggi Internet può immobilizzare l’azione dei cittadini.
L’Internet, deliberatamente o no, ha “privatizzato” la vita politica. Molti, altrimenti potenzialmente attivi, sono giunti a credere che far circolare manifesti e comunicare ad altri soggetti informazioni e documenti sia un atto politico, dimenticando che solo l’azione pubblica, il confronto anche duro con gli avversari in spazi pubblici, nei centri urbani e nelle campagne, è alla base delle trasformazioni politiche.

La Tecnologia dell’Informazione e il capitale finanziario

Ricordiamoci che l’impulso iniziale allo sviluppo della “Tecnologia dell’Informazione” è arrivato dalle richieste delle grandi istituzioni finanziarie, delle banche di investimento e di coloro che operano sul terreno della speculazione, che cercavano di spostare miliardi di dollari e di euro con il semplice tocco di un dito, da un paese all’altro, da un’impresa ad un’altra, da una materia prima ad un’altra.
La tecnologia Internet è stata la forza motrice per la crescita della globalizzazione al servizio del capitale finanziario. In un certo senso, la tecnologia dell’informazione ha svolto un ruolo importante nel far precipitare le due crisi finanziarie globali degli ultimi dieci anni (2001-2002, 2008-2009).
La bolla del 2001 dei titoli azionari nel settore della tecnologia dell’informazione è stato il risultato della promozione speculativa delle sopravvalutate “imprese del software” scollegate dall’“economia reale”.
Il crollo finanziario globale del 2008-2009, e la sua continuazione oggi, è stato indotto dalla confezione computerizzata di truffe finanziarie e di mutui immobiliari privi di copertura.
Le “virtù” di Internet, i suoi rapidi collegamenti di informazioni, nel contesto del capitalismo speculatore, si sono rivelate i principali fattori che hanno contribuito alla peggiore crisi del capitalismo dal tempo della Grande Depressione degli anni ‘30.

La democratizzazione di Internet

Internet è diventato accessibile alle masse come mercato per le imprese commerciali, e in secondo tempo si è allargato ad altri usi, sociali e politici.
Cosa più importante, è diventato un mezzo per informare il grande pubblico dello sfruttamento e del saccheggio di paesi e di popoli da parte delle banche multinazionali. Internet ha posto in piena luce le bugie che accompagnano le guerre imperialiste degli Stati Uniti e dell’Unione europea nel Medio Oriente e in Asia.
Internet è diventato terreno conteso, una nuova forma di lotta di classe, impegnando in questa lotta movimenti per la liberazione nazionale e per la democrazia.
I movimenti e i leader più importanti, dai combattenti armati nelle montagne dell’Afghanistan agli attivisti per la democrazia in Egitto, ai movimenti studenteschi in Cile, fino al movimento per il diritto alla casa della gente povera in Turchia, si affidano ad Internet per informare il mondo sulle loro lotte, sui loro programmi, sulla repressione di stato e le vittorie popolari.
Internet mette in collegamento le lotte dei popoli oltre i confini nazionali – è un’arma fondamentale nella costituzione di un nuovo internazionalismo atto a contrastare la globalizzazione capitalistica e le guerre imperiali.
Per parafrasare Lenin, si potrebbe arguire che il socialismo del XXI secolo può essere riassunto dall’equazione: “soviet + internet = socialismo partecipativo”.

Internet e politiche di classe

Dobbiamo ricordare che le tecniche di informazione computerizzata su supporto informatico non sono “neutre” – il loro impatto politico dipende dai loro utilizzatori e dagli addetti al loro controllo, che determinano chi e cosa potrà servire agli interessi della loro classe.
Più in generale, Internet deve essere contestualizzata nei termini del suo inserimento nello spazio pubblico. Internet è servita a mobilitare migliaia di lavoratori in Cina e di contadini in India contro gli sfruttatori delle compagnie e gli speculatori immobiliaristi.
Ma la guerra aerea computerizzata è diventata l’arma della NATO scelta per bombardare e distruggere la Libia indipendente. I droni statunitensi che lanciano missili che uccidono i civili in Pakistan, nello Yemen e in altre parti sono diretti da computer “intelligenti”. L’individuazione delle posizioni dei guerriglieri in Colombia e i conseguenti bombardamenti aerei mortali sono computerizzati.
In altre parole, la tecnologia dell’informazione ha un uso duale : viene utilizzata per la liberazione dei popoli o in appoggio alla contro-rivoluzione imperiale.

Neoliberismo e spazio pubblico

L’analisi del termine “spazio pubblico” ha spesso associato a “pubblico” un più profondo intervento dello Stato a favore del benessere della maggioranza del popolo; una maggiore regolamentazione del capitalismo e una accresciuta protezione dell’ambiente. In altre parole i benigni attori “pubblici” sono posti a contrastare le forze sfruttatrici mercantili del “ privato”.
Nel contesto dell’ascesa dell’ideologia e delle politiche neoliberiste, molti scrittori progressisti discutono sul “declino della sfera pubblica”. Questi ragionamenti trascendono il fatto che la “sfera pubblica” ha rafforzato il suo ruolo nella società, nell’economia e nella politica, tutto a favore del capitale, in particolare del capitale finanziario e degli investitori stranieri.
La “sfera pubblica”, specificatamente lo Stato, è molto più intrusiva nella società civile come forza repressiva, in modo speciale attraverso politiche neo-liberiste che aumentano le disuguaglianze.  A causa della intensificazione e dell’approfondimento delle crisi finanziarie, la sfera pubblica (lo Stato) ha assunto un ruolo enorme nel salvare le banche dal fallimento.
A causa di disavanzi fiscali su larga dimensione provocati dall’evasione delle tasse da parte della classe capitalista, dalle spese per le guerre coloniali e dalle sovvenzioni pubbliche per le grandi imprese, la sfera pubblica (lo Stato) impone alle classi subalterne programmi di “austerità” incentrati sul taglio delle spese sociali e sulla precarizzazione del pubblico impiego, pregiudicando l’esistenza ai pensionati e ai lavoratori che dipendono nel loro salario dai privati.
La sfera pubblica ha diminuito il suo ruolo nei settori produttivi dell’economia. Tuttavia, il settore militare è cresciuto con l’espansione delle guerre coloniali e imperialiste.
La questione fondamentale alla base di qualsiasi discussione sulla sfera pubblica e sull’opposizione sociale non poggia sul loro declino o crescita, ma piuttosto sugli interessi di classe che definiscono il ruolo della sfera pubblica.
In regime di neoliberismo, la sfera pubblica è diretta al fine di utilizzare il tesoro pubblico per finanziare i salvataggi bancari, potenziare il militarismo e ampliare l’intervento di uno stato di polizia.
Una sfera pubblica diretta in favore dell’“opposizione sociale” (operai, contadini, professionisti, dipendenti) amplierebbe l’ambito di attività della sfera pubblica in materia di salute, istruzione, pensioni, ambiente e occupazione.
Il concetto di “sfera pubblica” ha due facce opposte (Giano bifronte): una favorevole al capitale e al militarismo, l’altra rivolta verso l’opposizione sociale e il mondo dei lavoratori. Anche il ruolo di Internet è soggetto a questa dualità: da un lato Internet facilita i movimenti su larga scala dei capitali e i rapidi interventi militari imperialisti, d’altro canto fornisce l’immediato flusso di informazioni per mobilitare l’opposizione sociale.
L’interrogativo fondamentale resta: “che tipo di informazione viene trasmessa, a quali attori politici, e per quali interessi sociali?”

Internet e l’opposizione sociale: la minaccia della repressione di Stato

Per l’opposizione sociale, Internet è prima di tutto una fonte vitale di informazioni critiche alternative per educare e mobilitare il “pubblico”- soprattutto tra coloro in grado di influenzare la pubblica opinione in senso progressista, i professionisti, i sindacalisti e i dirigenti dei movimenti contadini, i militanti e attivisti.
Internet è l’alternativa al sistema dei mezzi di comunicazione di massa capitalisti e alla loro propaganda, una fonte di notizie e informazioni che crea un circuito di documentazioni opportune ad informare gli attivisti dei siti che operano in favore dell’azione pubblica.
A causa del suo ruolo progressista come strumento di opposizione sociale, Internet è soggetta al controllo da parte di un repressivo apparato da stato di polizia. Per esempio, negli Stati Uniti oltre 800.000 funzionari lavorano per l’agenzia poliziesca “Homeland Security – Sicurezza interna”, un apparato di polizia che spia miliardi di mail, fax, telefonate di milioni di cittadini statunitensi. Quanto sia efficace sottoporre a misure di spionaggio poliziesco tonnellate di informazioni ogni giorno, questa è un’altra questione. Ma il fatto è che Internet non è una “fonte libera e sicura di informazioni, dibattiti e discussioni”.
In realtà, nel momento in cui Internet diventa più efficace nel mobilitare i movimenti sociali in opposizione allo Stato imperiale e colonialista, più alta diventa la probabilità di un intervento da stato di polizia, con il pretesto di “combattere il terrorismo”.

Internet e le lotte del nostro tempo: si tratta di una rivoluzione?

Sicuramente, risulta importante riconoscere la valenza di Internet nel far detonare alcuni movimenti sociali, così come relativizzare il suo significato complessivo.
Internet ha giocato un ruolo fondamentale nel dare pubblicità e nel mobilitare le “proteste spontanee”, come quelle degli “indignados” (i contestatori indignati), per lo più giovani disoccupati non associati in Spagna, e quelle dei manifestanti coinvolti negli Stati Uniti in “Occupy Wall Street”.
In altri casi, per esempio, nel corso degli scioperi generali di massa in Italia, Portogallo, Grecia e in altri paesi, le confederazioni sindacali organizzate hanno avuto un ruolo centrale, e Internet un impatto secondario.
Nei paesi altamente repressivi come Egitto, Tunisia e Cina, Internet ha giocato un ruolo importante nel diffondere informazioni sulle azioni pubbliche e nell’organizzazione delle proteste di massa. Tuttavia, Internet non ha condotto al successo alcuna rivoluzione – può informare, fornire forum di discussione e provocare mobilitazioni, ma Internet non è in grado di fornire leadership e organizzazione per sostenere l’azione politica, per non parlare di produrre una strategia per assumere il potere statale.
L’illusione che alcuni guru di Internet coltivano, che l’azione “computerizzata” possa sostituire la necessità di un partito politico disciplinato, si è dimostrata essere falsa: Internet può facilitare il movimento, ma solo un’opposizione sociale organizzata è in grado di fornire la direzione tattica e strategica, che può sostenere il movimento contro la repressione di Stato e verso il successo delle lotte.
In altre parole, Internet non è “fine a se stessa” – la posizione di autocompiacimento degli ideologi di Internet nell’annunciare una nuova era di informazione “rivoluzionaria” trascura il fatto che le potenze della NATO, Israele e i loro clienti e alleati ora utilizzano Internet per inoculare virus per distruggere le economie, sabotare programmi di difesa e promuovere rivolte etnico-religiose.
Israele ha inviato virus nocivi per ostacolare il programma nucleare pacifico dell’Iran; gli Stati Uniti, la Francia e la Turchia incitano i loro clienti oppositori sociali in Libia e in Siria.
In una parola, Internet è diventato il nuovo terreno di lotta di classe ed antimperialista. Internet è un mezzo, non un fine a se stessa. Internet fa parte di una sfera pubblica il cui scopo e risultati sono determinati dalla più larga struttura di classe in cui è incorporata.

Osservazioni conclusive: militanti “desktop” e intellettuali pubblici

L’opposizione sociale è determinata dall’azione pubblica: la presenza delle collettività in incontri politici, individui che parlano in pubbliche manifestazioni, attivisti che marciano nelle piazze, militanti sindacalisti che instaurano un confronto con i datori di lavoro, i poveri che domandano siti per alloggi e servizi pubblici alle autorità pubbliche …
Affrontare un attivo incontro assembleare pubblico, formulare idee, programmi e proporre programmi e strategie attraverso l’azione politica, tutto ciò delinea il ruolo dell’intellettuale pubblico. Sedersi a una scrivania in uno studio, in uno splendido isolamento, ed inviare cinque proclami al minuto, questo definisce un “militante desktop”.
Si tratta di una forma di pseudo-militanza che isola la parola dall’azione.
La “militanza” desktop è un atto di inazione verbale, di irrilevante “attivismo”, un far finta che si tratti di una rivoluzione della mente. Lo scambio di comunicazioni via Internet diventa un atto politico quando si impegna in movimenti sociali pubblici che sfidano il potere. Per forza di cose, questo comporta rischi per l’intellettuale pubblico: aggressioni della polizia negli spazi pubblici e rappresaglie economiche nella sfera privata.
Gli attivisti “desktop” non rischiano nulla e realizzano poco.
L’intellettuale pubblico collega i disagi privati degli individui all’attivismo sociale della collettività. Il critico accademico arriva sul luogo dell’azione, parla e ritorna al suo ufficio accademico. L’intellettuale pubblico parla e sostiene a lungo termine un impegno politico di educazione ed informazione con l’opposizione sociale nella sfera pubblica, via Internet e nel faccia a faccia attraverso incontri quotidiani.

 

Prodotto equo e solidale: esiste anche quello italiano

Scritto da: Laura Pavesi
Fonte: http://www.buonenotizie.it/cronaca-e-societa/2011/12/05/prodotto-equo-e-solidale-esiste-anche-quello-italiano/

La campagna “Solidale Italiano” di Altromercato – che utilizza gli stessi principi etici del circuito internazionale “equo e solidale” – si amplia con la promozione di prodotti bio provenienti da aziende calabresi che hanno detto no alla criminalità organizzata. La scorsa settimana è stata presentata a Palazzo Marino a Milano, la collaborazione tra Altromercato – la maggiore organizzazione di commercio equo e solidale in Italia e la seconda nel mondo – e Goel Bio – cooperativa sociale agricola del Consorzio Goel che riunisce i produttori della Locride e della Piana di Gioia Tauro, che si oppongono alle nel settore agricolo e che sottoscrivono l’inserimento dei lavoratori nel pieno rispetto della legalità.

Il marchio “Solidale Italiano” di Altromercato – nato quest’anno per promuovere le piccole realtà produttive impegnate in progetti di riscatto sociale e sviluppo locale (spesso su terreni confiscati alle mafie) – sarà applicato anche ai prodotti ortofrutticoli di aziende calabresi che hanno deciso di coltivare la terra secondo metodi biologici e, contemporaneamente, di muoversi all’interno della legalità, rifiutandosi di sottostare all’imposizione di pizzo e di manodopera a bassissimo costo da parte delle organizzazioni criminali.

Grazie a questa collaborazione, nei punti vendita di Altromercato presenti in tutta Italia saranno disponibili i primi 3 prodotti agroalimentari calabresi recanti il marchio “Solidale Italiano”: arance bio, clementine bio e olio extravergine d’oliva biologico monocultivar prodotto nella zona di Gerace. Obiettivo della nuova collaborazione è sostenere i produttori ortofrutticoli della Locride che seguono i metodi dell’agricoltura biologica e che, per aver detto no a pizzo e caporalato, spesso si trovano marginalizzati ed esclusi dal circuito commerciale. Geol Bio e Altromercato, quindi, attraverso la rete di distribuzione del commercio equo e solidale, hanno scelto di lavorare insieme contro la criminalità organizzata calabrese.

È molto significativo che Altromercato – che negli ultimi vent’anni ha promosso valori di solidarietà ed equità verso i contadini del sud del mondo – abbia deciso di estendere l’applicazione degli stessi principi etici anche ai piccoli produttori italiani che lavorano nella legalità e nel rispetto dei diritti dei lavoratori. “La solidarietà e la sostenibilità non riguardano solo il Sud del mondo” – ha dichiarato Guido Vittorio Leoni, Presidente di Altromercato – “Con “Solidale Italiano” abbiamo la possibilità di sostenere e valorizzare l’operato delle realtà locali del nostro paese che quotidianamente si impegnano in programmi di alto valore sociale”.

A questo proposito, è importate ricordare che in Italia esistono migliaia di piccoli produttori che lavorano seguendo un modello economico-agricolo basato sul rispetto dell’uomo e dell’ambiente e, soprattutto, sul rispetto della legalità – magari anche vicino a noi, nel nostro comune o nella nostra provincia. L’avvicinarsi delle festività natalizie, quindi, potrebbe essere un’ottima occasione per non lasciare sole queste belle realtà italiane, sane e positive, che andrebbero sempre più individuate e assecondate, affinché la cultura della legalità, della solidarietà e dell’equità venga acquisita anche in piccoli gesti quotidiani e apparentemente “banali” come quello di fare la spesa.

Per approfondire:

Le donne  coraggiose di Lamezia Terme
La scuola per combattere criminalità e mafia

Armi chimiche: il convitato di pietra

Scritto da: Luca Galassi
Fonte: http://it.peacereporter.net/articolo/31925/Armi+chimiche%3A+il+convitato+di+pietra

Si chiude la Conferenza sull’abolizione delle armi biologiche e chimiche: grande assente, un accordo atteso da 15 anni.

La notizia è passata sotto silenzio. Probabilmente a causa del fatto che anche stavolta non si troverà un accordo. Si è tenuta all’Aja, dal 29 novembre al 2 dicembre, la sedicesima conferenza sulle armi chimiche e biologiche, tenuta dall’Opcw, organizzazione per la proibizione delle armi chimiche. Si tratta di un organismo che ha mandato di implementare l’eliminazione di tali armamenti attraverso una serie di azioni: distruzione di tutte le armi, non proliferazione, assistenza e protezione, cooperazione internazionale. Nessun documento è stato redatto, e nessuna previsione su un accordo è stata fatta dopo la chiusura dei lavori.

L’appello agli Stati membri, che proibiva sviluppo, produzione, stoccaggio e uso delle armi chimiche era stato lanciato nell’aprile del 2007. Ma in quell’occasione, Russia e Stati Uniti chiesero di posporre ogni decisione all’aprile 2012. Washington vuole adesso differire nuovamente la distruzione del suo arsenale addirittura al 2020. Nel regolamento dell’Opcw si prevede la possibilità di riferire al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite la mancata inadempienza delle nazioni aderenti alla Convenzione. Questa fu firmata nel 1993, ed entrò in vigore nel ’97. Ad oggi sono 188 gli Stati firmatari, incluso Russia, Cina, Israele, che ancora non l’hanno ratificata.

Tuttavia, per oltre vent’anni, sia le riunioni della Conferenza che i negoziati collaterali sul disarmo chimico hanno fallito nell’impresa di garantire l’eliminazione globale di tutte le armi chimiche. La maggior parte degli Stati membri hanno adempiuto agli obblighi. Gli Stati Uniti, tra altri, no.

Le armi chimiche includono tutte quelle tossiche, compresi i loro cosiddetti ‘precursori’ (sostanze che attraverso una reazione chimica diventano parte integrante di una nuova molecola) capaci di provocare la morte, la malattia, la paralisi temporanea o l’irritazione sensoriale. Incluse nelle sostanze chimiche sono i vettori delle stesse: proiettili, ogive, bombe e altri apparecchi. Quelle più note sono la clorina e il fosgene, il cianuro di idrogeno, il sarin e gli agenti nervini. Tutti composti chimici legali, se usati nell’industria. Ma, negli armamenti, violano le norme della Convenzione.

E’ il caso dell’America. La filosofia degli Stati Uniti è quella di sfruttare le maglie larghe della Convenzione. Nel 2001, l’amministrazione Bush la rifiutò in toto, con la scusa che, dopo l’11 settembre, era necessario contrastare la minaccia chimica e biologica spendendo miliardi di dollari per sviluppare, testare e accumulare armi necessarie a un ‘first-strike’ in caso di attacco: la scappatoia nella convenzione permette l’uso di alcuni tipi – e di quantità stabilite – di agenti biologici per “fini pacifici, di prevenzione o protezione”. Consente anche la ricerca, ma non lo sviluppo delle armi.

E’ la strategia della deterrenza nucleare: lo Stato, per la propria sicurezza e difesa nazionale, si “riserva il diritto” di usare armi atomiche “a causa dell’evoluzione e proliferazione di minacce biologiche”, garantendosi la possibilità di contrastare tale minaccia. Armi nuove rimpiazzano le vecchie. La tecnologia e le sperimentazioni superano i trattati. E della sedicesima conferenza degli Stati membri non rimarrà alcuna traccia tangibile.

Brevi appunti per una Controstoria dell’Unità d’Italia

Scritto da: Giuliano Guzzo
Fonte: http://www.libertaepersona.org/dblog/articolo.asp?articolo=1663

Prima di cianciare della laicità dello Stato italiano, prima di celebrare a sproposito l’Unità d’Italia e di osannare Cavour e Garibaldi – che Wikipedia definisce “il personaggio storico italiano più celebre nel mondo”-, sarebbe opportuno, quanto meno per cultura generale, andarsi a documentare su quella che effettivamente è stata la riunificazione della nostra Penisola.

La memoria mi riporta agli anni della scuola dell’obbligo, nei quali mi feci un’idea davvero entusiasmante di com’era nata l’Italia e dei suoi eroi. Garibaldi, in particolare, esercitò su di me grandi fascino ed ammirazione; e quando visitai, a Caprera, la stanza dove si spense, col letto romanticamente affacciato sul mare, l’eroe dei due mondi mi conquistò del tutto, idealista come me lo immaginavo. Ero completamente assuefatto alla retorica pomposa e mendace che servivano – e forse servono ancora – i programmi scolastici e i relativi sussidiari. Retorica, appunto. Perché la storia dell’Unità d’Italia è ben diversa.

E ci racconta di eventi tutt’altro che felici. Come la resistenza armata, durata sei mesi, di Federico II di Borbone. Di quei mesi molti testi scolastici riferiscono poco o nulla, ma vi furono scontri che costarono alle truppe borboniche qualcosa come 2.700 morti, 20.000 feriti e migliaia di dispersi. Un massacro, questo, dovuto – dicono gli storici – non già alla volontà del popolo italiano di unificarsi, come spesso si vuol far credere, bensì ad un progetto che interessava, a quel tempo, appena il 2% della popolazione. L’Unità d’Italia, dunque, fu un’idea estremamente elitaria. I plebisciti di cui, in proposito, tanti libri scolatici parlano sono dunque a frottole colossali. Ma cominciamo dal principio.

Tutto ebbe inizio nell’incontro segreto che, nel 1858, ebbero a Plombières Camillo Benso di Cavour e Napoleone III. Cavour portò con sé ben tre foglietti di memorie sulle questioni da affrontare; principalmente, questioni di guerre d’annessione. L’idea discussa, in estrema sintesi, era quella della futura tripartizione, sulla scia del modello germanico, dell’Italia: Alta Italia, Regno dell’Italia centrale e Regno di Napoli e Roma. In realtà, rispetto a quelle iniziali intese, le cose andarono molto diversamente.

Ma l’aspetto più inquietante, in tutto questo, fu l’atteggiamento del governo italiano o aspirante tale, disposto a cedere pezzi del proprio territorio – Nizza e Savoia – alla Francia, e a patrocinare matrimoni combinati – quello della figlia di Vittorio Emanuele II con il cugino di Napoleone II – pur di farsi sostenere nel proprio progetto bellico spesso contrassegnato da episodi di gravità inaudita. Come quando, nell’ottobre 1860, si iniziò la guerra d’invasione del Mezzogiorno senza nemmeno una dichiarazione formale. Guerra che, come sappiamo, portò, calpestando in pieno il diritto internazionale, alla conquista del Regno delle Due Sicilie. Il peggio, tuttavia, fu riservato alla Chiesa. E non fu un caso.

Sin dal 1848, all’indomani dell’approvazione dello Statuto di Carlo Alberto, Parlamento e governo subalpino si mobilitano per ostacolare la vita ai gesuiti e agli ordini religiosi. Fanno testo a questo riguardo gli interventi del deputato Cesare Leopoldo Bixio, dichiarato anticlericale. Risultato: il ’48 si concluse col domicilio coatto imposto ai gesuiti e con la conversione dei loro collegi che diventarono caserme, ospedali, manicomi. E fu solo l’inizio di una persecuzione che sarebbe durata molti anni. Toccò infatti a Cavour, pochi anni dopo, attaccare le festività religiose, a suoi dire troppo numerose.

E solo quattro anni più tardi fu presentato in Parlamento un progetto di legge per privare di personalità giuridica gli ordini contemplativi e mendicanti. Una disposizione che coinvolse 335 case per un totale di 5.489 persone, che si ritrovarono – apparentemente senza una motivazione – bersagliati da una legge che tolse loro le proprietà donate dai fedeli, archivi e biblioteche. E pensare che ancora oggi molti considerano Cavour un liberale. Con ogni probabilità senza sapere che proibì la circolazione delle encicliche di Pio IX. Chi avesse dubbi non dovrebbe fare altro che consultare quello che era il Codice penale piemontese che, all’articolo 269, puniva “severamente i sacerdoti pei peccati di parole, d’opere e di omissioni” contro il dogma liberale. Alla faccia del liberalismo.

Ma il personaggio che, nella memoria collettiva, gode più immeritatamente di onore e gloria è lui, Giuseppe Garibaldi. Anticlericale d’assalto, noto massone, corsaro, trafficante di schiavi, ambientalista ante-litteram nonché esempio per Mussolini – che riconobbe in lui il primo dittatore d’Italia -, Garibaldi gode ancora di una fama dorata. Eppure ebbe una vita tormentata al punto che, per scrivere la sua storia fino a conferirgli parvenza eroica, Cavour chiamò ben quattro scrittori tra cui Alexander Dumas. Lo stesso sbarco dei Mille a Marsala fu una farsa, perché non sarebbe mai stato possibile senza il favore di due navi inglesi, “Intrepid” e “H.M.S. Argus”, lì ormeggiate.

Del resto, fu lo stesso Vittorio Emanuele II a ritenere Garibaldi un pericoloso criminale. Sentiamo cosa scrisse di lui a Cavour dopo lo storico “incontro di Teano”:”Come avrete visto, ho liquidato rapidamente la sgradevolissima faccenda Garibaldi […] questo personaggio non è affatto così docile né così onesto come lo si dipinge, e come voi stesso ritenete […] Il suo talento militare è modesto, come prova l’affare di Capua, e il male immenso che è stato commesso qui, ad esempio l’infame furto di tutto il denaro dell’erario, è da attribuirsi interamente a lui, che s’è circondato di canaglie”.

Ovviamente, il cosiddetto ”eroe dei due mondi” odiava a morte il Papa, che arrivò a definire “un metro cubo di letame”. E provò, con un sonoro fallimento, ad invadere Roma. Era il settembre del 1867 e, alla guida di ottomila uomini, dopo aver espugnato Monterotondo, Garibaldi era al ponte Nomentano dove, raggiunto dalla notizia dell’arrivo di un corpo di spedizione francese, se la fece sotto e fece dietro-front. Lo scontro, tuttavia, ci fu. Avvenne a Mentana e fu una catastrofe: ben 1.600 garibaldini furono fatti prigionieri ed entrarono a Roma coi francesi, acclamati dalla città come eroi e vincitori.

Un episodio, questo, che la disse lunga sulla volontà dei romani di diventare italiani. Non per nulla Hübner, ambasciatore austriaco fresco di nomina, in una lettera del 5 ottobre 1867 scrisse:”I giornali italiani, moderati e rivoluzionari, mentono sfrontatamente quando parlando d’insurrezione e di insorti negli Stati del Papa. Non si vede l’ombra di un movimento. Non una città, non un villaggio si è mosso”. Esistono fondate ragioni per supporre che anche i veneti ed i lombardi, in realtà, fossero desiderosi di diventare subito italiani visto e considerato che, già a quel tempo, rappresentavano un’area economicamente produttiva.

Per non parlare del Meridione. Il Regno delle Due Sicilie in campo economico era al primo posto in Italia e al terzo in Europa e disponeva di una eccellente marina mercantile. La Campania, poi, era addirittura la regione più industrializzata d’Europa: poteva vantare l’Opificio di Pietrarsa – dove si producevano motori a vapore, locomotive, carrozze ferroviarie e binari – e cantieri navali all’avanguardia e perennemente sommersi di ordinazioni.

Ma torniamo alla conquista di Roma. Che non fu affatto una pagina allegra: i bersaglieri entrarono nella Città Eterna con una cannonata, e ci furono 49 morti italiani e 19 papalini. Chi dunque pensa la Breccia di Porta Pia una marcia felice sappia che ha in mente un’immagine falsa. Come falsa è l’ormai celebre fotografia – presente in tutti i sussidiari delle elementari – che immortala i bersaglieri col fucile spianato intenti ad entrare a Roma. Fu scattata il giorno dopo, il 21 settembre, coi bersaglieri in posa propagandistica.

Beninteso: con queste rapide e per forza di cose imprecise incursioni storiche, non si ha certo la pretesa né tanto meno l’intenzione di infangare l’Italia. Tuttavia, se si considerano gli episodi sopra richiamati, forse si capiscono meglio le ragioni che stanno alla base di quella che è ancora l’odierna difficoltà, per gli italiani, di sentirsi nazione. L’Unità d’Italia non fu voluta dal popolo. Ed è quindi difficile, anche se sono passati già 150 anni, pretendere per la nostra Penisola un comune sentire equivalente a quello di popoli uniti da un percorso storico molto più grande e meno tormentato.

Bibliografia: Di Fiore, “Controstoria dell’Unità d’Italia“, Rizzoli 2007; Fazio – Frescaroli – Totterie – Salvi, “I Grandi enigmi dell’Unità d’Italia“, Edizioni di Crémille, 1969; Viglione, “La rivoluzione italiana. Storia critica del Risorgimento“, Piemme, 2000; Martucci, “L’invenzione dell’Italia Unita“, Sansoni 1999; Pellicciari “L’Altro Risorgimento. Una guerra di religione dimenticata“, Piemme 2004.

Putin in difficoltà: crescono comunisti, sinistra moderata e ultranazionalisti

Fonte: http://www.iljournal.it/2011/putin-in-difficolta-crescono-comunisti-sinistra-moderata-e-ultranazionalisti/284624

Secondo gli exit poll saranno quattro i partiti che in Russia comporranno la camera bassa, la Duma, dopo le elezioni di oggi. Il partito del premier, Vladimir Putin e del presidente della Federazione Russa, Dmitry Medvedev, che però sembra essere in forte calo di voti e consensi ( oggi a Mosca c’è stata una manifestazione contro di lui, con circa cento persone arrestate), Russia Unita. Che rischia di non avere più la maggioranza assoluta nella Duma.

Poi una formazione giovane che risale soltanto al 2006, Russia Giusta, nata quando tre partiti marginali e alquanto eterogenei, ma accomunati da un certo senso di populismo, decisero di unirsi – “Pensioneri”, “Rodina” e ” Zhizn’ ” (“Pensionati”, “Patria” e “Vita”) . A dirigere questo partito, che proclamava il socialismo del XXI secolo, fu chiamato l’allora presidente della Camera Alta del parlamento russo, Sergej Mironov che aveva suscitato una certa curiosita’ due anni prima quando aveva partecipato alle presidenziali arrivando a sfiorare l’1%.

I comunisti di Zjuganov videro subito in questo nuovo partito un tentativo di erodere a sinistra la loro base elettorale e da allora lo hanno attaccato in ogni occasione.
Di recente Russia Giusta ha dovuto subire alcune defezioni dolorose, giustificate da una opposizione troppo gridata nei confronti dell’attuale maggioranza di governo.
Rivendica una politica di difesa sociale nel quadro di una economia socialista con una presenza prevalente dello stato.

Poi ci saranno proprio i comunisti di Gennadij Zjuganov, l’uomo che si oppose alla perestroika ed alla glasnost di Gorbaciov, contrario allo smembramento del grande stato dell’Unione Sovietica, per tre volte maggior candidato alle elezioni presidenziali, battuto da Eltsin, Putin e Medevedev. Un superstite del vecchio regime comunista che ha dominato la Russia per 60 anni.

Infine cresce anche il partito del cosiddetto “ultranazionalista” Vladimir Zhirinovsky che si batte per il “Potere russo”, che considera i suoi avversari degli “ebrei o amici degli Stati Uniti”; che vuole sostenere la piccola industria, ridurre la burocrazia e combattere la corruzione. Vorrebbe anche, Zhirinovsky, controllare l’immigrazione per favorire i lavoratori russi, ed uno Stato capace di controllare i prezzi, in particolare quelli dei generi alimentari.

 

 

 

 

Altre 100 manovre come questa

Scritto da: Debora Billi
Fonte: http://crisis.blogosfere.it/2011/12/altre-100-manovre-come-questa.html

Manovra “salva Italia”. Per pagare il debito, ce ne vogliono altre 100 uguali a questa. Ancora convinti che “i debiti si pagano”?

Mi stupisce la disperazione e lo stracciamento di vesti che si accompagna a questa manovra. “Lacrime e sangue”, viene definita. Ma quando mai? Si tratta di una manovra soft, una robetta da nulla, una cosina irrilevante.

A lamentarsi a voce più alta sono spesso gli stessi che finora hanno ripetuto la lezioncina “i debiti si pagano!“, col severo tono moralista. Ebbene, sappiano questi signori che si tratta di una manovra da 20 miliardi in tre anni. Il nostro debito pubblico è pari a 1900 miliardi, e il conto è presto fatto: affinché “i debiti si paghino” occorrono altre 95 manovre come questa. E non si possono distribuire nel corso del prossimo secolo, vorranno mica che i nostri creditori aspettino così tanto, i debiti si pagano e in fretta altrimenti sai che brutta figura. E’ il “paradigma sociale prevalente“, come diceva Pietro Cambi.

Così, se l’obiettivo è davvero quello di pagare il debito, ciò che avete sentito ieri sera non è neppure l’antipasto, è un salatino. C’è da augurarsi che abbiano ragione i più complottisti, che sostengono che invece si tratta di un’operazione vòlta semplicemente alla spoliazione delle ricchezze del nostro Paese, perché in tal caso ci rimetteremmo di meno.

Mi auguro che il fare questi due conti riporti i toni dei maestrini moralisti a più miti consigli, e che si cominci invece ad affermare che il debito va ridiscusso, che in buona parte è illegittimo, che non dobbiamo pagare gli interessi sugli interessi, insomma che i cittadini comincino a chiedere di bloccare questa follia invece di preoccuparsi della brutta figura con gli strozzini.

In caso contrario, prepariamoci a piangere insieme alla Fornero per altre 95 volte.

La nave da crociera più grande del mondo

Fonte: http://www.ilpost.it/2011/02/14/la-nave-da-crociera-piu-grande-del-mondo/

La Allure of the Seas è una nave da crociera della compagnia crocieristica norvegese-statunitense Royal Caribbean International. Anzi, di più: è la nave passeggeri più grande del mondo. Per chi non ha grande esperienza di vacanze in crociera non dev’essere semplice digerire certe cifre: 362 metri di lunghezza, oltre 60 di larghezza e alta 70 metri; può contenere circa 6400 passeggeri distribuiti in oltre 2700 cabine, con una scelta tra 22 ristoranti e assistiti da un equipaggio che consta di quasi 2400 persone.

Toni Schlesinger è una giornalista e scrittrice statunitense che sta scrivendo un libro sulle avventure in crociera. Ha descritto per il New York Times il suo viaggio sulla Allure. La crociera non è certamente il tipo di vacanza adatto a chi ama il contatto diretto con la terra e con la natura, ma pare che salire a bordo della Allure of the Sea costituisca un’esperienza ai limiti del virtuale. Tutto è costruito per farti sentire come se ti trovassi sulla terra ferma:

L’esperienza più emblematica del viaggio sulla Allure l’abbiamo vissuta andando a dormire. Nessuna sensazione di movimento, nessun lieve rollio delle onde a cullarci verso il sonno memori di trascorsi di viaggio tra verdeggianti isole misteriose. Al risveglio ci è venuto il dubbio di non essere mai usciti dal porto.

Il terzo giorno di viaggio la Allure ha fatto una sosta a Labadee, Haiti, sollevando non poche perplessità tra i passeggeri. Con che coraggio un simile sfoggio di ricchezza poteva fermarsi in una terra così afflitta? La Royal Carribean ha affittato un’area paradisiaca nel nord dell’isola per le sue crociere fin dal 1986, e Mr. Goldstein (presidente della compagnia) ha un blog dedicato in parte a quanto la Royal Carribean contribuisce ad aiutare Haiti con medicine, cibo, educazione. […] Quando ho chiesto ad un membro dello staff se i passeggeri non avevano il timore di contrarre il colera durante l’escursione, mi è stato sussurrato in risposta che tutto quanto presente nell’area che avremmo visitato (incluse le aragoste e le costine per il barbecue) veniva direttamente dalla nave. […] La recinzione e le guardie che separavano l’area dell’escursione dal resto dell’isola non erano visibili.

Tornando a bordo, è possibile assistere a decine di spettacoli (tra cui un circo acrobatico e svariate esibizioni di pattinaggio sul ghiaccio) e farsi coinvolgere da numerosissimi intrattenimenti, piscine, palestre, addirittura il Central Park:

«L’idea iniziale era di avere dolci colline coperte d’erba, ma la pioggia sarebbe stata un problema, quindi abbiamo ripiegato sulle piante. – ha raccontato ad un gruppetto di passeggeri Mr. Habi, il giardiniere, con un sospiro. […] Ha proseguito poi raccontandoci che avevano dovuto diminuire gli alberi e che i fiori non riescono a crescere, cosa che lo deprime molto.

Il momento di maggiore contatto con la realtà Toni l’ha vissuto quando si è dovuta rivolgere al servizio clienti perché aveva smarrito il suo iPhone:

La crisi mi ha permesso di scoprire le meraviglie dell’help desk della Allure, dotato di un piccolo esercito di dieci o più soldatini sempre all’erta, vigili, pronti a tutto per ritrovare il mio cellulare. Il servizio clienti si è rivelato uno dei luoghi più interessanti della nave, l’unico su tutta la Allure dove ci si scontra con la dura realtà: veri drammi, come litigi sui disagi derivati dal non riuscire a collegarsi a internet, perdendo minuti e soldi nel processo.

Anche se il parco assomiglia più a un nostalgico centro commerciale con un’area verde molto curata, piuttosto che allo Sheep Meadow, mi sono sorpresa a tornarvi a respirare l’aria fresca e pulita sempre più spesso, nonostante il punto di essere in crociera dovrebbe essere diventare un tutt’uno con l’aria di mare lasciandosi alle spalle il senso di prigionia della terra ferma.

Ma la differenza più significativa dalle solite crociere è l’assenza di contatto con gli altri passeggeri, quel formarsi di una piccola comunità che viene a mancare una volta sbarcati: sulla Allure è facile restare perfetti sconosciuti e ricreare quel senso di anonimato tipico delle grandi città