A Messina le flotte navali NATO da rottamare

Scritto da: Antonio Mazzeo
Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/

(Foto: USS Enterprise)

Un grande cimitero-pattumiera di tutte le navi da guerra che saranno dismesse dalle marine dei paesi membri della NATO. Prodotti chimici e idrocarburi, agenti inquinanti e cancerogeni, rifiuti tossici e speciali. Da stoccare, maneggiare, trattare e “bonificare” a due passi dal centro urbano. A Messina, nel cuore dello Stretto, lo storico Arsenale militare è destinato a divenire il Centro di eccellenza per la “demilitarizzazione e lo smaltimento” delle unità navali dell’Alleanza Atlantica fino a duemila tonnellate (il cosiddetto “naviglio sottile”). Lo hanno deciso a Roma i manager dell’Agenzia Industrie e Difesa, l’ente di diritto pubblico istituito nel 1999 per “razionalizzare” le strutture industriali del Ministero della Difesa in vista della loro privatizzazione.

 

Partner del progetto sarà la NATO Maintenance and Supply Agency (NAMSA), l’agenzia logistica dell’Alleanza con sede a Capellen (Lussemburgo) che assiste i paesi membri negli acquisti comuni e nella manutenzione dei sistemi d’arma, dal primo luglio di quest’anno sotto il controllo della neo costituita NATO Support Agency (NSPA). Secondo quanto rivelato dalla Gazzetta del Sud, entro la fine dell’estate una commissione NAMSA giungerà a Messina per verificare la tipologia degli impianti dell’Arsenale e autorizzare l’arrivo delle prime navi da rottamare. Per rendere pienamente operativo il nuovo Centro d’eccellenza sarà però necessario realizzare gli “impianti per garantire la sicurezza ambientale” e le “aree per l’accumulo di materiali da smaltire” per un importo di circa 25-30 milioni di euro, con fondi militari e sotto l’egida dell’Agenzia Industria e Difesa.
La trasformazione dell’infrastruttura peloritana in un centro d’élite NATO è stata confermata dall’ex ammiraglio Gian Francesco Cremonini, da una decina d’anni alla guida dell’Arsenale. “Lo start up del progetto è stato avviato una decina di giorni fa”, ha dichiarato. “Si tratta di una grandissima occasione per la città. Su Messina viene indirizzato un interesse internazionale e di questo non potrà non trarne un grande vantaggio anche in termini occupazionali. Una scommessa voluta dal direttore generale dell’AID, l’on. Marco Airaghi, che crede moltissimo nella nostra struttura e che rientra in un progetto più ampio che riguarda tutti gli otto ex stabilimenti militari, dismessi come tali e riconvertiti in enti privatistici…”. Commendatore dell’Ordine Militense dei Cavalieri di Malta e parlamentare Pdl dal 2001 al 2008, Airaghi è uno degli uomini più potenti del sistema nazional-militare. Oltre a dirigere l’Agenzia Industrie e Difesa, il politico lombardo è infatti presidente della Consulta Nazionale per l’Aerospazio e vicepresidente dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI).
“Per il primo anno arriveranno a Messina navi già bonificate, non avendo a disposizione da subito tutti gli impianti necessari, ma entro la prossima estate il progetto potrà essere a regime”, ha spiegato Cremonini. “Di fatto, nella nostra struttura verranno inviate, da tutti gli Stati che fanno parte della NATO, quelle unità navali che vanno distrutte o di cui alcuni strumenti andranno riconvertiti ad uso civile”. Successivamente, l’Arsenale di Messina – assieme agli stabilimenti di Torre Annunziata e Capua – potrebbe occuparsi della “demilitarizzazione” dei carri armati alleati, del “recupero” dei motori e della loro “conversione in sistemi eolici”. L’aspirazione a fare dei mezzi militari un’occasione di ecobusiness è stata confermata durante un recente incontro tra l’ex ammiraglio e i rappresentanti sindacali di base dell’Arsenale. “Secondo l’accordo fra l’AID e la NAMSA, le navi militari dell’Alleanza dovrebbero essere smontate nel bacino di Messina per utilizzarne i pezzi di ricambio nell’industria energetica, forse nel fotovoltaico”, ha dichiarato a Nettuno Press la segretaria provinciale della Fp Cgil, Clara Crocè. “Abbiamo chiesto però un incontro a Cremonini per avere notizie dirette sul progetto perché ci sono diversi punti da chiarire compreso il fatto che Messina, secondo le notizie approssimative che abbiamo, non si limiterebbe ad acquisire la commessa ma diventerebbe appoggio logistico per la NATO”.

 

Dal punto di vista occupazionale, il progetto è comunque visto con favore dal sindacato. In città è già scoppiata la guerra dei numeri: la riconversione a megacimitero delle navi militari dell’Alleanza comporterebbe tra i 200 e i 220 posti di lavoro. Ma nessuna illusione: non ci saranno nuove assunzioni anche perché all’Arsenale è in atto, da tempo, una drastica riduzione del personale impiegato. “Quella del progetto è una notizia positiva”, commenta la Crocè.  “Eravamo ad un passo dall’intavolare le trattative per il taglio di un minimo di 72 unità lavorative ad un massimo di 80. In questo modo il personale in esubero potrebbe trovare ricollocazione”.

 

A commentare positivamente il piano NATO anche il sindaco di Messina Giuseppe Buzzanca (Pdl), Confindustria e il segretario provinciale della Cisl, Tonino Genovese. Contro, ad oggi, solo i rappresentanti della Campagna per la smilitarizzazione di Sigonella e della Rete No Ponte. “Il centro logistico NATO a Messina si aggiunge alla stazione satellitare MUOS della Marina USA di Niscemi e allo schieramento dei droni a Sigonella”, commenta per i No war, Alfonso Di Stefano. “Così la Sicilia rafforza la sua immagine di isola piattaforma di guerra e pericolosa discarica dei sistemi di morte obsoleti”.
“Sulla pelle dei cittadini, esattamente come accaduto con il Ponte sullo Stretto, viene imposto ancora una volta un programma dall’insostenibile impatto ambientale, sociale ed economico e dall’assai dubbia rilevanza occupazionale”, dichiara Gino Sturniolo dei No Ponte. “Per questo ci mobiliteremo contro la rimilitarizzazione della zona falcata di Messina, un’area d’importanza storico-urbanistica e di rilevante bellezza paesaggistica che deve essere invece tutelata e bonificata e divenire bene comune della città”.

 

Imprenditori, costruttori e speculatori puntano da tempo ad accaparrarsi le aree della centralissima zona falcata occupate dal Comando militare di Marisicilia (oggi trasferito ad Augusta) o da alcuni cantieri navali in via di dismissione. Nelle mire, ovviamente, anche il complesso dell’Arsenale che si estende su una superficie di circa 55.000 mq di cui quasi la metà coperta da officine, magazzini e uffici. Alle dipendenze dell’Agenzia Industrie e Difesa dal 2001, l’Arsenale opera attualmente nel settore della cantieristica navale, fornendo i servizi di carenaggio alle unità civili e militari e la riparazione di scafi, motori, macchinari ausiliari, impianti elettrici, armamenti nautici. Con circa 300 metri di banchine di ormeggio, un bacino in muratura e uno galleggiante, l’Arsenale annovera tra i principali clienti la Marina militare, la Guardia costiera e la Guardia di finanza, R.F.I. Spa e alcune società industriali e di navigazione (Fincantieri, Rodriquez Cantieri Navali, Gruppo Tirrenia Navigazione, Caronte & Tourist Lines, ecc.).
Negli impianti dell’Arsenale i lavoratori sono stati lungamente in contatto con materiali altamente pericolosi, inquinanti e nocivi per la salute. A partire dal famigerato amianto, la cui inalazione durante gli interventi alle unità navali avrebbe causato l’insorgenza del cancro tra alcuni dipendenti. Nell’aprile 2011 il Tribunale di Messina è stato chiamato a giudicare otto alti ufficiali della Marina militare accusati di responsabilità nella morte per carcinoma polmonare di un elettricista civile, Ignazio Siracusa, impiegato presso il Gruppo per natanti locali e scomparso nel 2005 dopo lunga agonia. A seguito della presentazione di due consulenze redatte per conto della difesa da esperti della “Cattolica” di Roma e del Politecnico di Torino che affermavano “l’impossibilità” di stabilire una stretta correlazione tra la forma tumorale riscontrata al Siracusa e l’assorbimento di fibre di amianto, il gup Daria Orlando ha però pronunciato la sentenza di non luogo a procedere contro gli imputati, “perché il fatto non sussiste”.
Dell’Arsenale di Messina si è tornati a parlare sulle prime pagine nazionali nel maggio di quest’anno. A conclusione di un anno di lavori di “revisione e rimodulazione”, quattro motovedette Classe 200/S della Guardia costiera italiana sono state consegnate al Governo di Panama in base agli accordi di cooperazione militare sottoscritti nel 2010 dal premier Silvio Berlusconi e dal presidente della repubblica centroamericana Martinelli. Le unità, utilizzate nella caccia ai migranti nel canale di Sicilia, erano state cedute a titolo gratuito alle autorità panamensi in cambio dell’acquisto di sistemi elettronici Selex ed elicotteri da guerra Agusta per il valore complessivo di 160 milioni di euro. Mediatore dell’affaire l’ex direttore dell’Avanti, Valter Lavitola, ricompensato da Finmeccanica con una più che sospetta “provvigione” che sfiorerebbe i sei-sette milioni di euro. Prima di lasciare i cantieri dell’Arsenale peloritano, le quattro motovedette sono state meta di una visita ufficiale dell’ambasciatore della Repubblica di Panama in Italia, Guido Martinelli Endara, già direttore del Banco Panamà e nipote dell’omonimo presidente centroamericano.

Acidificazione degli oceani: se ne parla troppo poco

Scritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it/04072012/acidificazione-degli-oceani-se-ne-parla-troppo-poco/4112

Il signor Jess Zimmerman del portale americano Grist.org si è preso la briga di verificare quale importanza è stata data dai quotidiani americani a un argomento importante come l’acidificazione degli oceani negli ultimi 18 mesi. E ha scoperto che si è parlato cinquanta volte di più di un argomento futile come il reality show I Kardashianche di questo grave problema ambientale.

Ma di che cosa si tratta? L’acidificazione degli oceani è un cambiamento chimico indotto nell’acqua degli oceani dall’aumento della quantità di CO2 nell’atmosfera (quasi totalmente dovuto alle attività umane). Infatti, all’incirca un quarto dell’anidride carbonica presente nell’atmosfera finisce negli oceani e qui si trasforma in H2CO3 (acido carbonico).

Dai tempi della Rivoluzione industriale l’acidità degli oceani è aumentata di circa il 30% e, se non facciamo qualcosa per diminuire la concentrazione di anidride carbonica nell’atmosfera, questo valore potrebbe salire fino a un 150% di acidità in più entro il 2100. A livelli così bassi di pH, si scioglierebbero le conchiglie di alcuni tipi di molluschi e di plancton, in vaste parti degli oceani diventerebbe impossibile la crescita della barriera corallina e gran parte della catena alimentare marina sarebbe minacciata. Secondo il Consiglio nazionale delle ricerche USA, i cambiamenti stanno avvenendo a un ritmo e su una scala mai vista in precedenza e sono praticamente irreversibili su una scala temporale di secoli.

La Storia di Internet

Fonte: http://www.giapox.it/361_storia-di-internet/

La storia di Internet va collegata allo sviluppo delle reti di telecomunicazione; infatti, l’idea di una rete informatica che permettesse agli utenti di differenti computer di comunicare tra loro si sviluppò in svariate tappe, ognuna di esse ha portato a piccoli progressi e, infine, la somma di tutti questi sviluppi ha portato alla nascita di Internet, ossia la “rete delle reti”.

Internet può essere considerata il frutto dello sviluppo tecnologico, dell’interconnessione delle infrastrutture di rete e dei sistemi di telecomunicazione.

Arpanet

Ma partiamo dall’inizio: i primi progetti apparvero alla fine degli anni cinquanta ma Internet è nata in piena guerra fredda, nei primi anni ’60, da un progetto del Ministero della Difesa statunitense (United States Department of Defense). L’obiettivo principale di questo progetto era quello di trovare una soluzione che potesse preservare le varie comunicazioni dell’ampissima struttura militare americana nel caso fosse scoppiata una guerra nucleare.

Per lo sviluppo del progetto fu incaricata l’ARPA, allora agenzia governativa oggi conosciuta come Defense Advanced Research Projects Agency. La soluzione che ideò l’ARPA fu quella di creare un’infinità di “strade” alternative che permettessero la circolazione dei dati in qualunque condizione; praticamente, l’interruzione di uno o più nodi di comunicazione non avrebbe compromesso la trasmissione delle informazioni.

Questa rete di comunicazione appena nata fu chiamata Arpanet (originale vero?), e le sue molteplici “strade” dovevano collegare svariati nodi in grado di ricevere, elaborare e trasmettere dati ed informazioni in qualsiasi situazione e condizione, anche sotto un vero e proprio attacco nucleare: ogni singolo nodo doveva essere in grado di selezionare sempre e comunque una via alternativa che consentisse di raggiungere un nodo di destinazione, indirizzando le informazioni a seconda dei canali disponibili.

Le semplici centraline telefoniche dell’epoca non erano in grado di gestire la comunicazione attraverso questa rete che richiedeva dispositivi più performanti ed “intelligenti”, fu per questo motivo che vennero utilizzati gli elaboratori elettronici.

Il primo nodo nacque nel 1969 e nel 1972 la rete contava già ben 37 nodi; negli anni successivi crebbe in maniera esponenziale. All’inizio degli anni ottanta Arpanet fu suddivisa in tre sottoreti principali: NSFnet, BitNet e CSnet.

Internet ed il Web

Il Dipartimento della Difesa statunitense, a causa del notevole sviluppo della rete, si convinse a separare la sezione militare della struttura principale, segnando così la fine di Arpanet e la nascita di una nuova rete chiamata Internet!

Il vero e proprio boom, però, si ebbe dopo il 1991, quando nacque il World Wide Web (o, più semplicemente, WWW) frutto di un progetto del CERN (Centro Europeo di Ricerca Nucleare) di Ginevra. Il WWW ha reso possibile la visualizzazione su Internet di dati non esclusivamente testuali: immagini, video e suoni. Altro grande vantaggio introdotto dal Web è la facilità di utilizzo dello stesso; in passato, infatti, per poter accedere a risorse Internet o per trasmettere informazioni era necessario utilizzare comandi poco intuitivi e molto complessi, quasi sempre questi comandi dovevano essere inseriti manualmente tramite tastiera; oggi un qualsiasi utente Web può raggiungere qualsiasi informazione semplicemente “facendo click” sui link presenti all’interno delle pagine web.

Le infrastruttura di Internet si sono via via espanse in tutto il pianeta per creare la rete mondiale globale di computer che attualmente conosciamo. Oggi un qualsiasi utente web può sfogliare giornali elettronici, ascoltare musica e vedere video trasmessi on-line, comunicare via audio e video in tempo reale con altri utenti sparsi per il globo. Le caratteristiche fisiche infrastrutturali di Internet sono in continua evoluzione, per permettere di soddisfare tutte le nuove esigenze dei navigatori: maggiore ampiezza di banda che permette flussi maggiori di dati e, quindi, miglior qualità dei servizi utilizzati.

Dopo aver unito tra loro i Paesi occidentali, si è estesa anche a quelli in via di sviluppo; oggi, grazie a Internet, si può avere accesso all’informazione da qualsiasi punto del mondo, ma nonostante questo il Terzo mondo ha ridotto il divario digitale che lo separa dal mondo sviluppato.

Pricipali date della storia di Internet

  • 1962 Avvio del progetto di ARPA.
  • 1967 Prima conferenza internazionale sulla rete Arpanet.
  • 1969 Collegamento dei primi computer tra 4 università americane.
  • 1972 La rete conta 37 nodi.
  • 1972 Nascita dell’InterNetworking Working Group. E Ray Tomlinson propone l’utilizzo del segno @ per separare il nome utente da quello della macchina.
  • 1973 La Gran Bretagna e la Norvegia si uniscono alla rete.
  • 1979 Creazione dei primi NewsGroups da parte di studenti americani.
  • 1981 Nasce in Francia la rete Minitel.
  • 1982 Definizione del protocollo TCP/IP e della parola “Internet”.
  • 1983 Appaiono i primi server dei nomi dei siti.
  • 1984 La rete conta più di 1.000 computer collegati.
  • 1986 Nasce “cnr.it”, primo dominio con la denominazione geografica dell’Italia.
  • 1987 Sono connessi 10.000 di computer.
  • 1989 Sono connessi 100.000 di computer.
  • 1990 Scomparsa di Arpanet; apparizione del linguaggio HTML.
  • 1991 Il CERN annuncia la nascita del World Wide Web.
  • 1992 Sono connessi 1.000.000 di computer.
  • 1993 Apparizione del primo browser web, Mosaic.
  • 1996 Sono connessi 10.000.000 di computer.
  • 1999 Gli utenti di Internet superano i 200.000.000 in tutto il mondo.

NASA: caccia agli invisibili portali magnetici, il collegamento tra la Terra ed il Sole

Fonte: www.meteoweb.eu/

Un ricercatore dell’Università dello stato dell’Iowa, sponsorizzato dalla NASA, ha sviluppato un modo grazie al quale un’astronave potrebbe dare la caccia agli invisibili portali magnetici in prossimità della Terra. Ma cosa sono e qual è esattamente la loro funzione? Definiti eventi di trasferimento di flusso, questi portali dalla forma cilindrica larghi quanto la Terra, permettono un collegamento tra il campo magnetico del nostro pianeta e quello del Sole. Si aprono ogni 8 minuti, e tendono a formarsi sopra l’equatore della Terra, quindi ruotano attorno al polo invernale. A Dicembre, gli FTE (acronimo del fenomeno) ruotano attorno al polo nord; nel mese di Luglio ruotano attorno al polo sud. Non appena uno di questi portali si apre, tonnellate di particelle ad altissima energia fluiscono prima che si richiuda. Si tratta di un fenomeno ancora in fase di studio, anche se i ricercatori ne hanno in parte compreso la funzione.

La Magnetosfera della Terra (la bolla magnetica che circonda il nostro pianeta) è piena di particelle che arrivano attraverso il vento solare e penetrano le difese magnetiche del pianeta. Esse entrano seguendo le linee del campo magnetico. I ricercatori sospettavano da tempo che la Terra ed il Sole fossero collegati, ma credevano che questa connessione fosse permanente e che il vento solare potesse interagire in qualsiasi momento. In realtà queste connessioni sono abbastanza brevi e dinamiche. Sul lato illuminato della Terra, il campo magnetico preme contro il campo magnetico del Sole. Approssimativamente ogni otto minuti, i due campi si uniscono brevemente o “si riconnettono”, formando un portale attraverso cui le particelle possono fluire. I portali si differenziano tra attivi e passivi: i primi sono cilindri magnetici che consentono alle particelle di fluire abbastanza facilmente e rappresentano importanti condotti di energia per la magnetosfera della Terra. Quelli passivi offrono più resistenza, e la loro struttura interna non ammette con facilità un tale flusso di particelle. Perché i portali si formino ogni 8 minuti è uno dei tanti quesiti ai quali la scienza non sa ancora rispondere e ai quali si cercherà di fornire risposta entro breve tempo. Nel frattempo non possiamo far altro che apprendere la complessità della natura che ci circonda; ammesso che qualcuno prima di questo editoriale non ne fosse a conoscenza.

Ricerca: la legalizzazione della marijuana per uso medico non incrementa l’abuso di droga nei teenager

Fonte: http://www.myhealthnewsdaily.com/2732-medical-marijuana-teenage.html
Traduzione per la patatina fritta: Anna Nicoletti, Francesco Fontana.

Secondo un recente studio, i ricercatori non hanno individuato alcuna correlazione tra la legalizzazione della marijuana per uso medico e l’incremento di abuso nei teenager.

Secondo un recente studio, la legalizzazione della marijuana per uso medico in diversi stati non ha aumentato le probabilità di utilizzo della droga da parte degli studenti di scuola superiore.

I ricercatori hanno valutato l’utilizzo della marijuana tra i giovani dal 1993 al 2009, finestra temporale nella quale 13 stati ne hanno legalizzato l’utilizzo medico. Non sono state riscontrate correlazioni tra la legalizzazione e l’incremento d’uso tra i giovani nel singolo stato.

In realtà, sono stati osservati leggeri cali d’uso in alcuni stati in cui la marijuana era stata legalizzata.

“Siamo convinti che l’utilizzo di marijuana tra i teenager non aumenta quando uno stato ne legalizzi l’uso medico”, ha dichiarato D. Mark Anderson, ricercatore di economia sanitaria e comportamenti rischiosi alla Montana State University.

I ricercatori hanno utilizzato dati dall’indagine dei comportamenti rischiosi giovanili, condotta da ricercatori presso i centri di malattia, controllo e prevenzione. Lo studio raccoglie dati basati su dichiarazioni volontarie di un campione rappresentativo di studenti di scuole superiori su vari comportamenti a rischio.

Gli studiosi hanno investigato come la legalizzazione della marijuana abbia impattato sulla frequenza d’uso nei giovani di marijuana, il suo utilizzo a scuola, l’abuso di alcool e di cocaina. Non è emersa alcuna correlazione tra la legalizzazione e alcuno di questi  abusi.

Attualmente, 17 stati assieme al distretto di Colombia, hanno approvato l’utilizzo medico della marijuana, mentre 7 stati hanno una simile legislazione in corso di approvazione.

Lo studio è stato finanziato dall’Istituto per lo Studio del Lavoro, un istituto privato non-profit con sede a Bonn, in Germania.

 

 

 

Il folklore di Marchionne

Scritto da: Marco Cedolin
Fonte: http://marcocedolin.blogspot.it/2012/07/il-folklore-di-marchionne.html

Di fronte alla sentenza del Tribunale di Roma, che condannava la Fiat per discriminazione e le imponeva di riassumere i 145 operai di Pomigliano iscritti al sindacato, precedentemente licenziati, Sergio Marchionne, parlando qualche giorno fa dalla Cina dove era impegnato ad inaugurare l’ennesimo progetto di delocalizzazione, non esitò a dare sfoggio dell’alterigia supponente che lo contraddistinigue e tanto piace agli americani. “E’ un evento unico che interessa un particolare paese che ha regole particolari che sono folcloristicamente locali”, chiosò seccato il manager cosmopolita, senza portare alcun rispetto né ai giudici, né tanto meno al paese dove l’azienda da lui amministrata  ha costruito la propria fortuna finanziaria, anche grazie a decenni di sovvenzioni statali, pagate con il denaro dei contribuenti. Aggiungendo che comunque l’azienda avrebbe rispettato la legge.

Superato il momento della replica stizzita dell’amico di Obama, indispettito da tanta lesa maestà, Fiat ha anche reso nota la propria interpretazione di rispetto della legge….

L’ex Gruppo torinese ha infatti reso noto che si appellerà contro la sentenza, chiedendo la sospensione dell’ordine di riassumere i 145 dipendenti, suffragando la propria richiesta con delle motivazioni che davvero non si possono rifiutare.

Il numero dei dipendenti di Pomigliano “è a oggi più che adeguato a far fronte alle attuali esigenze di mercato”, ragione per cui se i giudici non torneranno sui propri passi, Marchionne si vedrà costretto a mettere in cassa integrazione altri 145 dipendenti e nel caso la cassa non venga concessa a spedirli direttamente a casa.
Il rispetto della legge dovrà insomma passare per forza di cose attraverso l’inchino al più forte. Sentenza o non sentenza, la Fiat a Pomigliano eliminerà comunque 145 dipendenti, a meno che lo stato italiano non intenda accollarsene lui i costi.
Marchionne potrà continuare a dormire sonni tranquilli, dedicandosi ad aprire nuovi stabilimenti all’estero, nell’universo cosmopolita del mondo globalizzato, dove il folklore ed il localismo non infastidiscono i manager di successo.

ONU: la fame del mondo non si risolve con gli OGM ma con la politica

Fonte: http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=611

La fame nel mondo è legata alla scarsità di cibo o piuttosto ad una distribuzione delle risorse disomogenea? Per risolvere la fame del mondo è indispensabile l’utilizzo di colture geneticamente modificate sul larga scala? Da un rapporto del relatore speciale ONU Olivier De Schutter sul diritto alimentare si capisce chiaramente come il problema si cela da tutt’altra parte:

[ I poveri del mondo non hanno fame perché c’è troppo poco cibo: hanno fame perché sono emarginati economicamente e politicamente impotenti. Garantire il diritto al cibo è quindi l’unica strada da seguire per affrontare e risolvere la questione fame nel mondo.

L’importanza di migliorare i redditi dei poveri, agevolare gli investimenti interni ed esteri e l’aumento della produzione agricola non può essere minimizzato nell’equazione fame. La vera strada da seguire per un progresso sostenibile che porti alla lotta e alla sconfitta definitiva della fame nel mondo è quella di responsabilizzare la politica a livello mondiale e locale. Solo quando il processo politico sarà a “prova di diritti umani” si potrà essere sicuri che gli investimenti e l’agricoltura di quel paese andranno a vantaggio della popolazione locale.

A questo proposito consiglio di questo articolo dal titolo “Produciamo abbastanza cibo per 10 miliardi di persone, ma la fame è in aumento. Perchè?”

230 miliardi per i prossimi 12 anni a sostegno delle Forze Armate italiane

Scritto da: Davide Pelanda
Fonte:http://www.articolotre.com/

Si tratta di un provvedimento che non riduce ma aumenta la spesa pubblica, taglia il personale e le caserme per comprare nuovi armamenti; autorizza il Ministero della Difesa a vendere armi italiane nel mondo; stabilisce che in caso di calamità naturali gli interventi di soccorso dell’esercito dovranno essere pagati da chi li richiede; impegna non meno di 230 miliardi per i prossimi 12 anni a sostegno delle FFAAe le trasforma in uno strumento da guerre ad alta intensità».

Questo provvedimento legislativo viene preso «mentre s’impongono agli italiani tanti sacrifici – ricorda sempre Lotti – mentre si taglia la spesa pubblica e la spesa sociale» ed «il ministro della Difesa si oppone a qualsiasi taglio di bilancio e alla realizzazione di una seria riforma delle FFAA» una serie di importanti sottoscrittori dell’Appello “Pensiamoci bene!” (tra cui Libera, Acli, Cgil, Arci, Articolo 21, Cipsi, Focsiv, Pax Christi, Lettera 22, Unione degli Universitari, Unione degli Studenti, Rete della conoscenza, Link Coordinamento Universitario, Beati Costruttori di Pace, Emmaus Italia, Lega per i diritti e la Liberazione dei Popoli, Centro per la Pace Forlì-Cesena, Solidarietà internazionale, Associazione “Voglio Vivere”, Movimento Federalista Europeo, Movimento Europeo, Terra del Fuoco) chiedono al Parlamento «di non approvare questa legge delega e di avviare una seria riforma dello strumento militare rendendolo compatibile con le possibilità economiche del Paese e coerente con una nuova idea di sicurezza e una nuova visione del ruolo dell’Italia in Europa e nel mondo». Chi volesse aderire può mandare una mail a tavola@perlapace.it.

Il golpe transgenico del Paraguay. Agribusiness, land grabbing e soia Ogm dietro la caduta del presidente Lugo

Fonte: http://greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=16587

Le associazioni ambientaliste e contadine latinoamericane si stanno mobilitando contro il colpo di Stato parlamentare che ha destituito il presidente eletto Fernando Lugo, l’ex vescovo cattolico che era alla guida del primo governo progressista del piccolo Paese sudamericano. Alianza Biodiversidad, una colazione di organizzazioni di Argentina, Brasile, Cile, Colombia,  Costarica,    Ecuador, Messico ed  Uruguay, dice in un appello: «Accompagniamo il popolo paraguayo nella sua resistenza e ci impegniamo a sostenere la denuncia di illegittimità dell’attuale governo e ad appoggiare la lotta del popolo paraguayo e le rivendicazioni delle organizzazioni campesinas e dei popoli indigeni del Paraguay».

L’America Latina credeva di  essere uscita dall’epoca dei golpe, ma quanto successo in Paraguay rivela che alle dittature fasciste, come quella che ha soffocato il Paese per decenni, possono sostituirsi colpi di Stato “costituzionali” gestiti da forze che vogliono mantenere nelle loro mani le risorse naturali e le ricchezze di interi Paesi. Alianza Biodiversidad sottolinea che «Una complessa trama, nella quale migliaia di campesinos sin tierra vedono avanzare i grandi produttori brasiliani sul Paraguay per seminare  soia transgenica, insieme a quella imbastita contro il governo per introdurre definitivamente gli Ogm in tutto il  Paese, ha concluso un colpo di Stato  “express” come quello che gli alleati politici dell’agribusiness hanno attuato rapidamente per destituire il Presidente del Paese».

Le Ong latinoamericane ricordano che già prima del golpe l’Unión de gremios de la oroducción (Ugp) aveva chiesto la testa del responsabile del Servicio nacional de calidad y sanidad  vegetal (Senave), Miguel Lovera, accusandolo di essere contrario ad una produzione agraria e zootecnica moderna. Ma il vereo intento dell’Ugp è quello di dare il via libera alle colture Ogm dalle troppe limitazioni messe dal governo Lugo che, forse cion troppa prudenza, aveva avviato un dialogo con i movimenti contadini. Forti pressioni le aveva subite  anche il ministro dell’Ambiente Oscar Rivas, che si era presentato comunque a Río+20 con una posizione posizione crítica sull’agribusiness, che però non  ha potuto presentare alla conferenza plenaria.

Il golpe in Paraguay nasce dall’eterna questione della diseguale distribuzione della terra: l’85% dei terreni, 30 milioni di ettari, sono in mano al 2% dei proprietari, a questo si deve aggiungere il land grabbing che in Paraguay vede protagonisti i produttori brasiliani. Questo ha prodotto una tensione permanente alla quale si è risposto con la violenza para-poliziesca e la criminalizzazione delle lotte campesinas. L’eccidio di  Curuguaty del 15 giugno, una strage di 11 contadini e 6 poliziotti è stata la scusa per dare il via al golpe instituzioonale e riportare al potere le forze politiche che avevano sostenuto la dittatura.

Alianza Biodiversidad condanna il golpe e denuncia «Le grandi corporations dell’agribusines, con alla testa  Monsanto e Cargill, come responsabili, insieme ai grandi proprietari terrieri ed ai politici  complici. Sono stati ampiamente dimostrati i vincoli e gli interessi comuni di questi settori». Allo stesso tempo le Ong ricordano che i governi dei diversi Paesi dell’Unasur appoggiano il presidente costituzionale Lugo e denunciano la violazione delle garanzie democratiche da parte del vicepresidente golpista  Federico Franco e dei leader di diversi Partiti che lo hanno appoggiato in Parlamento.

«Oggi siamo tutti Paraguay!», grida Alianza Biodiversidad, ma  il golpe in Paraguay per le cancellerie occidentali sembra un’esotica reminescenza dell’eterno fascismo latinoamericano, invece potrebbe essere  il primo colpo di Stato “moderno”, voluto ed accompagnato dalle forze che puntano a controllare le risorse e la produzione del cibo e ad imporre un modello “industriale” dell’agricoltura, dove i contadini non hanno più spazio se non come braccianti. Il latifondismo della globalizzazione che fa del land grabbing la sua bibbia e che ha  bisogno di governi docili ed autoritari. Cosa che invece è apparsa chiara ad organizzazioni come Il Movimiento nacional campesino indígena dell’Argentina che dopo la strage di Curuguaty ha denunciato l’aggressione e la criminalizzazione violenta che stanno subendo i campesinos del Paraguay, sottolineando  che «La concentrazione della terra è la causa della povertà e del sottosviluppo ed è legittimo e giusto che le campesinas e i campesinos senza terra occupino terre demaniali “mal habidas”, visto che, per la corruzione della giustizia e del parlamento parlamento paraguayos le stesse vengono accaparrate dagli agro-impresari amici del potere». Secondo Vía Campesina il massacro che ha dato origine al golpe «E’ la conseguenza dell’offensiva dell’agribusiness, del potere dell’oligarchia latifondista paraguaya e della sua alleanza con le multinazionali, nel segno di una strategia golpista, per impedire che possa consolidarsi la democrazia in Paraguay». Parole profetiche, visto che poche ore dopo la pubblicazione di questo appello il golpe ad Asunción c’è stato davvero.