MONIMENTUM: IL SEPOLCRO DEGLI SCIPIONI SULLA VIA APPIA

Fonte: gruppo archeologico C.R.T  
Scritto Da:Grazia Presti

Lungo la via Appia, a poche centinaia di metri da porta San Sebastiano, sorgono i resti della tomba monumentale di una delle più antiche ed illustri famiglie patrizie dell’antica Roma; quella dei Cornelii Scipioni. Molti dei suoi componenti, specialmente tra il III ed il II sec.
a.C., rivestirono importanti cariche pubbliche, ed i più celebri, come P. Cornelio Scipione l’Africano ed il fratello L. Cornelio Scipione
l’Asiatico, segnarono una svolta decisiva nella storia romana. Infatti, il primo con la vittoria su Annibale a Zama (202 a.C.) ed il secondo con quella su Antioco III di Siria a Magnesia (189 a.C.) determinarono l’inizio della conquista romana del Mediterraneo e l’incontro
con la grande cultura ellenistica. Costruito probabilmente da L. Cornelio Scipione Barbato, console nel 289 a.C., o da suo figlio
L. Cornelio Scipione, console nel 259 a.C., il sepolcro, in rispetto alle leggi romane, era posto al di fuori della città, a circa un miglio
dalle mura serviane, in una zona destinata a necropoli. Era costituito da una camera sepolcrale scavata in una collina tufacea ornata da
una facciata monumentale. Il complesso venne restaurato ed ampliato con una galleria laterale verso la metà del II sec. a.C. da P.
Cornelio Scipione Emiliano, il conquistatore di Cartagine (146 a.C.) e di Numanzia (133 a.C.). Il prospetto si ispirava all’architettura
dei teatri ellenistici, con un alto podio, decorato da affreschi illustranti le gesta dei defunti, che sosteneva la facciata vera e propria, scandita
da tre grandi nicchie inquadrate da semicolonne.
Al loro interno erano collocate le statue monumentali di Scipione l’Africano, Scipione l’Asiatico e di Ennio, ovvero i più famosi componenti della famiglia (sebbene l’Africano trovasse sepoltura presso la sua villa di Literno, dove si era recato in volontario esilio) ed il poeta che ne celebrò le imprese negli “Annales”. La camera sepolcrale, a pianta quasi quadrata (m. 14,5×13,5), era suddivisa da quattro grandi pilastri risparmiati nel tufo in settori che ospitavano i sarcofagi dei defunti, circa una trentina, la maggior parte dei quali è andata dispersa. Collocato in posizione preminente, proprio di fronte all’ingresso, per sottolinearne il ruolo di capostipite della famiglia, era il grande sarcofago modellato
ad altare di L. Cornelio Scipione Barbato, celebre per l’elogio funebre scolpito (attualmente sostituito da una copia, l’originale è custodito nei Musei Vaticani). L’utilizzazione del sepolcro cessò con l’estinzione della famiglia all’inizio dell’età imperiale. Danneggiato nel corso del medio evo dalla costruzione di una grande calcara, il monumento venne riscoperto nel 1780 ed infine restaurato nel 1926.