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Coronavirus, e la deforestazione raddoppia

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/deforestazione/4537-coronavirus,-e-la-deforestazione-raddoppia.html

Mentre il virus COVID-19 si stava diffondendo in tutto il mondo, la deforestazione nelle foreste pluviali del mondo è cresciuta a un ritmo allarmante, ha affermato il braccio tedesco del World Wildlife Fund (WWF) in uno studio pubblicato la scorsa settimana. Il rapporto, che ha analizzato i dati satellitari di 18 paesi compilati dall’Università del Maryland, ha rilevato che nel marzo scorso la deforestazione è cresciuta del 150% a marzo alla media dello stesso mese nel 2017-2019.
Circa 6.500 chilometri quadrati (2.510 miglia quadrate) di foresta pluviale sono stati abbattuti solo nel mese di marzo.
“Ciò indica che abbiamo a che fare con un effetto coronavirus sui tassi di deforestazione che esplodono”, ha dichiarato Christoph Heinrich, responsabile della conservazione della natura con la Germania del WWF.

Le foreste indonesiane sono quelle più duramente colpite, con oltre 1.300 chilometri quadrati persi.
La Repubblica Democratica del Congo ha visto la seconda perdita di foreste, con 1.000 chilometri quadrati, seguita dal Brasile con 950 chilometri quadrati.
Secondo l”istituto di ricerca brasiliano Imazon, la deforestazione è aumentata anche ad aprile.Per tale messe Amazon ha registrato una perdita di 529 chilometri quadrati in Amazzonia, pari a un aumento del 171% rispetto allo scorso anno.

Il WWF ne deduce che  il boom della deforestazione nella foresta pluviale sia stato alimentato proprio dalla pandemia di COVID-19: i severi blocchi decretati in tutto il mondo ha impedito alle autorità di pattugliare riserve naturali e territori indigeni, mentre l’impennata degli ordini a domicilio ha aumentato la domanda di prodotti. Un paradiso per organizzazioni criminali e taglialegna illegali, che hanno sfruttato la situazione a proprio vantaggio.

Coronavirus, e la deforestazione raddoppia

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/deforestazione/4537-coronavirus,-e-la-deforestazione-raddoppia.html

Mentre il virus COVID-19 si stava diffondendo in tutto il mondo, la deforestazione nelle foreste pluviali del mondo è cresciuta a un ritmo allarmante, ha affermato il braccio tedesco del World Wildlife Fund (WWF) in uno studio pubblicato la scorsa settimana. Il rapporto, che ha analizzato i dati satellitari di 18 paesi compilati dall’Università del Maryland, ha rilevato che nel marzo scorso la deforestazione è cresciuta del 150% a marzo alla media dello stesso mese nel 2017-2019.
Circa 6.500 chilometri quadrati (2.510 miglia quadrate) di foresta pluviale sono stati abbattuti solo nel mese di marzo.
“Ciò indica che abbiamo a che fare con un effetto coronavirus sui tassi di deforestazione che esplodono”, ha dichiarato Christoph Heinrich, responsabile della conservazione della natura con la Germania del WWF.

Le foreste indonesiane sono quelle più duramente colpite, con oltre 1.300 chilometri quadrati persi.
La Repubblica Democratica del Congo ha visto la seconda perdita di foreste, con 1.000 chilometri quadrati, seguita dal Brasile con 950 chilometri quadrati.
Secondo l”istituto di ricerca brasiliano Imazon, la deforestazione è aumentata anche ad aprile.Per tale messe Amazon ha registrato una perdita di 529 chilometri quadrati in Amazzonia, pari a un aumento del 171% rispetto allo scorso anno.

Il WWF ne deduce che  il boom della deforestazione nella foresta pluviale sia stato alimentato proprio dalla pandemia di COVID-19: i severi blocchi decretati in tutto il mondo ha impedito alle autorità di pattugliare riserve naturali e territori indigeni, mentre l’impennata degli ordini a domicilio ha aumentato la domanda di prodotti. Un paradiso per organizzazioni criminali e taglialegna illegali, che hanno sfruttato la situazione a proprio vantaggio.


Stati Uniti: Greenpece assolta

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/blog/2-news-ita/diritti-ambientali/4459-stati-uniti-greenpece-assolta.html

Dopo anni di dibattimenti, il tribunale della California ha emesso una storica sentenza che assolve definitivamente  Greenpeace, Stand.earth e altri cinque imputati. Gli ambientalisti erano stati citati in tribunale dalla compagnia del legno Resolute Forest Products. Resolute Forest aveva citato gli ambientalisti in tribunale abusando una vecchia legge contro il racket illegale, sostenendo quindi che le proteste ambientaliste fossero una forma di mafia.
La tesi era che quando le associazioni ambientaliste contattavano i clienti di Resolute Forest Products per avvisarli che tale impresa stava distruggendo le foreste, in realtà stava creando dei danni allo scopo di ricattarla per ottenere un vantaggio economico. Secondo gli ambientalisti invece la causa aveva solo lo scopo di mettere a tacere chi rivela la verità sulla deforestazione in corso. La causa era stata già dismessa con l’assoluzione degli ambientalisti, ma Resolute Forest aveva presentato una nuova denuncia con qualche piccola modifica.
Nel frattempo Resolute Forest ha di nuovo citato in giudizio Greenpeace, questa volta per diffamazione, lasciando sospettare che dietro tutto questo attivismo legale ci sia effettivamente solo la volontà di mettere a tacere le voci critiche.
Katie Redford, avvocata di  EarthRights International, ha commentato: “Aziende come Resolute Forest hanno sempre cercato di usare i loro soldi e il loro potere per mettere a tacere ogni voce critica. A nessuno piace il bullismo, e questa pratica di bullismo legale non prevarrà. Ora, più che mai, ci impegniamo a difendere i diritti di libertà di parola di individui e organizzazioni come Greenpeace e delle altre associazioni da cui dipendono la nostra democrazia e il nostro pianeta “.

Produrre energia elettrica in discoteca: un’idea dall’Europa del Nord

Scritto da: Elena Carbotti
Fonte: https://www.soloecologia.it/18022019/produrre-energia-elettrica-in-discoteca-unidea-dalleuropa-del-nord/11861

Tutelare l’ambiente in discoteca: è possibile? Forse in futuro lo sarà, ad esempio con l’impiego di piste da ballo che generano elettricità mentre vengono calpestate da centinaia di persone.

Normalmente le discoteche non sono esattamente annoverate tra i luoghi più rispettosi dell’ambiente, anzi. Secondo i calcoli di alcuni esperti, una discoteca di media grandezza consuma durante un fine settimana la stessa quantità di elettricità di una normale abitazione in un anno intero. Ma nell’Europa del Nord dei nuovi progetti sembrano andare nella direzione di rendere le discoteche più ecofriendly. Il designer olandese Daan Roosegaard, ad esempio, è l’inventore della cosiddetta pista da ballo sostenibile. La pedana dovrebbe produrre elettricità attraverso il movimento esercitato dalle persone durante la danza, diventando così un vero e proprio generatore di energia. L’idea piace molto anche in Germania, dove sono in atto valutazioni per implementarla in alcuni dei più famosi club di Berlino. Al momento la tecnologia è ancora molto costosa, ma avrebbe un valore aggiunto: quello di incoraggiare un alto numero di persone (giovani!) a partecipare attivamente alla protezione dell’ambiente. Il lancio delle prime discoteche “verdi” potrebbe diventare un modello di riferimento per il resto del mondo.

Detto questo, ci sono anche altri modi in cui i gestori delle discoteche possono risparmiare energia e rendere i loro locali più ecocompatibili: ad esempio utilizzare luci e tecnologie per il risparmio energetico, escogitare dei metodi per ridurre al massimo il consumo di acqua e la produzione di rifiuti.

 

Leader indigeno Mapuche trovato morto nel sud del Cile

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/popoli-indigeni/4451-leader-mapuche-trovato-morto-nel-sud-del-cile-2.html

La procura  della regione cilena del sud di La Araucanía sta indagando sulla morte del leader di una comunità mapuche, il cui corpo è stato ritrovato preso una strada rurale all’inizio di gennaio. Juan de Dios Mendoza Lebu, il defunto, era la massima autorità della comunità di Raquem Pillá, nel comune di Ercilla, a circa 570 chilometri da Santiago, e il suo corpo aveva lesioni attribuibili a terzi, secondo il procuratore incaricato del caso , Nelson Moreno. Juan de Dios Mendoza Lebu era la più alta autorità della comunità indigena Mapuche di Raquem Pillá, nel comune di Ercilla. Il corpo presentava segni di ferite.

Le autorità indagheranno sul crimine contro Juan de Dios Mendoza. La procura indaga se il crimine è legato alla denuncia presentata da Juan de Dios Mendoza contro i Carabineros per l’uccisione dello zio nel 2009, ne corso di attività repressiva da parte della polizia cilena.

Il pubblico ministero ha ordinato alla polizia investigativa (PDI) di svolgere le indagini pertinenti. I siti giornalistici locali riportano che il corpo mostrava segni di violenza, ma nessuna fonte indipendente ha confermato se esiste una connessione tra la morte e le attività della polizia.

Continuano intanto gli  scontri nell’area tra gli indigeni Mapuche e i Carabineros, che hanno sgombrato le fattorie occupate durante le proteste per l’omicidio del giovane Mapuche, Camilo Catrillanca, per mano di Carabineros nel novembre dello scorso anno.
Amnesty International denuncia diversi casi di arresti illegali di attivisti Mapuche, minacce di morte, violenze e omicidi.

Le “radici del mare”, un patrimonio in declino

Scritto da: Angela Chimienti
Fonte: https://www.soloecologia.it/09012019/le-radici-del-mare-un-patrimonio-in-declino/11792

Gli ecosistemi a mangrovie sono di grande importanza ecologica e coprono una superficie di circa 15.000.000 ettari (ha), con elevato valore economico e alta produttività. Queste formazioni vegetali, che i pescatori dello Sri Lanka chiamano “radici del mare”, sono proprie delle sponde delle lagune salmastre, delle spiagge basse e fangose, nonché degli estuari dei grandi fiumi lungo le fasce costiere tropicali. Situate all’interfaccia terra-mare, le foreste in questione forniscono cibo, aree di riproduzione e una nursery importante per una varietà di organismi terrestri, specie commerciali e pesci di scogliera allo stadio giovanile.

Le mangrovie giocano anche un ruolo cardine per i mezzi di sostentamento umani, quali cibo, legname e medicine, immagazzinano anidride carbonica e offrono protezione da tsunami, cicloni tropicali e maree, attenuando l’erosione del litorale.

Una straordinaria ricchezza a rischio

Nonostante la loro importanza, le mangrovie stanno scomparendo a un ritmo preoccupante, con un tasso annuo di perdita globale equivalente all’1-2% e a circa il 35% negli ultimi vent’anni. Cambiamenti climatici, innalzamento del livello del mare, sviluppo urbano, acquacoltura, estrazione mineraria e sfruttamento eccessivo di legname, pesce e crostacei rappresentano le principali minacce per questa vegetazione peculiare e preziosa.

La perdita di habitat è tipicamente associata a una diminuzione in termini di biodiversità. Quali le possibili conseguenze? Fra queste, una riduzione nel funzionamento dell’ecosistema e, di rimando, della capacità di quest’ultimo di fornire beni e servizi all’uomo. Più specificatamente, nei sistemi di mangrovie, una grande proporzione della biomassa di alghe e foglie viene lavorata dai granchi, importanti “ingegneri” chiave. Sia nei sedimenti sia nelle acque di marea, la materia organica e il flusso di energia vengono incanalati attraverso un processo estremamente diversificato, in costante crescita, e successivamente trasferiti a livelli trofici superiori attraverso i detritivori, che abitano il benthos. Una perdita di biodiversità marina bentonica, pertanto, indipendentemente dal Phylum considerato, potrebbe causare un decremento variabile delle funzioni ecosistemiche.

Valutare gli impatti per una giusta consapevolezza

Nell’ambito di uno studio recente, condotto da ricercatori dell’Università delle Marche e della Stazione Zoologica Anton Dohrn di Napoli, sono stati valutati gli effetti del degrado degli habitat di mangrovie sulla biodiversità e sul funzionamento dell’ecosistema bentonico. Le indagini hanno riguardato la meiofauna, la biomassa bentonica, la produzione procariotica eterotrofa e lo stato trofico sia in una foresta di mangrovie “disturbata” sia indisturbata.

Cosa è emerso? L’area a mangrovie interessata da disturbo ha mostrato una perdita del 20% della biodiversità bentonica, con l’estinzione locale di quattro Phyla, un calo dell’80% dei tassi di decomposizione mediati dai microbi, della biomassa bentonica e delle risorse trofiche. I risultati ottenuti rafforzano la necessità di preservare foreste di mangrovie e ripristinare quelle degradate per garantire la fornitura di beni e servizi necessari alla biodiversità e al funzionamento di vaste porzioni di ecosistemi tropicali.

Fonte:

Laura Carugati, Beatrice Gatto, Eugenio Rastelli, Marco Lo Martire, Caterina Coral, Silvestro Greco & Roberto Danovaro, Impact of mangrove forests degradation on biodiversity and ecosystem functioning, Scientific Reports, (2018) 8:13298 | DOI:10.1038/s41598-018-31683-0 1 [Open Access] Creative Commons Attribution 4.0 International License.

Le biomasse, che delusione pericolosa, dicono 120 associazioni ambientaliste

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/reddd/4434-le-biomasse-sono-un-delirio,-dicono-120-associazioni-ambientaliste-2.html

Oltre di 120 associazioni ambientaliste da circa 30 paesi hanno denunciato la truffa delle biomasse forestali, incentivate come energie rinnovabili al fine di proteggere il clima. In realtà la produzione delle biomasse crea più problemi di quanti ne risolva. La dichiarazione, intitolata “La delusione delle biomasse” (The Biomass Delusion), sottolinea come la combustione su larga scala delle foreste per produrre energia danneggia il clima, le foreste, le comunità locali e ostacola la transizione verso l’energetica pulita.
Secondo i firmatari, la protezione delle foreste è essenziale ad abbassare le temperature del pianeta, non certo bruciarne il legno.
Presentato dall’industria come la soluzione più economica per mitigare mitigazione i cambiamenti climatici, in realtà l’impiego di biomassa forestale per produrre energia o riscaldamento  rischia di compromettere ancor più il clima planetario.
Da dichiarazione è firmata da oltre 120 associazioni, tra cui Greenpeace, NRDC (Consiglio per la difesa delle risorse naturali), BankTrack e la Federazione delle della comunità forestali del Nepal.
La dichiarazione viene pubblicata nell giorno scelto dalla lobby dell’industria delle biomasse per promuovere la combustione di legna, ed evidenzia diversi rischi:

Rischio legislativo – Sempre più prove scientifiche indicano gli impatti negativi della combustione di biomassa, incluso il fatto che emette più CO2-equivalente del carbone (per unità di energia). Lo scorso agosto, il governo britannico ha già compiuto un primo passo verso l’abolizione dei sussidi alle biomasse. Senza sussidi, la redditività economica di questo business aziende è discutibile, e gli investitori rischiano di imbarcarsi in imprese fallimentari.

Rischio climatico – La combustione della biomassa legnosa contribuisce al cambiamento climatico aumentando le emissioni e distruggendo i “pozzi” di carbonio, le foreste. A loro volta, i cambiamenti climatici possono influire sulla disponibilità di acqua, che ha un impatto diretto sulla produttività delle foreste e delle piantagioni. Il clima più torrido rende anche le foreste e le piantagioni più vulnerabili agli incendi, che possono mandare in fumo a centinaia di migliaia di ettari, come è successo negli ultimi anni in Indonesia, Cile e Portogallo. Un processo che rischia di causare causa perdite finanziarie, per non parlare degli impatti sulla vita delle popolazioni, sulla biodiversità e, di nuovo, sul clima.

“Con l’uso di biomasse forestali di perdono tutti. I rischi sono evidenti e hanno portato un gran numero di associazioni a unirsi per fronteggiarli. Facciamo appello ai governi e alle amministrazioni locali,, agli investitori e ai consumatori per togliere ogni sostegno alla produzione di energia su larga scala dalle foreste”, ha dichiarato Peg Putt, coordinatore del gruppo di lavoro della rete Environmental Paper Network che ha coordinato  la dichiarazione.

Emergenza maltempo, Legambiente: «Il Governo approvi subito il Piano di adattamento al clima»

Fonte: http://www.greenreport.it/news/clima/emergenza-maltempo-legambiente-il-governo-approvi-subito-il-piano-di-adattamento-al-clima/

Dal 2010 grossi impatti in 234 comuni, 394 fenomeni meteorologici estremi, 122 allagamenti, 54 esondazioni fluviali e 116 i casi di danni a infrastrutture  .

L’Italia è nuovamente sferzata da quella che ormai è l’eterna “emergenza maltempo” (che forse sarebbe meglio chiamare “nuova normalità”) che nelle ultime ore imperversa in Sardegna, dove una donna è morta e 57 persone risultano sgomberate, con moltissimi danni tra cui il crollo di un ponte nel cagliaritano. Ma situazioni critiche si registrano anche in Liguria e Piemonte. Giorgio Zampetti, direttore generale di Legambiente, ha evidenziato che «Il maltempo che sta mettendo nuovamente in ginocchio l’Italia, e in particolare la Sardegna, ci ricorda ancora una volta come sia sempre più necessario affrontare la sfida dei cambiamenti climatici con interventi mirati, politiche di adattamento e attività di prevenzione e riduzione del rischio idrogeologico. Si tratta di azioni non più rinviabili ma soprattutto si deve arrivare al più presto all’approvazione di una strategia del Governo sull’adattamento al Clima e a nuove politiche per le città più a rischio chiarendo come si intende affrontare quest’emergenza, anche alla luce della chiusura della struttura di missione Italia Sicura».

Secondo i dati aggiornati di Legambiente, riportati nella mappa del rischio climatico www.cittaclima.it, «Sono 234 i comuni italiani dove, dal 2010 ad oggi, si sono registrati impatti rilevanti, con 394 fenomeni meteorologici estremi, 122 allagamenti, 54 esondazioni fluviali e 116 i casi di danni a infrastrutture causati da piogge intenseNel solo 2018 ci sono stati 105 eventi meteorologici estremi, di cui 49 allagamenti o alluvioni. Ancora più rilevante è il tributo che si continua a pagare in termini vite umane e di feriti: dal 2010 al 2017 sono, infatti, oltre 157 le persone vittime di questi fenomeni e oltre 45mila quelle che sono state sgomberate (dati Cnr)».

Legambiente aggiunge: «Sono le città l’ambito più a rischio per le conseguenze dei cambiamenti climatici e che l’Italia è un Paese tra i più delicati dal punto di vista idrogeologico con 7.145 comuni italiani (l’88% del totale) che hanno almeno un’area classificata come ad elevato rischio idrogeologico, e con oltre 7,5 milioni gli italiani che vivono o lavorano in queste aree. Molte grandi città italiane hanno visto ripetersi negli anni fenomeni meteorologici che hanno provocato danni alle infrastrutture, agli edifici e provocato morti e feriti. Sono 61,5 i miliardi di euro spesi tra il 1944 ed il 2012 solo per i danni provocati dagli eventi estremi nel territorio italiano. Secondo i dati di “Italia sicura”, l’Italia è tra i primi Paesi al mondo per risarcimenti e riparazioni di danni da eventi di dissesto: dal 1945 l’Italia paga in media circa 3.5 miliardi all’anno.

Zampetti conclude ricordando a politici nazionali e locali che «L’adattamento al clima rappresenta la grande sfida del tempo in cui viviamo. Il Paese ha bisogno di accelerare nelle politiche di mitigazione del clima e di riduzione del rischio sul territorio, ancora troppo frammentate. Non esistono più alibi o scuse per rimanere fermi: disponiamo di competenze tecnologie per aiutare i territori e le città ad adattarsi ai cambiamenti climatici e mettere in sicurezza le persone. Occorre dar avvio ad interventi rapidi e politiche di adattamento e di riduzione del rischio idrogeologico, a partire dai grandi centri urbani, attraverso nuove strategie, risorse economiche e un indirizzo forte a livello nazionale. Per questo è fondamentale programmare sin da ora interventi a lungo periodo, diffondendo anche una cultura di convivenza con il rischio che punti alla crescita della consapevolezza tra i cittadini dei fenomeni e delle loro conseguenze».

Lampioni stradali a LED: deleteri per gli insetti?

Scritto da: Elena Carbotti
Fonte: https://www.soloecologia.it/27082018/lampioni-stradali-a-led-deleteri-per-gli-insetti/11574

Da tempo sappiamo che i LED sono più economici e duraturi delle lampade tradizionali. I lampioni da giardino a LED ad energia solare sono ormai presenti in quasi tutti i giardini e hanno un loro perché: i moduli fotovoltaici caricano le batterie durante il giorno e i sensori integrati accendono automaticamente le luci quando scende il buio. Tuttavia queste fonti di illuminazione emanano una luce molto intensa che per certi versi trasforma la notte in giorno. La loro luce bianca con un alto contenuto di blu è particolarmente attraente per gli insetti. Alcuni studiosi dell’università tedesca di Potsdam, guidati dalla professoressa Jana Eccard hanno effettuato degli esperimenti per per scoprire in che misura l’illuminazione a LED sta cambiando le proporzioni della fauna.

Nel regno animale gli insetti sono le specie più spiccatamente influenzate dall’illuminazione a LED. Negli occhi di molti insetti sono presenti delle proteine ​​sensibili alla luce. Sappiamo bene che la popolazione di api e farfalle è diminuita drasticamente negli ultimi decenni. Spesso si dà la colpa all’agricoltura intensiva, maanche l’aumento dell’inquinamento luminoso è una causa di questa moria. Nel loro studio, i sopracitati biologi hanno dimostrato che vi sono fondamentalmente due diverse reazioni alla luce: le specie diurne sono attratte dalle lampade e tendono ad accumularsi nell’area illuminata – diventando più facile preda di ragni, formiche, anfibi, pipistrelli e uccelli. Le specie notturne, invece, cessano tutte le loro attività quando è presente l’illuminazione (non cercano il cibo e non procreano, bensì restano immobili), diventando così facili prede per altri animali. La luce artificiale può quindi favorire le specie in grado di estendere la loro attività nella notte, mentre le specie strettamente notturne tendono a perdere la loro nicchia temporale di attività.

La raccomandazione è dunque: utilizzare i LED con cautela per evitare danni agli animali notturni, ad esempio spegnendo quelli da giardino prima di andare a letto . Gli studiosi raccomandano anche ai produttori di LED di iniziare cambiare la temperatura di colore dei diodi emettitori di luce portandoli su valori bianchi caldi, che sono più gradevoli per gli esseri umani e meno attraenti per gli insetti.

24Bottles, l’alternativa sostenibile alle bottiglie di plastica. Intervista ai fondatori Matteo Melotti e Giovanni Randazzo

Scritto da: Lucia Lenci
Fonte: http://www.green.it/24bottles-lalternativa-sostenibile-alle-bottiglie-plastica-intervista-ai-fondatori-matteo-melotti-giovanni-randazzo/

Secondo le stime, ogni anno più del 30% della plastica prodotta viene dispersa nell’ambiente, impattando gravemente sull’habitat naturale e sulla biodiversità. In questo scenario, il consumo di bottiglie di plastica è in crescita e, numeri alla mano, l’Italia detiene il primato del più alto consumo di acqua in bottiglia, con 208 litri di acqua bevuti. Produrre, trasportare e riciclare le bottiglie di plastica è costoso, sia in termini economici che ambientali. La situazione ha spinto anche la Commissione Europea a ridefinire la direttiva sulle acque potabili, stilando un programma per garantire maggiori informazioni e puntando alla sensibilizzazione dei cittadini. L’obiettivo a lungo termine è ridurre, entro il 2030, i 25 milioni di tonnellate di plastica consumati annualmente nel territorio dell’Unione, fissando al 30% la percentuale del riciclo. Ma com’è possibile risolvere il problema? Ne abbiamo parlato con Matteo Melotti e Giovanni Randazzo, fondatori di 24Bottles, brand italiano di design che contribuisce alla diminuzione del consumo di plastica con una bottiglia alla moda, leggera e sostenibile in acciaio 18/8.

Da dove nasce l’idea di creare 24Bottles?

Ci siamo incontrati lavorando in banca e siamo diventati amici da subito. In uno dei nostri viaggi insieme, abbiamo visitato una meravigliosa baia siciliana il cui paesaggio era stato rovinato da sacchi di immondizia e  rifiuti abbandonati sia lungo i sentieri che sulla spiaggia. Da lì è nato il desiderio di impattare positivamente nella vita delle persone, contribuendo alla risoluzione del problema ambientale che affligge il Pianeta.

L’insoddisfazione sul posto di lavoro ci ha dato la spinta finale per fare il grande passo. Abbiamo iniziato informandoci per capire quale fosse il prodotto ideale che combinasse i nostri obiettivi: eco-sostenibilità, rispetto dell’ambiente e influenzare le abitudini della comunità sociale.

24Bottles

Le bottiglie 24Bottles coniugano la sostenibilità ambientale al design, cosa volete comunicare?

Le bottiglie sono il veicolo attraverso il quale esprimiamo i nostri valori e quelli della nostra community. Da subito abbiamo fatto in modo di coniugare il lato estetico al principio etico, facendo leva sul primo per raggiungere dei risultati in termini di buone abitudini e rispetto dell’ambiente. L’idea della bottiglia riutilizzabile ovviamente non è originale, ma originali sono il design e la qualità dei nostri prodotti. Abbiamo cercato di portare la borraccia fuori dall’immaginario “outdoor”, creando delle bottiglie dal design elegante che si adattassero alle esigenze della vita e allo stile della città. Per questo, per esempio, abbiamo fatto in modo di ridurre al minimo il peso delle bottiglie, in modo che siano davvero comode e facili da portare sempre con sé.

La ricerca dei materiali rende il vostro prodotto unico e ricercato, raccontateci come nascono le bottiglie 24Bottles e il loro impatto sull’ambiente.

I nostri originali design nascono principalmente da lunghi brainstorming in cui ci confrontiamo per cercare di rispondere ad una specifica necessità. L’impatto dei rifiuti plastici, in particolare degli oggetti e imballaggi usa e getta, è grave ed allarmante. Il nostro obiettivo è contribuire a diminuire lo spreco e il consumo di bottiglie di plastica, innescando abitudini responsabili che tengano conto dell’ambiente. Siamo partiti dalla produzione, spesso sottovalutata, che invece ha un ruolo predominante in termini di impatto ambientale. Basti pensare che la produzione di una singola bottiglia di plastica da 500ml genera 80 grammi di CO2 nell’atmosfera. Per questo sulle nostre Urban Bottle si trova il numero -0,08: sta a indicare la CO2 che si evita di disperdere nell’ambiente ogni volta che si riempie la nostra bottiglia.

24Bottles

A questo proposito, in che modo bilanciate l’impatto ambientale dei vostri processi produttivi?

Abbiamo coinvolto un ente certificatore indipendente per valutare l’impatto ambientale dei nostri prodotti. Una volta avuto il risultato in mano abbiamo considerato diverse opzioni per compensare la CO2. Ad oggi ci siamo appoggiati a Treedom, società attraverso la quale abbiamo creato una foresta di 1500 alberi su 5 diversi paesi. Oxygen, questo il nome della nostra foresta, azzera l’impatto ambientale dei nostri prodotti. Inoltre, Treedom coinvolge la comunità locale, creando lavoro nei paesi in cui sono presenti i nostri alberi.  La gestione è infatti affidata ai contadini che ovviamente possono sfruttare e godersi i frutti, veri e propri, del loro lavoro per avviare le proprie attività commerciali dove c’è più bisogno.

In che modo 24Bottles fa la differenza?

A livello pratico cerchiamo di proporre sempre la soluzione più semplice e comoda per risolvere un problema. Le nostre bottiglie in acciaio sono le più leggere sul mercato: tutti possono portarsela dietro senza sentirne il peso. Inoltre, siamo gli unici a proporre prodotti completamente a impatto zero grazie alla compensazione della CO2. E soprattutto, a differenza di altri brand, i nostri design sono originali, studiati e realizzati da noi dalla A alla Z in modo da poter perfezionare i nostri prodotti in qualsiasi momento per venire incontro alle esigenze del nostro pubblico.

24Bottles

Quali sono gli ostacoli principali che un’azienda come la vostra, attenta alla sostenibilità ambientale, incontra?

Entrambi proveniamo da settori lontani dal mondo del design industriale e della moda. Inizialmente non avevamo nessun tipo di conoscenza del settore retail e di cosa significasse fare impresa. Ciò che ci ha consentito di crescere sono state una vision molto limpida e una grande passione. Tuttavia, il vero ostacolo è stato riuscire a entrare nel mercato italiano, essendoci dovuti creare uno nostro spazio da zero. L’Italia è stato infatti un paese ostico da coinvolgere perché, dati alla mano, è da sempre uno dei maggiori consumatori di acqua in bottiglia. Nel nord Europa, ad esempio in Germania, siamo riusciti a farci notare permettendoci di crescere da subito. Oggi abbiamo un ottimo riscontro anche nel nostro paese, grazie alla qualità, al passaparola e alla comunicazione sui social.

Quali sono le vostre prospettive future?

La nostra priorità è diventare sempre più efficienti e specializzati: vogliamo consolidare la nostra esperienza e diventare un punto di riferimento nel mondo per quanto riguarda le bottiglie in acciaio. Attualmente stiamo lavorando a nuove linee di bottiglie, nuovi colori, nuove fantasie e nuovi accessori. Cerchiamo di proporre qualcosa di nuovo almeno ogni 6 mesi in corrispondenza delle stagioni della moda, perché prima di tutto noi ci consideriamo tali. Inoltre a livello di mercato, abbiamo cominciato a distribuire i nostri prodotti in Asia e in Australia. Per il prossimo futuro il grande salto sarà entrare nel competitivo mercato Usa.