Scritto da: Andrea Cinquegrani
Fonte: http://www.lavocedellevoci.it/?p=7578
11 settembre. A 15 anni esatti dalla tragedia la verità comincia ad affiorare: tutta a base di mega complicità ai più alti vertici a stelle e strisce. Le Twin Towers dovevano crollare, doveva esserci una strage, per poter accusare non solo Al Qaeda, ma soprattutto Saddam Hussein e quindi preparare la seconda guerra all’Iraq: questione di petrolio, armi e leadership nel bollente Medio Oriente.
Ma i vertici Usa dovevano trovare un alleato sicuro, affidabile, sul quale in un eventuale futuro poter anche scaricare la colpa, tanto gli sceicchi passano e il potere Usa resta. Quell’amica era l’Arabia Saudita e l’uomo chiave di tutta la story si chiama Bandar bin Sultan Al Sa’ud, principe, diplomatico e politico saudita, membro della famiglia reale e, soprattutto, amico storico della “Bush family”.
Complici e perfettamente a conoscenza delle trame della “Bandar Bush” band, i vertici Usa. Non solo Cia e Fbi, ma il più stretto entourage presidenziale: in pole position Dick Cheney e Condoleeza Rice e anche i vari Rumsfed, Tenet, Wolfowitz, Powell. La crema yankee.
Pezzi di verità – come in un puzzle – arrivano dalla fresca desecretazione decisa da Obama in corner, quasi un ultimo atto prima dell’addio alla Casa Bianca: il 15 luglio – nel più perfetto silenzio mediatico, anche di casa nostra – si è infatti alzato il sipario sulle famose 28 pagine di un rapporto redatto a dicembre 2002 da una commissione del Senato incaricata di ricostruire lo scenario prima e subito dopo quell’11 settembre. Mezze verità, un antipasto di quello che verrà: comunque sufficienti a delineare lo scenario, secondo alcuni gruppi di attivisti americani che da 15 anni lottano per la verità sulla tragedia delle Torri Gemelle e la guerra totale scatenata poi dagli Usa in mezzo mondo, comprese primavere arabe taroccate e il vero ruolo giocato da Al Qaeda e – oggi – dall’Isis.
Partiamo da due istantanee per delineare le pedine sullo scacchiere e chiarire plasticamente lo scenario.
QUATTRO AMICI AL TRUMAN BALCONY
Ecco la prima: 11 settembre, quartier generale del gruppo Carlyle, uno dei colossi finanziari Usa. Si tiene una importante riunione del cda. Come festeggiarla meglio se non con una diretta? Ed ecco che due potenti soci si ritrovano fianco a fianco a godersi la scena del crollo dalla finestra panoramica sulle Twin Towers: sono George H.W. Bush (senior) e Shafiq bin Laden, uno dei fratellastri del più noto Osama bin Laden, il ricercato numero uno di tutte le intelligence mondiali, da quel giorno in poi. Va solo notato en passant che dopo l’11 settembre gli affari made in Carlyle crescono vertiginosamente.
Bandar bin Sultan
Passiamo alla seconda, appena due giorni dopo. Undici settembre 2001, quattro amici si ritrovano sulla celebre “Truman Balcony” della Casa Bianca a gustare un sigaro, bere un whisky e prendere una tintarella settembrina. Si tratta di George W. Bush (junior), Dick Cheney, Condoleeza Rice e Bandar bin Sultan: che brindano a un patto di ferro, per mettere in campo la strategia della Global War, studiata come azione di difesa (“self-defense”) dopo l’attacco.
Andiamo adesso al dossier secretato fino a meno di due mesi fa. Il rapporto fa riferimento svariate volte alla famiglia bin Laden e ad alcuni fratellastri di Osama, tutti in stretto contatto con alcuni tra gli attentatori. Spicca, in particolare, il legame di Abdullah bin Laden con Mohamed Atta e Marwati al-Shehhi, capo commando, il primo, dell’attacco alle Torri Gemelle. In un documento sull’11 settembre preparato nel 2012 da Ferdinando Imposimato per la Corte dell’Aja sui crimini di guerra (e riportato in un’inchiesta della Voce titolata “Atta d’accusa”, che trovate nel link in basso), il nome di Atta è in prima fila: libero di andare e venire come un fringuello dall’Europa agli Usa, mai fermato agli aeroporti nei suoi continui viaggi e spostamenti, che si intensificano a ritmo serrato fin dai primi mesi del 2001, capace di prendere il brevetto di volo addirittura in una scuola avio americana, quella di Venice, in Florida (postazione chiave, secondo alcune fonti, per traffici di vario tipo, anche di armi e droga), super vigilato da Cia ed Fbi, che conoscevano benissimo le sue mosse e il suo ‘spessore’. Abdullah bin Laden, dal canto suo, si è rimboccato le maniche come presidente e direttore di una sigla acchiappafondi per finanziare il terrorismo internazionale, la “World Arab Muslim Association” (WAMA).
Ma eccoci all’uomo chiave dell’intrigo internazionale, Bandar bin Sultan. Al quale il rapporto fa riferimento solo in due, ma significative circostanze: una riguarda i rapporti con un’altra tessera strategica del puzzle, Osama Bassnam; l’altra concerne il ruolo giocato all’interno della sigla ASPCOL, “l’ombrello d’affari (letteralmente ‘the umbrella corporation’, ndr) creato in Colorado per gestire i tanti business del Principe Bandar”.
Sul primo versante, vengono documentati pagamenti, bonifici e assegni partiti da Bandar e diretti a Bassnam e alla sua consorte. In seguito, si dettaglia il ruolo svolto da Bassnam, tramite alcune sigle di copertura (come la “Saudi Arabian Education Mission”), sempre d’accordo con i vertici del governo saudita e spesso in combutta con un’altro pezzo da novanta, Omar Al-Bayouni. Sia Bassnan che Al-Bayouni vengono in diversi ambienti etichettati come “ufficiali dei servizi segreti sauditi”.
Strategico anche Aspcol, che sta per “Aspen Corporation”, acquartierato in Colorado. Collegato al ben noto “Aspen Strategic Group”, ASG per i fans, gruppo impegnato ad “esplorare – come descrivono gli esperti di politica internazionale – le principali sfide estere che gli Usa devono fronteggiare”. Nel super board di Asg si ritrovano i soliti Rice, Cheney, Paul Wolfowitz, Judith Miller nonché Bandar.
ALLA CORTE DEL PRINCIPE BANDAR BIN SULTAN
Ma vediamo, più da vicino, chi è questo misterioso – ma non poi tanto – principe e membro della Royal dinasty saudita, il cui nome compare per 17 volte nel dossier della commissione del Senato Usa.Viene definito “l’uomo strategico da sempre nei rapporti diplomatici e d’affari tra Usa e Arabia Saudita”, per ben 22 anni ambasciatore del suo paese negli Usa, fino al 2005, quando viene richiamato a Riyadh, grande amico di Bush senior prima e Bush junior poi, negli ambienti diplomatici il suo nickname, il soprannome, è “Bandar Bush”. Pensate forse che dopo il 2005 si sia un po’ eclissato, fatto da parte? Neanche per sogno: per un bel decennio, dal 2005 al 2015, è stato segretario generale del “Saudi National Security Council”, e nel biennio 2012-2014 ha addirittura raddoppiato, cumulando anche l’incarico di direttore generale della “Saudi Intelligence Agency”: un uomo, cioè, per tutti i Servizi.
Un pedigree fitto di esperienze, il suo. E di sorprese da novanta. A lui è toccato il delicato coordinamento della task force d’intelligence messa in campo per “inventare” prima e sostenere poi il movimento dei ribelli in Siria, che arriva a comprendere anche al Nusra, la al Qaeda in salsa siriana: un’idea, of course, a stelle e strisce, ma evidentemente appoggiata dagli amici sauditi in prima fila, e poi dalla Giordania. Obiettivo non troppo nascosto: minare alle fondamenta il regime di Assad, una “primavera” studiata accuratamente tavolino.
Commenta il senatore democratico Bob Graham: “Al Qaeda è stata una creatura dell’Arabia Saudita e adesso l’Isis è l’ultima creatura! L’Isis è il prodotto dell’ideologia saudita, dei soldi sauditi, dell’organizzazione saudita”. Del resto, non vanno dimenticati i legami tra la famiglia Bush e la dinasty dei bin Laden: non solo il fratellastro socio in Carlyle, ma anche i rapporti diretti – e super amichevoli – con Osama in persona, ospite d’onore in un pranzo a casa Bush d’inizio anni ’90, alla presenza della star del tennis Bijorn Borg e della allora sua compagna, Loredana Bertè (come dichiarò in un’intervista alla Voce l’avvocato della Bertè, Carlo Taormina). E del resto, dopo l’11 settembre a tutti i componenti della foltissima famiglia bin Laden (24 in tutto) fu permesso di lasciare in tutta calma gli Usa: anzi, per il vasto codazzo di amici sauditi vennero messi a disposizione sei jet privati e due dozzine di velivoli commerciali!
Ma il ruolo di Bandar nella “diplomazia” statunitense risale ancora nel tempo, fino all’amministrazione Reagan. Uno dei primi incarichi fu quello di raccogliere fondi e armi per sostanziare l’appoggio ai mujahideen, impegnati contro i russi nella logorante guerra in Afghanistan; altra mission quella di supporto alle azioni dei Contras in Nicaragua, per fiancheggiare la Cia nelle “illegal operations”. Visti i precedenti e un così folto curriculum – racconta un reporter del Wall Street Journal, Adam Entous – “i veterani della Cia stanno ancora ridendo a crepapelle, vedendolo ora tornare alla ribalta”.
John Brennan. Sotto,
Ed è proprio sulle colonne del Wall Street Journal che è tornato alla ribalta un altro passato “scomodo”: quello del direttore della Cia John Brennan (nominato nel 2013 da Obama), il quale vent’anni fa ricopriva il ruolo di capocentro Cia in Arabia Saudita, incarico portano avanti fino al 1999: quando venne promosso capo staff dell’allora numero uno della Cia, George Tenet, l’uomo che ha chiuso gli occhi sul quel tragico 11 settembre 2001 e al quale, per primo, venne inviato il dossier del Senato poi super secretato fino allo scorso luglio…
Racconta un avvocato di New York attivista del Movimento ‘Truth Action Project’: “Fanno capolino, nel rapporto, molti altri nomi di fiancheggiatori di quel commando, praticamente tutti in qualche modo collegati ai vertici sauditi, a ministri del governo anche in veste di finanziatori, ai servizi segreti. Ci sono diversi omissis, parti cancellate in quel dossier di fine 2002. A questo punto occorre andare avanti, portare alla luce tutte le complicità e le collusioni tra vertici sauditi e americani, portare alla sbarra i veri responsabili di quelle colossali bugie che hanno condotto a tanti massacri e guerre inventate, come quella contro l’Iraq. Siamo ad un primo, fondamentale passo. Non bisogna fermarsi”.
Scrive il giornalista Barry Kissin: “Gli americani non possono e non devono aver paura di scoprire cosa c’è sotto quelle macerie dell’11 settembre. E dobbiamo capire che la nostra Guerra Globale al Terrore si sta trasformando in un Olocausto, provocato da quelle stesse forze che volevano farci credere in una battaglia autentica contro il terrore. La vera storia è che i crimini della famiglia Bush sono l’emblema di una parte dell’intero nostro sistema politico, economico, finanziario che ha dominato la scena come una macchina, un mostro che non sa far altro che ingoiare guerre e profitti. E in questo scenario, il prossimo futuro è nero. Perchè il candidato naturale di questo sistema si chiama Hillary Clinton, ancora più aggressiva di Obama”.
Il quale ha pensato bene di nascondere quelle tragiche verità sull’11 settembre: pur essendone perfettamente a conoscenza. Una sequenza “logica”: Bush, Clinton, Obama e con ogni probabilità ri-Clinton. Perchè ‘O sistema americano continui.
Ecco, a seguire, alcune righe scritte da Ferdinando Imposimato, che l’11 settembre terrà alla John Cooper Union di New York una relazione dal titolo “9/11 come Strategia della Tensione”, focalizzato in particolare sui nostri anni di piombo e soprattutto sul ruolo di Gladio. Nel link in basso potete trovare anche il programma del convegno.
Quindi, un significativo articolo scritto da Giulietto Chiesa per i 15 anni delle Torri Gemelle, su quello che dovrà ancora emergere per rendere finalmente giustizia e verità alle vittime di quell’Olocausto che continua nelle guerre di oggi, a partire dall’eccidio siriano; e soprattutto sui concreti rischi di un conflitto nucleare scatenato dagli Usa, oggi più imperialisti che mai.
FERDINANDO IMPOSIMATO ALLA JOHN COOPER UNION
Per me è un grande onore parlare alla John Cooper Union di NY, grazie ai gruppi Architects & Engineers for 9/11 Truth, Lawyers Committee for 9/11 Inquiry, NY State Legislative Action Project for 9/11 Justice, 9/11 Consensus Panel, 9/11 Truth Action Project. Parlerò della strategia della tensione nel mondo, seguendo l’insegnamento di Tucidide; anamnesi , diagnosi e prognosi, guardando al passato per capire il presente e prevedere il futuro. Al termine farò le mie osservazioni sulla necessità di attuare ovunque il due process of law (7 principi ) e di rispettare sempre i diritti umani.
La politica deve tendere al bene comune , alla pace e alla eguaglianza, non alla conquista del potere, come insegnava Abramo Lincoln. Occorre ripudiare Niccolò Machiavelli, come guida spirituale della politica dell’Italia e di ogni altro Paese ,compresa l’America. L’insegnamento dello storico fiorentino, il fine giustifica i mezzi, è all’ origine dei mali passati e presenti nel mondo .Ed è ispiratore della strategia della tensione per cui lo Stato può compiere ogni delitto per conquistare e mantenere il potere. Invece nessuna ragion di Stato può legittimare la conquista e il mantenimento del potere attraverso la «licenza di uccidere» e di compiere stragi o attentati, ampiamente sperimentata da alcuni governanti nel mondo come strumento di lotta politica e di rafforzamento del potere. Mezzi ignobili, massacri e assassini ,rimasti spesso impuniti dovunque non sono compatibili con fini nobili, come la difesa della libertà , della democrazia e della eguaglianza. Mezzi sanguinosi portano al prevalere al potere politici criminali che governano con il terrore e la disinformazione. Occorre riprendere la via dell’incivilimento e uscire dall’abiezione, riconsiderando con occhi critici le nostre radici morali e i nostri vizi, riconoscendo che morale e politica vanno tenute distinte ma non contrapposte. Noi siamo convinti che morale e politica non confliggano ma possano e debbano coniugarsi. Così prevarranno giustizia e eguaglianza.
In primis hominis est propria veri inquisitio atque investigatio. E’ proprio di ogni uomo la ricerca e la investigazione della verità.