Il Prospero della “Tempesta” di Shakespeare somiglia tanto a Cardano

Scritto da Angelo Paratico
Fonte: http://lanostrastoria.corriere.it/2014/11/27/il-prospero-della-tempesta-di-shakespeare-somiglia-tanto-a-cardano/

lanostrastoria_testataUn grande attore come Tino Carraro (1910 – 1995) mi fece innamorare della “Tempesta” di William Shakespeare; era il 1977 e interpretava Prospero al Teatro Lirico di Via Larga a Milano. La regia minimalista era firmata da Giorgio Strehler. Ricordo la grande emozione provata quando Carraro recitò il monologo d’addio al suo mondo incantato. In molti hanno letto in questo finale la diretta voce di William Shakespeare che si congeda dagli spettatori e ripone per sempre la propria bacchetta magica. A quel tempo mi interessavo di Girolamo Cardano (1501 – 1576?) e notai delle similitudini fra i due personaggi. La curiosità aumentò quando scoprii che un’opera perduta di Shakespeare era intitolata ‘Cardenio’ anche se pare che quel curioso nome sia da collegarsi al Don Chisciotte di Cervantes.
La “Tempesta” fu presumibilmente scritta nel 1610 – 11 ma in passato non ebbe quel grande successo di cui ormai gode. Fu solo a partire dall’Ottocento, con il movimento romantico, che crebbe in popolarità e oggi, assieme a ‘Giulietta e Romeo’, ‘Amleto’ e al ‘Sogno di una notte di mezza estate’, è una delle opere di Shakespeare più amate e rappresentate, senza contare gli adattamenti cinematografici e operistici.
Il personaggio principale della commedia, Prospero, Duca di Milano, è un uomo giusto e studioso, tradito dal fratello che in combutta con Alonso, re di Napoli, lo esiliano su di un’isola. Prospero non è interessato ai maneggi politici ma ai libri, soprattutto a quelli di magia. Dopo essersi vendicato, sfruttando le sue arti magiche, Prospero si ritira, offrendo un futuro radioso alla sua amatissima figlia, Miranda.
In questa commedia entrano in gioco vari elementi, molti libri, storie e racconti, magistralmente uniti e adattati in un nuovo canovaccio. Sono palesi i riferimenti a il ‘Naufragio’ opera di Erasmo da Rotterdam, del 1525. In evidenza anche il ‘De Orbe Novo’ di Pietro Martire d’Anghiera e le ‘Metamorfosi’ d’Ovidio, dal quale Shakespeare trae il discorso di rinuncia di Medea, recitato da Prospero. Forte vi è anche l’influenza di Montaigne. Questo è certamente dovuto al fatto che l’editore, o per meglio dire l’arrangiatore occulto delle opere di Shakespeare, fu sicuramente John Florio, il primo traduttore degli ‘Essays’ di Montaigne dal francese all’inglese. La raccolta delle commedie di Shakespeare venne stampata in un’edizione in folio nel 1623 con il titolo di ‘Mr William Shakespeare Comedies, Histories & Tragedies’ e, trattandosi di una impresa molto costosa, gli editori John Heminges e Henry Condell cercarono un letterato capace di correggere e arrangiare quelli che dovevano essere solo dei confusi e sgrammaticati spartiti. Per quanto riguarda la Gran Bretagna quello fu l’evento editoriale del secolo e certamente una fatica d’Ercole per John Florio. Ne vennero stampate 800 copie e oggi se ne conservano 233. L’ultima è stata scoperta la scorsa settimana a St. Omer, nel nord della Francia. E’ un libro preziosissimo: l’ultima copia battuta da Christie’s nel 2006 fu aggiudicata per 6,8 milioni di dollari e per avere quest’ultima – se verrà messa in vendita – si dovranno sborsare più di 20 milioni di dollari.

Il padre di John Florio si chiamava Michelangelo e fu un intellettuale, scrittore e avventuriero fiorentino. Ebreo, divenne monaco cattolico e poi predicatore protestante colmo di zelo. Finì in galera a Roma ma riuscì a riparare a Venezia e poi in Inghilterra, dove si fece apprezzare. Con l’ascesa al trono di Mary Tudor fu costretto a darsi alla fuga, finendo in Svizzera, dove morì nel 1567. Suo figlio John ritornò in Inghilterra, conobbe Giordano Bruno e si distinse nel mondo letterario inglese e vi morì, in abietta povertà, nel 1625
Girolamo Cardano, matematico, astrologo, medico e filosofo era e resta più celebre in Gran Bretagna che in Italia. La sua fama è dovuta al fatto che nel 1552 venne convocato a Edimburgo dall’Arcivescovo di Sant’Andrea, John Hamilton (1512 – 1571), che soffriva d’asma. Sulla via del ritorno fece sosta a Londra, ospite di John Checke, il dotto tutore del re. Le voci della straordinaria guarigione dell’alto prelato lo avevano preceduto e Cheke gli fissò un’udienza con il giovane re Edoardo VI (1537-1553). I due si parlarono usando il greco, il latino e l’italiano, discutendo di astronomia e di storia. La pubblicazione da parte di Cardano, nel 1545, della ‘Artis Magnae’ una pietra miliare nella storia dell’algebra e del ‘De Subtilitate’ nel 1550, la prima enciclopedia tascabile, usciti entrambi a Norimberga presso Johannes Petreius – editore anche di Copernico, Erasmo e Stifel – avevano fatto di Cardano lo scienziato più celebre al mondo. Il giovane monarca appariva già infetto dalla tubercolosi che l’anno successivo lo uccise ma alla sua corte, dietro alle quinte, si muovevano potenti personaggi che preparavano la successione. Venne chiesto a Cardano di presentare un oroscopo del giovane ed egli pronosticò una vita lunga e piena di successi, anche se ricevette pressioni contrarie.
Girolamo Cardano passò come una cometa nel cielo di Londra, rischiarandoli e le notizie delle sue disavventure personali e poi della morte raggiunsero la capitale inglese, aumentando l’alone di mistero che lo circondava. La persecuzione subita dalla Chiesa cattolica lo trasformò in una figura eroica, un po’ come Galileo dopo che incontrò John Milton, il quale lo descrisse come un prigioniero dei preti che lo guardavano a vista.
John Florio, non solo Shakespeare, conoscevano Girolamo Cardano e i suoi libri. Alcuni finirono all’Indice ma altri vennero ristampati nei primi decenni del Seicento, soprattutto in Francia. La sua ‘Opera Omnia’ in 10 volumi in folio uscì proprio a Lione nel 1663.
Una prova della sua perdurante popolarità può essere vista nel fatto che un’edizione in inglese del suo ‘De Consolatione’ uscì nel 1576 sotto al titolo di ‘Cardanus Comforte’ ed è proprio questo il libro che Amleto tiene in mano quando recita il suo celeberrimo monologo ‘Essere o non essere?’.
Un altro sintomo della sua celebrità è il fatto che la più completa e rigorosa biografia mai scritta su di lui la si deve a Thomas Morley. Uscì in due volumi nel 1854 a Londra e, incredibilmente, non è mai stata tradotta e pubblicata in Italia, dove ci siamo sempre accontentati di biografie dozzinali e incomplete.
Ecco quali sono i punti di contatto fra Cardano e Prospero, a parte la loro ‘milanesitudine’. Sia Cardano che Prospero hanno uno spirititello al proprio servizio. Cardano racconta nella sua autobiografia di averlo ereditato dal padre, Fazio Cardano e spesso udiva grugniti dietro di sé e puzza di zolfo. Entrambi sono esperti di magia e di astrologia. Entrambi vengono gettati in prigione e poi costretti all’esilio. Sia Prospero che Cardano sono amanti dei libri ma alla fine rinunciano a quelli che trattano di magia e di astrologia. Vengono ambedue traditi da persone delle quali si erano fidati. Il primogenito di Girolamo Cardano, Giambattista, venne attanagliato e decapitato a Milano nel 1560 su ordine del senato milanese, dopo che, sotto tortura, aveva confessato di aver avvelenato la moglie e i suoceri. Cardano tentò disperatamente di salvarlo ma non ci riuscì e quasi impazzì per il dolore. Riuscì a dimenticarlo solo tenendo uno smeraldo sotto alla propria lingua.
Il secondogenito di Cardano, Aldo, divenne un delinquente e tentò più volte di rubare e assaltare il padre. Gli restava una figlia soltanto, proprio come Prospero, che ebbe nome Clara. Solo un’analisi della sterminata produzione cardanica e il possibile rinvenimento di battute e concetti presenti nella “Tempesta” – ricerca che non è ancora stata intrapresa – potrebbe portare a scoprire altri punti di contatto fra i due.

La Battaglia del Solstizio

Fonte: http://www.itinerarigrandeguerra.it/La-Battaglia-Del-Solstizio

La Battaglia del Solstizio

Con quattro giorni di ritardo rispetto a quanto previsto, alle tre del mattino del 15 giugno i cannoni austro-ungarici lungo il Piave aprirono il fuoco contro il fronte italiano. Iniziò così la Battaglia del Solstizio che avrebbe dovuto, secondo i piani del Comando Supremo asburgico, risolvere definitivamente la guerra con l’Italia. Memori dell’ottima tattica utilizzata 8 mesi prima a Caporetto, l’attacco iniziò con un grande bombardamento verso i collegamenti delle linee difensive con l’ausilio anche dei gas.

Le prime ore furono molto favorevoli e gli austro-ungarici ottennero risultati eccellenti: circa 100mila uomini riuscirono ad attraversare il fiume sotto la pioggia battente ed i fumi dei gas. In particolare, i soldati riuscirono ad entrare nel paese di Nervesa e ad occupare la collina del Montello, non lontana dal Monte Grappa. A sud vennero compiuti alcuni progressi nella zona compresa tra San Donà e Cava Zuccherina (l’odierna Jesolo) mentre i soldati italiani mantennero le posizioni solo sull’Altopiano di Asiago.
Ma già nel pomeriggio i comandi asburgici si resero conto che la situazione era ben diversa rispetto alla Valle dell’Isonzo. Questa volta gli italiani ascoltarono i disertori, sempre numerosi, ed i piani austro-ungarici non furono un mistero. Le bombe a gas inoltre non fecero la strage che ci si aspettava dato che l’esercito britannico aveva distribuito ai soldati le proprie maschere anti-gas, più evolute e moderne rispetto a quelle usate precedentemente.

Il 16 giugno l’avanzata si interruppe. Il livello del Piave, a causa delle abbondanti piogge, salì notevolmente e le passerelle per far arrivare i rifornimenti sulla riva destra crollarono sistematicamente. In molti punti le granate iniziarono ad essere razionate mentre, al contrario, la superiorità delle armi e degli uomini italiani (sostenuti anche dai francesi e dagli inglesi) era palese.
Nella zona più meridionale, la riva sinistra del Piave venne bombardata da cannoni posti su delle chiatte lungo il fiume. Dai cieli, gli aerei inglesi, i famosi bombardieri italiani Caproni ed i caccia Niuport crearono lo scompiglio sulle linee austro-ungariche nonostante la morte di Francesco Baracca, l’asso dell’aeronautica italiana abbattuto sulle pendici del Montello il 18 giugno.
Alle Grave di Papadopoli, a Fagaré, Candelù, Zenson e Fossalta i soldati asburgici resistettero fino al 20 giugno ma dopo cinque giorni Carlo I, anche per far fronte alle richieste di soldati da parte del Comando Supremo tedesco sul fronte occidentale, sospese le operazioni. Il Montello e Nervesa vennero abbandonati, il delta del Piave fu conquistato dagli uomini della Terza Armata e gli ultimi soldati ritornarono sulla riva sinistra del fiume il 26 giugno.

Da quel momento nacque la leggenda del Piave. Il famoso modo di dire “Altolà sul Piave” riassume ancora oggi l’entusiasmo che si scatenò dopo questa vittoria che, per molto intellettuali e protagonisti del tempo, fu la “prima e vera battaglia nazionale che l’Italia avesse mai combattuto” (Francesco Minniti, “Il Piave”, Il Mulino, Bologna, 2002, p. 69). L’Austria-Ungheria non era ancora del tutto sconfitta, ma la Grande Guerra prese una strada decisamente favorevole agli italiani.

Linee guida per una sana alimentazione

Scritto da: Isabella Dal Pont
Fonte: http://www.naturopataonline.org/alimentazione/cosa-mangiamo/8678-linee-guida-per-una-sana-alimentazione.html

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Linee guida per una sana alimentazione

Linee guida per una sana alimentazione, premessa

Gli alimenti di cui decidiamo di nutrirci vanno a costituire non solo il nostro corpo, ma anche il nostro mondo emotivo, è quindi importante seguire il più possibile le linee guida per una sana alimentazione.

Scegliere un certo cibo, decidere di farlo diventare parte integrante di noi, prepararlo e gustarlo sono tappe fondamentali per allenare quella consapevolezza di sè indispensabile al raggiungimento e mantenimento di un ben-Essere fisico che, inesorabilmente, comporterà un beneficio anche dal punto di vista emotivo.

Suddividere i cibi nelle categorie “proibito” e “ permesso” e nutrirsi solamente in base al “bollino verde”(=cibo permesso),alla lunga potrebbe portare ad un senso di insoddisfazione che, indipendentemente dall’aver raggiunto l’agognato peso forma, non favorirà certo il sorriso e la serenità.

I regimi alimentari suggeriti dal naturopata vogliono essere indicazione, un aiuto per conoscere sapori nuovi e nuove modalità di nutrimento, nonchè uno schema base su cui l’individuo può costruirsi dei suoi propri regimi alimentari, al fine di prendersi cura di sè.

Le combinazioni alimentari salutari nelle linee guida per una sana alimentazione

Le verdure crude vanno consumate all’inizio dei pasti ed è preferibile siano costituite da:

  • verdure di stagione * , che includano un tipo di radice (carota, sedano rapa…) e un tipo di foglia o gambo (lattughe, cicorie, cavoli..).
  • Per il condimento è preferibile utilizzare sale rosa dell’himalaya (ricco di oligoelementi ) o un mix alle erbe, ed alternare l’olio extravergine d’oliva all’olio di riso.

Le verdure crude consumate ad inizio pasto donano all’organismo un bel rifornimento di enzimi, aiutando a sentirsi già in parte sazi (favorendo il minor bisogno di molto cibo durante il pasto); inoltre si sposano bene con ogni tipo di alimento, favorendo la buona digestione sia delle proteine (carne, pesce, leguminose), sia dei carboidrati (cereali), sia dei lipidi.

La frutta è preferibile utilizzarla come spuntino di metà mattina e metà pomeriggio; è sempre preferibile consumare quella di stagione*.

La frutta è ricca d’acqua e di zuccheri (fruttosio) , di pronto utilizzo , che garantiscono una fonte d’energia subito disponibile; affinchè ciò avvenga, va assunta sempre fuori pasto, per evitare che la sua soluzione zuccherina inneschi fermentazioni con i residui del pasto appena terminato.

Linee guida per una sana alimentazione: i cereali e leguminose

  • Si tratta di un’ottima combinazione dal punto di vista nutrizionale, poichè fornisce la gamma completa di amminoacidi essenziali, quindi di proteine nobili, senza apporto di colesterolo.
  • Variare cereali , provando orzo , miglio, farro, con I quali si possono preparare insalate aggiungendo wurstel di pollo, peperoni, olive, ma anche caldi minestroni d’inverno.
  • Alcuni esempi: pasta e lenticchie, riso e piselli, polenta e fagioli, farro e ceci, che possono essere insaporiti con erbe aromatiche per favorirne la digeribilità. Fondamentale, nella preparazione del piatto, è limitare i condimenti.

Cereali e latticini

  • Si tratta di una discreta combinazione   dal punto di vista nutrizionale, a patto che I latticini non vengano sottoposti a calore inteso e prolungato.
  • Limitare il consumo di bevande ai pasti ; è  meglio preferire  acqua fuori pasto, sostituibile con tè verde o tisane (da addolcire con un pò di miele d’acacia  o di tiglio).

Lo schema base delle Linee guida per una sana alimentazione

Colazione: 1 yogurt, qualche galletta di mais/riso, un frutto di stagione
Spuntino: qualche frutto oleoso (noci, mandorle…) un the o una tisana
Pranzo: verdura cruda, cereali (pasta, farro…)
Spuntino: un frutto di stagione, o qualche galletta col miele
Cena: verdura cruda, proteine (ad esempio uova)

Invertire, dopo una settimana, l’ordine, ovverosia:

Colazione: un frutto di stagione, qualche galletta con un pò di miele
Spuntino: 1 yogurt e qualche seme oleoso
Pranzo: verdura cruda, proteine
Spuntino: una tisana e un frutto di stagione
Cena: verdura cruda, cereali

Le verdure cotte, (da cuocere a vapore), possono, a piacere, essere inserite due /tre volte a settimana.
Il the e le tisane vanno assunte LONTANO dai medicinali (almeno due ore); in ogni caso, se si assumono farmaci, è bene chiedere consiglio ad un naturopata esperto, poichè alcuni cibi possono interferirecon l’assorbimento dei principi attivi del farmaco stesso.

  •  * Verdure autunnali ed invernali : barbabietole, broccoli, carciofi, cardi, carote, catalogna, cavolfiori, cavolini di Bruxelles, cavolo cappuccio, cavolo cinese, cavolo viola(o nero), cavolo verza, cime di rapa, finocchio, indivia belga, indivia riccia, lattuga cappuccio, lattuga da taglio, patate, patate dolci (batate), porri, radicchio, rape,scarola, sedano rapa, topinambur, zucca.
  • *Frutta autunnale ed invernale:arancia, kiwi, uva, alchechengi, cachi, castagne, cedri, polpelmo, mandarini

Un’ultima indicazione sulle linee guida per una sana alimentazione

Annotarsi le emozioni provate gustando i vari cibi, mettendole per iscritto:
offriranno una “mappa di relazione” tra cibo e ciò che per l’individuo rappresenta, permettendo di decidere, con l’allenamento quotidiano, di cosa vuole ci si vuole nutrire e di cosa no.

Nutrirsi è una necessità

di cosa nutrirsi
come nutrirsi
quando nutrirsi
sono scelte e, in quanto tali,
portano all’autonomia ed all’indipendenza.

Sulle orme di Nicholas Roerich, alla ricerca della mitica Shambala

Scritto da:Francesco Lamendola
Fonte: http://www.centrostudilaruna.it/nicholas-roerich-shambala.html

Archeologo, antropologo, pittore, disegnatore, costumista, scrittore, viaggiatore, diplomatico, conferenziere ed esperto di occultismo: tutto questo, e altro ancora, è stato Nicholas Konstantinovic Roerich: un personaggio che sembra uscito dalla fantasia di un romanziere e i cui dipinti, effettivamente, ricordano un po’ le atmosfere oniriche e vagamente surreali descritte in certi racconti del soprannaturale di H. P. Lovecraft.

Era nato a San Pietroburgo nel 1874 e, incoraggiato dal pittore Mikhail O. Mikhesine, aveva incominciato a dipingere, iscrivendosi poi alla Accademia di Belle Arti. Nello stesso tempo conduceva anche gli studi di legge, per volontà del padre, che era avvocato. Nel 1898 ottenne una cattedra nell’Istituto Imperiale Archeologico; tre anni dopo si sposò con Elena Ivanovna Shaposnikov, nipote del celebre musicista Mussorgskij, che gli diede due figli.

Ai primi del Novecento, Roerich era già una figura di spicco nel mondo culturale della capitale russa, interessandosi a svariate discipline, tra le quali l’archeologia, la pittura, la scenografia. Fra le altre cose, disegnò le scene e i costumi per l’impresario teatrale Serghej Dagilev e per il balletto di Igor Stravinsky La sagra della Primavera.

Membro, dal 1909, dell’Accademia imperiale russa di Belle Arti, nel 1917 fu anche, per un brevissimo periodo, presidente del Comitato di artisti creato dallo scrittore Maksim Gorki, che si riuniva nello storico Palazzo d’Inverno a San Pietroburgo (ribattezzata nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, Pietrogrado, per ragioni di germanofobia).

Dopo la Rivoluzione di Ottobre, Roerich dapprima trasferì la sua famiglia in Finlandia; poi, nel 1920, decise di accettare l’invito del direttore dell’Istituto d’Arte di Chicago ed emigrò negli Stati Uniti, che divennero la sua seconda patria.

Nel 1923 alcuni suoi ammiratori fondarono il Roerich Museum, che si arricchì di un gran numero di opere dell’artista; mentre egli partiva, insieme alla moglie, per un lungo viaggio nelle regioni più interne e meno conosciute dell’Asia Centrale, visitando l’India, il Sikkim, il Tibet, la Cina e la Mongolia.

Nel corso di quel viaggio, come si vedrà nel brano qui sotto riportato, egli si imbatté anche in alcune testimonianze relative alla presenza di Gesù Cristo nella regione dell’Himalaia e, addirittura, nel suo presunto sepolcro, nella città di Srinagar, nel Kashmir, tuttora venerato come quello di un grande santo venuto a predicare dal lontano Occidente. Ma, di questo argomento, avremo occasione di riparlare in una sede più appropriata.

Tornato in America, nel 1928 Roerich fondò un Centro di ricerca per gli studi himalaiani, le cui finalità erano l’approfondimento dell’etnografia e dell’antropologia di quella regione dell’Asia, sulla base del ricco materiale raccolto sul campo.

Nel corso del viaggio in Asia Centrale egli non aveva, peraltro, interrotto la sua attività artistica; si calcola che in quegli anni abbia dipinto non meno di 500 tele, su un totale di circa 7.000 opere realizzate nel corso della sua intera vita. A queste bisogna aggiungere qualcosa come 1.200 testi letterari di vario genere: per cui il corpus della produzione complessiva di questo genio eclettico, sia nell’ambito artistico che in quello scientifico, è veramente enorme e tale da lasciare sbalorditi.

Roerich si era anche notevolmente impegnato a livello umanitario e filantropico, tanto che per ben due volte, nel 1929 e nel 1935, il suo nome era stato fatto quale candidato al Premio Nobel per la Pace.

In particolare, egli si era adoperato affinché le nazioni giungessero a un trattato internazionale che si impegnasse, in caso di guerra, al rispetto dei musei, delle biblioteche, delle cattedrali e delle università, le quali avrebbero dovuto godere di una immunità simile a quella accordata alle strutture sanitarie della Croce Rossa. La cosa giunse a compimento con la stipulazione, nel 1935, del cosiddetto patto Roerich, sottoscritto a Washington dai governi degli Stati Uniti e di una ventina di Paesi latino-americani.

Nicholas Roerich si è spento nel dicembre del 1947 e le sue ceneri sono state sepolte ai piedi dell’Himalaia, in vista delle grandiose montagne che aveva tanto amato, e che aveva ritratto in decine e decine di quadri pervasi da una misteriosa atmosfera di spiritualità e animati da un vivo e suggestivo senso del colore.

Recentemente sono stati tradotti e pubblicati in italiano due volumi di scritti relativi al suo grande viaggio esplorativo fra le montagne e i deserti dell’Asia Centrale, che hanno riproposto i temi ormai «classici» relativi alla mitica Shambala e al regno sotterraneo di Agharti, di cui aveva parlato, a suo tempo, anche il viaggiatore polacco Ferdinand Ossendowski, specialmente nel suo celebre libro Bestie, uomini, dei.

Roerich tratta l’argomento con l’atteggiamento positivo dello studioso di etnologia, ma anche con la passione del mistero che lo ha accompagnato in tutto il corso della sua vita, spingendolo a intraprendere studi di occultismo dei quali non sappiamo molto.

Tutto quello che si può dire con certezza è che il suo maestro di pittura, Kundizi, era anche un iniziato al sapere esoterico e dovette istruire il suo allievo, oltre che nel campo dell’arte, anche in quello delle dottrine occulte; e, inoltre, che in diversi luoghi dell’Asia Centrale, Roerich venne accolto dai monaci buddhisti non come un semplice viaggiatore – curioso ed erudito fin che si vuole, ma pur sempre distaccato – bensì come un maestro di saggezza, degno della massima considerazione.

Scrive, dunque, Nicholas Roerich in Shambala, la risplendente (titolo originale: Shambala: in Search of the New Era, 1930; traduzione italiana di Daniela Muggia, Edizioni Amrita, Torino, 1997, vol. 2, pp. 43-49, passim):

In ogni città, in ogni accampamenti dell’Asia ho cercato di scoprire quali ricordi la memoria popolare custodiva con più ardore. Attraverso questi racconti conservati e preservati, si può riconoscere la realtà del passato (…).

Tra le innumerevoli leggende e fiabe di vari paesi si possono trovare storie che raccontano di tribù perdute e di popoli che vivono all’interno della Terra. Da tutte le parti, e in luoghi diversi e molto lontano gli uni dagli altri, la gente parla di fatti identici. Ma correlandoli fra loro ci si accorge immediatamente che non sono altro che capitoli di un’unica storia. All’inizio sembra impossibile che possa esistere un legame scientifico fra questi mormorii distorti, raccontati alla luce dei fuochi di bivacchi del deserto. Ma in seguito, si comincia a cogliere la bizzarra coincidenza di queste molte leggende, raccontate da popoli che non si conoscono neppure di nome (…).

In Kashmir si racconta della tribù perduta di Israele, certi eruditi rabbini potrebbero spiegarvi che Israele è il nome di coloro che cercano, e che non sta ad indicare una nazione, ma il carattere di un popolo. In rapporto con queste credenze, vi mostreranno, a Srinagar la tomba del grande Issa, Gesù. Potrete sentire la storia dettagliata di come il salvatore fu crocifisso, ma non morì, e di come i suoi discepoli portarono via il corpo dal sepolcro e scomparvero. Si dice che in seguito Issa si sia ripreso, e abbia passato il resto della vita in Kashmir a predicare il Vangelo. Si dice che, da questa tomba sotterranea, emergano vari profumi. A Kashgar, dove la santa madre di Issa si rifugiò dopo la crudele persecuzione subita da suo figlio, vi mostreranno la tomba della Vergine Maria. Ovunque trovate storie diverse di viaggi e spostamenti molto significativi; e a mano a mano che avanzate con la vostra carovana, questo vi procura il massimo piacere e una grande cultura (…).

Ogni imboccatura di grotta suggerisce che qualcuno vi sia già penetrato. Ogni corso d’acqua, soprattutto quelli sotterranei, volge l’immaginazione verso i passaggi sotterranei. In diversi punti dell’Asia Centrale si parla degli Agharti, il popolo dell’interno della Terra. Molte leggende delineano essenzialmente la stessa storia, che racconta come i migliori abbandonarono la terra traditrice, cercando salvezza in contrade nascoste in cui acquisire nuove forze e conquistare potenti energie.

Sui monti Altai, nella bella valle di Uimon, sulle alte terre, un venerabile vecchio credente (Starover) mi disse: «Vi proverrò che la storia dei Chiud, il popolo che vive all’interno della Terra, non è solo frutti dell’immaginazione! Vi condurrò all’ingresso di questo regno sotterraneo».

Sulla strada che attraversa la valle circondata da montagne innevate, il mio ospite ci raccontò molte leggende sui Chud. È notevole che la parola “chud”, in russo, abbia la stessa origine della parola “meraviglia”. Allora, forse potremmo considerare i Chud come una tribù meravigliosa. La mia barbuta guida spiegò:

«Una volta, in questa valle, viveva la potente e fiorente tribù dei Chud. I Chud erano in grado di fare prospezioni minerarie e di ottenere i migliori raccolti. Davvero pacifica e industriosa era questa tribù. Ma un giorno venne uno Zar Bianco, con innumerevoli orde di crudeli guerrieri. I pacifici e industriosi Chud non erano in gradi di opporre resistenza agli assalti dei conquistatori, e siccome non volevano perdere la libertà, rimasero quali servitori dello Zar Bianco. Allora, per la prima volta, crebbe in quella regione una betulla bianca e, secondo le antiche profezie, i Chud capirono che era giunta l’ora di partire. E i Chud, non volendo rimanere sotto il giogo dello Zar Bianco, se ne andarono sottoterra. Solo qualche volta potete udire cantare il sacro popolo; ora le loro campane risuonano nei templi sotterranei. Ma verrà il giorno glorioso della purificazione umana, e, in quei giorni, i grandi Chud riappariranno in tutta la loro gloria».

Così concluse il vecchio credente. Ci avvicinammo a una piccola collina pietrosa e, orgoglioso, egli mi indicò:

«Eccoci: qui c’è l’ingresso del grande regno sotterraneo. Quando i Chud penetrarono dai passaggi sotterranei chiusero l’entrata con le pietre. In questo momento siamo proprio accanto alla sacra entrata».

Ci trovavamo di fronte a un’enorme tomba circondata da grosse pietre, tipica del periodo delle grandi migrazioni. Di tombe di questo genere, con vestigia di reliquie gotiche, ne abbiamo viste nelle steppe della Russia meridionale sui contrafforti del Caucaso settentrionale; e, studiando questa collina, mi ricordai che, attraversando il colle del Karakorum, il mio sais, un ladakhi, mi aveva chiesto:

«Sapete perché le alte terre hanno un aspetto così particolare, da queste parti? Sapete che molti tesori sono nascosti nelle grotte sotterranee e che in esse vive una tribù meravigliosa, che ha orrore dei peccati della terra?».

Quando ci avvicinavamo a Khotan, inoltre, gli zoccoli dei nostri cavalli risuonavano a vuoto, come se stessimo cavalcando sopra alle grotte o a delle cavità. La gente della nostra carovana attirò la nostra attenzione su questo fenomeno, dicendo:

«Sentite che stiamo attraversando un passaggio sotterraneo cavo? Chi conosce bene questi passaggi, può servirsene per raggiungere paesi lontani».

Quando vedevamo l’entrata di una grotta, ci dicevano:

«Molto tempo fa, qui viveva un popolo. Ora, costoro si sono rifugiati nell’interno, hanno trovato un passaggio verso un regno sotterraneo. È ben raro che uno di essi ricompaia sulla terra. Questi personaggi vengono nei nostri bazar con una strana moneta antichissima, tanto che nessuno si ricorda neppure più del tempo in cui questa moneta era in uso dalle nostre parti».

Chiesi loro se ci era possibile vedere questa gente, ed essi risposero:

«Sì, se i vostri pensieri sono in armonia con quelli di questo santo popolo, e se sono altrettanto elevati, perché sulla terra vivono soltanto peccatori, e i più puri e coraggiosi passano a qualcosa di meglio».

Grande è la credenza in questo Regno del popolo che vive all’interno della terra. In tutta l’Asia, attraverso vasti deserti, dal Pacifico agli Urali, potete ascoltare le stesse leggende di un popolo santo, scomparso. E anche più lontano, al di là degli Urali, l’eco di questa stessa storia vi raggiungerà. Spesso si sente parlare di tribù all’interno della terra: a volte si dice che un popolo sacro e invisibile viva dietro una montagna, a volte gas velenosi o rigeneranti si spandono sulla terra, per proteggere qualcuno; a volte si sente dire che le sabbie dei grandi deserti si spostano e, per un attimo, lasciano vedere i tesori negli ingressi dei regni sotterranei. Ma nessuno oserebbe toccarli. Sentirete dire che nelle rocce, nelle catene montuose più deserte, si possono vedere le aperture che portano a questi passaggi sotterranei, e che, un tempo, belle principesse abitavano in questi castelli naturali.

Da lontano si potrebbero scambiare queste aperture per nidi d’aquila, perché tutto ciò che fa parte del popolo sotterraneo è nascosto. Talvolta la Città Santa è sommersa, come nel folclore dei Paesi Bassi e della Svizzera. E questo folclore coincide con vere scoperte nei laghi, e sulle sponde degli oceani e dei mari. In Siberia, Russia, Lituania e Polonia troverete numerose leggende e fiabe sui giganti che vivevano un tempo vivevano in questi paesi ma che, in seguito, non amando i nuovi usi e costumi scomparvero. In queste leggende si possono riconoscere le basi tipiche degli antichi clan: i giganti sono fratelli, e molto spesso le sorelle dei giganti vivono su altre rive dei laghi o dall’altra parte delle montagne; molto spesso essi non desiderano abbandonare il luogo, ma un evento speciale li spinge lontano dalla dimora. Gli uccelli e gli animali sono sempre accanto a questi giganti, e come testimoni li seguono e annunciano la partenza.

Tra le storie delle città sommerse, quella della città di Kerjenetz, nella regione di Ninji Novgorod, è davvero magnifica: questa leggenda ha una tale influenza sulla gente che anche ora, una volta all’anno, molti credenti si raccolgono in processione attorno al lago in cui la città santa fu sommersa. È toccante vedere quanto siano vitali le leggende, vitali quanto i fuochi di bivacco e le torce della stessa processione che echeggia dei santi canti dedicati alla città. Poi, in assoluto silenzio, la gente attende intorno al fuoco di bivacco, e ascolta le campane a festa di chiese invisibili.

Questa processione ricorda la festa sacra del lago Manasarowar nell’Himalaia. La leggenda russa di Kerjenetz risale al periodo del dominio tartaro: sai racconta che quando le orde mongole vittoriose si avvicinarono, l’antica città di Kerjenetz fosse incapace di difendersi; allora tutto il santo popolo di questa città si recò al tempio e pregò per la salvezza. Davanti agli occhi stessi degli impietosi conquistatori, la città sprofondò solennemente nel lago che da allora è considerato sacro. Anche se la città si riferisce all’epoca del giogo tartaro, è possibile distinguere in essa basi molto più antiche, e le tracce dei tipici effetti delle migrazioni.. Questa leggenda non soltanto diede luogo a numerose varianti, ma ispirò anche numerosi compositori e artisti moderni. Tutti si ricordano dalla bella opera di Rimsky-Korsakoff La città di Kitege.

Gli innumerevoli kurgan delle steppe meridionali sono circondati da molte storie che parlano dell’apparizione di un guerriero conosciuto di cui nessuno conserva la provenienza. I monti Carpazi, in Ungheria, conservano storie simili di sconosciute tribù, guerrieri giganti e città misteriose.

Se, liberi da pregiudizi, segnerete con pazienza su un mappamondi tutte le leggende e i racconti di questo tipo, sarete sorpresi del risultato. Quando raccogliete tutte le storie di tribù perdute e che vivono all’interno della Terra, non ottenete forse la mappa completa delle grandi migrazioni? Un vecchio missionario cattolico, un giorno ci disse casualmente che il luogo dove sorge Lhassa era un tempo chiamato Gotha. Nella regione transhimalaiana, a un’altitudine tra i quindicimila e i sedicimila piedi, abbiamo trovato parecchi gruppi di menhir. Nessuno sa di questi menhir in Tibet. Una volta, dopo un intero giorno di viaggio attraverso le nude colline e le rocce transhimalaiane, vedemmo di lontano le nere tende che erano state preparate per accogliere il nostro accampamento. Contemporaneamente notammo, non lontano e nella stessa direzione, quelle lunghe pietre che sono così significative per qualsiasi archeologo. Anche da lontano potevamo distinguere la forma particolare di quella costrizione.

«Cosa sono quelle pietre, su quel pendio?», chiedemmo alla nostra guida tibetana.

«Oh – rispose – sono dei doring, delle pietre lunghe: è un antico luogo sacro. È molto utile mettere del grasso in cima alle pietre, così le deità locali aiutano i viaggiatori».

«Chi mise qui queste pietre?».

«Nessuno lo sa. Ma, dai tempi antichi, questo distretto si è sempre chiamato Doring, ‘le pietre lunghe’. La gente dice che, molto tempo fa, da qui passò un popolo sconosciuto».

Sui rilievi transhimalaiani abbiamo visto distintamente lunghe file di pietre verticali. Questi viali terminavamo in cerchio con tre altre pietre nel centro.

In effetti, da tempi immemorabili si vocifera di una rete di gallerie sotterranee che percorrerebbero in lungo e in largo i deserti dell’Asia Centrale; così come di un regno sotterraneo, Agharti o Agharta, nella cui capitale, Shambala, vivrebbe un misterioso popolo sottomesso a un monarca sovrumano, il Re del Mondo (di cui parla anche René Guénon in una sua celebre opera). A detta di Ossendowski, quando la natura tace improvvisamente e un fremito inspiegabile percorre le piante e gli animali, i Mongoli si prostrano a terra, perché sanno che il Re del Mondo, in quel momento, sta rivolgendo i suoi pensieri alla terra e sta pregando per alleviare le sofferenze e le ingiustizie che martoriano gli esseri umani.

Nicholas Roerich, La via per Shambhala

Anche i racconti di popoli misteriosamente scomparsi sono antichi e relativamente numerosi, come ha osservato, giustamente, lo stesso Roerich; così come i numerosi menhir, disposti talvolta in lunghe file, come quelli di Carnac, in Francia, continuano a sfidare la scienza, che non è stata in grado di dirci quasi nulla su di essi (quelli europei sono molto meglio conosciuti, ovviamente, ma neppure su di essi, in realtà, è mai stata detta una parola veramente chiarificatrice).

Uno di questi popoli scomparsi nel nulla è quello dei Chazari, di stirpe turca, che tra il VII e il X secolo fondarono un impero fra le rive del Mar Nero e quelle del Mar Caspio, e che si erano stranamente convertiti al giudaismo intorno al secolo VIII; per poi scomparire dalla scena della storia, lasciando dietro di sé mille interrogativi.

Un altro popolo ancora più enigmatico è quello degli Hsing Nu, dei quali pochissimo sappiamo tuttora, se non che praticavano una curiosa forma di religione astrale, per cui sono stati definiti «adoratori delle stelle».

Di loro, e del mistero che li avvolge e che avvolge specialmente la loro fine, ha parlato – tra gli altri – anche il pioniere dell’archeologia spaziale in Italia, Peter Kolosimo, in uno dei suoi libri più famosi e intriganti, Terra senza tempo (Sugar Editore, Milano, 1964, 1972, pp. 84-86), nei seguenti termini:

Gli Hsinhg Nu non erano certo contraddistinti da un alto livello civile, ma, per molti versi, le testimonianze indirettamente pervenuteci sui loro monumenti c’indurrebbero a pensare il contrario: ci troviamo di fronte, insomma, ad uno dei tanti inspiegabili contrasti propri alle antiche culture.

Gli Hsing Nu abitavano una regione del Tibet settentrionale, a sud della grandiosa catena del Kun Lun, una zona ora desertica, in gran parte inesplorata. Non erano d’origine cinese: si pensa fossero arrivati laggiù dalla Persia o dalla Siria; i rinvenimenti effettuati, infatti, ci riportano ad Ugarit e, in particolare, alle raffigurazioni del dio Baal, dal lungo elmo conico e dal corpo ricoperto d’argento.

Quando, nel 1725, l’esploratore francese padre Duparc scoprì le rovine della capitale degli Hsing Nu, quel popolo, annientato dai Cinesi, apparteneva già da secoli alla leggenda. Il monaco poté ammirare i ruderi d’una costruzione nel cui interno s’ergevano più di mille monoliti che dovevano un tempo essere rivestiti con lamine d’argento (qualcuna, dimenticata, dai predatori, era ancora visibile), una piramide a tre piani, la base d’una torre di porcellana azzurra ed il palazzo reale, i seggi del quale erano sormontati dalle immagini del Sole e della Luna. Duparc vide ancora la ‘pietra lunare’, un masso d’un bianco irreale, circondata da bassorilievi raffiguranti animali e fiori sconosciuti.

Nel 1854 un altro francese, Latour, esplorò la zona, rinvenendo alcune tombe, armi, corazze, vasellame di rame e monili d’oro e d’argento ornati con svastiche e spirali. Le missioni scientifiche che, più tardi, si spinsero laggiù, reperirono soltanto qualche lastra scolpita, avendo la sabbia, nel frattempo, seppellito i resti della grande città. Fu nel 1952 che una spedizione sovietica tentò di portare alla luce almeno una parte dei ruderi. Gli avventurieri della scienza si sottoposero a un lungo, massacrante lavoro, senza poter contare su strumenti adeguati, il cui trasporto in quelle regioni appariva impossibile; purtroppo essi riuscirono soltanto a strappare al deserto l’estremità d’uno strano monolite aguzzo, che sembrava la copia identica di quello della città morta africana di Simbabwe, con alcuni graffiti.

Dai monaci tibetani, però, gli studiosi russi appresero vita, morte e miracoli degli Hsing Nu. Furono loro mostrati antichissimi documenti in cui la piramide a tre piani era descritta sin nei minimi particolari. Dal baso all’alto, le piattaforme avrebbero rappresentato «la Terra Antica, quando gli uomini salirono alle stelle; la terra di Mezzo, quando gli uomini vennero dalle stelle; e la Terra Nuova, il mondo delle stelle lontane».

Prima d’un «cataclisma di fuoco», gli Hsing Nu sarebbero stati civilissimi ed avrebbero coltivato diverse straordinarie scienze, le stesse che sono ancor oggi vive fra i Tibetani: essi sarebbero stati non solo in grado di «parlarsi a distanza», ma addirittura di comunicare con il pensiero attraverso lo spazio. Gli individui sopravvissuti alla catastrofe sarebbero precipitati nella barbarie, non conservando dell’antica grandezza che il ricordo deformati dalla superstizione.

Che cosa significano queste parole sibilline? Vogliono forse dirci che gli uomini raggiunsero chissà quale pianeta in un passato senza ricordo, che tornarono poi al loro globo d’origine e che, alfine, non ebbero più modo di comunicare attraverso lo spazio? Non lo sapremo probabilmente mai, ma i Tibetani pensano che sia in effetti così, affermando che quel popolo cercò nella religione il proseguimento dei viaggi cosmici, cullandosi nella credenza che le anime dei defunti salgano in cielo per trasformarsi in astri.

Interessantissima è la descrizione dell’interno del tempio, che collima in parecchi punti con quella resa da padre Duparc. Su un altare – rivelano le vecchie cronache tibetane – era posta la «pietra portata dalla Luna» («portata», non «venuta»; non si sarebbe trattato, quindi, d’una meteorite), un frammento di roccia d’un bianco latteo, circondato da magnifici disegni rappresentanti la fauna e la flora della «stella degli dei». E dei monoliti a forma di fusi sottili, rivestiti d’argento. Sono animali e piante d’un pianeta colonizzato da cosmonauti preistorici, monumenti eretti a simboleggiare le loro astronavi?

Leggende, favole, superstizioni?

Forse.

Tuttavia, noi sappiamo che le leggende non nascono mai per caso: si tratta solo di avere l’umiltà e la perseveranza di continuare a scavare intorno ad esse, con mente sgombra da pregiudizi scientisti, per veder riemergere, poco alla volta, il fondo di verità da cui sono nate.

Nicholas Roerich, Gli ultimi giorni di Atlantide

Del resto, se non bisogna commettere l’errore di interpretare simili tradizioni in modo troppo letterale, non si dovrebbe cadere neppure nell’errore opposto: di negare tutto, di attribuire ogni cosa alla sola immaginazione o, tutt’al più, a un racconto allegorico.

Perciò, ritornando alla misteriosa Shambala e al regno sotterraneo di Agharti, bisognerebbe attribuire un fondo di verità sia all’interpretazione letterale, secondo la quale si tratta di un luogo fisico e materialmente raggiungibile; sia a quella esoterica, seconda la quale si tratterebbe di un luogo allegorico, ossia di una dimensione interiore della coscienza.

Che cosa significa, infatti, ciò che le persone interpellate dicevano a Roerich a proposito di quel regno sotterraneo: che il suo ingresso, cioè, è visibile anche fisicamente, ma solo a determinate condizioni, prima fra tutte la purezza di cuore e di mente di coloro che vi si accostano?

Ci troviamo in presenza di una dimensione che sta a metà strada fra quella fisica, materiale, e quella spirituale e religiosa; e della quale non potremo mai capire nulla, se non ci sbarazziamo del fardello di un Logos strumentale e calcolante che procede solo in termini oppositivi di vero/falso, giusto/sbagliato, possibile/impossibile.

Molti pensano che Nicholas Roerich si sia spinto nei luoghi più inaccessibili dell’Asia inseguendo proprio il sogno di poter individuare almeno l’accesso alla mitica Shambala; se non, addirittura, di potervi penetrare e di accedere ai suoi antichissimi tesori di sapienza.

Certo, è possibile.

Tutta la sua vita, comunque – anche dopo il ritorno negli Stati Uniti – sta a testimoniare che egli non era affatto un ingenuo sognatore e che aveva ben compreso il nucleo più riposto della saggezza orientale: che non incoraggia certo ad inseguire la conquista della verità con mezzi puramente fisici (ivi compresa la stessa magia, che è pur sempre una forma di manipolazione di forze naturali), ma a spostarsi sempre verso piani di consapevolezza più elevati, più puri e spirituali.

AGARTHI

Scritto da: Davide Longoni
Fonte: http://www.lazonamorta.it/lazonamorta2/?p=4727

Agarthi (detto anche, a seconda delle varie traslitterazioni, Aghartta o Agartha o Agharti, con significato di “L’Inaccessibile”) è un regno leggendario che si troverebbe addirittura all’interno della Terra, descritto nelle opere dello scrittore Willis George Emerson (1856 – 1918): il concetto su cui si basava Emerson era legato alla teoria della Terra Cava ed è un soggetto popolare soprattutto nel campo dell’esoterismo.

Agarthi è uno dei nomi più comuni usati per definire una civiltà nascosta in un punto imprecisato all’interno dell’Asia centrale. Si tratta di un regno mitico descritto fra l’altro anche nel tantra Kalachakra del buddismo tibetano. Secondo la descrizione fornita è un regno separato da una cintura di alte montagne e suddiviso in otto parti che formano come un fiore a otto petali in cui vi sono ben settantasei regni. Kalapa è la capitale di Shambala-Agartha in cui ha sede il palazzo del sacerdote-re e questo regno è situato in India e coincidente col monte Meru o Polo Nord prima dello spostamento dell’asse terrestre, centro del mondo e terra originaria dell’umanità. Sarebbe situata in India nello stato di Orissa o vicino a Benares. Il suo primo capo fu Suchandra, mentre il capo attuale è Anirudda e il prossimo sarà Drag-po Chor Lo Chan o Rudra Chakrin, chiamato anche “il corrucciato con la ruota”. Secondo una profezia, il Mahdi della tradizione islamica, un discendente di Maometto che viene anche definito l’ottavo dopo Adamo, Noé, Abramo, Mosé, Gesù, Mani e Maometto, ingaggerà la guerra mondiale per il dominio planetario e instaurerà un impero mondiale. Così facendo si scontrerà con Shambalà (o Shamballa) e il suo sacerdote-re Rudra Chakrin. Questi lo spazzerà via con l’aiuto delle forze soprannaturali e inizierà così l’Età dell’Oro. Il tantra Kalachakra profetizza in pratica una guerra tra Shambalà e la Mecca e parla del pericolo per il buddismo costituito proprio dall’Islam. Ma la battaglia finale avverrà in Iran tra Kalki e il leader musulmano.

Dato che è improbabile che esistano ancora siti inesplorati (o peggio regni sotterranei) probabilmente Shambalà non è altri che Sambhal, situata nell’Uttar Pradesh: questo almeno è quello che afferma il Kalki Purana. Il Kulika, o Kalki, che la governa nascerà là e poi si trasferirà a Mathura da dove guiderà una rivoluzione spirituale e un governo mondiale.

La fortuna occidentale di Agarthi nacque con Ossendowsky (autore di “Bestie, uomini e dei”), Alexandre Saint-Yves D’Alveydre (“Missione dell’India”) e Guénon (“Il Re del Mondo”). Il terzo non fece che altro che reinterpretare le idee dei primi due. Il primo era un viaggiatore che riferì dei suoi tragitti in Asia mentre l’altro era un occultista che pretendeva di avere avuto rivelazioni da un “maestro”. Tutto ciò aveva però poco a che fare con la Shambalà tibetana e indù sopra descritta ed è anche la fonte della storia del “regno sotterraneo” estranea ai testi orientali.

Una delle prime fonti del mito dei regni sotterranei è Il Dio fumoso (The Smokey God or A Voyage to the Inner World, 1908), di Willis George Emerson, la pretesa autobiografia di un marinaio norvegese chiamato Olaf Jansen. Emerson racconta di come Jansen abbia navigato all’interno della Terra attraverso un’apertura presso il Polo Nord. Per due anni sarebbe vissuto con gli abitanti di questo regno il cui mondo sarebbe illuminato da un “Sole centrale fumoso”. Il padre sarebbe rimasto ucciso durante il ritorno, mentre il figlio ricoverato come pazzo. Il resoconto sarebbe stato dato dal figlio, che dopo la dimissione dal sanatorio si sarebbe stabilito in California, e che novantenne avrebbe deciso di rendere pubblica la vicenda. Malgrado nel racconto di Emerson non si faccia il nome di Agarthi, esso vi è stato associato in opere successive. Shambalà “la Minore”, una delle colonie di Agarthi, era la sede del governo del regno. Mentre Shambalà consiste in un continente interno, le altre colonie satelliti sono solo degli agglomerati più piccoli situati all’interno della crosta terrestre o dentro le montagne. I cataclismi e le guerre avvenute sulla superficie spinsero il popolo di Agarthi a stabilirsi sottoterra.

Il leggendario paradiso di Shambalà ha varie analogie con altri luoghi mitici, come la Terra Proibita, la Terra delle Acque Candide, la Terra degli Spiriti Raggianti, la Terra del Fuoco Vivente, la Terra degli Dei Viventi, la Terra delle Meraviglie. Gli indù parlano di Aryavartha, terra d’origine dei Veda; i Cinesi di Hsi Tien, il Paradiso Occidentale di Hsi Wang Mu, la Madre Regale dell’Ovest; la setta cristiana russa dei vecchi credenti la chiamava Belovodye e i Kirghizi nominano invece Janaidar.

L’esistenza di Agarthi è stata considerata seriamente da numerosi europei, come, ad esempio solo per citarne alcuni, i seguaci della teosofia di Madame Blavatsky, la veggente fondatrice della Società Teosofica Internazionale, che sosteneva di essere in contatto telepatico con gli antichi “Maestri della Fratellanza Bianca”, ovvero i sopravvissuti di una razza eletta vissuta tra il Tibet e il Nepal, i quali si sarebbero rifugiati in seguito a una spaventosa catastrofe nelle viscere della Terra, dove avrebbero fondato appunto la mitica Agarthi. Dalle dottrine esoteriche della Blavatsky trasse ispirazione, tra gli altri, anche la Società Thule, la società segreta di estrema destra che costituì il nucleo originale del Partito nazista di Hitler, benché non abbiano mai avuto le due organizzazioni né un contatto né un sodalizio reciproco.

Tra gli ipotetici ingressi di Agarthi vi sono: il Deserto del Gobi in Mongolia, il Polo Nord, l’Islanda, il Polo Sud, la piramide di Giza in Egitto, il monte Epomeo sull’isola di Ischia, l’isola Bisentina nel lago di Bolsena e l’Isola di Pasqua.

Se sul grande Atlante terrestre delle terre leggendarie e misteriose, si volessero indicare luoghi definiti dalle varie culture come Terre Sante, rimarrebbe ben poco spazio per la selvaggia urbanizzazione, simbolo della nostra “evoluzione”. Infatti tutti quei luoghi nei quali è stata identificata la Terra Santa per eccellenza sono distribuiti in maniera fitta sul globo. Tra questi possiamo ricordare l’elenco redatto dall’esoterista francese Renè Guènon nel suo libro “Il Re del Mondo”: Atlantide, il Regno di Prete Gianni, il castello di Camelot, l’isola di Avalon, il Montsalvat dei miti di Re Artù, l’omerica isola di Ogigia, la mitica isola di Thule, il monte Meru, il monte Olimpo, il monte Qafal. Lo spazio per la nostra urbanizzazione, in realtà, nasce dal fatto che solo pochi dei luoghi elencati sono fisicamente rintracciabili, mentre molti restano affidati all’immaginazione e alla ricerca dell’uomo.

La cultura orientale offre il suo contributo a questo elenco puntando il dito verso una regione definita regno di Agarthi e alla sua capitale Shambalà, che troviamo un po’ in tutte le culture asiatiche sotto vari nomi e aspetti, ma il tratto comune a tutti questi miti è l’identificazione dell’Agarthi come del luogo in cui si sia ritirata una primordiale mitica popolazione semidivina. Resta solo da chiedersi il perché di questa fuga. Prima di parlare di ciò però, è bene accennare per ora alla capitale di questo regno, mitica quanto il regno stesso a causa di coloro che vi dimorano: Shambalà “la Minore” o “la Città degli Smeraldi”, sede del Re del Mondo, dei saggi Guru e degli spiriti Pandita.

Il centro del Regno sotterraneo sorge sul principale incrocio delle correnti terrestri, o forse è esso stesso a generare questi fiumi di energia, che percorrono tutto il pianeta e si diffondono in superficie irraggiati dai megaliti. Agharti costituisce il mozzo, immobile e immutabile, della Dharma Chakra, la Ruota della vita e della legge della tradizione basate sul Karma, alla cui rotazione è legato il destino dei mortali. Essa esiste simultaneamente sia sul piano fisico sia sul piano spirituale e solo pochissimi Arhat (gli Illuminati) hanno la possibilità di accedervi.

Per evitare che il male vi penetri, essa è tenuta isolata dal mondo della superficie da vibrazioni che offuscano la mente e rendono invisibili le porte di accesso. Esiste secondo la leggenda solo un popolo che è nato nelle profondità di Agharti e ora vive in superficie: è quello degli Zingari, che furono cacciati dal Regno sotterraneo, di cui conservano la memoria genetica – lo riprova il loro vagabondaggio senza fine, alla ricerca di una patria che non potranno mai rivedere – e certe facoltà magiche, come la capacità di predire il futuro e leggere la mano.

La popolazione dell’Agarthi, ma soprattutto di Shambalà rappresenta il vero mistero. Ossendowski riporta le parole di un Lama mongolo, secondo il quale il Paradesha (in sanscrito Paese supremo, da cui Paradiso) fu fondato dal primo Guru (intermediario del volere divino) intorno all’anno 380.000 a.C., e divenne sotterraneo circa seimila anni fa , nel 3102 a.C., all’inizio del periodo del Kali Yuga della tradizione indù (il termine significa Età Nera e designa il periodo in cui viviamo). Per la già nominata occultista Helena Blavatsky, Agharti (che lei chiama “La loggia bianca”) è sorta sull’isola del Mar del Gobi dove, in tempi remotissimi, erano atterrati i Signori della Fiamma, semidèi provenienti da Venere. Dottrine esoteriche fanno risalire la sua fondazione addirittura a quindici milioni di anni fa e gli abitanti di Agharti proverrebbero dal continente di Gondwana; grazie alla misurazione delle maree effettuata per mezzo del Candelabro delle Ande, essi avevano compreso che una catastrofe stava per abbattersi sulla loro terra e si erano quindi rifugiati in vaste gallerie sotterranee illuminate da una luce particolare che fa germogliare le sementi, portando con sé il loro bagaglio di antichissime conoscenze.

Il sovrano che regna sulla “Città degli Smeraldi” è chiamato dagli abitanti della superficie il Chakravarti ovvero “Il Re del Mondo”, mentre al suo popolo è noto come Brahmatma (colui che ha il potere di parlare con Dio). Egli regna per il periodo di un Manvatara, una delle quattordici ere da cui è composto un ciclo cosmico.

“Vaivaswata, settimo e attuale Re del Mondo, è in comunione spirituale con tutti i Manu che hanno regnato prima di lui, tra cui il primo Brahmatma Swdyambhuva; di tanto in tanto” – racconta Ossendowski – “egli si reca nella Cripta del Tempio dove giace, in un sarcofago di pietra nera, il corpo imbalsamato del suo predecessore, per unire la sua mente a quella dei Manu del passato. La caverna è sempre oscura, ma quando vi penetra il Re del Mondo, le pareti si rigano di strisce di fuoco e dal coperchio del sarcofago si levano lingue di fiamme. Il Guru più anziano sta davanti a lui con il volto e il capo coperti; egli non si toglie mai il cappuccio, perché la sua testa è un cranio nudo in cui di vivo non ci sono che gli occhi e la lingua. Dal sarcofago cominciano a emanare i flussi diafani di una luce appena visibile: sono i pensieri del predecessore del Re ed esprimono le volontà e i comandi di Dio.”

Tale racconto trova piena corrispondenza nelle credenze dei popoli della ceramica a solchi (gli Iperborei greci o anche i Tuata de Danaan dei Celti), sulla reincarnazione dei sovrani e sulla trasmissione delle conoscenze. L’organizzazione della città vede a capo il Brahmatma, il Mahatma (colui che conosce il futuro) e il Mahanga (colui che procura le cause affinché gli avvenimenti si verifichino). Questa triade comanda il clero militarizzato, i templari Confederati dell’Agharti, il cui livello più elevato è il cosiddetto “consiglio circolare” formato da dodici iniziati (dodici come i segni dello zodiaco, come i cavalieri di Re Artù, come gli apostoli di Gesù Cristo…). Di rado il sovrano esce dal suo regno: comparirà davanti a tutti soltanto quando il tempo sarà venuto di condurre tutti gli uomini buoni contro i cattivi (Buddha Maitreya), ma il tempo non è ancora venuto. Gli uomini più cattivi dell’umanità non sono ancora nati. Renè Guenon definisce il Re del Mondo con il termine Manu (legislatore universale, mediatore tra l’uomo e la divinità), un altro attributo con cui si ritrova, in forme diverse, presso tutte le antiche religioni.

Ad Agharti si dice che sia nata la religione unica, primordiale e perfetta della cosiddetta “Età dell’Oro”, in grado – per mezzo di pratiche mistiche – di porre l’uomo in totale comunione con Dio. In tempi remoti i Grandi Iniziati di Agharti vennero in superficie per predicare la loro religione: il Maestro Rama, che gli Indù considerano un avatar (incarnazione) del dio Vishnu, la diffuse dall’India fino al Nord Europa, dando origine alla civiltà Indo-Europea. L’antico legame con Agharti si può riscontrare linguisticamente nel termine “Asghard”, la città di Odino e degli Dèi dei miti germanici. Per questo Adolf Hitler riteneva che i popoli nordici fossero i veri eredi spirituali del Regno Occulto e si fece promotore di spedizioni naziste per ritrovare il leggendario regno che però no trovò mai… ovviamente perché non gli fu permesso. Tutte le grandi religioni attuali traggono le loro origini dalla religione primordiale di Agharti, così come tutte le tradizioni particolari sono in fondo solo adattamenti della grande tradizione primordiale. Con l’aiuto e gli insegnamenti occulti dei Superiori Sconosciuti, potenti illuminati mescolati agli uomini della superficie, la tradizione originale di Agharti è stata portata avanti dalle Società esoteriche, organizzazioni mistiche composte da ristretti gruppi di iniziati. Renè Guenon fa tuttavia rilevare che, nel XIV secolo, ha cominciato a generarsi tra Agharti e l’Occidente una rottura che è divenuta definitiva intorno al 1650, quando i rappresentanti della Società esoterica dei RosaCroce lasciarono l’Europa per ritirarsi in Asia.

Il Re del Mondo non è soltanto un capo religioso, ma regge anche i destini materiali del pianeta (l’unità tra il potere spirituale e quello temporale è simboleggiata nella figura del Re-Sacerdote Artù o della doppia figura del Cristo). Il Manu detta il corso della storia secondo un preciso andamento, difficilmente comprensibile e non necessariamente positivo secondo i nostri canoni, in accordo con un ineffabile piano divino.

In “Mission de l’Inde en Europe” (1910), lo scrittore Saint-Yves d’Alveydre sostiene che “il Re del Mondo è il più alto esponente della Sinarchia, una sorta di Governo centrale di uomini di scienza, potentissimo e ramificato, i cui esponenti terreni (il Consiglio Europeo di Stati e il Consiglio Internazionale delle Chiese) ispirano e controllano i grandi moti politici o d’altro genere che segnano l’evoluzione del genere umano. Al sovrano non mancano i mezzi per eseguire la propria missione: quando lo desidera egli può infatti mettersi in comunione con il pensiero di tutti gli uomini che hanno influenza sul destino e la vita dell’umanità: re, zar, khan, capi guerrieri, sacerdoti, scienziati. Egli conosce tutti i loro pensieri e i loro disegni; se questi sono graditi a Dio li asseconda, altrimenti li fa fallire”.

Tuttavia oggi è nata una secolare preoccupazione verso una “cospirazione Agarthi” che gestirebbe “umanamente” molte delle azioni criminali a danno dell’Occidente.

Vero o immaginario che sia, il regno sotterraneo di Agarthi è sempre lì ad aspettare, sepolto chissà dove e pronto a intervenire quando meno ce l’aspettiamo.

Davide Longoni

Foresta in Kenya minacciata da petrolio e gas

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/biodiversity/3942-foresta-in-kenya-minacciata-da-petrolio-e-gas.html

oleodotto

Il principale frammento foresta costiera dell’Africa orientale – nonché area protetta, è minacciato. La foresta di Arabuko-Sokoke è ora oggetto di prospezioni sismiche alla ricerca di petrolio e gas. La foresta, hotspot mondiale della biodiversità, è candidata allo status di patrimonio mondiale dell’UNESCO, ma questo non basta a fermare la compagnia petrolifera CAMAC e il suo subappaltatore BGP che hanno ottenuto i permessi per cercare petrolio e gas, nel Distretto di Kilifi.

 

La foresta di Arabuko-Sokoke, situata in Kenya, è il più grande frammento intatto di foresta naturale di foresta costiera dell’Africa orientale. Questa foresta ospita quattro mammiferi in via di estinzione e sei specie minacciate di uccelli.

“Le prospezioni sismiche causeranno impatti duraturi alla foresta”, spiega Paul Matiku, di Nature Kenya (partner di BirdLife). “Le linee di transetto tagliano la foresta.”

Secondo le associazioni ambientaliste, non è stata effettuata un’adeguata consultazione sulle prospezioni petrolifere, e la valutazione dell’impatto ambientale (VIA) e la sua approvazione da parte dell’Autorità Nazionale Environment Management (NEMA) non hanno visto la necessaria partecipazione della comunità e la consultazione pubblica. Questo viola la legge ambientale (EMCA), che richiede un approccio partecipativo al VIA.

“Noi non siamo contro lo sviluppo o la ricerca di nuove fonti di energia. La posizione di Nature Kenya e delle altre associazioni è che la valutazione di impatto ambientale non è stata effettuata in modo credibile e va rifatta seguendo le direttive della legge” ha aggiunto Matiku.

“La dinamite che compagnia petrolifera si propone di utilizzare avrà impatti su tutta la fauna, dalle api alle elefanti. Gli elefanti temono i test sismici e tendono a fuggire, ma nella foresta di Arabuko-Sokoke non possono correre lontano, dato ch la foresta è recintata. Inoltre, l’apertura di strade nella foresta la renderà accessibile ai bracconieri e ai taglialegna illegali, come è già avvenuto nella Riserva del Selous, dove trent’anni fa le esplorazioni petrolifere hanno praticamente distrutto il più grande parco nazionale della Tanzania”.

L’associazione degli abitanti delle aree adiacenti alla foresta di Arabuko-Sokoke (ASFADA), l’associazione delle comunità forestali di Gede Foresta, quella di Jilore, quella di Sokoke, Natura Kenya (BirdLife Partner), A Rocha Kenya, e altre associazioni hanno fatto appello all’Autorità Nazionale dell’Ambiente, al Ministero dell’Energia e del Petrolio, al Ministero dell’Ambiente, e alle autorità del Distretto di Kilifi, per fermare immediatamente ogni sondaggio sismico o perforazione all’interno della Foresta Arabuko-Sokoke.

Le comunità locali e gruppi ambientali locali, nazionali e internazionali sono decisi a battersi per questa foresta. La Foresta di Arabuko-Sokoke fornisce servizi critici per la comunità, la provincia e il paese intero, proteggendo il bacino idrografico, preservando il suolo, moderando il clima, sequestrando carbonio e assicurando le fonti di sostentamento per la comunità locali.

Allarme cioccolato: sta per scomparire dalla faccia della Terra!

Scritto da: Roberta Ragni
Fonte: http://www.greenme.it/mangiare/altri-alimenti

Amanti del cioccolato, rassegnatevi: l’alimento che vi ha tirato su da crisi e delusioni potrebbe presto scomparire dalla faccia della Terra. Il mondo, infatti, è sempre più a corto di cacao e la produzione non riesce a tenere il passo con la crescente domanda proveniente dall’Asia. A lanciare l’allarme dalle pagine del quotidiano britannico The Independent è Barry Callebaut Group, il gruppo dei più grandi cioccolatai del mondo, con sede in Svizzera.

I maestri del cioccolato si aggiungono, così, a tutta una serie di preoccupazioni già espresse negli anni passati su una possibile scomparsa del cioccolato entro il 2020, timore che ha contribuito all’incredibile aumento del 25 per cento l’anno scorso dei prezzi del cacao. Il colosso svizzero fa sapere che il prezzo del cacao è aumentato nel 2013/2014 da circa £ 1.600 per tonnellata a più di £ 2.000 per tonnellata – nonostante gli abbondanti raccolti dalle principali regioni produttrici, tra cui la Costa d’Avorio e il Ghana.

Questo aumento dei prezzi, dice la società, “è stato alimentato dai timori legati alla epidemia di Ebola in alcuni paesi dell’Africa occidentale“, così come alle speculazioni finanziarie. Eppure nulla ha fermato l’aumento della domanda di cioccolato, cresciuta di circa sette volte in Asia rispetto a quella dei mercati europei.

Nel 2010 John Mason, membro e direttore esecutivo del Nature Conservation Research Center del Ghana, aveva già predetto l’amara verità: In 20 anni il cioccolato diventerà come il caviale. Diventerà così raro e costoso che la maggior parte delle persone non potrà permetterselo”. Un pronostico che è rimasto inascoltato. E che, purtroppo per i cioccolato “addicted”, si sta rivelando vera.

SATANISMO E MUSICA ROCK

Scritto da: Carlo Climati
Fonte: http://digilander.libero.it/rinnovamento/documenti/reli_41.html

scansione0001Negli ultimi anni i mezzi di comunicazione hanno dato spesso notizia dei rapporti tra satanismo, esoterismo e musica moderna. Si é parlato di dischi che spingono alla violenza, al suicidio, alla droga, all’adorazione del diavolo. Ma qual é la reale dimensione di questo fenomeno? Esiste davvero il “rock satanico”, o si tratta di una leggenda?

La questione dev’essere affrontata con grande equilibrio. Di fronte al tema del “rock satanico” esistono diversi atteggiamenti, che si possono riassumere in due schieramenti opposti: gli “scettici” e i “catastrofisti”.

I “catastrofisti” sono quelli che vedono il diavolo dappertutto. Considerano il rock intrinsecamente satanico e vorrebbero cancellare ogni forma di musica moderna.

Gli “scettici”, invece, amano così tanto i loro idoli musicali da rifiutare di metterli in discussione. Non accettano critiche e tendono a giustificare ogni eccesso del rock con la scusa della “libertà d’espressione”.

Entrambi gli schieramenti, pur trovandosi su fronti opposti, hanno qualcosa in comune: la mancanza di approfondimento e di obiettività. Per questa ragione, sono caduti spesso in bugiarde esagerazioni o in faziosi riduzionismi.

Al contrario, il fenomeno del rock satanico non dev’essere né gonfiato, né sottovalutato. Dev’essere semplicemente analizzato alla luce dei fatti, evitando di scadere in valutazioni superficiali ed estremiste.

Il primo segnale

Il primo, timido riferimento al mondo del satanismo compare sulla copertina di uno dei dischi più famosi della storia del rock: “Sergeant Pepper’s Lonely Hearts Club Band” dei Beatles (1967). Sulla copertina dell’album compaiono tanti personaggi noti: Karl Marx, Stanlio e Ollio, Marlon Brando, Bob Dylan ed altri.

Il batterista Ringo Starr, all’epoca, dichiarò: “Abbiamo pensato di raggruppare i volti delle persone che amiamo ed ammiriamo”. (1) E tra questi, in alto a sinistra, spicca l’immagine di un uomo calvo. E’ l’occultista inglese Aleister Crowley (1875 – 1947), padre del satanismo moderno ed ispiratore della maggior parte dei gruppi esoterici contemporanei.

Il motto di Crowley era “Fai ciò che vuoi”. Un invito a godersi la vita senza limiti o regole morali, nella continua ricerca della soddisfazione personale e del piacere egoistico. L’uomo, secondo, l’occultista inglese, ha il diritto di mettersi al posto di Dio e di scegliere le leggi della sua vita.

Negli ambienti rock degli anni sessanta, in cui fioriva l’interesse per l’esoterismo, Aleister Crowley era considerato un personaggio “di moda”. Era apprezzato per la sua natura trasgressiva e per l’invito a rifiutare ogni regola imposta dall’alto. Per questa ragione, probabilmente, i Beatles lo inserirono sulla copertina del loro disco più famoso.

Un tocco esoterico

Negli anni settanta, il rock comincia ad assumere toni più accesi. Nasce l’hard rock (rock duro), caratterizzato da suoni metallici, chitarre elettriche distorte e voci potenti. Tra i pionieri del genere ci sono gli inglesi Led Zeppelin, gruppo fondamentale nella storia dei rapporti tra musica e satanismo.

Leader dei Led Zeppelin é il chitarrista Jimmy Page, accanito sostenitore delle dottrine di Aleister Crowley. Il suo interesse nei confronti dell’occultista inglese é tale da spingerlo a collezionare tutti i suoi oggetti personali: libri, manoscritti, cappelli, canne da passeggio, quadri e perfino le tuniche utilizzate durante i rituali. Page vive, addirittura, nella casa in cui Crowley abitava. Un antico cottage nei pressi del Loch Ness.

I Led Zeppelin sono il primo gruppo rock a fare uso di simboli satanici sulla copertina di un disco. Nell’album “IV” del complesso troviamo, infatti, un carattere magico che viene comunemente utilizzato per fare i patti con il diavolo. (2)

Un altro richiamo al satanismo é contenuto nell’album “III” del Led Zeppelin. Vicino all’etichetta del disco, Jimmy Page fece incidere il motto di Aleister Crowley: “Fai ciò che vuoi”. Ad un giornalista che gli chiedeva spiegazioni su quella frase, la rock-star rispose in modo evasivo: “L’idea é stata mia. La storia che c’é dietro é troppo lunga da raccontare. Ma l’intenzione era quella di dare un piccolo tocco esoterico. Speravo che nessuno la vedesse”. (3)

Il satanismo esplicito

Negli anni ottanta e novanta la corrente dell’hard rock si farà sempre più dura, dando vita al filone dell’heavy metal (metallo pesante). Ed é proprio in questo genere musicale che il satanismo diventa esplicito, con una forte tendenza all’uso di tematiche esoteriche nei testi delle canzoni e nelle immagini delle copertine.

Tra i gruppi più rappresentativi ci sono i danesi Mercyful Fate. Una loro canzone, “Don’t break the oath”, riproduce la formula di un vero e proprio giuramento al diavolo: “Io bacerò il caprone e giuro di dedicarmi mente, corpo ed anima, senza riserve, per promuovere i piani del nostro signore Satana”.

Dello stesso genere sono i Deicide, il cui leader, Glen Benton, é arrivato al punto di farsi bruciare una croce rovesciata sulla fronte, mantenendo perennemente l’ustione prodotta. La croce raffigurata al contrario, che rappresenta l’Anticristo, é un tipico simbolo dei satanisti, che compare su molte copertine di dischi rock.

Tra i gruppi italiani spiccano i Death SS, guidati dal cantante Steve Sylvester. In un loro disco, “Black Mass”, viene descritto nei minimi particolari un rituale satanico celebrato alle undici di sera in una chiesa sconsacrata. La canzone che dà il titolo all’album dice: “La gola del bambino sarà tagliata, sopra il corpo di una strega. Mischia il suo sangue con il suo seme ed unisciti all’Esercito Nero”.

Gli oltraggi blasfemi

Particolarmente sgradevoli sono le copertine di dischi che propongono immagini blasfeme ed anticristiane. Il più colpito é certamente Gesù Cristo, che viene raffigurato in tutti i modi: squartato (dai Mortuary e dai Deicide), bucherellato (dai Messiah) o usato come fionda per lanciare un proiettile (dai Celtic Frost).

L’immagine più agghiacciante é quella di una copertina dei Torr, in cui Gesù viene ritratto come un cadavere in decomposizione sulla croce. La scelta non é casuale. Il disegno, infatti, sta a significare che Cristo non sarebbe risorto.

Anche gli stessi nomi dei complessi, a volte, hanno contenuto blasfemo. Ci sono, ad esempio, i finlandesi Impaled Nazarene, che significa “il Nazareno Impalato”. Ma anche i polacchi Christ Agony (Agonia di Cristo), i torinesi Burn The Crucifix (Brucia il crocifisso)     e i newyorkesi Fallen Christ (Cristo decaduto).

Il fatto incredibile é che questi gruppi, invece di essere censurati, godono dell’appoggio di molti critici musicali. Il caso più clamoroso é quello del giornalista Stefano Marzorati, curatore dell’Almanacco della paura del fumetto Dylan Dog. Secondo Marzorati, al gruppo Impaled Nazarene “andrebbe una nota di merito per aver scelto un nome così blasfemamente suggestivo”. (4)

Musica contro la vita

Tra gli eccessi di certi gruppi rock non c’é soltanto l’adorazione del diavolo. Argomenti ricorrenti, nei testi delle canzoni, sono anche l’esaltazione del suicidio e dell’eutanasia.

Alcuni cantanti invitano apertamente l’ascoltatore ad uccidersi, dicendogli che la vita é triste, che il mondo fa schifo e che non vale la pena di restare su questa Terra.

Un esempio lampante di questa “musica contro la vita” lo troviamo nella canzone “Suicide solution” (La soluzione del suicidio), di Ozzy Osbourne. All’interno del brano si può trovare un messaggio seminascosto che invita l’ascoltatore a spararsi con una pistola: “Ah, nessuno. Tu solo sai realmente dove si trova. Tu ce l’hai. Perché? Prova! Prendi la pistola e provala. Spara! Spara! Spara!”.

Sulla copertina interna di un disco dei Christian Death troviamo la scritta in francesce “L’invitation au suicide” (L’invito al suicidio). Mentre il disco “Stained class” dei Judas Priest raffigura l’immagine di una testa attraversata da un colpo di pistola.

All’eutanasia é dedicato il disco “Youthanasia” dei Megadeth, ispirato alla vicenda del “Dottor Morte” Jack Kevorkian, medico tristemente noto per aver “aiutato” alcuni pazienti a farla finita. Secondo i Megadeth, l’eutanasia non sarebbe altro che una metafora della vita. “Se si può scegliere come vivere, perché non si può scegliere come morire?”, hanno dichiarato in un’intervista. (5)

Un ponte verso il satanismo

Negli ultimi anni il rock satanico é diventato una vera e propria moda, che si esprime attraverso le correnti musicali più estreme, i cui nomi parlano chiaro: “death” (morte), “black” (nero), “grind” (frantumare, stritolare), “doom” (rovina, tragico destino).

Alcuni complessi “recitano” la parte dei satanisti come trovata pubblicitaria per vendere dischi. Ma c’é anche chi fa sul serio, operando a stretto contatto con le sette. Negli Stati Uniti, ad esempio, numerosi artisti rock collaborano con la Chiesa di Satana. Fra questi ci sono King Diamond e gli Acheron, che tendono a dipingere il satanismo come una sorta di “religione alternativa”, rassicurante e non pericolosa.

Dal semplice ascolto di un disco é possibile entrare in contatto con ambienti esoterici. Come nel caso del complesso Psychic Tv, che ha fondato il “Tempio della Gioventù Psichica”. Per aderire a questa setta, i fans del gruppo devono prendere parte ad un disgustoso rituale di tipo magico-sessuale.

Anche le riviste rock rappresentano un punto di contatto con gli ambienti del satanismo. Uno dei più noti mensili musicali italiani, “Flash”, ha pubblicato l’indirizzo della Chiesa di Satana americana, descrivendola come “l’associazione più seria ed affidabile a cui si possano rivolgere gli amanti e i cultori delle teorie occulte”. L’articolo in questione termina con un chiaro invito ai lettori: “Se pensate che vi possa aiutare la conoscenza del satanismo, e se volete far parte di quella grande palestra del pensiero che é la filosofia satanica, la Chiesa di Satana vi aspetta”. (6)

Dal rock alle profanazioni

L’idea di una musica che può spingere alla pratica del satanismo, fino a qualche tempo fa, era considerata una semplice ipotesi. Ma alcuni fatti di cronaca, accaduti proprio in Italia, hanno dimostrato che i messaggi lanciati da alcuni cantanti possono avere effetti devastanti. Soprattutto quando vengono ricevuti da ragazzi psicologicamente fragili ed influenzabili.

Il caso più noto é quello di un giovane satanista di La Spezia, protagonista di “visite notturne” nei cimiteri, con profanazioni di tombe e furti di teschi ed ossa. Il ragazzo, oggi completamente pentito, ha dichiarato: “Mi dispiace per quello che ho fatto. Mi sono lasciato trascinare dalla musica black metal, che seguo da più di dieci anni. In particolare i testi di alcuni gruppi norvegesi e svedesi, tra cui i Mayhem, i Darkthrone e i Marduk. Mi hanno condizionato a tal punto che ripetevo come un automa quello che loro raccontavano nelle canzoni. (…) Quella musica, che ascoltavo anche dieci ore al giorno, mi prendeva a tal punto che non mi rendevo conto della gravità dei miei gesti”. (7)

La procura di La Spezia, dopo la confessione del giovane, ha condotto una vasta indagine denominata “Operazione Diablo”, in seguito alla quale si ritrovano indagati nove giovani dai diciotto ai ventisette anni. Le accuse vanno dal danneggiamento e violazione di sepolcro al furto aggravato di arredi sacri. Daniele Murgia, ispettore della questura di La Spezia che ha seguito l’operazione, ha dichiarato: “Il filo conduttore che legava queste persone nel loro culto del male era la musica black metal. I loro contatti avvenivano sia a livello epistolare, sia ai concerti di rock satanico”. (8)

Violenza e razzismo

In Italia il rock satanico ha causato “soltanto” profanazioni di tombe e furti nelle chiese. In Norvegia, purtroppo, il fenomeno ha avuto conseguenze ben peggiori. I componenti di alcuni gruppi rock, riuniti nella corrente di pensiero della “Black Metal Mafia”, hanno organizzato attentati terroristici a chiese cattoliche, trasformando il loro odio musicale in veri e propri atti di vandalismo.

In questo clima rovente non sono mancati gli omicidi. Count Grishnackh, cantante dei Burzum, é stato condannato a ventun anni di prigione per aver ucciso un altro musicista, Oysten Aarseth, capo storico del complesso Mayhem e suo (ex) grande amico. Stessa sorte é toccata a Bard G. Eithun, batterista degli Emperor: quattordici anni di carcere per omicidio.

Per comprendere lo spirito che caratterizzava la “Black Metal Mafia” é sufficiente ascoltare alcune dichiarazioni di Count Grishnack: “Io sono orgoglioso di essere un uomo bianco di razza ariana, con una figlia bianca ariana che ha anche una madre della sua stessa razza. Sono fiero dei miei occhi blu, dei miei capelli biondo scuro e della mia pelle bianca”. (8)

Dal satanismo al razzismo, dunque, il passo é breve. Non a caso, molti gruppi di rock satanico sono anche antisemiti ed attaccano le persone di colore. Trey Azagtoth, chitarrista dei Morbid Angel, afferma senza mezzi termini di “abbracciare lo spirito di Hitler”.     (9) Mentre gli italiani Deviate Ladies si dichiarano “cultori della razza bianca unica e dominatrice”. (10)

I messaggi nascosti

Un altro fenomeno che ha destato molta curiosità, oltre al satanismo esplicito, é quello dei “messaggi nascosti” nei dischi di famose rock-star.

I messaggi nascosti vengono registrati al contrario, in sala di incisione. E si possono decifrare facendo girare il disco al rovescio. Ad esempio, ascoltando al contrario la canzone dei Led Zeppelin “Stairway to heaven” si otterrà una voce che dice: “Ecco il mio dolce Satana, la cui piccola via non mi renderà triste, e della quale il potere é Satana. Egli darà il progresso, dandoti il sei, sei, sei” (numero biblico dell’Anticristo).

Questo tipo di tecnica si può ricondurre all’antica tradizione dei satanisti di recitare preghiere cattoliche al contrario, durante le “messe nere”, per dissacrarle e rivolgerle al diavolo.

In linea con questo tipo di rituali é un disco del complesso Christian Death, “Prayer”, in cui é stato registrato il Padre Nostro al contrario. Ovviamente, trattandosi di una preghiera al demonio, sono state eliminate le ultime due frasi: “Non ci indurre in tentazione, ma liberaci dal male”. Satana, di sicuro, non le avrebbe gradite.

I messaggi rovesciati rappresentano il tentativo di realizzare dei piccoli rituali esoterici attraverso la musica. Non mancano, comunque, i gruppi rock che li hanno utilizzati semplicemente come forma di scherzo o di provocazione. Tra questi ci sono i Pink Floyd, che nell’album “The Wall”’ hanno inserito la frase: “Congratulazioni! Hai appena scoperto il messaggio segreto. Per favore, manda la tua risposta ai vecchi Pink, presso la buffa fattoria, Chalfont”.

Un fenomeno in espansione

La questione dei messaggi nascosti, da sempre, suscita molta curiosità, ma non é l’aspetto più importante del problema. Ciò che desta maggiori preoccupazioni é la corrente del rock satanico esplicito, attualmente in grande espansione.

Negli ultimi tempi, in Italia, sono sorti negozi specializzati in questo genere di musica. Oltre ai comuni dischi, vendono libri di satanismo e magia nera. E’ il caso del negozio “Demos” di Napoli, che ha nel suo catalogo l’intera opera dell’occultista inglese Aleister Crowley.

Anche la stampa musicale si sta adeguando. Un vero fenomeno editoriale é la rivista italiana “Grind Zone”, specializzata in dischi satanici. Nata come semplice esperimento, si é trasformata in un periodico a tutti gli effetti, con tanto di edizioni in lingua spagnola e tedesca. Fioriscono, poi, le cosiddette “fanzine”, riviste amatoriali che vengono distribuite al di fuori del normale circuito delle edicole. Alcune di esse hanno contenuti satanici, come “Mortualia’zine”, “Grief’zine” e “Koito’zine”. La peggiore é certamente “Cancrena ‘zine”, che non risparmia ai suoi lettori neppure le bestemmie.

Un ulteriore mezzo di diffusione del rock satanico é Internet, che ospita numerosi siti dedicati ai seguaci del diavolo. Perfino i razzisti Burzum, o i blasfemi Marduk, hanno a disposizione una loro pagina sulla “rete delle reti”.

Un grande “spot” per il diavolo

Tutti gli elementi elencati finora dimostrano in modo schiacciante come una parte della musica moderna sia diventata, senza ombra di dubbio, un efficace mezzo di diffusione del satanismo tra i giovani.

Fortunatamente non tutto il rock propone messaggi negativi. Ma non si può negare che qualcuno abbia deciso di utilizzarlo per promuovere la non-cultura dell’occultismo, della morte e della disperazione.

I “venditori di Satana” sanno bene che, attraverso un disco, é possibile raggiungere il cuore di milioni di giovani in tutto il mondo. Quale spot pubblicitario potrebbe mai garantire una simile diffusione del proprio “prodotto”?

Un’ulteriore, clamorosa conferma di questa tesi é rappresentata dalla serie di trasmissioni che il satanista Efrem Del Gatto ha condotto sull’emittente televisiva laziale “Magic TV”, specializzata in programmi musicali (24 ore su 24).

Del Gatto, fondatore di una confraternita luciferiana, é una delle figure più note del satanismo italiano contemporaneo. Ed é significativo che, per parlare in tv, abbia scelto un’emittente musicale. Chissà quanti ragazzi, tra una canzone e l’altra, avranno abboccato al suo amo.

Note:

1) Regimbal Jean-Paul e collaboratori, “Il Rock’n’roll”, Edizioni Uomini Nuovi, Marchirolo (Varese), 1983.

2) Bouisson Maurice, “Storia della magia”, SugarCo, Carnago (Varese), 1992.

3) Aa.Vv. “Led Zeppelin”, Arcana, Milano, 1983.

4) Marzorati Stefano, Dizionario dell’Horror rock, SugarCo, Carnago (Varese), 1993.

5) “I Megadeth e l’eutanasia”, in “Tuttifrutti”, luglio 1994.

6) Vitali Francesco, “E al di là dell’oceano?”, in “Flash”, settembre 1994.

7) Benedetti Massimo, “Il mio demonio era la musica black metal”, in “La Nazione”, 26 agosto 1996.

8) Colombo Andrea, “Altri nove satanisti sotto inchiesta”, in “Avvenire”, 5 settembre 1996.

9) Bianchini Maurizio, “E’ il rumore dell’inferno”, in “L’Europeo”, 17 agosto 1994.

10) “Deviate Ladies ideologia perversa”, in “Metal Shock”, 15 marzo 1995.

Le 7 malattie che trasformano un essere umano in ‘vampiro’

Fonte: http://www.livescience.com/6634-7-strange-ways-humans-act-vampires.html
Fonte: http://www.diregiovani.it/rubriche/fotogallery/34394-vampiri-malattie-trasformano-essere-umani.dg
vampiri sangueROMA – Sono le creature più affascinanti e insieme più misteriose della letteratura e del cinema, incubo per molti, passione per altri.
I vampiri hanno attratto milioni di persone fin dall’origine della loro leggenda, un mito che in passato si è creduto reale.
In realtà, i nostri antenati non erano del tutto fuori strada.
Esistono numerose malattie a causa delle quali un essere umano è portato a comportarsi proprio come viene descritta una creatura della notte.
Non deve sorprenderci, quindi, che nei tempi passati, quando le nozioni mediche erano limitate, alcuni comportamenti venivano fraintesi.
Dall’intolleranza alla luce del Sole fino all’avversione per gli specchi, ecco 7 malattie che, in qualche misura, inducono la gente a comportarsi come i vampiri.1. AVVERSIONE PER L’AGLIO
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A molti piace ad altri meno, ma per alcune persone l’aglio è un vero e proprio repellente naturale.
La paura di aglio, o alliumfobia, è una nevrosi che porta la gente a spaventarsi al solo pensiero della pianta bulbosa, sia esso in forma di spicchio o spruzzato su una pizza.
Basta essere in prossimità dell’aglio per scatenare un attacco di panico o ansia grave in una persona che soffre di questa rara fobia.La leggenda che i vampiri siano respinti dall’ aglio deriva dal suo uso come metodo per allontanare gli spiriti maligni nei paesi slavi meridionali e in Romania.
Si credeva che coloro che si rifiutavano di mangiare aglio erano vampiri, e spicchi d’aglio venivano collocati nella bocca del defunto prima della sepoltura per evitare che si trasformasse in vampiro.2. MORSO IMPAZZITO

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La Rabbia è una malattia che può avere alcuni sintomi simili a vampiri, tra cui il desiderio di mordere gli altri.
Il virus della rabbia attacca il sistema nervoso e può anche causare ipersensibilità alla luce del sole e ad altri stimoli visivi, come gli specchi.
La malattia fu chiamata così perché le persone che la contraggono spesso diventano deliranti, aggressive e soffrono di allucinazioni.La Rabbia può colpire anche parti del cervello che controllano il sonno, con conseguente insonnia, insonnia notturna e ipersessualità, comportamento che nell’immaginario comune ricorda Nosferatu che striscia di soppiatto nella camera da letto di una fanciulla nel bel mezzo della notte.
I morsi di pipistrello, animale simbolo dei vampiri, sono la fonte più comune di una infezione da Rabbia.

3. AVVERSIONE PER GLI SPECCHI
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I vampiri sono raffigurati come essere invisibile in specchi, esiste una vera e propria malattia, l’Eisoptrofoobia, nota anche come catoptrofobia, che induce la gente ad averne paura. Questo può essere causato da un evento traumatico, o formata a seguito di profonde paure, come vedere come vedere un film horror che coinvolge specchi come un bambino. Per le persone con questo disturbo, la sola vista di uno specchio può portare a un attacco di ansia.Alcuni malati di eisoptrofobia credono che guardando in uno specchio si invochi il soprannaturale, e alcuni pensano che qualcuno li stia guardando.
Altri ancora possono stare a guardare uno specchio per pochi secondi, perchè hanno la sensazione che la persona riflessa non sia davvero loro.La leggendaria avversione dei vampiri per gli specchi risale al mito europeo, secondo il quale non si riflettono perché non hanno un’anima.
Non essere in grado di sopportare la vista di uno specchio è anche uno dei sintomi della rabbia, e alcuni credono che questo mito sia nato proprio durante un’epidemia di rabbia da volpe che ha avuto luogo in Europa nel 1700.

4. SETE DI SANGUE?

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Nel 1985, uno scienziato ha affermato di aver trovato un collegaamento tra il mito dei vampiri e una vera e propria malattia genetica del sangue, la porfiria.
Secondo il biochimico David Dolphin, le persone con porfiria sperimentano il desiderio di bere sangue umano per alleviare i loro sintomi (la malattia genetica provoca alterazioni dell’emoglobina, una proteina presente nei globuli rossi).
La sua teoria è stata successivamente smentita.Tuttavia, uno dei sintomi reali della rara malattia è una sensibilità alla luce solare, con bolle che si formano sulla pelle in pochi minuti dopo l’esposizione.
Un altro vero sintomo è l’urina di colore rosso, e può spiegare perché, storicamente, le persone possono avere sospettato che i malati di porfiria bevevano sangue.5. “CONTO” DRACULA

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L’Arithmomania è il bisogno ossessivo di contare le cose, e anche se poco conosciuto, è un mito profondamente radicato nei racconti di vampiri.
Per secoli si è creduto che oltre a aglio e croci, una difesa infallibile contro i vampiri era la matematica.
Per scoraggiare una creatura della notte, bisognava lanciavano una manciata di riso o di semi e scappare via, perché il vampiro non sarebbe stato in grado di riprendere la caccia fino a quando non avesse contato ogni singolo granello.
Durante il Medioevo, le persone gettavano i semi di papavero nelle bare dei propri cari prima di seppellirli in terra santa.6. SFOGGIARE LE ZANNE
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La displasia ectodermica ipoidrotica è una malattia genetica rara che colpisce anche lo sviluppo dei denti.
In alcuni casi, molti dei denti della persona sono assenti, tranne i canini, che in effetti sembrano essere sporgenti.Ogni essere umano ha i canini, i denti più acuti che sono utilizzati per mordere il cibo.
I vampiri sono stati raffigurati con anomale zanne da secoli, ma solo alla fine del 20° secolo sono stati immaginati con i denti retrattili.7. BRUCIARE AL SOLE

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Una malattia genetica estremamente rara, xeroderma pigmentoso, o XP, rende il DNA di una persona non in grado di riparare efficacemente i danni causati dalla luce ultravioletta. Una su un milione di persone hanno il disordine negli Stati Uniti, secondo la Xeroderma pigmentoso Society (XPS).
Le persone con la XP sviluppano scottature gravi quando esposti a anche una piccola quantità di luce solare.
Mentre la gravità del disturbo varia, in casi estremi, l’esposizione alla luce solare è severamente vietato.Quando una persona con XP è esposta alla luce diretta del sole, la pelle può sviluppare ferite crude sulla sua superficie.
Anche alcune illuminazioni interne, come ad esempio le lampadine a incandescenza, emettono raggi UV e devono essere evitate.
Altri sintomi di XP includono una sensibilità dell’occhio dolorosa al sole, facendoli diventare irritati e apparire iniettati di sangue, nonché un assottigliamento bianco lucido della pelle.

C’è un buco nell’oceano atlantico…

Scritto da: Luca Scialò
Fonte: http://www.tuttogreen.it/in-belize-ce-un-enorme-buco-nelloceano/

Al largo dello stato sudamericano del Belize, c’è un buco nell’oceano atlantico, considerato una stranezza della Natura.

Può un mare cristallino, tra i più belli al Mondo, avere una voragine al suo interno? Certo, succede in Belize, nel suggestivo Mar dei Caraibi, luogo incantevole, dove, almeno una volta nella vita abbiamo sognato di fuggire e mollare tutto.

Qui infatti si trova il Great Blue Hole, una gigantesca voragine di forma quasi perfettamente circolare, avente 300 metri di diametro e 125 metri di profondità. Trattasi di un’incredibile grotta verticale sottomarina, che rientra nel Belize Barrier Reef Reserve System e di diritto nel Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO.

Belize

Il nome, tradotto letteralmente in “enorme buco blu”, descrive bene questo fenomeno della Natura. Esso infatti rimanda al repentino cambio di colore dell’acqua che, in corrispondenza dei suoi bordi, assume un colore blu profondo, dettato dal contrasto con la sabbia circostante, molto bianca per via della presenza di carbonato di calcio.

Ma come è stata possibile la sua formazione? Nel corso di diversi episodi di glaciazione, quando il livello del mare era molto più basso sembra che il great hole si sia via via creato, tra i 153mila e i 15mila anni fa; insomma, non proprio l’altro ieri…

Poi, quando il livello dell’acqua ha ricominciato a salire, la grotta si è allagata.

Belize buco

Non c’è bisogno di accontentarsi delle foto stupende viste dall’alto ma  è possibile goderselo da vicino, perché la temperatura media dell’acqua raggiunge i 24° e con il clima caldo, il diving è praticabile tutto l’anno, indipendentemente dalla stagione delle piogge, che si ha nell’arco dei mesi estivi giugno-agosto. E’ possibile effettuare immersioni sia di giorno che di notte. Meglio comunque non fare i “turisti fai-da-te” e affidarsi a qualche compagnia specializzata.

spiaggia caraibi

Ma il Belize non è solo il Great Blue Hole. Esso, trovandosi tra la giungla dell’America Centrale e il Mar dei Caraibi, vanta migliaia di specie animali e vegetali differenti, ospitati in foreste tropicali, lagune e paludi costiere, montagne, fiumi. Non a caso oltre il 40% del suo territorio è protetto, con 94 aree protette e 16 parchi nazionali. D’altronde il Belize è uno degli Stati che presentano la più elevata biodiversità per quanto riguarda le specie terrestri e acquatiche. Non ha senso andarci solo per il grande buco blu, allora.

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