Fonte:http://movisol.org/mentre-prosegue-il-russiagate-emerge-la-pista-britannica/
L’operazione per destituire dal potere il Presidente Trump andava liquidata fin dall’inizio come “Made in London”. Stando all’autorevole dossier su Robert Mueller pubblicato dal LaRouchePAC, i servizi segreti britannici presero di mira Trump fin dal 2015, con il GCHQ a guidare la cordata. Fu la ditta britannica Orbis, in collaborazione con un’impresa americana, la Fusion GPS, a compilare il “dossier sul sesso” contro Trump. Il leader del team era la “ex” spia dell’MI6 Christopher Steele, fondatore di Orbis e collaboratore dell’FBI, che lavorò insieme all’ex ambasciatore britannico in Russia, Sir Andrew Wood, anche lui dell’Orbis, per produrre un dossier di bufale, secondo il quale non solo il Presidente russo Putin avrebbe avuto materiale per ricattare Trump, ma avrebbe anche interferito con le elezioni presidenziali americane per farlo eleggere. Negli ultimi giorni sono emerse prove di finanziamento da parte di Hillary Clinton (nella foto) alla spia britannica Christopher Steele per il suo dossier di invenzioni contro Trump.
Anche se i fatti sul ruolo britannico contro Trump sono noti a Washington, e i leader del Congresso hanno ammesso che non è stata fornita alcuna prova delle accuse contro Trump, il golpe da cambio di regime è proseguito dalla sua elezione, con pochi riferimenti all’ovvio ruolo britannico se non nelle pubblicazioni del movimento di LaRouche.
Questa situazione comincia finalmente a cambiare, grazie al lavoro di Devin Nunes, presidente repubblicano della Commissione di Intelligence alla Camera dei Rappresentanti, e del Senatore Charles Grassley, presidente repubblicano della Commissione Giustizia al Senato, che hanno denunciato entrambi il ruolo di Fusion GPS ed Orbis nel creare la falsa narrativa dietro al Russiagate. La settimana scorsa, gli avvocati della Fusion GPS si sono rifiutati di rispondere ai mandati di comparizione emessi dalla Commissione di Intelligence della Camera, e il cofondatore della ditta si è appellato al Quinto Emendamento per non rispondere alle domande, quando è comparso di fronte alla Commissione. Inoltre, gli avvocati della Fusion GPS hanno fatto richiesta al giudice federale di impedire che vengano messi a disposizione i loro estratti conto bancari, che potrebbero fornire una risposta su chi finanziò il dossier.
Il Presidente Trump ha risposto alle loro azioni evasive pubblicando il seguente tweei: “I funzionari dietro al dossier ormai screditato si appellano al Quinto Emendamento. Il Dipartimento di Giustizia e/o l’FBI dovrebbero immediatamente rendere noto chi li ha pagati”. È risaputo che l’FBI si offrì di dare a Fusion 50.000 dollari per proseguire il suo lavoro contro Trump, e questo mette ulteriormente in cattiva luce l’ex direttore dell’FBI James Comey come parte del tentato golpe contro il Presidente. Mueller è stato denunciato anche da altre forze. L’ex Vice ministro della Giustizia Sidney Powell ha scritto su The Hill a proposito dell’inchiesta di Mueller: “Quella che doveva essere un’inchiesta sulle intrusioni cibernetiche della Russia nella nostra politica elettorale si è trasformata in una missione malevola per colpire amici, familiari e colleghi del Presidente. L’inchiesta di Mueller è diventata un assalto frontale per trovare reati di cui incolparli, anche se non c’erano reati da trovare. Questo team ne creava qualcuno”.
Il Museo delle Navi romane di Nemi, prima ancora del suo contenuto – quelle immense navi romane rinvenute nel lago tra il 1929 e il 1931 e poi fatalmente distrutte in un incendio nel 1944, di cui oggi è visibile solo una copia in scala 1:5 – stupisce per il contenitore. Progettato tra il 1934 e il 1940 dall’architetto Vittorio Morpurgo, uno dei più raffinati esponenti della scuola romana del razionalismo – sua la teca in vetro e cemento per l’Ara Pacis Augustae, poi sostituita nel 2003 dal Museo di Richard Meier – il museo nasceva per dare una casa alle due imbarcazioni recuperate grazie una complessa operazione d’ingegneria idraulica che comportò l’abbassamento del livello del lago di Nemi. Nella sua struttura ariosa, i grandi lucernari e la passeggiata prospettica verso la sponda del bacino, l’architetto voleva esaltare la bellezza dei Colli Albani, offrendo al pubblico uno spazio culturale che dialogasse armoniosamente con il paesaggio circostante.
Dopo il rogo il Museo venne chiuso fino al 1953, rimase aperto fino al 1962, poi chiuso fino al 1988 quando riaprì definitivamente le porte, e nonostante fosse divenuto sostanzialmente il Museo dell’opera architettonica di Vittorio Morpurgo, ormai da anni versava nel degrado. Pesanti infiltrazioni d’acqua, spazi suggestivi come il ballatoio e la terrazza chiusi al pubblico e diventati nel tempo magazzini archeologici, la strada di collegamento al lago sbarrata da un cancello e invasa dai rovi, solo alcuni dei tanti problemi che rendevano il Museo delle Navi un luogo in decadenza, quasi una terra di nessuno.
“Quando sono entrata in carica, nel 2015, era appena uscito un dossier che denunciava le pessime condizioni del Museo – spiega la direttrice del Polo Museale del Lazio, l’archietta Edith Gabrielli – un peccato per un’opera architettonica di grande pregio”. Grazie ai fondi di programmazione triennale messi a disposizione per i 43 siti del Polo, è stato avviato un progetto di recupero inaugurato ieri. “Abbiamo preso in mano i disegni originali di Morpurgo e lavorato seguendo la sua sensibilità”, continua Gabrielli. Una serie di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria e un riallestimento hanno finalmente restituito tutti gli spazi del Museo, che oltre alle copie delle navi
espone una sezione archeologica sulla protostoria e sugli insediamenti nel territorio lacustre in età repubblicana. “Questo è solo l’inizio – dice Gabrielli – vogliamo portare eventi qui e far sì che il Museo torni ad essere un polo culturale in un territorio di clamorosa bellezza come questo”.