Il volo a reazione italiano: il Campini & Caproni CC-2

Fonte: http://aerostoria.blogspot.it/2009/11/il-volo-reazione-ditalia-il-magnifico.html

Il CAMPINI CAPRONI a Vigna di Valle
di Marco SERINO

Il Campini – Caproni CC-2 fu una macchina straordinaria sotto tutti i profili, dimostratore della tecnologia aeronautica che l’industria di quel tempo era in grado di produrre, quasi in contemporanea con la più industrializzata Germania. Noi oggi racconteremo la storia e lo sviluppo di questa macchina, l’ingegno di un uomo e il sogno di un industriale coraggioso.
L’ingegno di un uomo
Chi lo conobbe disse di lui che se fosse vissuto nell’era attuale avrebbe progettato le astronavi per andare su Marte, l’ Ing. Secondo Campini Nacque a Bologna il 28 agosto 1904, subito dopo la laurea, nel 1929 cominciò a studiare la propulsione a reazione e alle potenzialità per applicazioni aeronautiche di questo nuovo motore. Nel 1931 presenta al Ministero dell’Aeronautica di una relazione sul suo sistema propulsivo e fonda la società V.E.N.A.R. (Velivoli E Natanti A Reazione), la prima ditta al mondo per la realizzazione di propulsori a reazione. Sempre nel 1931 realizza il primo motoscafo al mondo spinto da un motore idrogetto. (in collaborazione con la ditta Costruzioni Meccaniche Riva di Milano.Nel 1934 sottoscrive un contratto tra la V.E.N.A.R. e l’aeronautica per la fornitura di due aerei più la fusoliera di prova “con propulsione a reazione sistema Campini”.Nel 1939 progetta un bireattore stratosferico e un giroplano (elicottero a reazione, biposto) denominati rispettivamente S.C.3 e S.C.5.

Progetti rimasti sulla carta a causa degli eventi bellici.Il 27 agosto 1940 il primo prototipo del Campini Caproni fu provato in volo per 10 minuti sul campo di Taliedo dal grande pilota Mario De Bernardi. 1941 – Il 30 novembre alle ore 14:47 Mario De Bernardi e l’ing.Giovanni Pedace (segretario della Associazione Pionieri d’Italia) compirono un volo ufficiale, a bordo del secondo prototipo, tra l’aeroporto di Milano-Linate Forlanini e quello di Guidonia a Roma, atterrando alle 16:58 dopo aver percorso 475,554 km alla media di 217,147 km/h; senza mai attivare il “postbruciatore” per risparmiare carburante.Nel 1942 progetta due mini sommergibili monoposto, su commissione della Regia Marina, azionati da idrogetti con una potenza di 1000 cv e un dislocamento di 7 tonnellate per una velocità prevista di 30 nodi e autonomia di 1000 km; i prototipi ultimati con i propulsori già collaudati andarono distrutti nel 1944. Rimasero solo sulla carta altri progetti come un bireattore da bombardamento e un velivolo da caccia con il sistema di propulsione Campini. Nel 1948 si trasferisce negli Stati Uniti dove ideò un elicottero quadriposto con turbina da 200 CVNel 1949 progetta un grande elicottero con rotore azionato da due turbine capaci di sollevare un carro armato del peso di 40 tonnellate. Su richiesta del Governo Americano disegnò un turbogetto da 6000 kg di spinta a grande autonomia, studiò la sostituzione dei 4 motori a elica del bombardiere Northrop YB-35 con dei turbogetti e la costruzione del bombardiere strategico B-49L’Ing.Secondo Campini si è spento a Milano il 7 febbraio 1980.

 

Il sogno di un Industriale coraggioso
Massone d’Arco – 03/07/1886 Massone d’Arco – Roma – 27/10/1957Ingegnere aeronautico nato a Massone d’Arco nel 1886, territorio all’epoca austriaco. Laureatosi in Ingegneria civile al Politecnico di Monaco di Baviera nel 1907, l’anno successivo conseguì una specializzazione in elettrotecnica presso l’Istituto Montefiori di Liegi.Si trasferì in Italia e dopo una serie di prime esperienze nella costruzione di velivoli a motore, nel 1908 fondò a Taliedo, vicino a Milano Linate, l’officina Caproni per la produzione di biplani dove compì il primo volo il 27 maggio 1910. In questo periodo fondò anche la Scuola di Aviazione Caproni. Verso la fine del 1910 Caproni si trasferì poi a Vizzola Ticino, presso Varese. Dal 1911 si concentrò invece con maggior successo nella produzione di monoplani.
Nel 1914 collaudò il Ca.31 un biplano trimotore che fu il primo plurimotore costruito in Italia. Dal 1915 si dedicò alla produzione di veivoli militari, ideando e costruendo i primi apparecchi da bombardamento italiani.Fu tra i fautori dell’utilizzo degli aeroplani per il trasporto di passeggeri “civili”. Nel 1921 costruì un idrovolante capace di portare ben 100 passeggeri il cui prototipo venne distrutto in un incendio. Si dedicò anche alla produzione di alianti. Nell’intervallo tra le due guerre la ditta Caproni assunse le dimensioni di un vero e proprio gruppo industriale, il che gli valse la nomina a Conte di Taliedo. Morì a Roma nel 1957. Nel 1983 la fabbrica fu ceduta all’impresa Agusta.
Campini & Caproni
Senza l’appoggio di Caproni il neo-laureato Campini non avrebbe mai potuto dare vita al proggetto, considerato, purtroppo erroneamente, il primo aviogetto al mondo (In realtà dei fatti il primo velivolo a reazione fu l’ He.178 volò esattamente un anno prima del CC-2, il 27 agosto 1939, solo che come abbiamo già parlato – vedi “Le armi segrete del Reich”- era un progetto TopSecret e nessuno mai prima della sconfitta del Reich, seppe della sua esistenza), la F.A.I.(Federation Aeronatique Internationale) di conseguenza lo omologò come primo al mondo.
Il 27 agosto 1940 il primo prototipo fu provato in volo per 10 minuti sul campo di Taliedo dal grande pilota Mario De Bernardi. Successivamente il 16 settembre fu provato in volo per altri 5 minuti e collaudato per apportare migliorie al secondo prototipo che volò per la prima volta l’undici aprile 1941. Il 30 novembre 1941, alle ore 14:47 Mario De Bernardi e l’ing.Giovanni Pedace (segretario della Associazione Pionieri d’Italia) compirono un volo ufficiale, a bordo del secondo prototipo, tra l’aeroporto di Milano-Linate Forlanini e quello di Guidonia a Roma, sorvolando Pisa e atterrando alle 16:58 dopo aver percorso 475,554 km alla media di 217,147 km/h; il “postbruciatore” non venne mai attivato per risparmiare carburante secondo il volere del pilota.
I preparativi per il volo di collaudo, una fotografia a colori dell’epoca
Come il colpo di un fucile che “reagisce” rinculando all’azione del suo proiettile che esce a forte velocità, nei motori a reazione (o motori a getto) la spinta propulsiva viene ottenuta grazie all’eiezione ad alta velocità della massa dei gas di scarico ma anche dalla espansione dell’aria scaldata e che viene espulsa a una velocità maggiore rispetto all’entrata (d’altronde anche le normali eliche funzionano allo stesso modo, accelerando all’indietro la massa d’aria che ne attraversa il disco delle pale in rotazione).
Il motoreattore di Secondo Campini è da considerarsi più un ibrido che un vero e proprio propulsore a getto: un motore a combustione interna di tipo alternativo, nel nostro caso un Isotta Fraschini L. 121/R.C. 40 da 900 CV faceva funzionare un compressore composto da 2 eliche intubate, seguite da una elica raddrizzatrice del flusso per renderlo il più possibile privo di turbolenze; degli iniettori disposti su un anello (bruciatori) immettevano kerosene, la cui combustione aumentava il volume della massa gassosa e la velocità di scarico.

Era una soluzione tecnologicamente interessante, ma strutturalmente diversa rispetto ai turboreattori tedeschi come il Messerschmitt Me-262, che al posto del motore alternativo avevano un compressore azionato da una turbina posta sul getto di uscita dopo la camera di combustione. Inoltre in questo tipo di motori il riscaldamento dell’aria sotto pressione non avviene direttamente tramite gli iniettori, ma attraverso più camere di combustione che riscaldano l’aria per conduzione, soluzione piu’ efficace.
Inoltre nei turbogetti il rendimento aumenta al crescere di quota e di velocità, mentre i motori alternativi endotermici (come quello di Campini) hanno il loro miglior rendimento al livello del mare e hanno bisogno di un ulteriore compressore per operare ad alta quota, data la rarefazione dell’aria.


Il motore progettato da Campini aveva molti altri difetti, quali il peso, l’ingombro, la complessità del tipo di motore impiegato per azionare il compressore, il basso rendimento del bruciatore (comunque vicino al limite tecnologico per il suo tempo) e la potenza notevolmente limitata. La soluzione tedesca fu quindi la caposcuola della tecnologia dei moderni motori a reazione, mentre la soluzione italiana ha oggi un valore puramente storico. Il tutto rappresentò un grande successo per la nazione italiana che ricevette i complimenti di 33 stati. L’esemplare NC4849, una volta consegnato al Centro Sperimentale della Regia Aeronautica presso l’ aeroporto di Guidonia, ricevette la matricola militare MM487 e fu provato in volo dal 13 gennaio 1942 al 27 agosto 1942. Fu quindi sistemato in un hangar dell’aeroporto di Guidonia e rimase gravemente danneggiato da un bombardamento il 24 ottobre 1943. Dopo la liberazione fu recuperato da una commissione inglese che lo trasferì a Farnborough per essere studiato. Fu quindi demolito.
L’esemplare NC4950 non fu mai consegnato alla Regia Aeronautica. Rimase conservato presso le Officine Caproni di Taliedo e quindi preso in carico dall’Aeronautica Militare che lo espose presso il Museo dell’Aria di Torino negli anni sessanta e quindi al Museo dell’Aeronautica di Vigna di Valle dove è tuttora conservato.

Il falso “pioniere delle staminali” ci riprova: una fattoria di animali clonati

Fonte: http://www.asianews.it/notizie-it/Il-falso-%E2%80%9Cpioniere-delle-staminali%E2%80%9D-ci-riprova:-una-fattoria-di-animali-clonati-35990.html

CINA – COREA DEL SUD
Il falso “pioniere delle staminali” ci riprova: una fattoria di animali clonati
Hwang Woo-suk, un tempo eroe nazionale sudcoreano poi rivelatosi un ciarlatano, collaborerà con la cinese Yingke Boya Gene Technology Ltd per costruire un allevamento di buoi “di prima scelta”, tutti ricreati da un unico esemplare. Esperti scettici: “Oltre ai moltissimi problemi di tipo sanitario, dal punto di vista economico è un progetto senza senso”.

Seoul (AsiaNews) – Dopo aver finto di saper riprodurre cellule staminali embrionali umane, aver lavorato come veterinario e aver tentato di riportare in vita i mammuth, il “pioniere della clonazione umana” Hwang Woo-suk è pronto per una nuova avventura. Insieme a un’azienda cinese, intende aprire “la più grande fattoria di animali clonati al mondo” nei pressi della città di Tianjin. L’annuncio viene dalla Yingke Boya Gene Technology Ltd, che prevede di stanziare circa 32 milioni di dollari per lanciare il progetto.

Prevista per il 2016, la futuristica fattoria prevede un laboratorio per la clonazione, un centro per animali clonati e una banca dei geni. Xu Xiaochun, presidente del gruppo cinese, dichiara: “L’intenzione è quella di fornire enormi quantitativi di carne di manzo di altissima qualità al maggior numero di consumatori possibili”. Oltre ai buoi, è prevista la clonazione di cani poliziotto per la ricerca di droga ed esplosivi.

Hwang Woo-suk è famoso per aver ingannato la comunità scientifica internazionale sostenendo di essere riuscito a clonare cellule staminali umane. Un tempo “eroe nazionale”, infatti, egli è caduto in disgrazia nel 2005 dopo che la comunità scientifica internazionale e l’Università della capitale sudcoreana hanno smascherato i risultati delle sue ricerche sulle cellule staminali embrionali, del tutto falsificati in laboratorio per dare l’impressione di essere riuscito a clonare cellule sane da malati affetti da patologie al momento incurabili.

Nel 2006, durante il processo per frode, il “pioniere della clonazione” ha poi ammesso di aver usato fondi dello Stato per acquistare dalla mafia russa alcuni campioni di tessuto di mammut. Dal 2012 il veterinario collabora con ricercatori russi nel tentativo di clonare i mammiferi estinti, a partire da cellule prelevate da carcasse congelate nella Repubblica di Sahka (in Russia). Ma anche questo tentativo è finito in un nulla di fatto, con persino una denuncia da parte dello “scienziato” nei confronti dei suoi collaboratori.

Il suo nuovo progetto lascia però gli esperti molto scettici. Woo Hee-jong, veterinario all’Università nazionale di Seoul, spiega: “La clonazione ha diversi effetti collaterali, fra cui invecchiamento precoce e inclinazione a diverse malattie. Inoltre, deve essere ancora testata la sicurezza delle carni tanto che l’Unione Europea l’ha bandita dal suo territorio”.

Va poi considerato un altro aspetto: “Clonare un animale costa tantissimo: un animale piccolo, di quelli da compagnia, costa circa 88mila dollari. Chi andrebbe a comprare un bue clonato, con questi prezzi?”. Ryu Young-joon, docente alla Scuola medica dell’università Kangwon, conclude: “Tutto nella clonazione va fatto a mano, da parte di tecnici altamente specializzati. Al di là di ogni altra considerazione, questo progetto non ha proprio senso dal punto di vista economico”.

 

Il ruolo dell’Ucraina nella dissoluzione dell’Unione Sovietica

Scritto da Lorenzo Zacchi
Fonte: http://www.opinione-pubblica.com/2015/10/26/ruolo-dellucraina-nella-dissoluzione-dellunione-sovietica/

Ogni analisi sul presente politico ucraino deve per forza di cose essere contestualizzata nella storia del paese e all’interno del profondo legame con la cultura russa.
L’Ucraina divenne stato indipendente nel 1991, dopo la lunga esperienza sovietica, ed ebbe un ruolo storico fondamentale nel processo di dissoluzione dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (URSS).
Nel 1991 lo stato politico dell’URSS era tutt’altro che invidiabile: la crisi identitaria, spinta da alcune repubbliche che rivendicavano una propria indipendenza (specialmente Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia, Armenia, Moldavia) e che avevano boicottato il referendum sul mantenimento dell’Unione del 17 marzo, spinse il Consiglio di Stato Sovietico, a partire dal mese di novembre, a ridiscutere l’assetto istituzionale dell’URSS.
E’ qui che comincia il vero e proprio strappo ucraino, guidato da Leonid Kravchuk, presidente del soviet supremo d’Ucraina dal 1990 e futuro primo presidente del paese. Professore universitario e membro del Partito Comunista d’Ucraina dal 1958, per ben 18 anni capo della divisione agitazione e propaganda del Comitato Centrale del partito, Kravchuk era un membro di spicco della nomenklatura comunista riformista che si venne a creare all’inizio degli anni ’80.

All’interno del Consiglio di Stato Sovietico si distinguevano diverse opinioni sul futuro assetto da attribuire all’URSS: Gorbachev, presidente sovietico, continuava a rivendicare una disposizione federale al contrario del presidente russo Eltisn, che sosteneva la nascita di una Confederazione di stati.
All’interno del dibattito ebbe un peso fondamentale proprio la proposta di Kravchuk che proponeva la fondazione di una Comunità di Stati Indipendenti. Conscio del ruolo che avrebbe avuto in una transizione democratica, e attirato dalle ingenti ricchezze statali del proprio paese, Kravchuk fu uno dei più grandi oppositori al mantenimento di un assetto sovranazionale, che sembrava invece il compromesso più razionale tra le diverse fazioni all’interno del Consiglio di Stato.
Di conseguenza, il veto della seconda repubblica sovietica per popolazione e rilevanza politica (l’Ucraina appunto) frenò il proseguimento di un’entità sovranazionale e Eltsin il 25 novembre propose la nascita della Comunità di Stati Indipendenti (CSI).

All’interno di questo delicato momento storico-politico, Kravchuk indenne per il 1° dicembre un referendum sull’indipendenza nazionale, unito all’elezione del primo presidente della Repubblica ucraina. Il risultato fu scontato ed incontrovertibile: il 90% dei votanti si espresse a favore dell’indipendenza, e di conseguenza Kravchuk fu eletto primo presidente ucraino.
Eltsin, in piena linea con la sua idea politica, riconobbe subito la legittimità e l’importanza del referendum.

L’8 dicembre, i capi di stato ucraino (Leonid Kravchuk), bielorusso (Stanislau Shushkevich) e russo (Boris Eltsin) si incontrarono in gran segreto nella foresta di Bialowieza (Belavežskaja pušča), al confine tra la Bielorussia e la Polonia e firmarono l’accordo di Belaveza.
Questo accordo sanciva di fatto la fine dell’Unione Sovietica come soggetto di diritto internazionale e come entità geopolitica, istituendo al suo posto la Comunità di Stati Indipendenti.
La decisione, calata “dall’alto” da una minoranza di presidenti (calcolando l’eccellente esclusione del presidente kazakho Nazarbaiev, leader della 3° potenza sovietica), venne accusata di illegittimità da Gorbachev, che il giorno successivo dichiarava: “Il destino di uno Stato multinazionale non può essere determinato dalla volontà dei capi di tre repubbliche. La questione avrebbe dovuto essere decisa soltanto con strumenti costituzionali, con la partecipazione di tutti gli stati sovrani e tenendo conto della volontà dei loro cittadini.”
In seguito tutti i parlamenti, in primis quelli bielorusso e ucraino, ratificarono il testo dell’accordo di Belaveza: il 25 dicembre venne ammainata la bandiera rossa sovietica che sventolava sul Cremlino, e fu sostituita con il tricolore di Pietro il Grande.

Il ruolo oltranzista di Kiev, guidato dalla figura di Kravchuk, fu determinante quindi per la fine dell’Unione Sovietica. Il presidente ucraino fu abile a cavalcare il sentimento nazionalista dell’ovest del paese, garantendosi la permanenza al potere e un ruolo primario nella spartizione delle immense ricchezze statali, che comportarono una difficile e mai avvenuta transizione democratica nel paese.

Combustibili fossili: oltre 400 miliardi per finanziarli

Scritto da: Elena
Fonte: http://www.soloecologia.it/24112015/combustibili-fossili-oltre-400-miliardi-finanziarli/8275

 

combustibili fossiliSecondo uno studio i Paesi del G20 continuerebbero a finanziare l’uso dei combustibili fossili che rappresentano la primaria fonte energetica.

I combustibili fossili sono considerati dalla maggior parte dei Paesi industrializzati la principale fonte energetica del pianeta e cui destinare oltre 400 miliardi di dollari all’anno. Secondo quanto emerso da un dossier recentemente diffuso da due organizzazioni non governative, i costi per l’energia sostenuti dalla maggior parte dei Paesi sarebbero destinati al alla produzione di petrolio, gas e carbone, che evidentemente sono ancora considerate la principali fonti energetiche a livello mondiale.

La scoperta ha suscitato immediatamente le forti reazioni da parte dell’opinione pubblica e delle varie associazioni ambientaliste, da sempre impegnate nelle promozione di risorse energetiche alternative e in attività di sensibilizzazione circa le problematiche ambientali. La notizia assume una gravità maggiore anche perché giunge a breve distanza dall’inizio della conferenza sul clima di Parigi, a cui prenderanno parte gli stessi Paesi citati nel dossier.

Combustibili fossili: un mercato che non conosce crisi
Secondo le dichiarazioni rilasciate dalle due organizzazioni non governative – l’Overseas Development Institute e l’Oil Change International – i combustibili fossili sarebbero finanziati dagli Stati del G20 che ne sostengono la produzione con 452 miliardi di dollari all’anno. I Paesi finanziatori sarebbero gli stessi protagonisti di tutte le politiche ambientali e iniziative mirate a ridurne l’impiego per evitare le catastrofiche conseguenze ambientali.

A conferma di questa clamorosa scoperta ci sarebbero anche delle informazioni consolidate che proverebbero il sostegno finanziario offerto dai Paesi ricchi ed emergenti. I dati posseduti dalle due organizzazioni dimostrerebbero che le cifre per finanziare i combustibili fossili sarebbe addirittura quattro volte l’importo delle sovvenzioni globali alle energie rinnovabili, che invece ammonta a soli 121 miliardi di dollari.

Le modalità di finanziamento adottate
Le ONG hanno inoltre individuato anche le modalità di finanziamento per i combustibili fossili adottate dai vari Paesi, arrivando così all’individuazione di tre tipi di sovvenzioni e dei relativi importi. La fonte primaria sarebbero le sovvenzioni nazionali e gli adeguamenti fiscali in grado di fornire 78 miliardi; gli investimenti in aziende pubbliche impegnate nel settore energetico con 286 miliardi di euro e infine il sostegno fornito dalle istituzioni finanziarie pubbliche attraverso i prestiti bancari con oltre 88 miliardi dollari.

Un piano di investimenti in grado di generare circa 452 miliardi di dollari dal 2013 al 2014 e che ha confermato il grande impegno della Cina, con circa 77 miliardi di dollari l’anno, ma anche quello manifestato dal Giappone, Stati Uniti e Regno Unito, tutti ancori legati ai combustibili fossili. La speranza è che la conferenza sul clima diventi l’occasione per rivedere le politiche di finanziamento in campo energetico e dare un nuovo slancio alla produzione e diffusione delle energie rinnovabili.

L’imperativo mondiale dovrebbe essere quello ridurre l’impiego dei combustibili fossili, lasciando sotto terra i tre quarti delle attuali riserve e attuare una riconversione dei finanziamenti attraverso il trasferimento delle risorse destinate alle imprese pubbliche dalla produzione di energie fossili a quella di energie rinnovabili.

Francia in guerra anche grazie alle aziende italiane

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.it/

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Venerdì 13 novembre, Parigi è teatro di un sanguinoso attacco terroristico di matrice islamico-radicale. Neanche il tempo di commemorare le numerosissime vittime e il governo Hollande annuncia una controffensiva in vasta scala contro l’Isis e il Califfato. Le parole d’ordine sono guerra totale e permanente, il conflitto globale sul fronte interno e internazionale. L’appello all’uso incondizionato delle armi condizionerà pesantemente la società francese per i prossimi anni: alla produzione delle armi ci penserà l’onnipotente complesso militare industriale nazionale, magari in partnership con i maggiori alleati europei, Italia in testa.

Quel maledetto venerdì 13 novembre, poche ore prima del bagno di sangue nelle strade della capitale transalpina, l’ammiraglio Donato Marzano, comandante logistico della Marina militare italiana, l’ingegnere Roberto Cortesi, amministratore delegato di Oto Melara (gruppo Finmeccanica) e l’ammiraglio François Pintart, direttore della centrale servizi logistici della Marina francese, s’incontravano per siglare un protocollo d’intesa per trasferire alla Spezia le attività di manutenzione dei cannoni da 76/62 SR “Super Rapido” installati a bordo delle unità da guerra francesi Chevalier Paul e Forbin.

L’accordo rientra nell’ambito del programma “Orizzonte” con cui Italia e Francia hanno realizzato una nuova generazione di fregate-cacciatorpediniere (Horizon Common New Generation Frigate – CNGF). “Oltre a consolidare e indirizzare le principali iniziative italo-francesi per il supporto in servizio delle navi classe Orizzonte, l’intesa rappresenta un primo passo verso un accordo più ampio che potrebbe includere i sistemi da 76/62 installati a bordo delle nuove fregate multi missioni FREMM francesi”, hanno dichiarato i manager di Oto Melara. “Si tratta, inoltre, di un importante segnale nell’ottica di future collaborazioni tra le forze armate europee oltre a generare significative ricadute industriali per l’area della Spezia. La commessa prevede, inoltre, le calibrazioni degli impianti, a terra e a bordo, a cura dal Centro per il Supporto e la Sperimentazione Navale (CSSN) spezino”.

Al programma di sviluppo delle unità della classe “Orizzonte” hanno partecipato le holding Fincantieri e Finmeccanica e le aziende francesi DCN e Thales. Quattro le imbarcazioni sino ad oggi realizzate: le cacciatorpediniere lanciamissili Andrea Doria e Caio Duilio per la Marina militare italiana e le fregate Chevalier Paul e Forbin per la marina francese. Varate rispettivamente nel 2010 e nel 2011, le due unità francesi hanno come missione principale la protezione anti-aerea della flotta navale. “In particolare – spiega il Comando navale francese – le fregate della classe Orizzonte devono assicurare la difesa contro le minacce aeree di un gruppo aeronavale guidato da un portaerei, delle altre unità da guerra, delle forze anfibie e delle imbarcazioni civili destinate al traffico commerciale; devono intervenire in un contesto operativo di blocco marittimo, faccia a faccia con le unità nemiche, in caso d’evacuazione di cittadini francesi, ricerca di informazioni, controllo del traffico aereo in zone di crisi, ecc.”.Con un dislocamento di 7.000 tonnellate e una lunghezza di 153 metri circa, le fregate “Orizzonte” sono caratterizzate da una bassissima visibilità ai tracciati radar. Le unità francesi e italiane differiscono solo per alcuni sistemi d’arma imbarcati: le fregate Chevalier Paul e Forbin hanno 48 missili antiaerei PAAMS Aster 15 a corto raggio e Aster 30 a medio raggio (prodotti da MBDA, holding europea del mercato missilistico, controllata per il 25% dal Finmeccanica), 8 missili anti-nave Exocet MM40, 2 lanciasiluri per i MU 90 (coprodotti da WASS – Whitehead Alenia Sistemi Subacquei, Finmeccanica), 2 cannoni Oto Melara 76/62 “Super Rapido” e artiglieria da piccolo calibro (mitragliere mod. F2 da 20mm). Le cacciatorpediniere Andrea Doria e Caio Duilio, a differenza delle cugine transalpine, ospitano un terzo sistema “Super Rapido”, il radar di ricerca di superficie Selex RAN 30X/I, alcuni sofisticati apparati di guerra elettronica e i missili S/S Teseo Mk2/A al posto degli Exocet MM40. Il sistema informatico di comando, controllo e combattimento delle unità “Orizzonte” è gestito dal CMS (Combat Management System) sviluppato da EuroSysNav, una società italo-francese creata appositamente da DCN e Alenia (Finmeccanica). Le imbarcazioni sono dotate infine di un ponte di volo per i decolli di un elicottero EH-101 o NH-90.

La partnership tra le industrie e le forze armate italiane e francesi si è consolidata grazie all’accordo per lo sviluppo del programma FREMM (Fregate Europee Multi Missione), la nuova generazione di fregate denominate in Francia Classe Aquitaine ed in Italia Classe Bergamini. Le nuove unità sono progettate e realizzate dalla società d’ingegneria Orizzonte Sistemi Navali (una joint venture tra Fincantieri e Finmeccanica, prime contractor della Marina militare italiana) e da Armaris, azienda di proprietà dei gruppi francesi DCNS e Thales. “Il programma italo-francese per le nuove Fregate Europee Multi Missione (FREMM) è il più importante programma militare in ambito navale mai realizzato a livello europeo”, ha dichiarato l’amministratore delegato di Finmeccanica, Mauro Moretti. Le nuove unità sono lunghe 140,4 metri, larghe 19,7 e hanno un dislocamento a pieno carico di 6.000 tonnellate circa. Come nel caso della classe “Orizzonte”, le FREMM dispongono dei più moderni sistemi di scoperta e d’arma: il sistema missilistico antiaereo SAAM IT a 16 celle per missili MBDA Aster 15 e Aster 30, i missili anti-nave Exocet MM40, i cannoni Oto Melara 76/62 “Super Rapido”, i siluri MU 90. Inoltre, le fregate destinate alla marina francese sono armate con missili da crociera a lancio verticale MBDA “Scalp Naval” con una gittata che può superare i 1.000 km. Originariamente le fregate erano state programmate per imbarcare 165 membri d’equipaggio, ma grazie ad alcune modifiche dello scafo i posti sono stati ampliati fino a 200, 23 dei quali destinati al personale che gestisce i due elicotteri NH-90 ospitati sul ponte.

Le FREMM sono state realizzate in tre versioni: una per la lotta antisommergibile (ASW); una multiruolo per l’attacco al suolo in profondità e il bombardamento controcosta in appoggio alle forze da sbarco; una terza, solo per i francesi, per le operazioni anti-aeree. I cantieri Armaris hanno ricevuto dal governo francese l’ordine per otto fregate multi missione; inoltre, nel gennaio 2014, hanno consegnato una FREMM alla marina militare del Marocco e, nel giugno 2015, un’unità della stessa classe all’Egitto del generale-presidente al-Sisi.

Le aziende italiane hanno poi ottenuto negli ultimi anni importanti commesse da parte delle autorità transalpine. Nel febbraio 2013, ad esempio, la Direction Géneral de l’Armement (DGA) del ministero della difesa francese ha ordinato a Selex ES (Finmeccanica) sei radar PAR2090 in versione fissa, per un valore di circa 22 milioni di euro, compreso il supporto logistico post vendita. I PAR sono radar in banda X che permettono atterraggi di precisione anche in condizioni meteo avverse, con la capacità di gestire fino a 32 velivoli contemporaneamente. Altri 15 sistemi PAR erano stati consegnati in precedenza da Selex ES all’Armée de l’Air. Nel luglio 2014, i manager di Finmeccanica hanno invece sottoscritto un accordo di collaborazione con Thales, della durata di non meno di due anni, per la realizzazione della suite sensoristica multifunzione e del sub-sistema di comunicazione del futuro velivolo senza pilota da combattimento (FCAS) destinato alle aeronautiche militari di Francia e Gran Bretagna. Lo scorso mese di marzo, infine, la Direction Générale de l’Armement ha affidato alle aziende Airbus Defence and Space e Thales la produzione di tre nuovi satelliti spia CERES (costo complessivo 450 milioni di euro) per l’intercettazione delle comunicazioni radio e dei segnali radar, che dovrebbero entrare in funzione entro il 2020. Alla piattaforma satellitare lavorerà in qualità di sub contractor l’azienda Thales Alenia Space, di proprietà al 66% della francese Thales e per il restante 34% del gruppo Finmeccanica.

Per “approfondire le prospettive di cooperazione nel quadro della difesa europea, analizzare temi di collaborazione tecnico-militare bilaterale e valutare le evoluzioni dei teatri di crisi che minacciano la sicurezza dell’Europa”, nel dicembre 2012 i ministri della difesa di Italia e Francia hanno dato vita al Consiglio di Difesa e Sicurezza (CFIDS). L’ultimo vertice bilaterale si è tenuto a Caen il 21 marzo 2015 e ha avuto all’ordine del giorno la “forte instabilità che interessa Libia, Sahel, Siria, Iraq/Daesh e l’arco di crisi apertosi nell’est Europa tra Ucraina e Russia”. Quattro mesi prima, si erano incontrati a Roma i rispettivi Capi di Stato maggiore della difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli e il generale Pierre de Villiers. Anche allora il confronto ha avuto come oggetto il conflitto in Siria e Iraq contro l’Isis e le “forti tensioni” in alcune aree del continente africano (Niger, Mali, Repubblica Centrafricana e Libia). “A seguire – riporta una nota del ministero della difesa italiano – i Capi di Stato Maggiore hanno discusso sulla cooperazione bilaterale tra cui il futuro impiego operativo del Comando Brigata da montagna italo-francese per missioni in ambito Nazioni Unite, Nato ed Unione Europea e il mantenimento in vita dei sistemi navali, la cooperazione nel settore del rifornimento in volo – Air to Air Refuelling (AAR). Altri accordi sono, inoltre, attivi nel campo della formazione, come il reciproco scambio di frequentatori presso i principali Istituti Superiori delle due Difese. I Capi di SMD hanno infine sottolineato l’importanza di incentivare, in ambito europeo, la Politica di Sicurezza e Difesa Comune (PSDC), promuovendola sul piano politico ed operativo, nonché in quello dell’industria e del mercato della Difesa”.

EUROPA 2016: STATO DI GUERRA PERMANENTE!

Fonte: http://icebergfinanza.finanza.com/2015/11/24/europa-2016-stato-di-guerra-permanente/

Cerchiamo di contestualizzare serenamente il tutto!

Hollande: “La Francia è in guerra. Ue intervenga con noi”

…subito dopo arriva

Parigi: Valls, Francia oltrepassera’ limiti Ue su deficit

(AGI) – Parigi, 17 nov. – La Francia oltrepassera’ i vincoli sul deficit stabiliti dai Trattati europei. Lo annuncia il premier francese, Manuel Valls, giustificando la richiesta “con la necessita’ di rafforzare la sicurezza a causa degli attentati del 13 novembre. La Commissione Ue – prosegue Valls a ‘France Inter’ – deve capire che la lotta contro l’Isis riguarda la Francia ma anche l’Europa”.

Fino a qui tutto bene, peccato che la Francia sta sistematicamente oltrepassando il limite UE sul debito da anni, anni, anni…

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Le prospettive anche per il 2015 e il 2016 sono queste…

Quindi il titolo ve lo cambio io, visto che in Italia l’italiano e la verità sono una merce rara…

Parigi: Valls, Francia continuerà a non rispettare i limiti Ue su deficit

Chiaro il concetto? Alla Francia non importa nulla del deficit ma a differenza dell’Italia dopo aver per prima reso carta straccia insieme alla Germania il trattato di Maastricht, viola sistematicamente anche il deficit e non ha alcuna intenzione di cambiare rotta a breve.

I dati di ieri sono chiari questa è la Francia, questo è il suo “corrent account” rispetto al Pil…

France Current Account to GDP

Ovviamente arriva subito la risposta dell’amico delle corporatione Juncker, si quello dello scandalo Luxleaks che subito avvalla la richiesta…

Francia, Juncker: spese aggiuntive sicurezza vanno escluse da deficit

BRUXELLES (Reuters) – Le spese che il governo francese sosterrà per incrementare la sicurezza a seguito degli attacchi a Parigi della settimana scorsa dovrebbero avere un trattamento speciale nell’ambito delle regole Ue sul deficit. A dirlo è il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker. “Siamo di fronte a gravi atti terroristici. La Francia, come gli altri Paesi, deve poter avere a disposizione mezzi supplementari. Penso che tali mezzi supplementari non debbano essere trattati come spese ordinarie nel Patto di stabilità” ha detto Juncker durante una conferenza stampa a Bruxelles.

Peccato che la crisi economica, dal 2008 in Europa abbia prodotto oltre 26 milioni di disoccupati, di morti, una strage. Siamo in guerra dal 2008 o forse qualcuno non se ne è accorto?

Per scuola, sanità, welfare e via dicendo, non c’è alcuna flessibilità alla fesseria del limite di bilancio, anzi per anni…

Rehn, linea dura sul deficit Nessuna deroga per gli investimentiLa flessibilità concessa dalla Ue non può in alcun modo “rompere il 3% di deficit” e derogare dalla “regola del debito” scritta nel ‘fiscal compact’ che impone di ridurlo di un ventesimo all’anno: lo scrive il commissario agli Affari economici Olli Rehn in una lettera ai ministri dell’Economia della Ue Linea dura sul deficit Nessuna deroga

Nel fine settimana John Mauldin mette in prospettiva un argomento che affronteremo nel 2016 The Economic Impact of Evil

 “Il mercato unico europeo esemplifica il tipo di situazione che è sfavorevole ad una moneta unica. Si compone di paesi separati, i cui cittadini parlano lingue diverse, hanno diversi costumi e molto più attaccamento per il proprio paese che per il mercato unico o per l’idea di ‘Europa‘”.

The Dysfunctionality of Europe
The Euro: A Suboptimal Currency Union
The Economic Impact of Evil
Merkel’s Gate Redux
Hollande Shuts the EuroDoor
A Disunited Europe

Leggetevelo anche se sono cose che molti di Voi già conoscono, cose che molti non vogliono leggere o meglio fanno finta che non esistono.

Due sfide attendono l’Europa il prossimo anno, non sono solo la Grecia o il Portogallo o la Spagna e via dicendo, ma una possibile esplosione simultanea dei deficit dei paesi europei e la gestione della crisi dei rifugiati. Visto che in ogni momento tutto se lo domandano, come reagiranno i mercati all’invasione di nuovo debito?

Sino a quando un manipolo di falliti continuerà ad amministrare il loro stesso fallimento, sino a quando non ci libereremo di chi ha causato questa crisi, il realismo e pragmatismo sono la parola d’ordine principale oltre alla consapevolezza.

Sicilia 1943, l’ ordine di Patton: «Uccidete i prigionieri italiani»

Scritto da: Gianluca Di Feo
Fonte: http://www.disinformazione.it/generalepatton.htm

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I massacri dimenticati compiuti dai fanti americani tra il 12 e il 14 luglio.
«Il capitano Compton radunò gli italiani che si erano arresi. Saranno stati più di quaranta. Poi domandò: “Chi vuole partecipare all’esecuzione?”.
Raccolse due dozzine di uomini e fecero fuoco tutti insieme sugli italiani». «Il sergente West portò la colonna di prigionieri italiani fuori dalla strada. Chiese un mitra e disse ai suoi: “E’ meglio che non guardiate, così la responsabilità sarà soltanto mia”. Poi li ammazzò tutti». E’ una piccola Cefalonia: le vittime sono soldati italiani che avevano combattuto con determinazione. I carnefici non sono né delle SS né della Wehrmacht: sono fanti americani. Quella avvenuta in Sicilia tra il 12 e il 14 luglio 1943 è la pagina più nera della storia militare statunitense. Una pagina sulla quale gli storici negli Stati Uniti discutono da un lustro, mentre nel nostro Paese la vicenda è pressoché sconosciuta. Nelle università del Nord America ci sono corsi dedicati a questi eccidi, come quello tenuto a Montreal sul tema «Dal massacro di Biscari a Guantanamo». E negli Usa in queste settimane gli esperti di diritto militare valutano le responsabilità dei carcerieri di Abu Ghraib anche sulla base delle corti marziali che giudicarono i «fucilatori di italiani». Perché – come risulta dagli atti di quei processi – i soldati americani si difesero sostenendo di avere soltanto eseguito gli ordini di George Patton. «Ci era stato detto – dichiararono – che il generale non voleva prigionieri».

I fatti
Nessuno conosce il numero esatto di uomini dell’Asse uccisi dopo la resa. Almeno cinque gli episodi principali, con circa duecento morti. Di
due, quelli avvenuti nell’aeroporto di Biscari, nel Ragusano, si conosce ogni dettaglio. Nel massimo segreto, nell’autunno 43 la corte marziale Usa celebrò due processi: il sergente Horace T. West ammazzò 37 italiani, il plotone d esecuzione del capitano John C. Compton almeno 36. Gli atti del tribunale recitano: «Tutti i prigionieri erano disarmati e collaborativi». Altri due eccidi sono stati descritti da un testimone oculare, il giornalista britannico Alexander Clifford, in colloqui e lettere ora divulgate. Avvennero nell’aeroporto di Comiso, quello diventato famoso mezzo secolo dopo per gli euromissili della Nato. All’epoca era una base della Luftwaffe, contesa in una sanguinosa battaglia. Clifford disse che sessanta italiani, catturati in prima linea, vennero fatti scendere da un camion e massacrati con una mitragliatrice. Dopo pochi minuti, la stessa scena sarebbe stata ripetuta con un gruppo di tedeschi: sarebbero stati crivellati in cinquanta. Quando un colonnello, chiamato di corsa dal reporter, fermò il massacro, solo tre respiravano ancora. Clifford denunciò tutto a Patton, che gli promise di punire i colpevoli. Ma non ci fu mai un processo e il cronista si è rifiutato fino alla morte di deporre contro il generale. Infine l’ultima strage nella Saponeria Narbone-Garilli a Canicattì contro la popolazione che la stava saccheggiando. Secondo i resoconti stilati in quei giorni confusi del 43, la polizia militare Usa dopo avere intimato l’alt ed esploso dei colpi in aria, sparò una raffica sulla folla uccidendo sei persone. Ma i verbali scoperti nel 2002 dal professore Joseph Salemi della New York University – il cui padre fu testimone oculare dell’eccidio – riportano il racconto di alcuni dei soldati americani presenti: «Appena arrivati, il colonnello urlò di sparare sulla folla che era entrata nello stabilimento. Noi rimanemmo fermi, era un ordine agghiacciante. Allora lui impugnò la pistola ed esplose 21 colpi, cambiando caricatore tre volte. Morirono molti civili: vidi un bambino con lo stomaco sfondato dalle pallottole».

L’ordine
Ma gli atti dei processi per «i fatti di Biscari» accreditano la possibilità che le vittime siano state molte di più. Tutti i crimini sono stati opera della 45ma divisione di Patton, i «Thunderbirds»: reparti provenienti dalla Guardia nazionale di Oklahoma, New Mexico e Arizona. Vengono descritti come cow boy, con elementi d’origine pellerossa. Ma presero parte con coraggio ad alcune delle battaglie più dure del conflitto. Quello sulle coste siciliane fu il loro battesimo del fuoco: avevano l’ordine di conquistare entro 24 ore i tre aeroporti più vicini alla costa, strategici per trasferire dal Nord Africa gli stormi alleati. Invece la disperata resistenza di due divisioni italiane e di poche unità tedesche li fermò per quattro giorni. Molti G.I. persero il controllo dei nervi. Ed erano tutti convinti che il generale Patton avesse ordinato di non fare prigionieri. Decine di soldati, graduati ed ufficiali testimoniarono al processo: «Ci era stato detto che Patton non voleva prenderli vivi. Sulle navi che ci trasportavano in Sicilia, dagli altoparlanti ci è stato letto il discorso del generale. “Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! E finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!».

L’orrore
Il primo a scoprire e denunciare gli eccidi fu il cappellano della divisione, il colonnello William King. Alcuni soldati americani, sconvolti, lo chiamarono e gli indicarono la catasta dei corpi crivellati dal sergente West: «E’ una follia – gli dissero -, stanno ammazzando tutti i prigionieri. Siamo venuti in guerra per combattere queste brutalità non per fare queste porcherie. Ci vergogniamo di quello che sta accadendo». King corre a cercare il comando del reggimento. Ma lungo la strada per l’aeroporto vede un recinto di pietra, probabilmente un ovile, pieno di italiani catturati. Recita il verbale del cappellano: «Quando mi sono avvicinato, il caporale di guardia mi ha salutato: “Padre, sei venuto per seppellirli?”. “Cosa stai dicendo?”, replicai io. Il caporale rispose: “Loro sono lì, io sono qui con il mio mitra Thompson, tu sei lì. E ci hanno detto di non fare prigionieri”». A quel punto King sale su un masso, chiama tutti gli americani presenti e improvvisa una predica per convincerli a risparmiare quegli uomini: «Non potete ucciderli, i prigionieri sono una fonte preziosa di notizie sul nemico. E poi i loro camerati potrebbero vendicarsi sui nostri che hanno preso. Non fatelo!». Altrettanto drammatica la testimonianza del capitano Robert Dean: «Venni fermato da due barellieri disarmati. Mi dissero: “Abbiamo due italiani feriti, mandate qualcuno ad ammazzarli”. Io gli urlai di curare quei soldati, altrimenti gliela avrei fatta pagare”».

La condanna
Fu proprio la volontà del cappellano King a far nascere i due processi sui massacri di Biscari. King raccontò tutto all’ispettore dell’armata – figura simile ai nostri pubblici ministeri -, che fece rapporto a Omar Bradley. La corte marziale contro il sergente West si aprì a settembre. L’accusa: «Omicidio volontario premeditato, per avere ucciso con il suo mitra 37 prigionieri, deliberatamente e in piena coscienza, con un comportamento disdicevole». I fanti italiani – poco meno di 50 – erano stati catturati dopo un lungo combattimento in una caverna intorno all’aeroporto di Biscari. Il comandante li consegnò al sergente con un ordine ritenuto «vago» dai giudici: allontanarli dalla pista dove si sparava ancora. Nove testimoni hanno ricostruito l’eccidio. West mette gli italiani in colonna, dopo alcuni chilometri di marcia ne separa cinque o sei dal resto del gruppo. Poi si fa dare un mitra e conduce gli altri fuori dalla strada. Lì li ammazza, inseguendo quelli che tentano di scappare mentre cambia caricatore: uno dei corpi è stato trovato a 50 metri. Davanti alla corte, il sergente si difese invocando lo stress: «Sono stato quattro giorni in prima linea, senza mai dormire». Dichiarò di avere assistito all’uccisione di due americani catturati dai tedeschi, cosa che lo «aveva reso furioso in modo incontrollato». Il suo avvocato parlò di «infermità mentale temporanea». Infine, West disse ai giudici: «Avevamo l’ordine di prendere prigionieri solo in casi estremi». Ma la sua difesa non convinse la corte, che lo condannò all’ergastolo. La pena però non venne mai eseguita. Washington infatti era terrorizzata dalle possibili ripercussioni di quei massacri. Temeva il danno d’immagine sugli italiani – con cui era stato appena concluso l’armistizio – e il rischio di ritorsioni sugli alleati reclusi in Germania. Si decise di non mandare West in una prigione negli Usa ma di tenerlo agli arresti in una base del Nord Africa. Poi la sorella cominciò a scrivere al ministero e a sollecitare l’intervento del parlamentare della sua contea. Il vertice dell’esercito teme
che la vicenda possa finire sui giornali. Il 1° febbraio 1944 il capo delle pubbliche relazioni del ministero della Guerra sollecita al comando alleato
di Caserta un «atto di clemenza» per West: «Non possiamo – è il testo della lettera pubblicata da Stanley Hirshson nel 2002 – permettere che questa storia venga pubblicizzata: fornirebbe aiuto e sostegno al nemico. Non verrebbe capita dai cittadini che sono così lontani dalla violenza degli scontri». Così dopo solo sei mesi, West viene rilasciato e mandato al fronte. Secondo alcune fonti, morì a fine agosto in Bretagna. Secondo
altre, ha concluso la guerra indenne.

L’assoluzione 
Invece il 23 ottobre 43 il capitano John C. Compton non cercò scuse: davanti alla corte marziale disse solo di avere obbedito agli ordini. Nel processo fu ricostruita la battaglia per la base di Biscari, combattuta per tutta la notte. C’era una postazione nascosta su una collina che continuava a bersagliare la pista. E una mischia feroce, con tiri di mitragliatrici e mortai, senza una linea del fronte. L’unità di Compton aveva avuto dodici caduti in poche ore. A un certo punto, un soldato statunitense vede un italiano in divisa e un altro in abiti «borghesi» che escono da una ridotta: sventolano una bandiera bianca. L’americano si avvicina e dalla trincea alzano le mani circa quaranta uomini. Cinque hanno giacche e maglie civili sopra i pantaloni e gli stivali militari. Il soldato li consegna al sergente ma arriva il capitano. Compton non perde tempo: dice di ucciderli. Molti dei suoi si offrono volontari: sparano in 24, esplodendo centinaia di pallottole sul mucchio degli italiani. Il numero esatto delle vittime resta incerto ma l’inchiesta si conclude con l’incriminazione del solo ufficiale per 36 omicidi, scagionando i suoi subordinati. E Compton in aula dichiara che l’ordine era quello, che doveva uccidere i nemici che continuavano a resistere a distanza ravvicinata. Inoltre precisa che quegli italiani erano «sniper», termine traducibile come «cecchini» o «franchi tiratori», e quindi andavano fucilati: una linea difensiva che sarebbe stata suggerita dallo stesso Patton. «Li ho fatti uccidere perché questo era l’ordine di Patton – concluse il capitano -. Giusto o sbagliato, l’ordine di un generale a tre stelle, con un esperienza di combattimento, mi basta. E io l’ho eseguito alla lettera». Tutti i testimoni – tra cui diversi colonnelli – confermarono le frasi di Patton, quel terribile «se si arrendono solo quando gli sei addosso, ammazzali». Alcuni riferirono anche che Patton aveva detto: «Più ne prendiamo, più cibo ci serve. Meglio farne a meno». Compton fu assolto. Il responsabile dell’inchiesta William R. Cook fu tentato di presentare appello: «Quell’assoluzione era così lontana dal senso americano della giustizia – scrisse – che un ordine del genere doveva apparire illegale in modo lampante». Ma nel frattempo Cook era caduto al fronte. Ironia della sorte, si crede che sia stato colpito da un cecchino mentre cercava di avvicinarsi a dei tedeschi con la bandiera bianca. La sua assoluzione è però diventato un caso giuridico, che ha cominciato a circolare tra il personale della giustizia militare statunitense dopo la fine della guerra. Un precedente «riservato» anche per evitare che influisca sui processi ai criminali di guerra nazisti. Poi nel ’73 una traccia nei diari di Patton pubblicati da Martin Blumenson e nell’83 la prima descrizione completa nell’autobiografia del generale Omar Bradley. Oggi alcuni storici americani – assolutamente non sospettabili di revisionismo – ritengono che sulla base della sentenza Compton andavano assolte le SS fucilate per gli omicidi di prigionieri americani. E mentre negli Stati Uniti da 25 anni si pubblicano studi sul «massacro di Biscari» e le sue ripercussioni – il primo nel 1988 fu di James J. Weingartner, l’ultimo nel 2002 è stato di Hirshson – nel nostro Paese la vicenda è stata sostanzialmente ignorata. Vent’anni fa nel volume dello statunitense Carlo d’Este sullo sbarco in Sicilia, tradotto da Mondadori, la questione era relegata in un capoverso. Poi, ultimamente due introvabili scritti di storici siciliani e una pagina nel documentato volume di Alfio Caruso. Mai però un iniziativa per ricordare quei soldati, rimasti senza nome. Mentre persino Biscari non esiste più: oggi il paese si chiama Acate.

Argentina in crisi. Ma la borsa vola

Scritto da: Matteo Cavallito
Fonte: http://www.valori.it/internazionale/argentina-in-crisi-ma-la-borsa-vola-10799.html

Buenos Aires, Plaza de la República e Obelisco. Foto: Dalibor Ribičić (Wikimedia Commons)

I mercati finanziari scoprono un fuoriclasse del tutto inatteso: la borsa di Buenos Aires. Apparentemente indifferente all’onda lunga della crisi degli emergenti e sostanzialmente immune dalle debolezze economiche del Paese, la principale piazza finanziaria dell’Argentina registra da tempo una performance davvero invidiabile. Lo riferisce la CNBC. L’indice di riferimento della borsa locale, segnala in particolare l’emittente americana citando le cifre diffuse da S&P Capital IQ, ha guadagnato il 36% dall’inizio dell’anno centrando così la seconda miglior prestazione mondiale del 2015 nella sua categoria.

I risultati ottenuti nel mercato finanziario, in ogni caso, contrastano con il panorama macroeconomico del Paese. Protagonista nell’estate 2014 dell’ottavo default tecnico della sua storia, l’Argentina sconta da tempo una decisa carenza di riserve (un problema particolarmente pressante in un contesto di forte inflazione) e una preoccupante crescita del tasso di povertà. Le stime economiche per il biennio 2015-16 restano contrastanti. La Banca Mondiale (dati di ottobre) stima una crescita piuttosto modesta sia per l’anno in corso (+0,7%) che per quello successivo (+0,9%). Il Fondo Monetario Internazionale, da parte sua, ipotizza un’espansione ancor più ridotta per il 2015 (+0,4%) e addirittura una svolta recessiva (-0,7%) per il 2016.

Domenica, intanto, il Paese andrà al volto per eleggere il successore di Cristina Kirchner alla presidenza della repubblica. La sfida principale contrappone il candidato della destra e attuale sindaco di Buenos Aires Mauricio Macri, e il peronista Daniel Scioli, sostenuto dall’attuale maggioranza di governo. Scioli, dicono gli ultimi sondaggi disponibili, resta favorito. Ma il suo margine di vantaggio sull’avversario appare davvero risicato.

La bufala dell’olio di palma ‘sostenibile’ che distrugge le foreste in Indonesia

Scritto da: Marta Albè
Fonte: http://www.greenme.it/informarsi/agricoltura/18383-olio-palma-sostenbile-deforestazione

olio di palma sostenibile deforestazione indonesia

L’olio di palma ‘sostenibile’ distrugge le foreste in Indonesia. Tra i responsabili della distruzione delle foreste indonesiane sono presenti le compagnie produttrici di olio di palma cosiddetto ‘sostenibile’. Lo rivela l’ultima inchiesta di Greenpeace sulla deforestazione e la produzione di olio di palma nel Borneo indonesiano.

L’Indonesia è stata colpita negli ultimi mesi da una vera e propria crisi ambientale e sanitaria. I ricercatori di Greenpeace hanno esaminato 3 piantagioni della regione occidentale e centrale del Kalimantan, il Borneo indonesiano.

Le piantagioni sono di proprietà delle compagnie indonesiane IOI Group, Bumitama Agri Ltd e Alas Kusuma Group. Aziende che fanno parte di importanti enti di certificazione di sostenibilità, tra cui la Tavola Rotonda per l’Olio di Palma Sostenibile (RSPO) e il Forest Stewardship Council (FSC).

Greenpeace chiede ad RSPO e FSC di agire tempestivamente per fare chiarezza su quanto accaduto ed espellere le aziende complici del dilagare degli incendi che distruggono le foreste torbiere e soffocano il Sud-Est asiatico.

L’olio di palma sostenibile esiste davvero o è solo una chimera?

Greenpeace ci informa che l’olio di palma ricavato da queste piantagioni viene immesso sul mercato da commercianti di materie prime come Wilmar International, IOI Loders Croklaan e Golden Agri Resources, e arriva anche nei prodotti di quei marchi internazionali che hanno adottato politiche di “No deforestazione”.

“Per risolvere il problema alla radice è indispensabile che le compagnie che acquistano e utilizzano materie prime indonesiane lavorino insieme per far rispettare un impegno globale del settore contro l’uso di olio di palma da deforestazione” – ha sottolineato Greenpeace.

Vista la scarsa affidabilità degli schemi RSPO (su cui avevamo già riflettuto qualche tempo fa) nel 2014 è nato il Palm Oil Innovations Group (POIG), con l’obiettivo di spezzare il legame tra la produzione di olio di palma e la deforestazione.

Questo gruppo, che riunisce compagnie che producono e utilizzano olio di palma e ONG ambientaliste, mira a rafforzare e rendere più ambiziosi gli standard dell’RSPO, concentrandosi su tre tematiche: responsabilità ambientale, partnership con comunità locali e integrità aziendale e di prodotto.

Di recente hanno aderito a questa iniziativa marchi come Ferrero, Danone, Stephenson e Boulder, così come il gigante indonesiano dell’olio di palma Musim Mas Group.

Poche settimane fa, il presidente indonesiano Joko Widodo ha promesso di bandire ogni ulteriore sviluppo delle attività produttive che vadano a discapito delle torbiere, anche all’interno di concessioni già esistenti. Purtroppo però l’assegnazione delle terre è spesso legata alla corruzione, secondo quanto comunicato da Greenpeace.

E’ così che dal 1990 ad oggi l’Indonesia ha perso un quarto delle sue foreste a causa dell’espansione indiscriminata delle piantagioni di palma da olio e cellulosa. Sono dunque necessarie azioni molto più urgenti per arrestare la deforestazione.

Leggi e scarica qui il report di Greenpeace “Under Fire”.

Scoperto un massacro nel sito elamita di Haft Tappeh

Fonte: Università Johannes Gutenberg Magonza – https://www.uni-mainz.de/presse/19776_ENG_HTML.php
Traduzione/fonte: http://ilfattostorico.com/2015/11/10/scoperto-un-massacro-nel-sito-elamita-di-haft-tappeh/

Una statuetta femminile rinvenuta a Haft Tappeh, XV secolo a.C. (Behzad Mofidi-Nasrabadi)

I recenti scavi condotti dall’archeologo Behzad Mofidi-Nasrabadi dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza, nel sito di Haft Tappeh in Iran, hanno scoperto un edificio con un prezioso archivio di tavolette d’argilla. L’archivio risale a quando la città era diventata un centro importante nel regno di Elam, e registra l’espansione di commercio, arti e mestieri.

Tuttavia, verso la fine del XIV secolo a.C., la città cominciò a declinare per ragioni sconosciute. Alcuni dei suoi templi e palazzi furono abbandonati, e i loro materiali riutilizzati per costruire delle semplici abitazioni. I resti di diverse centinaia di vittime di un massacro, risalenti a 3.400 anni fa, sono stati rinvenuti ammucchiati uno sull’altro.

Haft Tappeh (Behzad Mofidi-Nasrabadi)

Gli archeologi dell’Università Johannes Gutenberg di Magonza studiano il sito elamita di Haft Tappeh, sede dell’antica città di Kabnak nell’Iran sudoccidentale, dal 2002. I loro scavi hanno svelato importanti informazioni sulla struttura della città e sul suo sviluppo storico, ma hanno anche trovato le prove di una tragedia umana avvenuta 3.400 anni fa.

A metà del secondo millennio a.C., a circa 15 km a sud dalla capitale Susa, Haft Tappeh cominciò a crescere, fino a diventare il centro più di rilievo del regno di Elam. In un periodo di tempo relativamente breve, i re elamiti Tepti-ahar e Inshushinak-shar-ilani costruirono degli edifici monumentali come templi e palazzi, e l’estensione dalla città arrivò a circa 250 ettari. La città continuò a prosperare per circa cento anni, durante i quali vennero stabilite delle relazioni commerciali e politiche con gli stati vicini, come Babilonia.

Il regno di Elam (wikimedia)

Tracce di questa prosperità includono dei lussuosi beni funerari trovati nella tomba di una funzionaria donna, e una statuetta femminile.

Oggetti funerari rinvenuti in una tomba di Haft Tappeh, XV secolo a.C. (Behzad Mofidi-Nasrabadi)

La scoperta di un archivio di tavolette d’argilla registra questa crescita, che però sembra arrestarsi verso la fine del XIV secolo a.C. per motivi non chiariti. Alcuni degli edifici monumentali furono abbandonati, e i materiali presi dalle loro rovine furono successivamente impiegati dalla popolazione per costruire delle semplici case.

Il team di archeologi dell’Università di Magonza, diretto da Behzad Mofidi-Nasrabadi, ha poi scoperto che una parte della popolazione della città venne massacrata. È stata infatti rinvenuta una fossa comune contenente i resti scheletrici di diverse centinaia di persone. I morti erano stati semplicemente ammucchiati a casaccio uno sull’altro, dietro un muro.

La fossa comune di Haft Tappeh (Behzad Mofidi-Nasrabadi)

La German Research Foundation (DFG) ha recentemente approvato il finanziamento per continuare il progetto. Sarà possibile proseguire gli scavi e approfondire questa tragedia e il suo contesto storico.