Smog killer a Pechino, il governo censura il Twitter cinese

Scritto da: Umberto Mazzantini
Fonte: http://www.greenreport.it/news/smog-killer-pechino/

smog-cina-320x234Greenpeace China ha definito la Capitale non adatta alla sopravvivenza degli esseri umani

Ma la airpocalypse che parte dalla Cina riguarda tutti: fino al 24% del solfato che danneggia gli Usa arriva dal Paese del dragone.

Lo smog chimico che avvolge da settimane l’immensa area metropolitana di Pechino ha creato una situazione che un rapporto di Greenpeace China ha definito non adatta alla sopravvivenza degli esseri umani. Il governo cinese, che nonostante i continui annunci di limitazione del traffico automobilistico e di chiusura delle fabbriche più inquinanti, non sembra in grado di gestire una situazione che sembra aver raggiunto il punto di non ritorno, non ha trovato di meglio che censurare i messaggi critici postati sul Sina Weibo, il più popolare sito di social media del Paese, considerato il Twitter della Cina.

La pazienza dei pechinesi e di chi abita nelle regioni nei dintorni della capitale cinese sembra essere finita dopo una settimana di smog venefico, ancora peggiore degli episodi precedenti. Secondo la Radio nazionale della Cina, il numero di pazienti con asma e enfisema che cercano aiuto negli ospedali di Pechino è raddoppiato.

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Nonostante un fronte freddo arrivato il 26 febbraio abbia disperso molti inquinanti, la situazione dell’inquinamento a Pechino e in molte altre città cinesi è così drammatica che su Sina Weibo sono cominciati ad apparire messaggi con dure critiche all’inefficienza del governo. Cosa rarissima nella Repubblica popolare, e la cosa ancora più eclatante è che le critiche sono state riprese da media statali, i quali  hanno ripubblicato due articoli del New York Times e della Reuters sui fallimenti ambientali del governo. Entrambi i posti sono stati condivisi su Sina Weibo, ma sono stati rapidamente fatti sparire dalla censura che tiene sotto controllo il “Twitter cinese”.

L’articolo del New York Times “In Beijing, Complaints About Smog Grow Louder and Retaliation Grows Swifter” rilancia quanto scrive il China Central Television Finance Channel, che pubblica le critiche verso i comportamenti della popolazione, degli enti locali e del governo centrale cinese per la “airpocalypse” dello smog, che questa settimana a Pechino ha raggiunto un livello che supera di 20 volte quello  considerato sicuro dall’Organizzazione mondiale della sanità.

E gli internauti su Sina Weibo hanno cominciato a postare le domande che si fanno i giornalisti stranieri: «C’è qualcuno che si preoccupa ancora per lo smog di Pechino?». In particolare ha fatto furore il post «il governo municipale di Pechino non si nasconda dietro lo spesso smog». La China Central Television Finance Channel è arrivata a dire «la gente  diventa intorpidita. Il governo deve proteggere il suo territorio e non agire in maniera indifferente».

Radio Free Asia dice che insieme ai due articoli che sono stati eliminati da internet, da Sina Weibo sono stati rapidamente fatti sparire anche tutti i riferimenti ad un rapporto dell’Accademia delle scienze sociali di Shanghai, che dichiara Pechino “invivibile”.

E’ molto probabile che il governo comunista abbia imposto la censura dopo che non era scattata quella autoimposta di Sina Corp, la società privata che gestisce Sina Weibo, che ha in atto un radicale cambio del sito e che non sembra avere più interesse a censurare i commenti.

Ma il governo cinese ha messo all’opera la sua polizia internet, forte di circa 50.000 persone, che collabora con 300.000 membri del Partito comunista in quello che è stato definito da The Atlantic e da Pro Publica «il più ampio sforzo mai attuato per censurare selettivamente l’espressione umana». Come fa notare la Reuters gli articoli della China Central Television non saranno presi alla leggera da «un governo ossessionato dalla stabilità, che vuole essere visto come duro sull’inquinamento dagli abitanti delle città più ricche, stanchi di un modello di crescita economica a tutti i costi che ha contaminato gran parte dell’aria, dell’acqua e del suolo della Cina».

Siccome in Cina niente accade per caso, è chiaro che se una televisione pubblica critica governo e municipalità di Pechino c’è qualcuno di molto potente dietro a queste critiche. Forse anche per questo  l’amministrazione della Capitale cinese ha annunciato per l’ennesima volta un inasprimento delle misure contro l’inquinamento a partire dal primo marzo, quando l’Ufficio municipale per la protezione dell’ambiente  avvierà la prima settimana di applicazione della legge ambientale approvata a gennaio.

L’iniziativa sarà poi ripetuta ogni prima settimana di tutti i mesi e dedicata, scrive l’agenzia ufficiale Xinhua, volta «a trattare i problemi riportati dall’opinione pubblica, che vanno dalle caldaie a carbone alle emissioni industriali. La prima settimana del genere che inizierà sabato avrà come obiettivo principalmente le centrali a carbone che producono il riscaldamento invernale o gli eccessi di emissioni constatati nel 2013».

Anche Xinhua è consapevole della crescente insofferenza e sottolinea che «il nuovo regolamento molto atteso è visto come un test della determinazione del governo a risolvere i problemi di inquinamento dell’aria. Tra le nuove misure adottate ce n’è una che legifera su pene che vanno da pesanti ammende fino alla prigione per gli inquinatori e, per la prima volta, una che fissa un limite per il totale di emissioni dei principali inquinanti. Una precedente linea guida prendeva di mira solo l’aumento delle emissioni».

Se è chiaro che il governo centrale sta cercando di scaricare sulle amministrazioni locali la colpa di non aver applicato le direttive antinquinamento nazionali, è altrettanto chiaro che il regime non può certo dichiararsi incolpevole di quel che (non) combinano gli alti dirigenti del Partito comunista che governano le metropoli cinesi.

Anche per questo il presidente cinese  Xi Jinping ha cominciato il 26 febbraio un tour nell’immensa area metropolitana di Pechino per parlare degli sforzi da fare per la lotta contro l’inquinamento. Secondo Xi, «la protezione dell’ambiente a Pechino necessita di un approccio di ingegneria sistematica. A questo problema deve essere data una maggiore attenzione perché l’inquinamento dell’aria è un problema importante che tocca la qualità della vita della popolazione».

Il Presidente cinese ha sollecitato anche a «rafforzare gli sforzi per tenere sotto controllo lo smog», e ha detto che «la priorità è quella di limitare i PM2,5, soprattutto riducendo la dipendenza dal carbone, controllando in modo stringente i veicoli ed adeguando gli impianti industriali».

Il problema è che la crescita cinese si basa per il 70% proprio sull’energia prodotta con il carbone, e che circa il 20% dell’inquinamento atmosferico cinese è causato da fabbriche che producono beni da esportare verso altri Paesi (compresi ovviamente quelli dell’Unione europea, e gli Usa). Se il più popoloso Paese del mondo continuerà su questa strada  caricherà ogni anno nell’atmosfera 4 miliardi di CO2. E la “airpocalypse” cinese non riguarda solo la Cina: secondo lo studio “China’s international trade and air pollution in the United States” pubblicato a gennaio su Pnas da un team di scienziati cinesi, francesi, britannici e statunitensi, in alcuni giorni, l’inquinamento cinese trasportato dal  vento attraverso l’Oceano Pacifico, può rappresentare dal 12 al 24% delle concentrazioni di solfato negli Usa.

Li Junfeng, direttore generale del National Center for Climate Change Strategy and International Cooperation, intervenendo il 23 febbraio ad una Conferenza a Pechino, in una sola frase ha riassunto la situazione: «L’inquinamento in  Cina è in una fase insopportabile. E’ come se un fumatore dovesse smettere di fumare tutto di un colpo, altrimenti rischia di ammalarsi di cancro ai polmoni».

Lo smog chimico che avvolge da settimane l’immensa area metropolitana di Pechino ha creato una situazione che un rapporto di Greenpeace China ha definito non adatta alla sopravvivenza degli esseri umani. Il governo cinese, che nonostante i continui annunci di limitazione del traffico automobilistico e di chiusura delle fabbriche più inquinanti, non sembra in grado di gestire una situazione che sembra aver raggiunto il punto di non ritorno, non ha trovato di meglio che censurare i messaggi critici postati sul Sina Weibo, il più popolare sito di social media del Paese, considerato il Twitter della Cina.

La pazienza dei pechinesi e di chi abita nelle regioni nei dintorni della capitale cinese sembra essere finita dopo una settimana di smog venefico, ancora peggiore degli episodi precedenti. Secondo la Radio nazionale della Cina, il numero di pazienti con asma e enfisema che cercano aiuto negli ospedali di Pechino è raddoppiato.

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Nonostante un fronte freddo arrivato il 26 febbraio abbia disperso molti inquinanti, la situazione dell’inquinamento a Pechino e in molte altre città cinesi è così drammatica che su Sina Weibo sono cominciati ad apparire messaggi con dure critiche all’inefficienza del governo. Cosa rarissima nella Repubblica popolare, e la cosa ancora più eclatante è che le critiche sono state riprese da media statali, i quali  hanno ripubblicato due articoli del New York Times e della Reuters sui fallimenti ambientali del governo. Entrambi i posti sono stati condivisi su Sina Weibo, ma sono stati rapidamente fatti sparire dalla censura che tiene sotto controllo il “Twitter cinese”.

L’articolo del New York Times “In Beijing, Complaints About Smog Grow Louder and Retaliation Grows Swifter” rilancia quanto scrive il China Central Television Finance Channel, che pubblica le critiche verso i comportamenti della popolazione, degli enti locali e del governo centrale cinese per la “airpocalypse” dello smog, che questa settimana a Pechino ha raggiunto un livello che supera di 20 volte quello  considerato sicuro dall’Organizzazione mondiale della sanità.

E gli internauti su Sina Weibo hanno cominciato a postare le domande che si fanno i giornalisti stranieri: «C’è qualcuno che si preoccupa ancora per lo smog di Pechino?». In particolare ha fatto furore il post «il governo municipale di Pechino non si nasconda dietro lo spesso smog». La China Central Television Finance Channel è arrivata a dire «la gente  diventa intorpidita. Il governo deve proteggere il suo territorio e non agire in maniera indifferente».

Radio Free Asia dice che insieme ai due articoli che sono stati eliminati da internet, da Sina Weibo sono stati rapidamente fatti sparire anche tutti i riferimenti ad un rapporto dell’Accademia delle scienze sociali di Shanghai, che dichiara Pechino “invivibile”.

E’ molto probabile che il governo comunista abbia imposto la censura dopo che non era scattata quella autoimposta di Sina Corp, la società privata che gestisce Sina Weibo, che ha in atto un radicale cambio del sito e che non sembra avere più interesse a censurare i commenti.

Ma il governo cinese ha messo all’opera la sua polizia internet, forte di circa 50.000 persone, che collabora con 300.000 membri del Partito comunista in quello che è stato definito da The Atlantic e da Pro Publica «il più ampio sforzo mai attuato per censurare selettivamente l’espressione umana». Come fa notare la Reuters gli articoli della China Central Television non saranno presi alla leggera da «un governo ossessionato dalla stabilità, che vuole essere visto come duro sull’inquinamento dagli abitanti delle città più ricche, stanchi di un modello di crescita economica a tutti i costi che ha contaminato gran parte dell’aria, dell’acqua e del suolo della Cina».

Siccome in Cina niente accade per caso, è chiaro che se una televisione pubblica critica governo e municipalità di Pechino c’è qualcuno di molto potente dietro a queste critiche. Forse anche per questo  l’amministrazione della Capitale cinese ha annunciato per l’ennesima volta un inasprimento delle misure contro l’inquinamento a partire dal primo marzo, quando l’Ufficio municipale per la protezione dell’ambiente  avvierà la prima settimana di applicazione della legge ambientale approvata a gennaio.

L’iniziativa sarà poi ripetuta ogni prima settimana di tutti i mesi e dedicata, scrive l’agenzia ufficiale Xinhua, volta «a trattare i problemi riportati dall’opinione pubblica, che vanno dalle caldaie a carbone alle emissioni industriali. La prima settimana del genere che inizierà sabato avrà come obiettivo principalmente le centrali a carbone che producono il riscaldamento invernale o gli eccessi di emissioni constatati nel 2013».

Anche Xinhua è consapevole della crescente insofferenza e sottolinea che «il nuovo regolamento molto atteso è visto come un test della determinazione del governo a risolvere i problemi di inquinamento dell’aria. Tra le nuove misure adottate ce n’è una che legifera su pene che vanno da pesanti ammende fino alla prigione per gli inquinatori e, per la prima volta, una che fissa un limite per il totale di emissioni dei principali inquinanti. Una precedente linea guida prendeva di mira solo l’aumento delle emissioni».

Se è chiaro che il governo centrale sta cercando di scaricare sulle amministrazioni locali la colpa di non aver applicato le direttive antinquinamento nazionali, è altrettanto chiaro che il regime non può certo dichiararsi incolpevole di quel che (non) combinano gli alti dirigenti del Partito comunista che governano le metropoli cinesi.

Anche per questo il presidente cinese  Xi Jinping ha cominciato il 26 febbraio un tour nell’immensa area metropolitana di Pechino per parlare degli sforzi da fare per la lotta contro l’inquinamento. Secondo Xi, «la protezione dell’ambiente a Pechino necessita di un approccio di ingegneria sistematica. A questo problema deve essere data una maggiore attenzione perché l’inquinamento dell’aria è un problema importante che tocca la qualità della vita della popolazione».

Il Presidente cinese ha sollecitato anche a «rafforzare gli sforzi per tenere sotto controllo lo smog», e ha detto che «la priorità è quella di limitare i PM2,5, soprattutto riducendo la dipendenza dal carbone, controllando in modo stringente i veicoli ed adeguando gli impianti industriali».

Il problema è che la crescita cinese si basa per il 70% proprio sull’energia prodotta con il carbone, e che circa il 20% dell’inquinamento atmosferico cinese è causato da fabbriche che producono beni da esportare verso altri Paesi (compresi ovviamente quelli dell’Unione europea, e gli Usa). Se il più popoloso Paese del mondo continuerà su questa strada  caricherà ogni anno nell’atmosfera 4 miliardi di CO2. E la “airpocalypse” cinese non riguarda solo la Cina: secondo lo studio “China’s international trade and air pollution in the United States” pubblicato a gennaio su Pnas da un team di scienziati cinesi, francesi, britannici e statunitensi, in alcuni giorni, l’inquinamento cinese trasportato dal  vento attraverso l’Oceano Pacifico, può rappresentare dal 12 al 24% delle concentrazioni di solfato negli Usa.

Li Junfeng, direttore generale del National Center for Climate Change Strategy and International Cooperation, intervenendo il 23 febbraio ad una Conferenza a Pechino, in una sola frase ha riassunto la situazione: «L’inquinamento in  Cina è in una fase insopportabile. E’ come se un fumatore dovesse smettere di fumare tutto di un colpo, altrimenti rischia di ammalarsi di cancro ai polmoni».

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Umberto Mazzantini

Materiali a contatto con gli alimenti: quali sono gli effetti a lungo termine sulla salute? La denuncia dai ricercatori della Food Packaging Forum Foundation

Scritto da: Beniamino Bonardi; Eleonora Viganò
Fonte: http://www.ilfattoalimentare.it/

92572493(Foto: Photos.com)Dagli studi sull’influenza dell’inquinamento sui disturbi cardiovascolari alle domande sul packaging per alimenti e i suoi possibili effetti a lungo termine: è questo lo step successivo nell’analisi delle correlazioni tra ambiente e salute. La ricerca epidemiologica si trova infatti di fronte a una nuova sfida: l’influenza dei materiali a contatto con gli alimenti sulla salute umana.

Sono oltre quattromila le sostanze chimiche che vengono a contatto con i cibi nei processi di trasformazione industriale e nel packaging alimentare, i cui effetti a lungo termine sulla salute sono ancora ignoti. Si tratta di un’esposizione permanente a potenziali rischi, di fronte a cui la scienza, la politica e l’industria mostrano ancora poco interesse.

La denuncia viene da alcuni ricercatori, tra cui Jane Munckel, della svizzera Food Packaging Forum Foundation, in un articolo pubblicato dal Journal of Epidemiology and Community Health, che fa parte del gruppo British Medical Journal. Gli autori avvertono che non sarà facile monitorare e valutare gli effetti di decenni di esposizione a queste sostanze chimiche, perché non ci sono gruppi di persone che non sono state esposte a prodotti alimentari confezionati, trasformati e conservati. In assenza di questi gruppi non è possibile condurre uno studio comparativo tra chi ha subìto gli effetti del packaging presente negli alimenti e chi no.

 

Beniamino Bonardi

© Riproduzione riservata

Foto: Photos.com

Il Cairo, i buchi neri della rivoluzione

Scritto da: Enrico campofreda
Fonte: http://enricocampofreda.blogspot.it/
rsz_spinato_a_tahrir-ef1a7IL CAIRO – Non solamente Fratelli, anche compagni, amici, attivisti e supporter delle curve. Chi non è nelle galere di Al-Sisi sta lontano dalle strade e quando ci va si mescola alla folla. L’unica folla ammessa per via è quella vociante del commercio oppure in perenne transito su auto private e bus collettivi e, in certi anfratti del centro e nelle periferie, su carretti e cavalli. Riunirsi in strada anche a piccoli gruppi è considerato reato, una messa in pericolo della sicurezza nazionale recita il decreto dell’amato super ministro della difesa e presidente in pectore. Chi lo fa rischia cinque anni di prigione e può finire ad Abu Zaabal o similia. Nei mesi di protesta anti golpe di arresti ce ne sono stati a migliaia, soprattutto fra i militanti delle quattro dita, ma pure fra i Tamarrod pentiti e fra i ragazzi di Tahrir ormai ridotti al lumicino. Nella zona e dintorni c’è un pullulare di uomini che hanno l’aspetto inconfondibile e globale del poliziotto in borghese. Occhi che guardano attorno, fumando, fingendo di leggere improbabili giornali o scrutando il panorama. Magari la paranoia cammina fra la gente, ma chi è conosciuto, segnalato o ha nemici sull’altra sponda politica usa la giusta cautela.
È il motivo per cui ora diventa difficile incontrare agitatori della Primavera o semplici partecipanti. Con l’aria che tira nessuno si fida e anche i personali contatti con egiziani d’Italia già preannunciavano questo letargo dei protestatari. Piccoli fuochi sono ancora accesi, l’altro ieri ad esempio nella zona di Al-Nasr c’è stata l’apparizione, più simbolica che di effettiva contestazione, di sparuti ragazzi di Rabaa. La normalizzazione è il desiderio della maggioranza cairota, è quel che appare sui media, è una speranza che vorrebbe conferme eppure vive nell’inquietudine. Di rivedere la sfilza di promesse non mantenute, secondo quanto dichiarato dai rivoluzionari della prim’ora riguardo a senso di giustizia, rilancio della dignità, lotta alla corruzione che insieme a democrazia, libertà e cancellazione della povertà erano i punti base della Rivoluzione del 25 gennaio. La Primavera incompiuta e tradita dalla stessa Brotherhood che sui moti di piazza aveva costruito la sua campagna per la presa del potere. Col mezzo democratico del voto, ma pur sempre con l’intento di riscattare per sé gli ottant’anni di esclusione dalle stanze dei bottoni.

Come loro altri apprendisti stregoni: il trio ElBaradei-Sabbahi-Moussa del Fronte di Salvezza Nazionale, che ha lanciato la famosa raccolta di firme per sfiduciare Mursi e le successive ciclopiche manifestazioni culminate con la defenestrazione manu militari del presidente. Così talune riflessioni di noti attivisti laici, colpiti dagli effetti della Sisimanìa, oggi giungono a un’amara considerazione. Se quello della Fratellanza diventava un regime autoritario che è stato giusto bloccare, la svolta del golpe di velluto – un velluto tinto di rosso – è addirittura più inquietante. Perché soffoca la democrazia, si sostituisce a essa, ripropone la rappresentanza drogata dell’era Mubarak come dimostra il recente referendum costituzionale votato dal 38% dell’elettorato. Uno, due, tre passi indietro se viene colpito il vero elemento rivoluzionario rappresentato dalla partecipazione diretta, dal senso collettivo, dalla volontà di offrire cultura al popolo. Era questo il fulcro del fitto parlare sotto le tende di Tahrir nei giorni che precedettero la caduta del raìs. E nel ritorno dell’autunno 2011 su quelle aiuole, ridiventate vivace agorà anziché grande rotatoria della giostra di automobili rombanti in una città votata all’individualismo.
È attorno a questo spirito che l’Egitto si sta dividendo da tre anni. Laici e islamisti è una ma non la più profonda chiave di lettura, seppure gli estremismi di alcuni settori (feloul e fondamentalisti) hanno segnato col sangue delle reciproche fucilate un tentativo di conflitto, anche armato, fra le parti. C’è chi ha detto di lasciare ai professionisti del grilletto questa sfida, infatti Servizi e qaedisti hanno ultimamente preso la scena. La ben più reale lotta che s’intraprende in città e campagna avviene attorno a volere cambiare registro sul sistema. Finora i ribelli di Tahrir, in gran parte laici ma anche Fratelli come dimostra più d’un martire già in epoca Tantawi, hanno discusso di sovrastruttura senza parlare di come scardinare uno Stato che continua a essere retto da dollari e paura. Ai politici di professione di sponda liberale e nasseriana, il capitale anche imperialista, piace. E piace a tanti imprenditori islamisti legati agli affari, personali o marchiati dalla Confraternita. Preghiera e impresa fanno il paio con le chiacchiere e il businness dell’altro versante politico. In faccia a tutto: alla tradizione, alla cultura, al culto stesso. Come fa una delle famiglie d’oro del Cairo che conta, importatrice unica dei marchi Pepsi, Vodafone, Kia, Renault che decide di costruire un megastore di fronte alla Moschea di Alì sulla collina della Cittadella. E magari ci riuscirà. Mentre a Moqqattam si fa la fila per il pane, flash d’un Paese immutato neanche regnasse ancora Faruq.

Mal di grano: la cura è nel piatto

Fonte: http://www.aamterranuova.it/Novita-dal-mondo-Terra-Nuova/Mal-di-grano-la-cura-e-nel-piatto

Mal-di-grano-la-cura-e-nel-piatto_article_bodyCeliachia e sensibilità al glutine sono patologie sempre più diffuse. Anche in questi casi, un’alimentazione naturale, bilanciata e variegata può davvero fare la differenza.
Siamo ciò che mangiamo: è quanto mai vero quando si parla di celiachia, malattia che si manifesta quando un organismo geneticamente predisposto attiva, in presenza della sostanza estranea che in questo caso è costituita dal glutine o dai suoi sottoprodotti, particolari anticorpi allo scopo di neutralizzare l’intruso. La celiachia esige l’eliminazione dalla dieta di tutti i cibi che contengono glutine. Le diagnosi sono in aumento anche grazie alla maggior conoscenza del problema e nel nostro Paese e nel mondo l’incidenza è di 1 persona su 100. Secondo l’Associazione italiana celiachia (Aic) sono ormai più di 135 mila i celiaci in Italia, anche se il fenomeno delle mancate diagnosi resta preoccupante. I numeri dunque hanno portato alla messa a punto di vere e proprie linee guida internazionali sui comportamenti da seguire, le analisi da eseguire e i cibi da evitare; tali linee guida sono state stilate dalla World gastroenterology organization. I costi non sono irrisori: per una diagnosi il Servizio sanitario può arrivare a spendere 200 euro a persona e, in Italia, la spesa complessiva per gli alimenti senza glutine si aggira attorno ai 150 milioni; tali alimenti sono elencati nell’apposito registro nazionale.

Ogm sotto accusa
La celiachia non si è diffusa in maniera così massiccia per caso, una ragione c’è. «Nel corso dei secoli, i cereali sono stati selezionati privilegiando varietà che contengono una maggiore quantità di glutine e che hanno una struttura tale da conferire più elasticità e tenacità agli impasti per fare la pasta, il pane e gli altri prodotti da forno» spiega il dottor Paolo Giordo, medico omeopata esperto in nutrizione e autore di diversi libri sull’argomento. «Questo glutine, proveniente da numerose ibridazioni, ha con il tempo generato problemi agli individui geneticamente predisposti i quali producono anticorpi che, in mancanza di un bersaglio specifico, si rivolgono contro le cellule dalla mucosa intestinale, specie i villi, appiattendoli e facendoli atrofizzare».

La gluten sensitivity
«Esiste poi un’altra condizione, cioè l’intolleranza, che non si basa su presupposti genetici» prosegue Giordo «ma su fenomeni di accumulo dovuto anche al fatto che l’omologazione alimentare imperante fa sì che mangiamo sempre le stesse cose. Si liberano dunque tossine, ma senza un conseguente danno di tipo immunitario, anche se i sintomi sono simili alla celiachia vera e propria». Si tratta della cosiddetta sensibilità al glutine non-celiaca, conosciuta come gluten sensitivity, che costituisce a oggi una condizione ancora scarsamente definita ma estremamente diffusa. Secondo uno studio recentissimo il glutine e le altre proteine del frumento sono i principali fattori scatenanti di questa sindrome, che ha un’incidenza variabile nella popolazione dallo 0,63 al 6%.

Il cibo è la cura
Per la celiachia o per la sensibilità al glutine non esistono farmaci, solo il cibo può essere la cura. In caso di celiachia conclamata occorre eliminare tutti i cibi che contengono glutine. «Sul mercato sono disponibili ormai numerosi prodotti gluten-free» spiega ancora il dottor Giordo, ma chi volesse evitare i prodotti industriali o sottoposti a lavorazioni e trattamenti uò ricorrere ad alimenti naturalmente privi di glutine. «I cereali che non contengono questa sostanza sono il riso, il mais, il grano saraceno, il miglio, l’amaranto e la quinoa» aggiunge Giordo. «Chi non è propriamente celiaco ma solo intollerante può talvolta integrare altri cereali come il farro o il kamut, in quanto tale intolleranza si sviluppa prevalentemente nei confronti del frumento; è comunque bene valutare i singoli casi individualmente. Esistono poi i cosiddetti grani antichi, poveri di glutine, che raramente sono in grado di provocare intolleranze e che sarebbe auspicabile utilizzare, nella fase della prevenzione, a posto del frumento in commercio. Ovviamente il celiaco vero non può utilizzarli, ma possono costituire una buona alternativa per chi ha sviluppato una suscettibilità. In ogni caso, la migliore prevenzione si pratica adottando un’alimentazione variata che preveda una rotazione frequente degli alimenti e l’uso di cereali poveri o privi di glutine moderno, ferma restando una valutazione individuale. Un’alimentazione naturale, possibilmente di tipo vegetariano o a basso apporto di proteine animali, è importante per mantenere un equilibrio intestinale sia batterico che immunitario, combattendo la disbiosi e l’infiammazione cronica che rappresentano il problema più importante».

Il lato positivo
La stessa Associazione italiana celiachia invita ad affrontare questa malattia come un’opportunità per cercare di modificare in meglio la propria alimentazione, senza vivere questa necessità come una privazione. «Si può scoprire una moltitudine di alimenti naturalmente privi di glutine che sono alla base di numerose ricette, dalle più semplici alle più elaborate. Pensiamo, oltre al riso, al mais e al grano saraceno, anche a legumi, patate, pesce, carne, uova, latte e formaggi, ortaggi e frutta. Il celiaco dispone di tutti i componenti per costruire una dieta bilanciata e varia, con una particolare attenzione da prestare nella scelta dei carboidrati che devono sostituire i cereali vietati. Scelta che non deve ricadere esclusivamente sui prodotti dietetici «gluten free» disponibili sul mercato, ma che può privilegiare cereali naturalmente senza glutine o altre fonti di carboidrati come le patate. Nella scelta dei prodotti a rischio, l’Aic fornisce anche il Prontuario degli alimenti, che non deve però diventare un vincolo; va utilizzato con buon senso, senza considerare quegli alimenti come gli unici possibili. I prodotti dietetici confezionati possono quindi rappresentare una fonte di carboidrati importante ma non l’unica».  

Articolo tratto dal mensile Terra Nuova Novembre 2013, disponibile sia come copia cartacea che come ebook.

Padoan, l’uomo che spinse l’Argentina nell’abisso

Scritto da: Franco Fracassi
Fonte: http://popoff.globalist.it/
304-300x179Il neo ministro dell’Economia proviene da Fmi e Ocse. Ha contribuito alle crisi di Grecia e Portogallo. Krugman: «E’ l’uomo dai cattivi consigli»

«La riforma Fornero è stato un passo importante per la risoluzione dei problemi dell’Italia», dichiarò un anno fa il neo ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Ex dirigente del Fondo monetario internazionale, ex consulente della Bce ed ex vice segretario dell’Ocse, Padoan è di casa tra i potenti del mondo.

Scelto personalmente dal presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e osannato dai grandi media italiani, il neo ministro non è stimato da tutti gli economisti, soprattutto da quelli non liberisti. Sentite cosa scrisse di lui sul “New York Times” il premio Nobel per l’economia Paul Krugman: «Certe volte gli economisti che ricoprono incarichi ufficiali danno cattivi consigli; altre volte danno consigli ancor peggiori; altre volte ancora lavorano all’Ocse».


Padoan era responsabile dell’Argentina per conto del Fondo monetario internazionale nell’anno in cui il Paese sudamericano fece default.

A cosa si riferiva Krugman? Padoan è stato l’uomo che ha gestito per conto del Fondo monetario internazionale la crisi argentina. Nel 2001, Buenos Aires fu costretta a dichiarare fallimento dopo che le politiche liberiste e monetariste imposte dal Fmi (quindi, suggerite da Padoan) distrussero il tessuto sociale del Paese. In quegli anni il neo ministro si occupò anche di Grecia e Portogallo. Krugman scrisse in un altro articolo che furono proprio le ricette economiche «suggerite da Padoan a favorire la successiva crisi economica nei due Paesi».

Ecco cosa dichiarò Padoan a proposito della crisi greca: «La Grecia si deve aiutare da sola, a noi spetta controllare che lo faccia e concederle il tempo necessario. La Grecia deve riformarsi, nell’amministrazione pubblica e nel lavoro». In altre parole, Atene avrebbe dovuto rendere il lavoro molto più flessibile, alleggerendo (licenziando) la macchina della pubblica amministrazione. Nel marzo del 2013, quando la Grecia era sull’orlo del collasso, l’allora numero due dell’Ocse suggerì più esplicitamente: «C’è necessità che il governo greco adotti una disciplina di bilancio rigorosa e di un continuo sforzo di risanamento dei conti pubblici, condizioni preventive per il varo di misure a sostegno dello sviluppo».


Padoan è stato per quattro anni responsabile per conto del Fmi della Grecia. Successivamente, ha influenzato le politiche economiche di Atene in qualità di vice presidente dell’Ocse.

Allevare galline ovaiole: qual è l’alimentazione migliore?

Scritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it/

alimentazione-gallineAllevare galline (ed eventualmente anche anatre) per l’autoproduzione di uova è una pratica sempre più diffusa. Ne abbiamo già parlato varie volte sul nostro blog. Oggi vogliamo concentrarci su chiarimenti riguardo all’alimentazione da preferire, in modo che sia rispettosa delle loro esigenze e del loro benessere, più che del nostro tornaconto. Come tutti gli esseri viventi hanno bisogno di molta acqua, vitamine, carboidrati (sotto forma di cereali) e proteine. Per quanto riguarda i cereali (come mais, grano), è importante ricordare che non bisogna spargere i semi per terra perché, per via della conformazione del becco arrotondato all’estremità, le galline faranno fatica a prenderli: occorre procurare delle mangiatoie in cui si crei un certo spessore del mangime.

Parlando di proteine, la fonte migliore è costituita dagli insetti e dai lombrichi – se il luogo di allevamento è tra il verde. Conviene comunque integrare con un mangime per pulcini: la dose sufficiente è di 40 grammi quotidiani per ogni animale del pollaio e il momento migliore per offrirlo è il tardo pomeriggio, poiché durante la mattinata le galline vanno spontaneamente in cerca di proteine. Riempire la mangiatoia la mattina le renderebbe sazie e “pigre” nella ricerca di insetti e di altro cibo buono che si può trovare nell’ambiente.

A seconda del mondo in cui il pollame viene alimentato può cambiare il colore del tuorlo: negli allevamenti vengono addirittura aggiunti ai mangimi dei coloranti artificiali, ma è sufficiente alimentare le galline con verdure verdi o erba per ottenere un colore di un arancione naturalmente intenso. A questo proposito, ricordiamo che anche le verdure non devono essere lasciate per terra perché nel razzolare gli animali le copriranno di feci, con conseguente rischio di contrarre malattie parassitarie. L’ideale è inserire le foglie di insalata o simili in un sacchetto a retina simile a quelle per contenere limoni o arance: la quantità fornita deve essere tale da venire consumata entro la giornata. Se restano dei residui, meglio rimuoverli per evitare la formazione di muffe.

Mentre vitamine, proteine e carboidrati possono essere immagazzinati, l’acqua è una necessità quotidiana: le galline devono poter bere sempre acqua fresca. Evitare quindi di lasciare ghiacciare l’acqua d’inverno e scaldarsi troppo d’estate. Tenere presente che l’animale mangia la metà di quello che beve: perciò se non beve non mangerà neppure e tenderà ad ammalarsi.

I Pirati Saraceni

Fonte: circei.it ;   www.storialibera.it

saraceni

Dopo l’anno Mille, nonostante le Crociate tese a contrastare la sua avanzata, la flotta navale dei Templari (che furono sciolti poco dopo il 1300) e i successivi modesti sforzi di una cristianità disunita e concentrata in giochi di potere, l’impero Turco allargò man mano i suoi possedimenti giungendo sempre più a minacciare l’Europa Cristiana. Nel 1453 cadde Costantinopoli (ultimo atto dell’Impero Romano d’Oriente), nel 1499 i Veneziani persero Lepanto (antica Naupatto), nel 1523 Solimano il grande (Suliman II) conquistò Rodi, nel 1526 l’Ungheria finì sotto il dominio ottomano.

L’offensiva Turca assumeva sempre più l’aspetto di una manovra a tanaglia tesa a stritolare l’Europa: si pensi che l’impero della mezza luna arrivò sino a minacciare le porte di Vienna! La prima battuta d’arresto avvenne con il fallimento della presa di Malta che fu strenuamente difesa dagli omonimi Cavalieri. Seguì, però, la caduta di Chio e Cipro. Nel Mediterraneo i Turchi con azioni di disturbo di “pirati” fiaccavano il commercio delle nazioni nemiche, in particolare tra la Spagna e l’Italia. Ben presto, presero di mira il naviglio della Chiesa che come tale rappresentava l’antagonista religioso per eccellenza – la cristianità -, nonché, cercarono d’impedire poi l’espansione delle Repubbliche Marinare.

I paesi rivieraschi del Tirreno (in particolare compresi dalla Sicilia sino alla Toscana), aggiunsero alle loro difese delle torri d’avvistamento, ma molti borghi marittimi furono abbandonati dalle popolazioni che si rifugiarono in città più grandi o sui monti. Purtroppo molti piccoli paesi in prossimità delle coste furono devastati con la susseguente deportazione degli abitanti in schiavitù. L’audacia dei “corsari nord-africani”, l’aumentare di casi di cristiani che si convertivano all’Islam e il pericolo ormai ben palese che l’intera Europa soccombesse, permise a Papa Pio V di far confluire in una “Lega Santa”, tra gli altri, Veneziani e Spagnoli tutti per combattere il comune nemico. Nell’ottobre del 1571 si riunì a Messina la flotta cristiana sotto il comando di Don Giovanni d’Austria, fratellastro di Filippo II di Spagna: erano quelli i giorni in cui la fortezza veneziana di Famagosta cadeva in mano turca.

La potente flotta cristiana, il 7 ottobre 1571, nelle acque antistanti Lepanto, si scontrò con quella altrettanto imponente dei musulmani e vinse. Da quel momento l’impero Turco andò verso un lento e secolare declino sino alla sua scomparsa nel 1918.

Curiosità e cifre.
I pirati musulmani erano marinai audacissimi, molti dei quali rinnegati dalla cristianità, si ricorda Uluch Alì detto “Occhiali” – forse un ex frate (tale Galeani), Mehemet soraq detto “Scirocco” e il più temerario e famoso Khara Khodja conosciuto come “Caracosa”. Pirati come questi imperversarono spesso le isole Pontine in cerca di prede o per rifornirsi d’acqua e viveri (le galere avevano un’autonomia di 6-8 giorni perché costruite per battagliare ed erano prive di magazzini). Questo perché l’opportunità di nascondersi nelle piccole rade di Ponza, Ventotene, etc. per attaccare navigli indifesi diretti a Roma o Napoli, oltreché depredare abitati della coste pontificie o delle due Sicilie era molto allettante.
Gli Ottomani conoscevano bene la volta celeste e le scienze matematiche, cultura che ben applicarono nella navigazione. Lo sviluppo della tecnologia nel costruire armi non fu eguale. Infatti, pur adottando un arco perfezionato per tiri di lunga gittata e artiglieria pesante che aveva stupito nell’abbattere le mura di Costantinopoli, non migliorarono nel produrre armi da fuoco leggere o pesanti: presto furono superati dagli Europei che crearono vascelli migliori ed armati con nuove armi più precise e leggere. Di particolare funzionalità furono quelli dei Veneziani realizzati nelle loro tre grandi fabbriche “arsenali” di Venezia, Candia e Canea.

Gli scontri a Kiev e la battaglia per l’Ucraina, nel contesto

Scritto da: Niccolò Locatelli e Alberto de Sanctis
Fonte: http://temi.repubblica.it/limes/

ucraina_ue_russia_flag_500[Fonte dell’illustrazione: http://nuzgul.livejournal.com/]

Da oltre due mesi, l’Ucraina è spaccata tra i sostenitori del presidente filo-russo Yanukovich e una variegata opposizione (in cui ci sono tanto gli europeisti quanto i nazionalisti) che si riunisce in piazza Maidan, nel centro di Kiev, e nelle altre città del paese. Le manifestazioni di protesta, più volte degenerate in violenti scontri con la polizia, hanno già fatto decine di morti.

 

La partita per il futuro dell’Ucraina coinvolge anche protagonisti internazionali – la Russia, l’Unione Europea, financo il Vaticano – e si presta a diverse chiavi di lettura.

 

Protagonisti nazionali

 

Per rintracciare le origini della faglia politica e culturale che sta lacerando l’Ucraina è utile fare un salto indietro nel tempo agli episodi che hanno portato alla separazione tra l’elemento nazionale ucraino e quello russo. Oggi, secondo gli ucraini filo-occidentali, la battaglia si combatte per affermare i valori europei e per una società più libera e giusta. Ma le pressioni cui Kiev è sottoposta, da Est e da Ovest, rischiano di celare un’altra lotta per il potere, combattuta dagli oligarchi, che potrebbe plasmare il futuro dell’ex repubblica sovietica.

 

Storia del nazionalismo e della russofobia in Ucraina di Andrea Franco

 

Il popolo dell’Ucraina sta versando il sangue per i valori europei di Jurij Andruchovych

 

Russia o Europa? Rivoluzioni, oligarchi e il futuro dell’Ucraina di Stefano Grazioli

 


[Carta di Laura Canali tratta da “Grandi Giochi nel Caucaso“]

 

Protagonisti internazionali: l’Unione Europea contro la Russia

Anche l’Unione Europea ha le sue responsabilità nella crisi: la linea dura tenuta in vista del Vertice di Vilnius, soprattutto sul caso-Tymoshenko, ha finito per alienare Kiev, a favore di Mosca. Il no ucraino alla firma dell’Accordo di associazione all’Ue rappresenta un duro colpo sia al progetto dell’Europa classica dei padri fondatori, che si immaginavano il superamento dei nazionalismi, sia alla prospettiva di radicare il limes europeo fin nel cuore della culla nazionale russa.È il trionfo di Putin, che ha alternato sapientemente la minaccia di un taglio alle forniture energetiche e la promessa di aiuti finanziari, avendo la meglio sugli aridi ultimatum di Bruxelles. La leva energetica non è stata l’unico strumento usato dal Cremlino, che ha condotto con alterne fortune delle vere e proprie guerre alimentari contro i prodotti dei paesi del suo Estero vicino, Ucraina compresa.

 

Non solo Ucraina: il disastro storico dell’Ue al vertice Vilnius di Stefano Grazioli

 

Lenin, l’Ucraina contro la Russia e la scelta dell’Europa di Lucio Caracciolo

 

La Russia batte l’Unione Europea e si riprende l’Ucraina di Stefano Grazioli

 

Il ricatto di Mosca che tiene Kiev fuori dall’Ue di Lucio Caracciolo

 

La guerra a tavola: l’embargo della Russia sui prodotti alimentari dei vicini di Cecilia Tosi

 


[Carta di Laura Canali – per ingrandire clicca qui]

 

Energia

Nella battaglia per l’Ucraina, il capitolo energetico è cruciale. Basti pensare alle manovre del presidente Yanukovich per smarcarsi dalla morsa russa riformando il settore e tentando di diversificare le fonti di approvvigionamento. Ne è un esempio l’interessamento di Kiev verso l’interconnettore Agri, infrastruttura che, tagliando il Mar Nero, potrebbe aprire un nuovo corridoio tra il Caucaso e i mercati europei. Ma l’indipendenza energetica per l’Ucraina rimarrà un miraggio.

 

In Ucraina si gioca la partita energetica tra Russia e Ue di Lorenzo Colantoni

 

Agri, la chiave energetica dell’Europa contro la Russia di Fabio Indeo

 

Kiev sogna l’indipendenza energetica ma rischia un brusco risveglio di Stefano Grazioli

 


[Carta di Laura Canali – per ingrandire clicca qui]

 

 

 

Russia-Vaticano

 

La crisi in Ucraina può influenzare anche i rapporti fra la Russia e il Vaticano: rischia infatti di compromettere l’intesa fra Vladimir Putin e papa Francesco, mettendo a nudo la distanza che separa Santa Sede e Cremlino rispetto al destino di un paese storicamente permeato da cattolicesimo e ortodossia.

 

Il fuoco di Kiev separa Putin e papa Francesco di Piero Schiavazzi

 

 

Arance e mandarini: prevenire l’ictus con la vitamina C

Fonte: http://www.informasalus.it

arance-e-mandarini-prevenire-l-ictus-con-la-vitamina-c_3573Gli alimenti che contengono vitamina C possono ridurre il rischio di subire il più comune tipo di ictus emorragico. È quanto emerge da un nuovo studio presentato al meeting annuale dell’American Academy of Neurology.

La ricerca è stata condotta da Stephane Vannier del Pontchaillou University Hospital di Rennes, in Francia, ed ha coinvolto un gruppo di persone che avuto un ictus emorragico intracerebrale o una rottura dei vasi sanguigni all’interno del cervello confrontate con 65 persone sane. Sono quindi stati testati i livelli di vitamina C nel sangue dei partecipanti.

Nel complesso il 41 per cento dei partecipanti aveva livelli normali di vitamina C, il 45 per cento tassi bassi e il 14 per cento vere carenze. In media e’ risultato che gli individui che mostravano livelli impoveriti o carenti di vitamina C erano gli stessi che avevano gia’ avuto un ictus contro quelli che non lo avevano avuto dotati di tassi normali della preziosa vitamina.

Ecco come il Brasile balla a suon di risorse energetiche

Scritto da: Tommaso Tetro
Fonte:http://www.formiche.net

RinnovabiliSviluppo enorme per un Paese che tiene insieme crescita e povertà in un tutt’uno, spesso senza accorgersene. Il Brasile e le risorse energetiche oggetto di studio. Anche quest’anno prende avvio il master di Safe (Sostenibilità ambientale fonti energetiche) in ‘Gestione delle risorse energetiche’ che si concentra sulle nuove opportunità delle fonti energetiche pulite e dell’innovazione. Il nucleo ispiratore per questa 15esima edizione – cui hanno avuto accesso, su oltre 200 candidati, i migliori curricula universitari – è stato il Brasile, la sua crescita ‘verde’ e le enormi potenzialità offerte dal Paese.

E alla presentazione del nuovo corso, insieme al presidente di Safe Raffaele Chiulli, all’ambasciata brasiliana a Roma, l’ambasciatore Ricardo Neiva Tavares parla di “rivoluzione energetica” per il Paese che troppo spesso “nel corso del XX secolo ha visto il suo sviluppo economico ostacolato dalle importazioni di petrolio. Ed ecco allora perché la ricerca di un mix energetico diverso”. Matteo Codazzi, amministratore delegato di Cesi, in Brasile c’è spazio per lavorare sul “problema del trasporto di energia” dal momento che “i grandi bacini di idroelettrico sono molto distanti dai centri di consumo”, una distanza che copre il percorso che va da Lisbona a Mosca. Orazio Privitera, amministratore delegato di RenEn, mette al centro la parola “innovazione”; c’erano anche Alessandro Fiocco, amministratore delegato di Terna plus, e Francesco Starace, amministratore delegato di Enel green power, che ha disegnato quello che il gruppo ha in mente per il Paese latino americano: “Siamo molto concentrati sul Brasile; è un Paese che ha ancora grandi potenzialità”.

“Gli obiettivi europei per la diminuzione dei gas serra del 40% al 2030 sono ambiziosi – ha detto l’ex ministro dell’Ambiente Corrado Clini, intervenendo nella parte finale dedicata ad osservazioni più ampie del quadro energetico – Ma come si fa ad arrivare ad un obiettivo del genere senza delle adeguate politiche?”. Per Clini poi, riferendosi al nostro Paese, “in realtà l’obiettivo posto dal protocollo di Kyoto per l’Italia ancora non è stato raggiunto; c’è ancora una certa distanza. La riduzione che c’è stata – spiega – è dovuta soprattutto a causa della crisi”. Il punto fondamentale è che in Europa “ci sono misure molto diverse da Paese a Paese che non hanno permesso di creare un mercato”. Clini, che attualmente è direttore generale al ministero dell’Ambiente, vede nel Brasile degli aspetti molto interessanti: “A San Paolo stiamo lavorando per rafforzare o creare sistemi di generazione distribuita che valorizzino le fonti rinnovabili e le reti intelligenti”.

Il presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, Guido Bortoni, ha messo in evidenza il problema attuale di “occupazione” e di “ristrettezza economica”, facendo presente le “potenzialità del Brasile”.

Sul protocollo di Kyoto, Clini si riferiva a un recente rapporto della Fondazione per lo sviluppo sostenibile in cui si fa presente come l’Italia vada sempre meglio sul fronte della riduzione della CO2, tanto che nel 2013 il nostro Paese avrebbe tagliato le emissioni del 6% rispetto al 2012. L’Italia prosegue “nel suo percorso virtuoso di riduzione delle emissioni di gas serra e dopo aver centrato e superato nel 2012 l’obiettivo di Kyoto (meno 7,8% rispetto al 1990), nel 2013 ha ridotto le emissioni di un ulteriore 6%”. Nel 2013 le emissioni di gas serra si sono attestate “a 435 milioni di tonnellate di CO2 equivalenti”.