Scritto da: Marco Cedolin
Fonte: https://www.dolcevitaonline.it/dove-seppelliamo-le-scorie-nucleari/
La gestione delle scorie nucleari, che è costata fino ad oggi al contribuente italiano circa 11 miliardi di euro sotto forma di addizionali nelle bollette dell’energia, è affidata alla Sogin che è la società statale responsabile dello smantellamento degli impianti nucleari italiani e della messa in sicurezza dei rifiuti radioattivi da essi derivati.
Le scorie nucleari di competenza italiana ammontano a circa 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a molto bassa e bassa attività, che resteranno dannosi per la salute e l’ambiente per un periodo di 300 anni, e 17mila metri cubi di rifiuti a media ed alta attività, destinati a rimanere dannosi per migliaia o centinaia di migliaia di anni. Tali scorie fino ad oggi (tranne una piccola parte di esse che è stata trasferita all’estero per subire il processo di vetrificazione) sono state conservate all’interno delle quattro centrali nucleari dismesse, di quattro impianti del ciclo del combustibile, all’interno di centri di ricerca nucleare e centri di gestione dei rifiuti industriali.
La direttiva 2011/70/Euratom del Consiglio europeo imponeva però che entro il 2015 ogni Paese adottasse un programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi a bassissima e bassa intensità e si dotasse di un sito nazionale adatto a custodirli in sicurezza. L’Italia non ha rispettato questo termine, facendo sì che la Commissione europea abbia aperto formalmente una procedura d’infrazione. Dopo molti anni di ritardi, Sogin ha pubblicato solo di recente la mappa contenente le 67 aree all’interno delle quali si ritiene possano venire stoccate le scorie nucleari, unitamente al progetto della struttura studiata per contenerle.
Il sito unico occuperà una superficie di 110 ettari e sarà affiancato da un Parco tecnologico di 40 ettari, avrà un costo previsto di 900 milioni di euro e un tempo previsto di realizzazione quantificato in circa 4 anni. Al suo interno dovrebbero venire stoccati definitivamente i 78mila metri cubi di rifiuti radioattivi a bassissima e bassa intensità (scopo precipuo della sua costruzione) e provvisoriamente, per alcune decine di anni in attesa di un sito ad essi dedicato, anche i 17mila metri cubi di rifiuti radioattivi a media e alta intensità che saranno ospitati all’interno di quattro edifici specifici, in contenitori ad alta sicurezza conosciuti come cask.
Alla base della scelta dei siti ritenuti idonei per la costruzione del deposito vi sono tutta una serie di criteri che vanno dal rischio sismico e idrogeologico alla densità abitativa, dalla presenza di aree protette all’altitudine che non deve superare i 700 metri sul livello del mare. Nell’ambito delle 67 aree ritenute idonee, 12 di esse sono posizionate in classe A1 (molto buone), altre 11 in classe A2 (buone) e le restanti in classe B e C. In particolare due aree dell’alessandrino sembrano soddisfare maggiormente tutti i requisiti richiesti.
Dopo la pubblicazione della mappa dei siti, praticamente tutte le amministrazioni comunali interessate si sono affrettate ad esprimere il proprio diniego, sostenute anche dalle autorità provinciali e regionali di riferimento, molte delle quali in passato non avevano dimostrato la stessa sensibilità nel sostenere le battaglie dei cittadini che si opponevano alla distruzione del territorio in cui vivevano, come accadde ad esempio nella lotta contro il TAV in Val di Susa.
Nei prossimi mesi regioni, province e comuni potranno depositare osservazioni nel merito della mappa presentata ed entro il mese di marzo Sogin promuoverà un seminario all’interno del quale verranno approfonditi tutti gli aspetti tecnici della questione. Dopodiché verrà pubblicata la carta nazionale delle aree idonee (CNAI) che farà sintesi, riducendo i siti solamente a quelli ritenuti in assoluto più idonei. A quel punto Sogin sarà chiamata a promuovere trattative bilaterali, nel tentativo di trovare una qualche soluzione condivisa con eventuali comuni interessati a ospitare il sito, come contropartita di compensazioni e di una potenziale ricaduta occupazionale stimata in qualche centinaio di posti di lavoro. Nel caso le soluzioni condivise non arrivino sarà comunque il ministero dello Sviluppo economico ad individuare l’area ritenuta più consona, per mezzo di un decreto e nelle intenzioni del governo il nuovo deposito dovrebbe vedere la luce entro la fine del 2025.
Il vero problema purtroppo non riguarda l’ubicazione del sito in cui stoccare i rifiuti radioattivi, ma piuttosto l’evidenza di come l’unico mezzo per mettere realmente in sicurezza le scorie nucleari sia quello di non produrle affatto. Per quanto infatti si riesca ad essere meticolosi e preparati tecnicamente, sarà comunque sempre impossibile prevedere i mutamenti che interverranno in un determinato territorio all’interno di un arco temporale che spazia dai 300 ai centomila anni. Cambiamenti climatici, guerre, terremoti e ogni altro genere di evento catastrofico, potrebbero mutare radicalmente la morfologia di un territorio, con la conseguenza di contaminare pesantemente le persone e l’ambiente. A prescindere da quale sarà il cimitero in cui decideremo di seppellire i rifiuti radioattivi, questi rappresenteranno sempre e comunque una spada di Damocle sospesa sulla testa delle future generazioni e di quelle che le sostituiranno, a dimostrazione di quanto grande sia stata la nostra follia di piccoli uomini, infatuati di un atomo del quale possedevamo e possediamo solamente una conoscenza parcellare, del tutto inadeguata a maneggiarlo con disinvoltura così come purtroppo abbiamo invece fatto.