Immigrazione, terrorismo e petrodollari: la resa italiana

Scritto da: Francesco Carlesi
Fonte: http://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/immigrazione-terrorismo-petrodollari-42649/

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Roma, 31 mar – «L’Isis, ora sotto pressione per l’avanzata di Assad sostenuto dall’aviazione russa, ha creato in Europa una rete in grado di sostenere una campagna prolungata di attentati: lo sostiene un rapporto dei servizi francesi pubblicato di recente dal “New York Times”. Le fabbriche della Jihad si sono insediate in Europa prima dell’ultima generazione jihadista utilizzando marchi diversi: il franchising di Al Qaeda è passato all’Isis. Cinquemila sarebbero i foreign fighters partiti in questi anni in Siria, un quarto proviene dai Balcani: non potremmo stupirci se ritroveremo qualche nome che abbiamo già visto in Bosnia, Kosovo o Macedonia negli anni ’90». La difficile situazione del Vecchio continente viene qui fotografata impietosamente dalle parole di uno dei maggiori esperti sul tema, Alberto Negri. Il sangue si raggela se pensiamo che gli attentatori di Bruxelles avevano messo gli occhi sulle centrali nucleari come potenziale obiettivo da colpire. Le “Molenbeek d’Europa” sono cresciute come serpi in seno nella sonnolenta civiltà demo-liberale, la stessa che troppo spesso ha scelto di appoggiare i “gruppi fondamentalisti sbagliati” negli scenari mediorientali e balcanici, come la Bosnia e il Kosovo riportate dallo stesso Negri.

L’Italia non si salva, pensiamo solo a quartieri dove l’autorità statale è praticamente inesistente e l’immigrazione incontrollata la fa da padrone (per inciso: il tasso di criminalità degli immigrati è circa sei volte quello degli italiani, come ricorda l’insospettabile Luca Ricolfi sul Sole24Ore). Luoghi dove «lo straniero siamo noi», come la Torpignattara festante per le recenti stragi immortalata da un coraggioso servizio del Tempo datato 26 marzo. Ma non finisce qui: anche sul piano economico la resa è stata totale. I paesi che risultano tra i protagonisti nella intricata rete di finanziamenti all’Isis, come Kuwait, Qatar, Arabia Saudita, hanno cominciato un proficuo shopping nella penisola. Pensiamo alla società Fsi Investimenti, in cui è entrato il fondo sovrano del Qatar, che controlla il 44, 5% di Ansaldo Energia, il 46,2 % di Metroweb Italia (operatore infrastrutturale per la fibra ottica) e il 49,9 % in Valvitalia (valvole per l’industria petrolifera), per citare solo i principali. La finanza dei petrodollari è arrivata fino agli appalti pubblici per la fornitura di carburante alle pubbliche amministrazioni (Kuwait), passando per il turismo e la moda. Uno shopping che si accompagna a quello delle piccole aziende (pensiamo ai negozi di frutta e verdura) sempre più “cannibalizzate” dagli immigrati, che spesso si avvalgono di normative favorevoli e poco si curano del rispetto dell’igiene e della legge.

Come siamo arrivati a questo? Sin dall’inizio degli anni ’90 la resa incondizionata del popolo e della classe dirigente al pensiero liberale ha portato al graduale smantellamento dei concetti di interesse nazionale e identità, insieme alla vera e propria dismissione del patrimonio pubblico italiano. L’Italia industriale, che aveva punte di vera eccellenza, è scomparsa sotto i colpi delle privatizzazioni e delle delocalizzazioni. Da allora è stato impossibile disegnare strategie di lungo termine o progetti partecipativi e innovativi come quelli di aziende come l’Olivetti e l’ENI. Il tutto si è saldato ad una produzione intellettuale sempre in prima fila nel promuovere retorica antinazionale, auto razzista e diritto umanista, schiava di ogni moda estera e nemica di termini “superati” come Stato o famiglia. La risposta al pensiero debole e al buonismo proveniente da sinistra troppo spesso è stata solo un’esaltazione della logica del profitto e del modello anglosassone, e ora le martellate al concetto di comunità non stanno dando altro che i loro frutti avvelenati.

Una vita senza telefono cellulare

Scritto da: Marìca Spagnesi
Fonte: http://www.ilcambiamento.it/stili_di_vita/senza_telefono_cellulare.html

Vignetta di Sandro Bessi

Il telefono cellulare, ritenuto strumento irrinunciabile nella società moderna, spesso finisce per sfinire, “costringe” ad essere sempre raggiungibili, sempre connessi; ma soprattutto espone a rischi per la salute ormai documentati scientificamente. Ecco perché qualcuno comincia a disfarsene; ma c’è anche chi un cellulare non l’ha mai avuto. «E si vive benissimo lo stesso», spiega.

Paolo Ermani, presidente dell’associazione Paea, che si occupa di energia rinnovabili, e uno dei fondatori de Il Cambiamento, non ha mai posseduto un telefono cellulare. Scelta, questa, che la maggioranza delle persone oggi ritiene impossibile e che invece si rivela sostenibile e fattibilissima.

Perché Paolo hai fatto la scelta di non avere un cellulare?

Attaccarmi un forno a microonde alla testa non mi allettava come idea. Gli auricolari diminuiscono un po’ il rischio, ma ci si dimentica quasi sempre di metterli. In seguito il solo pensiero di essere disturbato continuamente mi faceva venire il mal di mare. Sono pochissimi coloro che, pur avendolo, lo tengono per la maggior parte del tempo spento. Dopo un po’ subiscono il condizionamento di parenti e amici che ti chiedono perché non lo hai attivato, perché non rispondi, ecc. Con le attività che faccio io poi, dove le relazioni e i contatti sono già innumerevoli, avercelo avrebbe significato elevare in maniera esponenziale la possibilità di non avere più una vita mia a prescindere da quell’oggetto e difatti è quello che sta succedendo a molte persone. In pratica il livello di amplificazione delle possibilità di interagire con gli altri è inversamente proporzionale a quello che hai di interagire con te stesso o con chi ti sta vicino; non mi pare un grande progresso. Magari la mancanza di cellulare potrà avermi fatto perdere qualche contatto, ma sono molto più presente a me stesso e in sintonia con le persone che incontro e frequento, che non vengono da me interrotte o disturbate dal continuo trillo del telefonino. Tengo a precisare che normalmente se devo contattare qualcuno chiedo se ha il telefono fisso, poi la mail e in ultimo il cellulare. Chiamare gli altri sul cellulare mi mette a disagio, sia per il costo ma anche perché ne conosco la nocività; sono poi preoccupato che mi rispondano mentre sono alla guida e se succede riattacco velocemente.

Che cosa significa vivere senza cellulare? Non esistono quasi più telefoni pubblici. Come fai se hai bisogno di contattare urgentemente qualcuno e non sei a casa?

Non ho avuto particolari problemi, si contano sulle dita di una mano i casi in cui a seguito di contrattempi ho fatto aspettare qualcuno o io ho aspettato perché non mi si poteva avvertire. Le cabine ci sono ancora, basta cercarle. Alla base di tutto c’è l’organizzazione, se ci si organizza è facile farsi rintracciare o farsi trovare, così come si faceva venti o trenta anni fa senza cellulare; non mi pare di ricordare che all’epoca il mondo fosse fermo o nel panico perché non c’era questo oggetto. Poi con le mail è in ogni caso molto facile essere rintracciati o accordarsi con gli altri.

Lavoro e relazioni sembrano ormai impossibili da gestire senza un telefonino. Hai mai avuto problemi in questo senso?

Anche solo se usi le mail sei già bombardato e connesso con tutto e tutti, figuriamoci con un cellulare per il quale hai il mondo sotto mano in ogni momento. Lavoro e relazioni sono possibili così come lo erano prima dell’avvento del cellulare.  Si dimentica che il cellulare a livello lavorativo è uno strumento di controllo e di ansia non indifferente soprattutto per quei lavori in cui bisogna garantire performance particolari. Si è costantemente sottoposti a pressione da parte di superiori e padroni vari. Ero in tram qualche giorno fa e attorno a me c’erano una decina di persone tutte intente a guardare il cellulare, con alcuni che compulsivamente lo mettevano in tasca e lo tiravano fuori. Io mi “limitavo” a guardare l’esterno e pensare, ho avuto una stranissima sensazione. Sembra che le persone ormai non facciano altro che riempire lo spazio e il tempo che hanno con relazioni virtuali in un fare compulsivo. Il dio denaro dopo averci portato via le relazioni con gli altri distruggendo la comunità, ora ci porta via anche il tempo e di conseguenza la relazione con noi stessi. L’unica relazione permessa e stimolata sembrerebbe essere quella di accedere a sistemi attraverso i quali vendere o venderci qualcosa. Non è un caso che internet sia strapieno di pubblicità che sbuca da ogni dove. C’è un bellissimo libro dal titolo In pausa di Andrew Smart dove si afferma che il cervello ha le migliori intuizioni quando non è disturbato da niente. Se è vero, siamo avviati verso un mondo senza creatività e senza particolari idee brillanti.

Qual è stata la reazione di parenti, amici o conoscenti a questa tua scelta?

Alcuni mi prendono in giro, come l’amico e scrittore Simone Perotti; spesso, scherzando, mi annuncia che me regalerà uno attaccandomelo al collo. Altri hanno accettato la cosa e comunque quasi mai è successo che abbia messo qualcuno in difficoltà perché non ero rintracciabile, mi è bastato organizzarmi, avvertire per tempo dei miei spostamenti. La maggior parte delle persone quando mi chiede il numero di cellulare e dico che non ce l’ho, reagisce stranita. Ciò mi fa pensare che la relazione con questo oggetto in genere non deve essere molto felice

Che cosa significa la produzione di milioni di telefoni cellulari ogni anno?

Significa l’uso di materiali preziosi che spesso sono anche causa di guerre civili e sfruttamenti di persone senza diritti, ma lo stesso discorso vale per i computer. Le terre rare, altri materiali indispensabili per la realizzazione di cellulari e computer, si ottengono attraverso processi molto inquinanti. In ogni caso prima o poi si esauriranno questi materiali e chissà cosa e come si farà. Magari dopo la mega sbronza tecnologica si ritornerà alle lettere scritte a mano.

Dal punto di vista della salute, è ormai appurato che i telefonini sono dannosi. Come mai se ne sa così poco secondo te?

Perché chi li produce e li vende ha un potere immenso, come quello delle multinazionali petrolifere. Sappiamo che ci sono milioni di morti e feriti in incidenti stradali ogni anno, sappiamo che l’effetto serra ci farà fuori tutti ma quando qualcosa diventa di uso comune, in seguito a bombardamento pubblicitario, può anche essere dannosissimo e fare stragi ma viene ampiamente accettato; anzi, se ne parli male o ti fai delle domande, sei pure un estremista. Chi cerca di capire come diminuire morti, feriti, malattie e sofferenza trovando soluzioni e costruendo una società diversa, è considerato estremista, chi invece difende tutto ciò, è considerato un moderato, un saggio. Mi ha sempre fatto molto pensare questo estremismo di massa contro la moderazione della minoranza. Con il cellulare tra l’altro l’effetto nocivo è raddoppiato perché tanti, troppi, lo usano alla guida fregandosene del fatto che sia un uso a dir poco criminale. Ma anche in questo caso, se io non ce l’ho, sono un estremista, non chi lo usa e che per mandare un messaggino alla fidanzata, magari investe una persona. Gli studiosi indipendenti ci dicono che il cellulare sarà l’amianto del futuro e lo sconsigliano vivamente soprattutto per i bambini o adolescenti ma alla fine faranno passare qualsiasi conseguenza alla salute delle persone come dei colpi di freddo e tutto andrà liscio.

Il cellulare sembra aver sviluppato in molti di noi una vera e propria dipendenza. Quali consigli puoi dare a chi vorrebbe farne a meno ma non ci riesce o a chi vorrebbe almeno ridurne l’uso?

Più vedo come lo usano le persone e quanto ne sono dipendenti e più penso di avere fatto la scelta giusta per me. Mi chiedo ma quando le risorse non rinnovabili saranno esaurite e cellulari non potranno più essere prodotti, avremo suicidi di massa? Già oggi in Italia, in Cina e in altri paesi si fanno corsi di riabilitazione per persone dipendenti dal proprio cellulare o da internet. I bambini lo hanno prestissimo e in questo modo accedono a qualsiasi cosa di cui non hanno e non possono avere una cognizione definita o capirla fino in fondo. I genitori dovrebbero monitorare, controllare, ma nella maggior parte dei casi i genitori non hanno tempo nemmeno per loro stessi, figuriamoci se si mettono a controllare cosa guardano i figli su internet. Facile sarebbe dire di usarlo meno, tanto poi non si fa. Può aiutare cambiare luogo di vita e lavoro e magari stare in posti dove c’è maggiore presenza della natura, fare lavori meno frenetici, ritrovare il senso della comunità e delle relazioni dirette. La natura aiuta sempre, magari osservandola si capisce che forse a volte è meglio guardare oltre uno schermo e vedere delle cose vive. Senza il cellulare le relazioni con le persone sarebbero più dirette, è così ovvio che è quasi superfluo dirlo. Nell’ecovillaggio di Sieben Linden in Germania, uno dei più grandi d’Europa,  hanno deciso di non usarlo all’interno dell’ecovillaggio per ragioni di elettrosmog; vivono lo stesso e fanno le cose che fanno tutti gli altri che lo posseggono. C’è chi lo ha ma ne limita l’uso a quando è all’esterno. Non vedi persone che girano fissando il cellulare e le conversazioni non sono mai interrotte dal cellulare quindi le relazioni ne beneficiano molto. Non usarlo o usarlo meno non significa essere snob, radical chic, eccentrici ma semplicemente farsi delle domande e provare a darsi delle risposte sulla sua reale utilità e nocività. Penso che se non fosse così nocivo e non creasse così tanta dipendenza, sarebbe un ottima invenzione ma che dovrebbe servire per chi ne ha veramente bisogno perché per qualche motivo deve essere facilmente e velocemente rintracciabile e in casi di emergenza.

Bambini: troppi zuccheri in frutta e frullati

Fonte: http://www.informasalus.it/it/articoli/zuccheri-succhi-frutta.php

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Succhi di frutta e frullati per i bambini in vendita nei supermercati contengono troppi zuccheri, anche quelli che riportano la dicitura 100% frutta. È quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori dell’Università di Liverpool che hanno analizzato centinaia di prodotti disponibili sugli scaffali dei supermercati e destinati ai più piccoli.

Gli studiosi, analizzando in particolare 158 tipi di succhi, hanno rilevato che alcuni di questi possono arrivare a contenere quantità di zuccheri pari alla dose massima giornaliera raccomandata per i bambini, che è di 19 grammi, circa cinque cucchiaini.

I succhi di frutta contengono in media circa 5,6 grammi di zuccheri per 100 ml, quindi in ogni confezione da 200 ml ce ne sono 11,2 grammi. Lo zucchero sale a 10,7 grammi per 100 ml nei cosiddetti succhi 100% frutta (succhi di arancia, frutti di bosco, ananas), raggiungendo quota 21,4 grammi a confezione, ben oltre il 19 grammi giornalieri raccomandati.

Se si prendono in considerazione gli “smoothies” (frullati di frutta con una consistenza cremosa che possono contenere anche latte o yogurt), gli zuccheri salgono a 13 grammi per 100 ml (26 a confezione).

La raccomandazione degli esperti ai genitori è dunque quella di limitare il consumo di questi prodotti, diluendoli in acqua o sostituendoli il più possibile con frutta fresca intera.

PASQUA 2016

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La redazione augura a tutti suoi lettori i migliori auguri per una serena e felice Santa Paqua.(Di questi tempi c’è nè proprio bisogno…)

Un ricordo particolare alle vittime innocenti degli attentati di Bruxelles.

L’Impero Britannico blocca i fondi per il governo legittimo della Libia

Fonte: http://movisol.org/limpero-britannico-blocca-i-fondi-per-il-governo-legittimo-della-libia/

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Londra sta bloccando miliardi di fondi del fondo sovrano libico, impedendo al governo legittimo di Tobruk di disporne e quindi contribuendo a prolungare una situazione di stallo nel conflitto tra Tobruk e il governo separatista di Tripoli, controllato dai Fratelli Musulmani. La Libyan Investment Authority, con vari asset per 67 miliardi di dollari, è conteso tra le due fazioni presso l’alta Corte di Londra. Il 7 marzo, la Corte ha deciso di rinviare la decisione sulla base di una lettera del Foreign Office nella quale si afferma che il governo di Sua Maestà non riconosce alcuni dei due governi come quello legittimo. La decisione è sconcertante, perché il governo di Tobruk è riconosciuto dall’ONU.

Il secondo aspetto sconcertante è che il giudice chiamato a prendere una decisione è nientedimeno che William Blair, fratello del più noto Tony, l’ex Premier che nella disputa è parte in causa. Fu proprio Blair, infatti, l’autore della politica che portò alla creazione della LIA come strumento di controllo britannico sulle finanze libiche e ne fece parte del consiglio di amministrazione finché era a Downing Street, assieme ad altri illustri soggetti dell’Impero come Lord Jacob Rothschild e Sir Howard Davies, capo della London School of Economics.

La LIA fu creata come parte degli accordi economici e politici siglati tra il Regno Unito e la Libia sul volgere del secolo scorso, quando, in cambio dello sdoganamento internazionale della Libia e della fine delle sanzioni, furono avviate delle precise forme di “cooperazione” economica con Londra. Tra queste, il British-Libyan Business Council e la LIA. Ad esempio, nel 2007, quando si celebrò il ritorno in Libia della multinazionale del petrolio BP, fu la LIA a costituirne il partner nel consorzio per l’estrazione. La City ha fortemente influenzato le decisioni di investimento strategico della LIA, come un fondo comune con il Qatar o un contratto di derivati con Goldman Sachs in cui la LIA perse il 98% degli investimenti.

Dopo aver messo una mano sulle leve del potere economico libico, i britannici scatenarono assieme alla Francia la guerra del 2011 che portò all’assassinio di Gheddafi e alla distruzione dello stato.

La disputa legale di Londra è stata ignorata da quasi tutti i media internazionali, nonostante il Financial Times ne abbia parlato e abbia persino spiegato cinicamente che “la Corte usa certi criteri per decidere se un’amministrazione esiste come governo di uno stato – compreso l’esame dei suoi affari con il governo britannico”. Nemmeno una parola sul gigantesco conflitto d’interessi con la famiglia Blair.

La decisione di non riconoscere l’autorità di Tobruk sulla LIA, avallata dal Foreign Office, dimostra che l’attuale spiegamento di forze speciali britanniche ufficialmente a sostegno della guerra ingaggiata da Tobruk contro le milizie jihadiste è una frode.

Attentati a Bruxelles: il doppio gioco dell’Occidente

Fonte: http://etleboro.blogspot.it/2016/03/attentati-bruxelles-il-doppio-gioco.html#links

Gli eventi di Bruxelles, al di là di ogni speculazione fine a se stessa, pongono dei seri interrogativi sulla efficacia del sistema di intelligence europeo, che si è rivelato fallace e per certi versi scoperto. Lacune che oggi si cerca di nascondere riversando tutta la responsabilità sul Belgio, come se fosse l’unico responsabile a dover garantire la sicurezza della capitale europea, che è anche sede delle più grandi istituzioni euro-atlantiche. Non viene infatti considerato che il sistema biometrico europeo, ed in particolare quello francese associato al sistema delle cosiddette “fiches”, ha dei grandi bug all’interno, per cui questi “cittadini sospetti” sono in grado di circolare tranquillamente tra uno Stato all’altro attraverso gli aeroporti senza essere identificati. E’ anche chiaro che la rimozione dello Schengen non sarà di grande aiuto, considerando che esiste già un problema nei controlli biometrici.

Esiste poi un altro grave dilemma connesso alla “libera commercializzazione di armi” nei porti franchi europei – come Anversa, Amburgo, Rotterdam e Marsiglia – verso i teatri di guerra, senza che questo scandalizzi troppo le autorità europee, che rilasciano senza molti controlli le licenze alle grandi società di armamenti. Se si prende in considerazione il caso della Tunisia, coacervo delle cellule Daesh nel Mediterraneo, si può evidenziare come i carichi di armi più sospetti giungevano proprio dall’Europa. Tra i casi più recenti, e anche più interessanti, vi rientra quello del sequestro a Nabeul di un container di armi destinato ad un imprenditore belga (contenente fucili, munizioni da guerra, droni, attrezzatura subacquea), spacciate come “armi sportive”. Secondo fonti delle Dogane tunisine, dal 2013 sono giunti in Tunisia quasi 90 spedizioni sospette di società europee, in particolare belghe e francesi.
Caso ancora più eclatante, e anche di maggiore interesse all’indomani degli esplosivi “con bulloni” a Bruxelles, è quello di un carico sospetto giunto all’Aeroporto di Tunisi e proveniente dagli Stati Uniti. A lanciare l’allarme è stato un generale di brigata delle Dogane tunisine, parlando di un “pericolo imminente” dopo la scoperta di un carico contenente esplosivo, detonatori, pentole a pressione riempite con viti e bulloni, cinture esplosive e granate. Il generale tunisino ha anche denunciato l’irresponsabilità delle autorità che hanno nascosto l’evento durante un periodo di “piena emergenza”. Il container rientrava in una spedizione cargo partita dalla California (Stati Uniti) e destinata alla Tunisia, facendo scalo all’aeroporto di Charles de Gaulle. Questa “merce” è stata inviata in due viaggi (la prima il 21 gennaio di 270 kg, e il secondo il 23 gennaio di 1500 kg). A scoprire casualmente le “pentole cariche di bulloni” erano stati i dipendenti della FedEx che smistavano il carico all’Aeroporto di Parigi e, avvisate la direzione della società, hanno appreso che “si trattava di dispositivi esplosivi fittizi, destinati all’Ambasciata Americana per delle esercitazioni militari” . Di contro, l’Ambasciata degli Stati Uniti ha negato qualsiasi coinvolgimento nel caso, e quindi anche che il carico di detonatori fosse destinato ad essa. L’episodio, nonostante la gravità, non è stato oggetto di indagine da parte della Direzione delle dogane centrale o del Ministero degli Interni non hanno avviato alcuna inchiesta.
E’ lecito domandarsi il perché di questi “doppi-standard”, considerando che basta molto meno per far scattare un raid contro sospette cellule senza alcuna prova. Giocare sull’ambiguità dinanzi a temi così delicati non fa che crescere dubbi sulla lealtà dell’Alleanza atlantica, soprattutto quando Nicolas Sarkozy e David Cameron hanno programmato il bombardamento della Libia, mentre firmavano lettere di concessione per gas e uranio. Per ottenere il sostegno di Israele, venne anche fatto credere che la “Nuova Libia” avrebbe riconosciuto lo Stato israeliano, per divenire quindi il primo Paese arabo ad accettare tale riconoscimento. Oggi, mentre l’Italia chiede di investire più fondi nelle periferie e della formazione culturale degli stranieri, ci troviamo ancora una volta dinanzi ad uno scenario bellico che non lascia scampo. Infatti, Francia e Inghilterra, attraverso i vari Comitati d’affari, hanno promesso alle tribù la creazione di uno Stato Tuareg, per cercare di recuperare le concessioni perse dopo la rivoluzione del 2011. Questa diplomazia parallela aumenta inevitabilmente le divisioni nell’Alleanza, anche perché – forse bisogna ricordarlo a qualcuno – il Tribunale dell’Aja ancora esiste e aspetta chi ha commesso gravi crimini.
Ad ogni modo, vorremmo invitare gli addetti ai lavori a riflettere su quanto accaduto a Bruxelles, nella speranza che qualcosa si fermi e non degeneri in uno scenario che nessuno vuole. Se una cellula terroristica decide di colpire una “capitale storica” per il transito di ogni tipo di commercio e strategico rifugio per le dissidenze, allora vuol dire che i sistemi di copertura sono davvero saltati, e che qualcuno all’interno dell’Alleanza sta facendo un gioco sporco.

Cina: parziale marcia indietro sulla carbon tax

Scritto da: Matteo Cavallito
Fonte: http://www.valori.it/ambiente/cina-parziale-marcia-indietro-sulla-carbon-tax-12382.html

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La Cina non introdurrà una tassa a sé stante sulle emissioni di CO2 nell’atmosfera ma incorporerà l’imposta in una più ampia tassa per “la protezione dell’ambiente o delle risorse”. Lo scrive l’agenzia di stampa governativa Xinhua citando il ministro delle finanze di Pechino Lou Jiwei. La decisione sarebbe stata annunciata nel corso del China Development Forum, svoltosi lo scorso weekend nella capitale.

Il ministro, riferisce ancora Xinhua, ha comunque definito “irragionevole” l’attuale schema di tassazione promettendo riforme future. Il piano delle modifiche, ricorda l’agenzia, dovrà essere ratificato dal governo. Nel corso di un incontro con il presidente Usa Obama, lo scorso mese di settembre, il capo di Stato cinese Xi Jinping aveva annunciato l’avvio di un sistema di cap&trade – il mercato della CO2 pensato per limitare le emissioni – nel suo Paese a partire dal 2017.

Robert Kennedy Jr Spiega la Causa della Guerra in Siria

NEW YORK, NY - JUNE 03:  Environmentalist Robert F. Kennedy Jr. visits the Apple Store Soho on June 3, 2011 in New York City.  (Photo by Dimitrios Kambouris/WireImage)

Il blog Fawkes news riassume le recenti dichiarazioni dell’avvocato Robert Kennedy Jr – nipote dell’ex presidente USA e figlio di Robert – sulle vere cause della guerra in Siria. Lo scoppio della violenza sarebbe stata la risposta statunitense al rifiuto del governo siriano di concedere il passaggio di un importante gasdotto proveniente dai paesi del Golfo verso l’Europa; la Siria infatti, alleata di Russia e Iran, avrebbe preferito anteporre gli interessi economici di questi due paesi.25 febbraio 2016

L’avvocato Robert Kennedy junior, nipote dell’ex Presidente degli Stati Uniti J. F. Kennedy, ha spiegato in un articolo per la rivista Politico le vere cause della guerra in Siria.

La radice del conflitto armato in Siria nasce in gran parte dal rifiuto del Presidente siriano Bashar al-Assad di consentire il passaggio di un gasdotto dal Qatar verso l’Europa.

La decisione americana di organizzare una campagna contro Bashar al-Assad non è iniziata a seguito delle proteste pacifiche della primavera araba del 2011, ma nel 2009, quando il Qatar ha offerto di costruire un gasdotto per dieci miliardi di euro che avrebbe dovuto attraversare Arabia Saudita, Giordania, Siria e Turchia“.

Questo progetto avrebbe fatto sì che i paesi del Golfo guadagnassero un vantaggio decisivo sui mercati mondiali e avrebbe rafforzato il Qatar, un paese strettamente alleato di Washington in quella regione, ha detto Kennedy junior.

Il Presidente siriano Bashar al-Assad ha rifiutato il progetto dicendo che esso avrebbe interferito con gli interessi del suo alleato russo, il più grande fornitore di gas naturale verso l’Europa. L’anno seguente Bashar al-Assad ha iniziato a trattare con l’Iran per la costruzione di un altro gasdotto destinato a trasportare il gas iraniano verso il Libano, e il paese persiano [l’Iran] sarebbe così diventato uno dei più grandi fornitori di gas verso l’Europa, ha spiegato l’avvocato.

Subito dopo la bocciatura del progetto iniziale, le agenzie di intelligence statunitensi, assieme al Qatar, all’Arabia Saudita e al regime israeliano, hanno iniziato a finanziare la cosiddetta opposizione siriana e a preparare una rivolta per rovesciare il governo, ha detto Kennedy, che ha citato i dati di diversi report dell’intelligence a cui ha avuto accesso.

A tal fine, la CIA ha trasferito sei milioni di dollari alla televisione britannica Barada, per preparare reportage mediatici che spingessero per un rovesciamento del presidente siriano, ha aggiunto.

La CIA ha usato i membri del gruppo estremista detto Stato Islamico per difendere gli interessi degli Stati Uniti sugli idrocarburi e ha strumentalizzato le forze estremiste per colpire l’influenza dell’ex Unione Sovietica nella regione, ha concluso il giovane avvocato Robert Kennedy.

Nel frattempo gli Stati Uniti continuano nella loro opera di sostegno finanziario, logistico e militare a favore dei gruppi di opposizione armata, che nonostante cinque anni di guerra non sono ancora riusciti a rovesciare il governo siriano.

Gli Stati Uniti hanno anche cercato di ottenere la revoca delle sanzioni che impediscono l’invio di armi antiaeree nel territorio siriano, per poter rafforzare i gruppi armati che stanno combattendo contro l’esercito.

Fonti:

http://www.politico.eu/article/why-the-arabs-dont-want-us-in-syria-mideast-conflict-oil-intervention/

http://www.hispantv.com/newsdetail/siria/216231/siria-crisis-transferencia-gas-catar-eeuu-isis

Olio di palma: chi distrugge la foresta?

Fonte: http://www.salvaleforeste.it/

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Greenpeace ha pubblicato oggi i risultati di un’investigazione sui colossi dell’industria alimentare: Chi di loro mantiene la promessa di fermare la deforestazione?  Appena sei mesi fa, i più grandi incendi boschivi del secolo hanno devastato le foreste dell’Indonesia, riducendo in cenere milioni di ettari di foresta pluviale, tra cui alcuni degli ultimi habitat di oranghi e rilasciando ogni giorno più gas serra dele emissioni medie degli Stati Uniti. L’ondata di fumo ha  colpito l’intera regione del Sud Est asiatico, e ha danneggiato la salute di milioni di persone.
La maggior parte degli incendi è stato collegato ale piantagioni per la produzione di carta e a quelle per la produzione di palma da olio, soprattutto se stabilite su torbiere (la roba, una volta drenata e asciugata, è altamente infiammabile). Greenpeace ha indagato su come l’industria alimentare sia ancora legata alla distruzione delle foreste pluviali dell’Indonesia.
Due anni fa la gran parte dei grandi marchi – tra cui Mars, Mondelez e Procter & Gamble – ha fatto a gara nell’impegnarsi a proteggere le foreste pluviali.  Ma solo alcune di questi ha mantenuto la propria promessa di utilizzare solo olio di palma di origine sostenibile. La maggior parte infatti non ha fatto nulla, o ha avviato progressi lenti, che ancora non sono attuati. Sembra quasi che la promessa da sola possa bastare a darsi un’immagine vera: mantenerla non è poi così importante.
Il risultato è che l’industria dell’olio di palma è ancora la principale causa della distruzione di queste foreste. Di tutte le imprese intervistate da Greenpeace, Colgate-Palmolive, Johnson & Johnson e PepsiCo mostrano la performance più basse e non son in grado di assicurare prodotti privi di deforestazione.
Eppure l’olio di palma può essere prodotto in modo responsabile. Greenpeace ha lavorato con una comunità locale in Dosan, Sumatra, che sta producendo l’olio di palma e di proteggere e ripristinare la foresta circostante. E ci sono un sacco di altri organismi come questo in Indonesia che hanno bisogno di sostegno.