Trivellazioni alle Isole Tremiti: gli ambientalisti fanno ricorso al Tar

Fonte. http://www.ilcambiamento.it/a

Legambiente, insieme ad altre associazioni ambientaliste, ha annunciato ieri di aver impugnato al Tar del Lazio un decreto del Ministero dell’Ambiente che ha autorizzato un programma di trivellazioni in mare aperto al largo delle isole Tremiti.

In particolare il decreto, “valutando positivamente la compatibilità ambientale”, ha dato il via libera ad un “programma di indagini sismiche” proposto da Petroceltic Italia srl per “l’individuazione e lo sfruttamento di giacimenti petroliferi sottomarini al largo delle coste abruzzesi, molisane e pugliesi”, nei pressi delle acque che circondano le isole Tremiti.

La società Petroceltic Italia è una controllata della irlandese Petroceltic International con interessi nella Valle del Po, nell’Adriatico, nel Golfo di Taranto e nel canale di Sicilia.

Secondo le associazioni che hanno presentato ricorso, nel provvedimento del Ministero dell’Ambiente sarebbero presenti “numerosi vizi formali e sostanziali che inducono a dubitare della corretta individuazione e valutazione degli impatti ambientali che verrebbero arrecati all’ambiente marino”.

Gli ambientalisti contestano in particolare il fatto che il Ministero non abbia chiesto il parere della Regione Puglia. Legambiente contesta inoltre la mancata valutazione d’impatto ambientale (Via) complessiva per i circa 4.000 chilometri quadrati di mare che ospitano 11 differenti aree di indagine petrolifera, mentre è stata autorizzata solo una Via singola, relativa alla frazione di competenza della Petroceltic.

Le associazioni hanno inoltre chiesto al TAR del Lazio “di voler disporre, anche in via cautelare, la rinnovazione del procedimento nel rispetto dei principi di pubblicità e partecipazione”.

Legambiente sottolinea infatti che l’utilizzo della tecnica air-gun può costituire una minaccia per i mammiferi marini, come provato dalle perizie necroscopiche eseguite nel dicembre 2009 sui capodogli che si spiaggiarono sulle coste garganiche in seguito a fenomeni di embolia gassosa.

“È partita una ‘lottizzazione’ senza scrupoli del mare italiano che non risparmia nemmeno le Aree Marine Protette”, ha commentato il responsabile scientifico di Legambiente Stefano Ciafani. Si tratta, secondo Ciafani, di una “ricerca forsennata” volta all’individuazione e all’estrazione di 129 milioni di tonnellate che, stando alle stime del ministero dello Sviluppo economico, sono recuperabili dal mare e dalla terra italiani. Eppure, sostiene Ciafani, agli attuali ritmi di consumo, tali riserve permetterebbero all’Italia di tagliare le importazioni per soli 20 mesi, con il rischio di compromettere invece per sempre il futuro di intere aree di grandissimo valore naturalistico e turistico.

Ad opporsi alle trivellazioni non sono però soltanto gli ambientalisti. Per difendere le Isole Tremiti si terrà domani 30 giugno sul palco di Piazza Pertini, sull’isola di San Domino, un maxi concerto organizzato da Lucio Dalla e al quale parteciperanno anche Renato Zero, Gigi D’Alessio e Irene Fargo. “Il petrolio presente nel sottosuolo – ha affermato Lucio Dalla – è di scarsissima qualità e non vale il rischio di danneggiare questo patrimonio. La difesa delle Tremiti è la vera ragione della sesta edizione del festival”.

Nel corso dell’evento verrà poi ricordato come appena un anno fa la marea nera nel Golfo del Messico provocò danni incalcolabili all’ambiente.

CINA: SPETTRALE, GIGANTESCO MIRAGGIO DI UNA ”CITTÀ FANTASMA” LUNGO L’ORIZZONTE

Fonte:http://www.segnidalcielo.it/index.php/segnidalcielo-news/465-cina-spettrale-gigantesco-miraggio-di-una-citta-fantasma-lungo-lorizzonte

Come era prevedibile, i portali, gli Stargate ovvero le porte di accesso alle altre dimensioni, sono già aperte… I residenti di una città cinese sono rimasti senza fiato quando un gigantesco miraggio di una ”città fantasma” è improvvisamente apparso lungo la linea dell’orizzonte.

Il miraggio è apparso dopo violenti pioggiashi e intensa umidità lungo il fiume Xin’an nella città di Huanshan nella Cina orientale.
Alti palazzi, montagne e foreste sono sembrati sorgere nella spettrale nebbia calata sul fiume al tramonto. Lungo l’orizzonte generalmente non c’è altro che il cielo.
Gli sbalorditi residenti hanno ripreso il miraggio con le loro videocamere, e alcuni di loro hanno ipotizzato che non si trattasse affatto di un miraggio ma di un ”vortice temporale” giunto da un universo parallelo. Gli esperti, meno fantasiosi, hanno deciso che si è trattato sicuramente di un miraggio, sebbene gigantesco, una forma di illusione ottica che è comune in condizioni di umidità.
Il fenomeno si verifica quando l’umidità nell’aria diventa più calda dell’acqua sottostante e riflette i raggi del sole per creare riflessi nel cielo. Generalmente i contorni dei miraggi sono sfocati e luccicanti con spiccate similitudini con strutture umane. Ma il miraggio cinese è stato uno dei più limpidi mai verificatisi.

EUROPA, ECONOMIA, GRECIA DEFAULT IL GIORNO DELLA VERITA’

Scritto da: Matteo Corsini
Fonte:  CORSERA.IT

E’ arrivato il più lungo giorno dell’Europa e di tutti noi insieme.Il giorno in cui capiremo se siamo una sola unica grande nazione,l’Europa,oppure il retaggio di mille cicli storici e mille confini.E’ giunto il giorno della verità per l’Europa e per l’Euro,se esistiamo davvero o siamo stati soltanto una finzione,capiremo se oggi la solidarietà gioca un ruolo determinante nel popolo europeo,oppure i greci abbandoneranno la nave e la scialuppa di salvataggio offerta per evitare….….il default di una intera nazione.Oggi sapremo se vivremo ancora,se i nostri risparmi sono ancora al sicuro,se la nostra moneta non correrà il rischio di una brusca improvvisa svalutazione,se la nostra vita continuerà a scorrere normale oppure,dovremo fuggire da noi stessi,dal nostro stupido sistema finanziario e bancario.Oggi sapremo se la Grecia è l’Europa…. ….oppure no,se i greci sono nostri fratelli di sangue oppure codardi che fuggono sul loro sentiero.Oggi sapremo se una sola mano stringe i confini di questa Europa,che appare sbiadita e divisa,ma che non lo e’.Oggi sapremo se i conflitti e il destino di milioni di persone ha un solo percorso congiunto e un sogno,quello di esistere.

Il giorno della verità per la Grecia è arrivato. Oggi il Parlamento ellenico è chiamato a votare sul piano di austerità pluriennale che prevede tagli per oltre 28 miliardi di euro e un progetto di privatizzazioni da 50 miliardi da qui al 2015. L’approvazione del piano garantirà al Paese il sostegno promesso da Ue e Fmi (la quinta tranche da 12 miliardi di euro) e un possibile nuovo pacchetto di risorse da circa 100 miliardi di euro. Il voto dovrebbe arrivare nel pomeriggio, ma sarà seguito da un secondo scrutinio previsto per domani che condurrà alla legge di esecuzione.

UN’ARMA DI DISTRUZIONE DI MASSA DIGITALE

Scitto da: Michele Altamura
Fonte:
http://osservatorioitaliano.org/

La guerra cybernetica è già iniziata e il terreno di scontro è l’Europa, e senza dubbio l’Italia. Concluso l’ennesimo attacco dimostrativo, l’Italia continua a subire i colpi del ‘fuoco amico’, che sembra si stia preparando per sferrare un’offensiva ben più dura. Dopo il black-out delle Poste Italiane, attribuita proprio all’inefficienza del sistema IBM-Lotus, si potrebbero verificare incidenti simili anche con treni, banche, telecomunicazioni, centrali, multe dell’Agenzia delle Entrate. Una regia ben architettata, attuata dall’unione tra Stato e società private. I cosiddetti legionari che sferrano attacchi di oscuramenti di web-site di istituzioni e organizzazioni, in nome di una rivoluzione sintetica, non sono che l’immagine riflessa di un sistema ben più complesso. In questo cyberspazio, fatto di diverse dimensioni, operano forze molto potenti trainate dalle grandi multinazionali dell’informatica, che agiscono con una regia sovranazionale e dei Governi più tecnologicamente avanzati. Il crimine invisibile denunciato dalla Etleboro ONG nel 2006 come vera e propria arma offensiva, rappresenta oggi il punto cieco delle intelligence di tutti i Paesi, che stanno correndo ai ripari perchè la minaccia è seria.

Armi silenziose. La cyberwar si combatte oggi con le ‘armi di distruzione di massa digitale’, ossia software che agiscono come virus ma hanno all’interno una sorta di ‘intelligenza artificiale’ che detiene le chiavi per entrare nei sistemi che intendono attaccare e sabotare. I test e le prove tecniche di tutti questi anni, stanno oggi trovando applicazione con una lenta ed inesorabile escalation, sino ad infiltrare le strutture più impenetrabili. Le società e le istituzioni vengono pian piano disseminate di problemi informatici, lenti e duraturi, che vanno a logorare il loro sistema interno, a controllare il traffico di informazioni e a rubare dati. Il nemico invisibile che abbiamo dinnanzi a noi non è certamente l’hacker che si maschera da ‘Anonymous’ e abbraccia una rivolta populista, bensì una macchina pensante creata da quelle stesse società che creano e vendono i propri software gestionali ad imprese e Governi. Se IBM, Siemes, Windows, Lotus realizzano il 90 per cento dei sistemi informativi utilizzati da Banche, Stati e Società, vuol dire che il cuore del potere di racchiude nelle loro mani, in quanto conserveranno sempre i codici sorgenti e le chiavi per poter entrare nei terminali e nei server dei loro ‘clienti’. Non vi è oggi alcuna normativa statale efficace fino al punto da poter avere la totale certezza che i sistemi da loro ideati non verranno puntualmente violati dall’esterno da virus o hacker.

D’altro canto, sono venuti alla luce software invasivi (come lo stesso Stuxnet) il cui studio ha dimostrato che sono stati costruiti avendo a disposizione tutti i dati e le coordinate dei loro bersagli, lo spettro delle frequenze di connessione, la collocazione dei dati, i tempi di azione, insomma hanno all’interno l’intera mappa del sistema da colpire. Spesso hanno anche un programma-traccia in grado di occultare l’intrusione, facendo credere al server o al terminale che controlla gli accessi, che tutto procede nella totale normalità. Si può concludere che per elaborare questo avanzato tipo di virus, occorre avere una reale conoscenza del proprio obiettivo, che può essere sia diretta (dunque mediante la casa madre del software) che indiretta, mediante hackers che fungono così da capri espiatori. Di fatti tali sistemi necessitano di una continua manutensione e aggiornamento, di macchine ed elaboratori molto complesse ed inesistenti sul mercato, insomma di una struttura che può  essere mantenuta solo nell’ambito di progetti che vedono il coinvolgimento di società, politica e Governi.  Si pensi ora alla potenza deleteria di questi attacchi attuati contro centrali elettriche, dighe, sistemi radar, traffico aereo, catene di montaggio industriali, treni, banche e sistemi postali, insomma contro ogni tipo si sistema che utilizza un sistema informatico. Questi virus infatti sono generici, non hanno elementi specifici e non hanno bisogno di un particolare mezzo per bombardare, perchè si possono trasferire anche mediante apparecchi elettronici di uso comune, come notebook o pen-drive. Basta diffonderlo quanto più possibile, e una volta fatto diventa un’arma di distruzione di massa digitale. L’esposizione quindi diventa massima per i Paesi più tecnologicamente avanzati come Stati Uniti, Europa e Giappone. Se si restringe poi ancora di più la cerchia delle menti ingegneristiche di tale arma di distruzione, possiamo individuare anche un solo Paese in grado di possedere ed usare questa tecnologia, e sono proprio gli Stati Uniti.

Macchine dei messaggi. Non dimentichiamo che proprio in America ha origine il fenomeno WikiLeaks, presentatosi al pubblico come progetto della ‘Intelligence del Popolo’ che avrebbe fatto giustizia con il sabotaggio dei Governi. In realtà WikiLeaks ( da noi definita appunto ‘macchina dei messaggi’) non avrebbe mai potuto scatenare una guerra mediatica globale, orchestrando non solo il furto dei dati, ma anche la chirurgica scelta delle informazioni da pubblicare su media internazionali. Informazioni tra l’altro che non costituivano un ‘segreto’, bensì analisi di fonti aperte da parte di diplomatici, che tuttavia ottenevano l’effetto sperato nella manipolazione degli eventi. La natura del progetto di Assange viene rivelata nelle prime battute proprio dalla Etleboro, e dunque anche il suo  collegamento con la CIA e con la Fondazione Soros e che i nobili scopi di cui si fa promotore nascondono grandi mezzi autoritari. Partendo da un piccolo fondo per non destare sospetti, WikiLeaks diventa poi un progetto da 100 milioni di dollari, perchè le agenzie di intelligence contractor del Pentagono e della CIA sono ben note per le attività di riciclaggio di fondi neri, mantenendo così il rubinetto del Congresso sempre aperto. Così, accademici, dissidenti, aziende, imprenditori, spie, agenzie di intelligence di altre nazioni, interi paesi, vogliono far parte di questa enorme partita e cominciano a giocare. Tuttavia  la concorrenza è feroce e le accuse inevitabilmente scattano anche se lavorano insieme. La Cina già riceve da parte degli USA grandi fondi attraverso le attività umanitarie, come i Paesi ex sovietici, Africa e Sud Africa, ma anche Gran Bretagna, Europa, Medio Oriente e Corea.

Internet sicuro. I progetti informatici del tipo ‘Internet Invisibile’ o Anonymous servono così ad un duplice scopo. Da una parte si va ad alimentare quella sfera grigia delle intelligence, finanziando attività clandestine con la cooperazione di società private, che possono così prendere il controllo delle informazioni sensibili e usarle per proprie attività lobbistiche. Dall’altra parte, si crea uno stato di ‘terrorismo cybernetico’ controllato da programmi governativi, che hanno come scopo quello di sabotare i sistemi informatici di Stati (amici e nemici) e controllare così i propri alleati o avversari. Il protrarsi di questi attacchi porterà poi al conseguimento di un altro obiettivo, molto più profondo, ossia quello di far sorgere l’esigenza di un ‘Internet sicuro certificato’. In altre parole, il loro scopo è quello di dare vita ad un’altra galassia di internet, in cui potranno accedere solo sistemi la cui sicurezza e non-pericolosità viene certificate da società ed entità specializzate. Sarà questo il mondo della cybernetica, dei database, di users e codici ID, un mondo fatto di usura invisibile, in cui la nostra identità a disintegrarsi nei circuiti informatici gestiti da multinazionali e da data-center.  L’usura si tradurrà invece nel valore che tutti dovremo pagare per accesso alla rete, per cui sarà quantificato in termini di dati che riusciremo a trasmettere o ad acquisire.  In alternativa gli Stati dovranno dotarsi di nuove leggi, di commissioni parlamentari di inchiesta, di un nuovo codice e di una forza di intervento che vada a sanzionare e bloccare ogni abuso o tentativo di effrazione.

D’altro caso, Internet come lo conosciamo oggi è destinato a scomparire, e i segnali di cedimento sono visibili, e vanno dalla crisi dei socialnetwork al fallimento delle società di web-site, e dello stesso motore di ricerca una volta toccata la sua massima espansione. I sistemi centralizzati sono destinati alla crisi perchè distrutti dagli effetti della ridondanza, e dunque dagli scontri ‘interni’ creati dalla saturazione e dal caos nelle comunicazioni. Essi saranno sostituiti da sistemi basati su una struttura ‘distributiva’ e sulla condivisione delle informazioni.   Internet sarà quindi il veicolo della cosiddetta ‘green economy’, le banche e le telecomunicazioni diventeranno una cyberbank. Le banche centrali avranno invece il loro controvalore nella ricchezza energetica e nelle materie prime. L’energia elettrica da fonti rinnovabili sarà il nuovo petrolio, mentre le interconnessioni saranno le nuove pipelines.  E’ in atto quindi una vera e propria trasformazione del sistema economico, e come sempre accade in questi momenti congiunturali, si scatena una guerra aperta per fissare i punti strategici della nostra ricchezza economica. Un’era non molto diversa da quella in cui Enrico Mattei decise di creare l’ENI per dare all’Italia energia a sufficienza per la propria ripresa economica, senza sottostare al dictat delle Sette sorelle. Allo stesso modo, oggi l’Italia vuole costruire un polo energetico basato proprio sull’Energia verde e sulle interconnessioni con i Paesi del Mediterraneo. Un progetto questo che avrebbe il duplice scopo di valorizzare il know-how  tecnologico italiano,  ma anche di garantire la ripresa dell’economia, che passa soprattutto attraverso le piccole e medie imprese. Ovviamente le lobbies petrolifere non vogliono l’indipendenza energetica dell’Italia, e hanno così attuato una strategia del sabotaggio, che passa attraverso la disinformazione nei media, la confusione con il sollevamento delle associazioni e dei movimenti popolari, gli attacchi informatici delle imprese. Anche la lotta Berlusconi-Gruppo de Benedetti è una schermaglia interna per le concessioni energetiche, in cui la politica c’entra ben poco, nonostante sia stata il campo di battaglia di tante guerre. La soluzione, infatti, sta proprio nel superare i circoli viziosi della politica, con la ricostruzione di un tessuto sociale di persone che fanno gli interessi dello Stato. La reazione all’offensiva, per essere efficace, deve essere rapida e devi tradursi nel ricompattamento delle intelligenze italiane e delle aziende produttrici e veicoli di conoscenze. La risposta deve essere invece decisa e mirata, anche attraverso atti dimostrativi contro ONG, media e personaggi che fomentano la campagna denigratoria contro l’Italia. Quanto più veloci saremo, tanto più avremo difeso la nostra sovranità ed integrità territoriale.

GLI SPIRITI NON DIMENTICANO di Vittorio Zucconi

Fonte:http://www.avventurosamente.it/

Il titolo la dice tutta GLI SPIRITI NON DIMENTICANO e, sono proprio questi spiriti che rendono indomito questo leggendario e mistico personaggio che noi conosciamo con il nome di CAVALLO PAZZO.
Il libro di Vittorio Zucconi è una ricostruzione storica della vita di questo grande capo militare e spirituale (e non politico) della tribù degli Oglala, una dei sette fuochi sacri che costituivano la grande nazione Lakota Sioux.
Appena si apre la prima pagina di questo romanzo, l’autore, grazie alla “forza” del protagonista, e al suo modo asciutto e diretto di narrarne l’epopea, ti proietta in un tempo non molto lontano in cui un popolo, rappresentato dai nativi d’America, viveva in pace ed armonia con la natura, rispettandola e venerandola e traendone da essa l’essenza stessa della propria vita.
Tutto questo sino al giorno in cui gli Uas’ichu (uomini bianchi) con la loro “vitale” bramosia di terra e con le loro debolezze non posarono il loro sguardo sugli infiniti territori dei Lakota.
Ed è a questo punto che gli Spiriti, il Destino o la Coscienza impongono ad un piccolo Uomo un arduo compito, quello di lottare non per se stesso ma per un intero Popolo la cui esistenza è ormai segnata dall’incedere incessante del progresso e dei suoi mali……………………. .
Un compito che cavallo Pazzo si trova a compiere, anche se affiancato da schiere di grandi e valorosi guerrieri, in una solitudine profonda rischiarata solo dalla cieca fede nelle sue sacre visioni con cui il Grande Spirito gli parla.

Io consiglio vivamente questo libro che mi ha lasciato “ad occhi aperti” e che, oltre ad immaginare, mi ha portato ha riflettere …………. .

VIVERE IN CITTA’ CAMBIA IL NOSTRO CERVELLO

Fonte:City living marks the brain
Traduzione: http://www.ditadifulmine.com/

Gli insediamenti urbani di medie-grosse dimensioni sono da tempo considerati un fattore di rischio per le malattie mentali. Oltre a inquinamento acustico, smog, caos e altri aspetti che rendono le nostre città sempre meno vivibili, sono diverse decadi che gli epidemiologi sono a conoscenza del fatto che le persone che vivono in città sono più soggette a disordini sociali di coloro nati e cresciuti in campagna.

Fino ad ora il fenomeno non è mai stato investigato a fondo, ma una nuova ricerca pubblicata da Andreas Meyer-Lindenberg, del Central Institute of Mental Health tedesco, ha mostrato come alcune strutture cerebrali delle persone che vivono in città rispondano diversamente rispetto a quelle di persone che vivono in campagna.

La vita di città, quindi, può avere effetto sulla biologia cerebrale in modo consistente, forse addirittura sottovalutato troppo a lungo.
Meyer-Lindenberg si è concentrato sulla schizofrenia, che in città sembra colpire 1 persona su 100, dedicandosi inizialmente ad esaminare l’aspetto genetico della faccenda. Ma “anche il più potente dei geni coinvolti esprime il 20% del rischio” spiega Meyer-Lindenberg.

Il problema è che i dati non sembrano sostenere l’ipotesi di una natura esclusivamente genetica della schizofrenia: questo disordine è due volte più comune in città che in campagna, e i numeri crescono con il crescere della superficie cittadina.

Meyer-Lindenberg ha quindi deciso di ampliare la sua ricerca per cercare di comprendere come la vita di città possa aumentare il rischio di malattie mentali. Il suo team ha analizzato il cervello di 32 studenti volontari nell’atto di eseguire alcuni test di aritmetica.

Durante il test gli studenti hanno dovuto indossare delle cuffie, tramite le quali i ricercatori inviavano messaggi demoralizzanti e negativi. “Abbiamo detto agli studenti che stavano ottenendo risultati inferiori alla media, e li spingevamo ad avere fretta, in modo tale da farli sentire sull’orlo del fallimento”.

Questo tipo di stress sociale attiva diverse aree del cervello, due delle quali sembrerebbero essere direttamente connesse con la storia di vita cittadina o rurale degli studenti.
L’amigdala, ad esempio, si è attivata soltanto nelle persone che vivevano in città, mentre la corteccia cingolata, ha risposto in modo più debole in coloro che sono cresciuti in campagna.

L’amidgala è un’area del cervello identificata come il centro di elaborazione delle emozioni e della memoria emozionale. Quando ci troviamo in una situazione nuova, l’amigdala processa la nostra memoria emozionale alla ricerca di elementi comuni con l’esperienza corrente, e talvolta ci fa reagire senza aver ottenuto una “conferma” dalla corteccia.

La corteccia cingolata, invece, è il centro di elaborazione dei pericoli e dei problemi. E’ una sorta di allarme che scatena sensazioni come inadeguatezza e disagio allo scopo di prepararci in anticipo alla possibilità di un evento imprevisto problematico.

L’esperimento di Meyer-Lindenberg ottenne dei risultati talmente lampanti da far temere che nessuno avrebbe potuto credere a quei dati. Il team ha quindi deciso di replicare l’esperimento con altri 23 volontari, aggiungendo però degli stimoli visivi. Esperimento un po’ diverso dal precedente, ma risultati pressochè identici.

Queste ricerche non sono per nulla conclusive, e non fanno chiarezza sul legame tra vita cittadina e malattie mentali. Ma sono in programma nuove sperimentazioni su un campione più vasto ed eterogeneo di popolazione, e indagini su ulteriori fattori di stress in grado di aumentare il rischio di insorgenza di disordini mentali.

 

KU KLUX KLAN…

Fonte:http://www.parodos.it/potpourrikkk.htm

La vera storia del Ku Klux Klan o “Impero Invisibile” si può dividere in tre momenti fondamentali, ognuno contraddistinto da una propria specificità riguardo al grado di violenza e al modo di farla.
Il primo momento è quello del Ku Klux Klan originale, fondato nel 1865 a Pulaski e liquidato sei anni più tardi nel 1871. Il secondo momento vide nascere la prima incarnazione del Klan originale che durò quasi un trentennio, dal 1915 al 1944. L’ultimo momento è specifico di una nuova incarnazione della congrega degli incappucciati che operò in semi-clandestinità dal 1945 al 1965.
Dopo questo periodo parvenze del Klan continuarono ad operare negli Stati Uniti d’America, ma tutto diventa confuso e in ogni caso non nel segno unitario, nel senso che dopo il 1965 ognuno ha resuscitato come meglio credeva l’originale Ku Klux Klan percorrendo strade proprie.
Il Ku Klux Klan s’inserisce in ogni modo nel clima xenofobo e antifederale che seguì alla guerra civile americana. Nel 1944 era presente nel Sud del Paese un movimento che, riunitosi sotto le bandiere dell’ “American Party”, meglio noto come il “Know Nothing Party”, aveva dato voce all’ondata xenofoba bianca e cristiano-protestante contro la liberazione dei neri dalla schiavitù e contro l’ondata di immigrati che arrivavano dall’Europa. Il Ku Klux Klan fa quindi parte a pieno titolo di quella filosofia americana che vedeva l’Identità Nazionale e Cristiana del Paese minacciata dalla presenza di cattolici, ebrei e neri liberati.
Così, accanto al nascente Ku Klu Klan, si possono tranquillamente affiancare altri movimenti xenofobi e antifederali tra i quali: la “White Brotherhood”, la “Constitutional Union Guards, i “Men of Justice” e i “Knight of the White Camelia”. Indubbiamente il Ku Klux Klan è stato il più longevo delle congregazioni fanatiche presenti nel Sud degli Stati Uniti.

Tutto comincia il 24 dicembre 1865 a Pulaski, una cittadina del Tennessee. Sei giovani, tutti “campioni” della buona borghesia agraria della società sudista ed ex ufficiali dell’esercito confederato, si riuniscono nello studio del giudice Jones, padre di Calvin uno del gruppo. Gli altri convenuti si chiamano John Kennedy, John Lester, James Crowe, Richard Reed e Frank Cord.
Nella riunione i giovani ufficializzano in un atto fondativo la nascita di una confraternita segreta, uno dei passatempi preferiti dai giovani bene del sud degli Stati Uniti. Nella riunione si stabilisce anche che Kennedy, Lester e Crowe avrebbero trovato un nome alla società segreta, mentre Reed, Cord e Jones avrebbero steso un vero e proprio statuto dell’organizzazione. Dopo pochi giorni una seconda riunione, tenutasi in quello stesso studio che diventerà il primo “den” (covo) della confraternita, battezza la società segreta. Kennedy, Lester e Crowe propongono di chiamare l’organizzazione segreta “Ku Klux”, una libera traslitterazione del greco “Kωklos”, che significa cerchio, per estensione circolo, gruppo (il nome Ku-Klux-Klan potrebbe essere anche un’onomatopea. Esso indica il rumore del fucile quando si prepara il colpo in canna). Tutti concordano su quel nome, si decide però di aggiungere il termine “Klan” (clan con la K per assimilazione) sembra in omaggio alla massoneria scozzese (proprio nella massoneria di rito scozzese degli alti gradi il 33° grado vi era simboleggiato dall’undicesima lettera dell’alfabeto ripetuta tre volte: k k k = 11+11+11).

Il principale passatempo della congrega diventa la beffa, l’insulto e il macabro scherzo all’odiato “negro”. Cominciano così col mascherarsi con tuniche e cappucci a punta bianchi e, con cavalli bardati come ad un torneo medievale, iniziano a sfilare per le vie della loro sonnolenta cittadina seminando il panico fra i superstiziosi neri del luogo. Già alla loro prima uscita notturna lo spettacolo improvvisato dai sei giovani ha un’enorme risonanza tra le duemila anime della cittadina di Pulaski. Da questo momento quasi tutte le notti della sonnolenta cittadina si riempiono di sfilate di cavalieri bianchi al galoppo, di fantasmi e di spiriti di morti che all’improvviso appaiono davanti alle case della gente di colore del luogo.
Eccitati dai successi delle parate, i sei “immortali” decidono di trasformare i loro “scherzi” in veri e propri atti di intimidazione nei confronti dei neri. Ad esempio, una notte la confraternita va a fare “visita” ad un freedman, ossia un ex schiavo nero, che ritornato libero aveva aperto una bottega nel paese, appendendo in vetrina un cartello con su scritto “equal rights” (eguali diritti).

Macabra parata di klansmen
nei primi anni del 1900.

Già all’arrivo dei sei cavalieri bianchi, l’intera famiglia del freedman resta atterrita e solo il capofamiglia decide in ogni modo di andare incontro a quei “fantasmi”. Uno del sestetto gli chiede un secchio d’acqua. Ricevuta l’acqua dal freedman inizia a berla tutta senza prendere fiato (una sacca di gomma nascosta sotto la tunica bianca aiuta il cavaliere a svuotare l’intero secchio senza versare il liquido per terra). Soddisfatto di quella bevuta, il cavaliere dice al nero: «E’ la prima volta che bevo un bel secchio d’acqua da che mi hanno ammazzato a Shiloh» (riferendosi alla famosa battaglia di Shiloh tra confederati e unionisti avvenuta nei dintorni di Savannah). Allo stesso tempo, un altro cavaliere mostra un avambraccio di scheletro per salutare la moglie del povero nero, mentre un terzo, abbassatosi il cappuccio, mette in mostra un bel teschio. Da dietro la finestra, davanti a quel tetro spettacolo, la signora perde i sensi cadendo per terra. Prima di sparire nella notte, i sei della congrega fanno rotolare per terra il teschio, lasciando in questo modo la firma di quell’incontro. Il giorno dopo l’intera comunitΰ locale di colore, ma anche tutti i bianchi del paese, non commentava altro che il racconto fatto da quella famiglia di quella stranissima “visita” ricevuta la notte precedente. Il teschio lasciato dai cavalieri bianchi divenne la prova di quello strano racconto.
Dopo un altro paio di scherzi la piccola congrega dei cavalieri bianchi passa alle intimidazioni: bastava che un nero guardasse una ragazza bianca o rispondesse in modo irriverente ad un bianco, che subito scattava la punizione.

La segretezza della setta e i rituali misteriosi iniziarono ad esercitare un fascino irresistibile tra i bianchi, specialmente tra quelli più direttamente toccati dall’abolizione della schiavitù. Col passare del tempo, infatti, all’iniziale sestetto si uniscono altri klansmen e nuovi “den” iniziano a sorgere nei paesi vicini. Non sapendo chi fossero i primi klansmen, ogni nuovo covo si sentì libero di fondare la propria loggia con propri regolamenti e proprie finalità.

Nell’aprile del 1867, nella stanza numero 10 del Maxwell House Hotel di Nashville, il Ku Klux Klan conobbe il suo storico battesimo sotto gli auspici del suo primo vero grande capo, l’ex generale confederato Nathan Bedford Forrest, che assunse il titolo di “Gran Wizard”.

La comparsa di questo losco individuo fece compiere alla congregazione il suo salto di qualità.
Nathan Bedford Forrest era stato un generale della cavalleria confederata, ma prima ancora era stato un trafficante di schiavi. Finita la guerra americana si era integrato perfettamente nell’aristocrazia delle piantagioni. Alto e con la barba nera, era divenuto famoso perchι accusato del feroce massacro di Fort Pillow, in cui furono sterminate le truppe di colore fatte prigioniere nella battaglia. Razzista di costituzione, egli non digerì mai l’abolizione della schiavitù, ma soprattutto non assimilò mai il principio per cui neri rappresentassero i bianchi nelle legislature del Sud.
Al primo congresso del Klan la struttura dell’organizzazione fu organizzata in “Reami” (uno per ogni Stato), governati da un “Gran Dragone” e con otto “Idre”. I “Reami”, a loro volta, si suddividevano in “Distretti”, alle dirette dipendenze di un “Gran Gigante” assistito da quattro “Folletti”, e poi in “Den” in cui dirigeva un “Gran Ciclope” coadiuvato da due “Falchi della notte”.

Alla fine del 1867 la congregazione contava già oltre 550.000 adepti, quasi la totalità dei maschi adulti del Sud degli Stati Uniti. Il Klan si era soprattutto ramificato in Florida, Georgia, Carolina del Sud, Louisiana, Alabama, Mississippi, arrivando sino al Texas e Arkansas.

Col passare del tempo gli scopi del Klan divengono più precisi.

Lo statuto della congregazione già prevedeva che scopo dell’organizzazione segreta doveva essere quello di aiutare le vedove e gli orfani dei soldati confederati caduti in guerra:

«Io, di fronte all’immacolato Giudice del Cielo e della Terra, e sui Santi evangelisti di Dio Onnipotente, di mia libera volontà e iniziativa, aderisco ai seguenti sacri e imprescindibili obblighi:
1. siamo dalla parte della Giustizia, dell’Umanità e della Libertà costituzionale come lasciata a noi in eredità dai nostri Padri nella sua purezza;
2. contrastiamo e rifiutiamo i principi del partito [repubblicano] radicale;
3. promettiamo vicendevole mutuo soccorso in malattia, difficoltà e disagio economico;
4. le amiche donne, le vedove e le loro famiglie riceveranno sempre il nostro particolare riguardo e la nostra tutela.
Se un qualsiasi membro dovesse divulgare o causare la diffusione di una qualunque delle suddette promesse, incorrerà nel destino del traditore in un terribile castigo, ossia:
Morte! Morte! Morte!».

Questo è stato il giuramento di iniziazione del primo Klu Klux Klan, rivelato nel 1871 da un ex klansmen alla commissione d’inchiesta del Senato degli Stati Uniti d’America che indagava sulla ferocia della congregazione.
A parte queste “promesse”, in realtà gli obiettivi dell’organizzazione erano tutt’altro che caritatevoli: essere si solidali con le vittime degli “Unionisti”, ma soprattutto mantenere la supremazia della “razza” bianca, colpita nell’orgoglio dalle leggi sull’abolizione della schiavitù dei neri.
Infatti, il primo congresso del Klan si pose tre obiettivi politici concreti e inderogabili: rovesciare le amministrazioni locali appena elette, impedire ai neri di andare a votare, ostacolare i cosiddetti “carpetbaggers”, ossia gli americani del Nord che andavano al Sud per reclutare manodopera. Nella logica perversa del Klan, l’unico modo per assolvere questi compiti era il ricorso al terrore e alla violenza.
Linciaggi, stupri, torture (la più praticata era quella di marchiare a fuoco tre “K” sulla spalla della vittima), impiccagioni, incendi di case e scuole per i neri, passarono all’ordine del giorno. Ora, visto che i cavalieri del Ku Klux Klan erano mascherati, nulla risultò più semplice che incolpare i neri dei delitti commessi dalla confraternita: la copertura del volto delegava qualsiasi responsabilità.

Uno degli episodi passati alla storia nella storia del Klan è la famosa “Saga dei Jeffers”.

Nel novembre del 1868 i cavalieri mascherati decidono di punire con un atto dimostrativo il signor Jeffers, un uomo di colore famoso per la sua opera sulla parità dei diritti. Così di notte si recano presso la sua fattoria per spaventarli e, chissà per praticare danni. Spaventato da quelle presenze e memore degli eventi accaduti ad altri ad neri, il fattore imbraccia il suo fucile e colpisce uno di loro. Presi dalla rabbia i cavalieri iniziano a bruciare l’intera fattoria, prendono il figlio più piccolo della famiglia è lo gettano fra le fiamme. La famiglia tenta la fuga, ma la signora Jeffers viene catturata ed impiccata ad un albero con un laccio di seta. Solo il signor Jeffers e quattro suoi figli riescono a fuggire. La fuga, tuttavia, durerò poco, poichè la congrega dei cavalieri dopo pochissimi giorni riesce a ritrovare gli scampati su un treno diretto a Dearing e, sotto gli occhi dello sceriffo, sono uccisi a sangue freddo.

E’ impossibile stabilire con precisione il numero dei delitti commessi dal primo Ku Klux Klan: chiunque poteva indossare un cappuccio e vendicarsi di qualcuno.

Ufficialmente si è a conoscenza solo di alcuni dati stabiliti dalla commissione di indagine aperta dal Senato degli Stati Uniti. Dal rapporto della commissione si evince che la Carolina del Sud e la Florida furono i due epicentri dell’attività terroristica del Klan.
Nella Carolina del Sud la commissione verificò che in nove contee, nell’arco di sei mesi, la confraternita degli incappucciati aveva linciato e assassinato trentacinque persone di colore, mentre aveva picchiato fino a trecento altri neri e insultato, ferito, mutilato o stuprato altre cento uomini e donne della comunità di colore. I neri si difendevano come potevano, arrivando ad ammazzare solo quattro bianchi, mentre sedici furono malmenati. Nessun caso di stupro di donne bianche ad opera di neri fu segnalato dalla commissione al Senato.

Anche la Florida è la destinataria del triste primato dei delitti commessi dal Klan. Dal 1868 al 1871, in otto contee su trentanove, si registrarono ben duecentotrentacinque assassini: nove su dieci delle vittime erano gente di colore.
La più irrequieta fu la contea di Jackson, dove i crimini assumevano pure teatrali rappresentazioni. Infatti si racconta che nella città di Ocla, per vendicare la morte di un uomo bianco, tutti i presunti colpevoli (ovviamente di colore) furono impiccati dal Klan, mentre uno di loro fu fatto bollire in un pentolone e poi spolpato lo scheletro fu esposto in pubblico con un cartello con su scritto: “Solo la morte fa strada alla giustizia e la libertà”.

Anche Nathan Bedford Forrest, il “Gran Wizard” dell’ “Impero Invisibile” comparve dinanzi alla commissione del Senato che indagava sul Klan. Egli non ammise di essere il capo della congregazione o di farne parte, tuttavia nel suo interrogatorio ammise la sua convinzione sulla legittimità degli scopi del Klan. Con una faccia tosta, pari alla sua bassezza morale, affermò a chi lo interrogava «C’è una grande insicurezza nella gente del Sud. Moltissimi uomini del Nord arrivano e creano alleanze in tutto il Paese. I negri tengono riunioni segrete notturne e vanno in giro a turbare la quiete, stanno diventando molto insolenti e la gente del Sud è molto allarmata. [.]. Alcuni di questi negri hanno violentato delle signore e dopo essere stati processati e rinchiusi nel penitenziario sono stati liberati in pochi giorni. C’è molta insicurezza nel Paese, e credo che quest’organizzazione [il Ku Klux Klan] sia sorta per proteggere il debole, senza alcuna intenzione politica». Con molta arroganza Forrest aveva difeso e giustificato la confraternita degli incappucciati, con molta codardia si dichiarava estraneo all’organizzazione.

Di fronte all’ondata di crimini xenofobi e anticostituzionali commessi dai klansmen, il Congresso degli Stati Uniti prese una serie di provvedimenti legislativi noti come “Ku Klux Act”, approvati per placare il razzismo e difendere i diritti civili della gente di colore.

Tra le altre azioni del Congresso fu istituito anche il “Freedmen’s Bureau”, un organismo specifico per aiutare gli ex schiavi nel reinserimento nella società. Anche molte istituzioni religiose fornirono assistenza agli ex schiavi, la più nota era l’American Missionari Association, che forniva maestri e scuole per i neri americani.

Chiaramente queste ultime due istituzioni furono le più bersagliate dal Klan, perchè impersonavano l’esatto opposto della politica razzista della congregazione dei cavalieri mascherati.

Nonostante il Congresso americano fece intervenire anche le truppe federali a difesa dei neri e della Costituzione statunitense, la violenza gratuita del Klan non cessò. Lo stesso Forrest aveva perso il controllo del Klan, o forse non l’aveva mai avuto. Così, appena il “Gran Wizard” decretò lo scioglimento della confraternita la violenza dei membri del Klan, sdegnati da questa decisione, non ebbe freni. Il Congresso statunitense e il presidente americano Ulysses Simpson Grant allora decisero il ricorso alla legge marziale e, grazie a questa mossa, il Klan iniziò ad accusare il colpo cominciando a sfaldarsi.
Quello che comunque concedeva una “certa” vittoria alla congregazione e, quindi, annullava le motivazioni ideologiche che permettevano al Klan di sopravvivere, arrivò proprio dal presidente degli Stati Uniti d’America. Infatti, nel 1866 il presidente Andrew Johnson aveva bloccato con un veto il “Civil Rights Bill” che avrebbe garantito definitivamente ai neri d’America il loro diritto al voto (occorrerà aspettare un altro secolo per veder attuati definitivamente in legge quei diritti civili negati alla gente di colore!).
Nel 1871 il Klan come istituzione, o meglio come sigla condivisa, scomparve. Il razzismo, invece, continuò a sopravvivere.

Nel 1915 il Ku Klux Klan risorse.

A guidarlo fu il figlio di un ex klansmen, ex soldato, ex “apprendista pastore” della Chiesa metodista ed ex venditore di giarrettiere da donna dell’Alabama: William Joseph Simmons. L’atto che consacrò la rinascita della congregazione arrivò la notte del “Giorno del Ringraziamento” del 1915.

Quella notte Simmons, con una quindicina di adepti, salì sulla cima della Stone Mountain, una grossa collina situata nei pressi di Atlanta e nell’oscurità della notte bruciò una grossa croce posizionata di fianco a un grezzo altare di pietra su cui aveva appoggiato la bandiera americana, una Bibbia aperta, una spada ed una borraccia d’acqua di fiume “sacro”. Da questo momento la croce in fiamme entra a far parte dell’iconografia del Ku Klux Klan.
In quella stessa notte Simmons si autoproclamò “Gran Wizard dell’Impero Invisibile”, obbligando gli adepti presenti a quella cerimonia a prestare giuramento di fedeltà a lui e al redivivo Ku Klux Klan.

Il giuramento consisteva in nove domande e segnerà tutta la storia del redivivo Ku Klux Klan. Le domande ai gli adepti dovevano rispondere affermativamente ed erano approssimativamente queste:

Sei un bianco, nativo americano e cittadino americano?
Sarai ambiziosio così tanto da mostrarti serio e non egoista?
Sarai assolutamente contrario a tutto quello che è estraneo alla cultura americana?
Stimi gli Stati Uniti d’America e le sue relative istituzioni al di sopra di qualunque altro governo?
Farai rispettare la supremazia degli Stati Uniti d’America?
Credi nei principi del Klan e sarai fedele alle sue direttive ed agli altri klansmen?
Credi nella supremazia della “razza bianca” e ti prodigherai per tenerla sempre altra?
Accetti tutti gli usi e costumi del Klan?
Obbedirai fedelmente a quanto i dirigenti del Klan ti comanderanno?

Ammaliato dalla magia della lettera “K”, Simmons la utilizzò come portafortuna in tutte le parole relative al Klan: una riunione della congregazione era chiamata “Klonvokation”, ed era presieduta da un “Kloncilium”; un covo locale era invece chiamato “Klavern”, governato da un “Gran Ciklope” (presidente) e gestito da un “Kaliff” (vicepresidente), un “Klokard” (conferenziere), un “Kludd” (cappellano), un “Kligrapp” (segretario), un “Klabee” (tesoriere), un “Kladd” (maestro delle cerimonie), e con diversi “Klager” (sentinelle interne) e “Klexter” (sentinelle esterne) e, infine, un “Klokann” (comitato interno). Il contributo di adesione che i novelli klansmen dovevano pagare era chiamato “klecktoken”.
L’idea di fondare di nuovo il “grande Klan dei cavalieri incappucciati” venne a Simmons da due libri che aveva letto, The Clansmen: An Historie Romance of the Ku Klux Klan e The Leopard’s Spots (Le macchie del leopardo) entrambi di Thomas Dixon Jr., e dalla spettacolare versione hollywoodiana dell’anno precedente The birth of a Nation (Nascita di una Nazione) del regista David Wark Griffith.
Thomas Dixon avrebbe scritto i suoi due libri potrabilmente con l’intento di rivoluzionare il sentimento nordista con una rappresentazione distorta della storia degli uomini del Sud del Paese, trasformando ogni uomo bianco del Sud in un campione dell’americanismo e della libertà. Infatti, secondo Thomas Dixon il ku klux klan avrebbe rappresentato un baluardo della civiltà contro il pericolo dell’anarchia innescata dalla politica dei radicali repubblicani e dall’ardito tentativo di africanizzare gli Stati dell’Unione Americana. Nei libri e nel film si narrano le gesta eroiche di un gruppo di cavalieri che combattevano per giusta causa, in pratica erano alla ricerca di ladri, assassini e stupratori di colore che infangavano il buon nome dell’America e degli americani.
Molti si convinsero che i problemi economici e di sicurezza pubblica fossero legati alla presenza dei neri, degli ebrei e di altre minoranze presenti nel Paese. Alcuni aderirono subito all’iniziativa di Simmons. Inizialmente, però, il nuovo Klan non ebbe notevole”successo”, attirando poche migliaia di seguaci. Quando la confraternita stava sul punto di autoestinguersi, Simmons incontrò due loschi personaggi che cambiarono il corso degli eventi: Edward Young Clarke e la sua amante Elizabeth Tyler.

Nel 1920 il trio decise di attuare un’operazione di marketing in grande stile per rinsaldare l’organizzazione.

La prima trovata fu la pubblicazione di un libro-manifesto ideologico della congrega, il “Kloran”; la seconda fu quella relativa alla vendita di “acqua d’iniziazione di fiume sacro”. Quest’ultima trovata fu dichiarata indispensabile per entrare a far parte del Klan, poichè nel cerimoniale d’iniziazione l’adepto si doveva bagnare con questo liquido “speciale” (una specie del rito del battesimo). L’acqua fu venduta a dieci dollari l’ampolla. Calcolando che ogni klansmen doveva necessariamente acquistare il “Kloran” e l’ “acqua di fiume sacro” e che nel giro di dieci anni il Klan arrivò a contare oltre due milioni di iscritti, si può ben comprendere la fortuna che il trio riuscì a mettere da parte.

Il meccanismo di reclutamento di adepti alla setta era piuttosto semplice: prima si inviavano esperti oratori pseudo ministri di culto della Chiesa Cristiana Battista ad annunciare la prossima Apocalisse. Dopo una battente propaganda arrivava lui, il “Gran Wizard” William Simmons, che chiedeva a quei creduloni di arruolarsi nella propria “milizia” formata da cavalieri bianchi e cristiani in vista dell’imminente battaglia contro il male.

Negli anni Venti del Novecento, tra il Ku Klux Klan e alcuni circoli tedeschi di estrema destra si stabiliscono rapporti di scambio e d collaborazione all’insegna del razzismo anti-nero e anti-ebraico. Ma fu una collaborazione solo teorica, anche se effettivamente una loggia del Klan viene fondata in Germania, anche se non si tratta di un evento molto significativo. Nel febbraio 1921, a Berlino, il reverendo Otto Strohschein, tedesco di nascita e statunitense d’adozione, e suo figlio Gotthard fondano un Klan chiamandolo “Knights of the fiery Cross” (Cavalieri della Croce in fiamme). Ai due membri originario se ne aggiunse un terzo, Donald B. Gray, anch’egli statunitense di nascita e residente a Berlino. I tre americani di nascita non avevano comunque alcun contatto diretto con il Klan statunitense ed agiscono di propria iniziativa.
La “sezione distaccata” del Ku Klux Klan fa ben presto proseliti, aprendo tre logge nel Paese: “Viking”, “Germania” e “Heimdal” (dal nome di una divinità pagana scandinava). Tra Berlino e provincia il Klan tedesco arriva a contare un migliaio di aderenti.
Col tempo gli adepti tedeschi della congregazione degli incappucciati iniziano a lamentarsi della troppa “americanità” del Klan, riuscendo ad allontanare i tre fondatori originali. Gray ritorna negli Stati Uniti nel 1925 e fonda una nuova loggia del Klan, mentre il reverendo Strohschein e suo figlio Gotthard riparano in Slesia e tentano di fornare in questa regione un’altra loggia della confraternita. La direzione dei “Cavalieri della Croce in fiamme” viene presa da Richard Brant, ex dirigente della Siemens, che prendendo a prestito il nome di una divinità si autoproclamò “Wotan”.
Il nuovo governatore del Klan organizza la congregazione scrivendo anche un particolare giuramento che l’adepto doveva recitare, che si concludeva grossomodo così: “”Se, tuttavia, denuncio pubblicamente gli obiettivi di questo sacro ordine, diverrò vittima della vendetta del Klan. Tutte le mie ossa saranno rotte, i miei occhi saranno cavati e il mio corpo scomposto e gettato”.
La scenografia utilizzata nelle adunate comprendeva una bandiera imperiale tedesca e uno stiletto (pugnale corto) appoggiati su di un grezzo altare e una fonte d’acqua dove gli adepti si bagnavano il capo. Le cerimonie di iniziazione sono tenute nelle foreste o su colline lontane dalle città.
Il Ku Klux Klan tedesco non fece atti di particolare rilevanza criminale ed ebbe brevissima vita, rimanendo attivo sino all’inizio degli anni Trenta quando il governo nazista, appena arrivato al governo, proscrive tutte le organizzazioni non direttamente create dal Partito.

Nei pensieri perversi e razzisti del nuovo Ku Klux Klan c’era la lotta a tutto ciò che era alieno alla tradizionale cultura del nordamerica, insomma tutto ciò che minacciava “la purezza americana”: quindi, oltre ai neri (ora rappresentati dalla “National Association for the Advancement of the Colored People”), anche ebrei, cattolici, immigrati di ogni origine (specie italiani, poichι nella contorta logica del Klan facevano parte di una congiura papista per la conquista degli Stati Uniti d’America), socialisti e comunisti.
A questo punto si aggiunse alla “comitiva” formata da Simmons- Clarke-Tyler un altro losco individuo: un grasso dentista texano di nome Hiram Wesley Evans. Da questo momento, siamo nel 1923, il secondo Ku Klux Klan visse un grande momento di gloria e successo (anche se in negativo per chi ragiona!) sino al 1939. Evans fu nominato da Simmons “Kligrapp generale”, una sorta di segretario generale dell’organizzazione.
Nel giro di poco tempo Evans relegς Simmons ad un ruolo puramente nominale di “Gran Wizard Imperiale”, sbarazzandosi anche di Clarke e della signora Tyler, ormai nei guai per contrabbando di whisky e per aver turbato l’ordine pubblico (in pratica furono sorpresi insieme seminudi e completamente ubriachi). Il nuovo segretario generale organizzò il Klan a sua misura ed immagine, praticamente come un vero e proprio gruppo di potere politico, trasformando la confraternita da una setta patriottica in un partito in grado di acquisire potere politico ed esercitare pressioni sul sistema democratico statunitense. Nel 1923 Evans arrivò persino a far marciare pubblicamente per le strade di Kolomo, nel “nordico” Stato dell’Indiana, centinaia di migliaia di persone incappucciate. Klansmen arrivarono sino al Senato e persino alla carica di Governatore in diversi Stati.
Il secondo Ku Klux Klan poteva ancora definirsi segreto, ma in realtà non fu mai un’organizzazione esclusiva poichè i nomi degli iscritti erano noti e facilmente appurabili. Le stesse decisioni prese dai “Kloncilium” portavano i membri del Klan a farsi riconoscere. Ad esempio: una misura ripetutamente adottata dalla setta fu quella del boicottaggio economico. In pratica alle riunioni venivano indicati i negozianti sgraditi e per questo boicottati sino all’uscita dal commercio, oppure nelle vetrine dei negozi degli adepti del Klan veniva ben esposto un cartello con su scritto “TWK” (“Trade with Klan”) per esortare i membri della confraternita a trattare affari solo tra di loro.
La relativa ricercatezza del secondo Klan non impedì, comunque, che fossero commessi crudeli manifestazioni di razzismo, come omicidi, linciaggi ed altre violenze gratuite. Anzi, l’insuccesso del disegno napoleonico di Evans va addossato proprio alla condotta criminale dei dirigenti dell’organizzazione, coinvolti in ogni tipo di reato, dalla ricettazione e contrabbando allo stupro. Così dopo milioni di adesioni, arrivarono ogni giorno migliaia di defezioni.

Il caso più eloquente della condotta criminale dei dirigenti del Klan, ma anche del potere che si acquisiva entrando a far parte della confraternita, è forse quello di David Stephenson, “Gran Dragone” dello Stato dell’Indiana e di altri quattordici Stati.

Nel 1920 Simmons incaricò Joe Huffington di organizzare il Klan nello Stato dell’Indiana. Huffington stabilì il suo quartier generale a Evansville, reclutando un giovane commesso, David Curtis Stephenson, come suo aiutante. Da commesso di legnami per la L.G. Julian Coal Company, Stephenson riuscì, grazie al suo carisma, ad acquisire potere all’interno del Klan, tanto da essere nominato nel 1922 “Gran Dragone” dello Stato dell’Indiana. Divenuto dirigente della confraternita, Stephenson acquisμ potere anche al di fuori del Klan, occupandosi di scambio di voti per appoggiare ora quello ora quell’altro politico. Il “Gran Dragone” dell’Indiana era così potente che non a torto, al culmine della sua carriera, potι affermare: «Io sono la legge in Indiana».
Stephenson, che adorava Napoleone e voleva diventare Governatore dell’Indiana, di fatto s’impadronì di tutto il governo locale, diventando milionario e concedendo ai suoi klansemen cariche politiche. I suoi modi di fare erano megalomani, tanto che al “Konklave” organizzato il 4 luglio 1923 a Kolomo atterrò con il suo aereo privato color oro e, vestito con un abito color porpora, tenne il suo discorso osannato dai partecipanti.
Il potere economico e politico del “Gran Dragone” dell’Indiana ebbe però una breve durata. Infatti nel 1925 Stephenson fu coinvolto in uno scandalo che segnò in maniera indelebile la vita del Ku Klux Klan non solo nello Stato dell’Indiana ma in tutti gli Stati Uniti.
In pratica il dirigente fu coinvolto nel rapimento e nell’assassinio di una giovane segretaria: Madge Oberholtzer. Conosciuta in un party del politico Ed Jackson, fu rapita dagli uomini di Stephenson presso la stazione di Irvington, nelle vicinanze di Indianapolis. Madge Oberholtzer fu ripetutamente stuprata e mutilata da Stephenson. La donna fu morsa così tante volte che durante il processo fu descritta come “morsicata da un cannibale”. Madge Oberholtzer denunciò il losco individuo prima di suicidarsi con del veleno. Processato, Stephenson fu arrestato e incolpato di stupro, rapimento e omicidio di secondo grado in una pubblica causa che vide l’intera opinione pubblica dello Stato dell’Indiana direttamente interessata alla vicenda. Stephenson fu condannato a trentuno anni di reclusione e imprigionato in un carcere del Michigan.

La vicenda Stephenson-Oberholtzer influì notevolmente sulle successive defezioni che iniziarono ad arrivare da ogni parte degli Stati Uniti.

Non solo, lo stesso ex “Gran Dragone” dell’Indiana contribuì anche al definitvo tramonto del Ku Klux Klan. Infatti Stephenson, meditando sulla mancata azione dei politici che aveva appoggiato o creato sulla sua liberazone dal carcere, divenne informatore dello Stato rilevando tutti i dettagli della corruzione che aveva sparso nello Stato dell’Indiana. Le rivelazioni di Stephenson mandarono in carcere un membro del congresso, il sindaco di Indianapolis John Duvall, lo sceriffo di Marion County e altri funzionari. Molti politici e funzionari pubblici furono costretti alle dimissioni per aver ricevuto favori e doni dal Klan. Il governatore dello Stato Ed Jackson fu salvato unicamente grazie all’immunità prevista dallo Statuto delle limitazioni. L’ex “Gran Dragone” uscì di prigione nel 1956.
Nel frattempo la direzione del Klan era passata a James Arnold Colescott, un veterinario che nel 1939 prende le redini della congregazione degli incappucciati con l’biettivo di dare al Ku Klux Klan un’impronta nazifascista. Proprio sotto la presidenza di Colescott, nel 1944 arrivò il colpo di grazia per l’organizzazione.
Infatti il “Gran Wizard” James Colescott si vide recapitare dal fisco una multa di ben 685mila dollari per le tasse non pagate dalla congregazione negli anni Venti. Poichè l’organizzazione era già alla deriva totale e non disponeva di quella somma, il 28 aprile 1944 in una “Klonvokation” tenutasi ad Atlanta fu deciso lo scioglimento definitivo della prima incarnazione dell’antico Ku Klux Klan. Nonostante lo sciogliemento, quello che restava del Klan diventò una schiera di piccole organizzazioni separate e rivaleggianti l’una con l’altra.

Durante la Seconda Guerra Mondiale tantissimi neri servirono le forze armate, combattendo con valore contro la follia di Hitler. Finita la guerra a partire dagli anni Settanta molti fanno carriera nelle fila dell’esercito, altri raggiungono buoni impieghi con alte cariche. Tuttavia la discriminazione razziale non cessa definitivamente, nonostante la società statunitense si è più aperta verso l’integrazione.
I razzisti in generale e quelli che in qualche modo si ispirano alle gesta del Ku Klux Klan, devono ora contrastare il “Movimento per i Diritti Civili” (Civil Rights Movement) che pretende, a giusto titolo, diritti civili e uguali trattamenti e opportunità. Per il cui il Klan risorge nuovamente per la terza volta. Gli obiettivi questa volta sono molto simili alla prima organizzazione originale: contrastare le rivendicazioni dei neri e mantenere la gente di colore in condizioni di inferiorità.

Nel 1960, a opera di Robert Shelton, viene deciso il rilancio del Klan, proponendo l’organizzazione come punta avanzata e radicale del fronte di opposizione all’integrazione razziale. Dopo una carriera di piazzista di pneumatici, Shelton si autoproclama “Gran Stregone Imperiale” della “United Klans of America Knights of the Ku Klux Klan”. Il suo ufficio è nel cuore di Tuscaloosa in Alabama, la sua organizzazione è finanche registrata alla locale camera di commercio.
Le croci ritornano a bruciare durante le cerimonie degli incappucciati, ed episodi di linciaggi e barbari omicidi ricalcano le pagine dei giornali. Le maggiori organizzazioni di incappucciati che fanno capo al rinato Ku Klux Klan si chiamano ora “Black Legion” (dal color nero delle divise utilizzate), “Imperial Klan of America” (Klan Imperiale Americano) e “Knights of the White Camelia” (I Cavalieri della Camelia Bianca).

Probabile vittima illustre del Klan è Martin Luther King, pastore battista e uomo politico statunitense, uno dei più importanti leader del movimento dei neri americani per i diritti civili e principale sostenitore della resistenza non violenta alla segregazione razziale. Il 28 agosto 1963 guidò la storica marcia su Washington e pronunciò il famoso discorso che iniziava con le parole “I have a dream” (Ho un sogno). Nel 1964 fu insignito del premio Nobel per la pace. Il 4 aprile del 1968 venne assassinato a Memphis, nel Tennessee, da un sicario. Le circostanze della sua morte perdurano tuttora nell’oscurità.

Le considerazioni politiche riguardo al peso che il voto della gente di colore può avere nelle elezioni politiche, convince presidenti degli Stati Uniti, governatori, senatori del Congresso e candidati a ricoprire queste poltrone, dell’utilità di contrastare subito e in maniera radicale il razzismo del rinato Ku Klux Klan. Per questo molti agenti del “Federal Bureau of Investigation” (FBI) sono infiltrati nell’associazione degli incappucciati. Questa mossa dà subito i suoi buoni frutti e l’intera organizzazione razzista viene letteralmente ridotta in pezzi.

Attualmente esistono negli Stati Uniti nuove reincarnazioni del Ku Klux Klan, ma sono completamente autonome l’un l’altra e chiuse in se stesse. Si stima che queste organizzazioni abbiano un seguito valutato in circa cinquemila adepti in tutti gli States.
Il progresso della gente di colore nella società civile e politica degli Stati Uniti d’America e nel mondo è un duro schiaffo morale a chi pensa che basta avere la pelle di un colore diverso dal bianco per bollare un individuo come un essere “inferiore”.

Le Pantere Nere

Il 15 ottobre 1966 gli attivisti per i diritti civili Huey Newton e Bobby Seale fondano il partito delle Pantere Nere (the Black Panther Party for Self-Defense) per promuovere la difesa dei diritti degli afroamericani negli Stati Uniti attraverso azioni di agitazione sociale di diverso tipo. Attive dapprima a livello locale in California le Pantere Nere si diffondono in tutte le città nordamericane. Se in una prima fase gli obiettivi del movimento si identificavano esclusivamente nella promozione dei diritti dei neri americani e nella difesa dalle discriminazioni nel sistema educativo, nei luoghi di lavoro e nella vita pubblica, successivamente le Pantere Nere sono arrivate a rappresentare gli ideali della controcultu ra giovanile dei tardi anni ’60


 

 

 

 

 

Cina fra crescita economica, profitti e rifiuti: quale speranza?

Fonte: http://www.howtobegreen.eu/

Cina, crescita economica accelerata, rifiuti e logica del profitto prima di tutto. In Cina, si stima che oltre il 90 percento dei rifiuti industriali non sono riciclati che questi rifiuti, provenienti dai migliaia di cantieri avviati negli ultimi anni, vengono ammassati a cielo aperto in discariche abusive inquinando terra e acqua.

Che cosa alimenta tutta questa crescita economica? Per lo più la speculazione edilizia. La crescita è divenuta negli ultimi anni così irresistibile da diventare insostenibile in quanto di fatto tutta poggiante sulla corsa al CEMENTO quale conseguenza diretta di 460 miliardi di euro messi in gioco per la rinascita economica cinese.

Allo stato attuale sono in costruzione quasi 40 milioni di case popolari, 100 aeroporti, migliaia di chilometri di linee ferroviarie e quasi due miliardi di metri quadri fra uffici e appartamenti costruiti OGNI ANNO.

Quale la conseguenza? La Cina si mangia oltre il 40 percento dell’acciaio e del cemento prodotto in tutto il mondo. Come riportato su Greenreport.it “Nella sola Pechino, su 100 milioni di tonnellate di rifiuti prodotti ogni giorno, il 40 percento proviene dai cantieri edili, una quota sette volte più alta della media dei Paesi industrializzati occidentali. Solamente il 5 percento di questi rifiuti è trattato secondo la legge ed appena l’1 percento è riciclato”.

Si pensi che il metallo abbandonato quando arrugginisce contamina fortemente il suolo e le falde freatiche. Non solo, anche il cemento inquina liberando importanti livelli di carbonato di calcio. Questo comporta aumento dell’acidità nel suolo e l’impossibilità di coltivarlo.

E pensare che il governo ha una legislazione che obbliga tutti i produttori/costruttori di riciclare i loro rifiuti. E perchè nessuno controlla? Perchè ci sono troppi interessi economici in ballo e nessuno ha nell’interesse all’aumento dei costi legati allo smaltimento e riciclaggio dei propri rifiuti.

Uno fra i più importanti centri per i rifiuti di Pechino, lo Yuantaida Buildings Materials Science and Technology Corporation, è in grado di trattare fino ad 1,5 milioni di tonnellate di rifiuti all’anno ma in realtà ne tratta soltanto tra le 300 e 500 mila tonnellate, ovvero un terzo in meno della propria capacità. E perchè? Secondo Wu Jianmin, il direttore del centro della Yuantaida, “I costruttori non hanno interesse a conferirci i loro rifiuti perché i nostri costi vanno ad appesantire le loro fatture. Come centro abbiamo anche difficoltà ad essere competitivi in quanto, per esempio, i nostri mattoni riciclati sono più cari dei materiali classici”.

Ovvero? La solita logica del denaro-profitto porta alla convenienza di continuare ad inquinare e non riciclare. In un modello capitalista ciò che non conviene economicamente viene scartato. E intanto il pianeta può attendere.

E il Texas dei Bush dà una lezione ad Obama

Scritto da: Dario Mazzocchi
Fonte: http://www.linkiesta.it/

È uno Stato americano, crea occupazione in mezzo alla crisi, ha il più grande parco eolico al mondo e qui hanno sede la maggior parte delle migliori aziende Usa. Solo che non è la California ma il Texas. E questa non è una buona notizia per la Casa Bianca. Lo Stato che va meglio è infatti il più lontano dal “modello Obama”.

Texas contro California, ormai il mantra è collaudato e consolidato. Aveva cominciato l’Economist nel luglio 2009, con un’inchiesta sullo stato di salute dei due stati così diversi, due facce di una stessa medaglia: gli Stati Uniti di Barack Obama e della crisi finanziaria ed economica. La saga si è aggiornata mentre i Dallas Mavericks hanno portato a casa, per la prima volta nella loro storia, l’anello di campioni della Nba, il basket come siamo abituati a conoscerlo. Una formazione di seconde scelte, anziani con la voglia di vincere dei nuovi arrivati (Jason Kidd, 38 anni all’anagrafe e il corpo sempre tra l’attaccante e il proprio canestro) e un tedesco con la stoffa del campione, Dirk Nowitzky.
I Mavs (così sono chiamati) sono arrivati alla serie finale contro i Miami Heat dei Big Three (LeBron James, Dwayne Wabe e Chris Bosh) dopo aver asfaltato i Los Angeles Lakers nel secondo turno dei playoff. I Lakers, Los Angeles. La California: il sole e il mare della West Coast, con i clan liberal che vanno da Hollywood a San Francisco e le generazioni di intellettuali che crescono in atenei prestigiosi come Stanford e Berkeley, quartier generale del movimento studentesco e contestatore degli anni ’60 e ’70. Un paradiso in terra per la gauche europea e italiana, la Parigi d’Oltreoceano.

Pochi giorni prima che Dallas scendesse a Miami per chiudere i conti, il Wall Street Journal pubblicò un editoriale fatto di numeri: a partire dal giugno 2009, quando la recessione è finita, il Texas è cresciuto di 265.300 nuovi posti di lavoro, su un totale nazionale di 722.200, precedendo sul podio New York (inteso sempre come stato, con 98.200 nuovi posti di lavoro) e Pennsylvania (93.000). Sommando ciò che è stato fornito da tutti gli altri stati, si arriva a 266.000 posti. Il Texas è in forma, mentre in diciotto casi l’occupazione è scesa: tra questi c’è la California, con -11.400 posti.

Texas contro California vuol dire anche Texas contro Barack Obama. «L’essenza della “Obamanomics” è di rendere l’America meno come il Texas e più come la California: con più intervento statale, più i sindacati, più pianificazione centrale, tasse più alte», commentava infatti il Wsj dopo aver snocciolato le cifre, mentre a conti fatti l’economia texana nelle ultime due decadi è cresciuta in media del 3,3% all’anno contro il 2,6% del resto degli Stati Uniti. Lo scorso 20 giugno, tra l’altro, il governatore repubblicano Rick Perry (dato ormai come prossimo concorrente alle primarie dei Repubblicani) ha firmato una legge che libera il Texas dal provvedimento federale di messa al bando della lampadine incandescenti per rimpiazzarle con quelle ecologiche. «I consumatori possono fare scelte intelligenti da soli, senza che sia il governo a forzarle», ha dichiarato Nick Loris, analista energetico per conto della Heritage Foundation, centro di ricerca politica di spirito conservatore.

Una lampadina che fa luce su visuali una l’opposta dell’altra. In Texas Obama non gode di grande popolarità e non solo perché stiamo parlando di una zona degli Stati Uniti ad alto tasso repubblicano. È una questione culturale: negli ultimi giorni i repubblicani hanno deciso di nascondere il più possibile il nome di George W. Bush dalla campagna elettorale perché l’ex presidente (ed ex governatore dello stato) nei suoi mandati si è dimostrato troppo incline al big government. Ora sulla cresta dell’onda c’è Ron Paul, rappresentante al Congresso per il 14° distretto del Texas, giudicato il padrino intellettuale dei nuovi Tea Party e ambasciatore dell’ideale libertario.

Per leggere la nuova realtà del Lone Star State, lo stato della stella solitaria che sventola nella bandiera, bisogna sfuggire agli stereotipi del cowboy che ha sostituito i cavalli con i pick-up, conservando però la pistola e la birra ghiacciata o del petroliere senza scrupoli alla J.R.
Il Texas per esempio nell’ultimo anno è diventato il più grande produttore di energia elettrica del Paese, trovando un’alternativa al petrolio nelle turbine eoliche. A Roscoe, nel deserto occidentale, sorge la più grande wind farm al mondo: la centrale costata un miliardo di dollari si stende sull’area di quattro contee, coprendo una superficie di 400 km quadrati e conta 627 turbine che producono 5.160 megawatt, soddisfacendo il fabbisogno di 250.00 case. Nel ’99 fu lo stesso Bush, in qualità di governatore, a obbligare le imprese elettriche a produrre nei successivi dieci anni duemila megawatt in più dalle rinnovabili, in cambio di sconti fiscali.

Meno stato, meno tasse, meglio si sta. In Texas non ci sono imposte né sui redditi d’impresa né sul capital gain, il guadagno in conto capitale. La spesa pubblica rappresenta il 17% del prodotto interno lordo. I posti di lavoro nel cosiddetto Stem (il settore che ingloba scienza, tecnologia, ingegneria e matematica) sono saliti del 14%. Non è Cupertino, è il Texas, dove secondo la rivista Fortune hanno sede 64 delle cinquecento migliori compagnie, mentre in California sono 51 e a New York 56. Non è prevista contrattazione collettiva, i lavoratori iscritti al sindacato sono pari solo al 6%. La legislazione ha messo alle strette le politiche sociali e il welfare, mentre l’enorme spesa pubblica sta mandando definitivamente gambe all’aria la California e non solo.

Più uno sale di grado, più si fa dei nemici. Paul Krugman è l’economista ed editorialista liberal del New York Times. Ad inizio anno profetizzò una brusca virata nella gestione economica dei texani che avrebbero dovuto alzare le imposte per rimediare ad un buco di venti miliardi di dollari nel bilancio dei prossimi due anni. Non è andata così e Krugman ha rilanciato la polemica, puntando sul fatto che il Texas ha un elevato tasso di abbandono scolastico (si diploma solo il 61% degli studenti), il maggior numero di bambini senza assicurazione sanitaria e che si è classificato quinto nella classifica degli stati con più povertà infantile. La difesa ha comunque l’arringa pronta: in un momento di vacche magre, il Texas che taglia rappresenta un modo per sopravvivere fino al prossimo ciclo di vacche grasse (e in Texas di vacche se ne intendono).

E se sbaglia a non investire di più nell’istruzione, un domani è probabile che avrà le risorse per farlo, qualcun altro invece no. Dopo tutto aumenta il flusso migratorio interno verso il Sud. Non è un fenomeno nuovo, come hanno raccontato John Micklethwait e Adrian Wooldridge, i due giornalisti che nel 2004 pubblicarono The Right Nation / Why America is different, un utile manuale per capire la politica a stelle e strisce. I Bush, per esempio: la famiglia era originaria del New England e come tante altre, scese in Texas per affari, portandosi dietro le simpatie repubblicane ed entrando a stretto contatto con un ambiente agguerrito e senza fronzoli, creando le basi per il feudo del Grand Old Party.
La storia ha fatto il resto.

LA SAGGEZZA DEI POPOLI INDIGENI

Fonte:http://www.schiavieservi.com/

I popoli indigeni hanno gestito le loro foreste per secoli, e ce le hanno consegnate come eredità. Ma noi le stiamo abbattendo. E con la foreste muoiono i popoli che le abitano, come gli Indios amazzonici, i Pigmei in Africa, i Penan in Malesia...

Queste genti hanno sviluppato nei secoli conoscenze profonde e hanno imparato a convivere con la foresta senza distruggerla.
Sono le prime vittime dell’assalto alla foresta. L’arrivo dell’industria porta con se’ la distruzione degli alberi che forniscono loro frutti o medicinali, ma anche punti di riferimento nei loro spostamenti. Le bande di bracconieri arrivate assieme all’industria ripuliscono la foresta di tutta la selvaggina. Le successive ondate di insediamenti tolgono loro la terra, la cultura ed il diritto a vivere.
Le foreste danno da vivere anche a numerose popolazioni di raccoglitori, come i seringueros in Amazzonia, che vivono estraendo gomma o raccogliendo noce brasiliana.
I profitti finiscono nei conti delle aziende multinazionali e di prestanomi locali, oltre a fluire nelle tasche di amministratori corrotti: il prezzo delle tasse per le concessioni di taglio è irrisorio se rapportato al valore del prodotto finito. Al paese esportatore restano solo i danni lasciati da uno sfruttamento predatorio: distruzione dell’ambiente e delle risorse. Il prelievo industriale del legno tropicale africano non genera ricchezza né sviluppo. Almeno non per le genti del luogo. I paesi africani esportatori di legno sono tra i 50 paesi più poveri del mondo, sono tra i paesi a più basso indice di sviluppo umano, e il loro reddito pro capite è tra i più miserabili. Questi paesi compaiono nella lista dei Paesi poveri altamente indebitati. Mentre immense quantità di legno prezioso venivano incamminate verso l’Europa e l’Asia, debito estero dell’Africa sub-sahariana cresceva del 225%.
Le aree di sfruttamento forestale, sono caratterizzate dalle problematiche sociali tipiche dell’inurbamento improvviso: alcolismo, prostituzione, AIDS. Intanto scompare un patrimonio di ricchezza biologica ma anche economica. Per gli abitanti dei villaggi le conseguenze negative delle operazioni forestali, superano di gran lunga quelle positive.
Quando cominciano le operazioni di taglio, la popolazione del villaggio si moltiplica, spesso i villaggi si trasformano in piccole città. Con l’arrivo dell’industria, arrivano la prostituzione, l’AIDS, l’alcolismo, e la struttura sociale e culturale del villaggio collassa. Intanto l’improvvisa domanda di cibo aumenta i prezzi. Contemporaneamente, le stesse operazioni forestali riducono la disponibilità di prodotti selvatici, raccolti tradizionalmente dalla gente dei villaggi (frutta, semi da olio, piante medicinali ecc). È abbastanza frequente che gli impiegati delle compagnie rubino verdure dagli orti locali o portino via la cassava dalle piantagioni. L’invasione di cacciatori di frodo su larga scala, per vendere la carne alle compagnie del legno o trasportarla verso i mercati della città, minaccia ulteriormente le loro risorse alimentari locali, mentre le compagnie si rifiutano di pagare qualsiasi risarcimento.

La distruzione delle foreste non è un male necessario allo sviluppo dei paesi poveri. Anzi, decenni di industria del legno e la monocoltura hanno aumentato la povertà e la miseria