Le biomasse, che delusione pericolosa, dicono 120 associazioni ambientaliste

Fonte: https://www.salvaleforeste.it/it/reddd/4434-le-biomasse-sono-un-delirio,-dicono-120-associazioni-ambientaliste-2.html

Oltre di 120 associazioni ambientaliste da circa 30 paesi hanno denunciato la truffa delle biomasse forestali, incentivate come energie rinnovabili al fine di proteggere il clima. In realtà la produzione delle biomasse crea più problemi di quanti ne risolva. La dichiarazione, intitolata “La delusione delle biomasse” (The Biomass Delusion), sottolinea come la combustione su larga scala delle foreste per produrre energia danneggia il clima, le foreste, le comunità locali e ostacola la transizione verso l’energetica pulita.
Secondo i firmatari, la protezione delle foreste è essenziale ad abbassare le temperature del pianeta, non certo bruciarne il legno.
Presentato dall’industria come la soluzione più economica per mitigare mitigazione i cambiamenti climatici, in realtà l’impiego di biomassa forestale per produrre energia o riscaldamento  rischia di compromettere ancor più il clima planetario.
Da dichiarazione è firmata da oltre 120 associazioni, tra cui Greenpeace, NRDC (Consiglio per la difesa delle risorse naturali), BankTrack e la Federazione delle della comunità forestali del Nepal.
La dichiarazione viene pubblicata nell giorno scelto dalla lobby dell’industria delle biomasse per promuovere la combustione di legna, ed evidenzia diversi rischi:

Rischio legislativo – Sempre più prove scientifiche indicano gli impatti negativi della combustione di biomassa, incluso il fatto che emette più CO2-equivalente del carbone (per unità di energia). Lo scorso agosto, il governo britannico ha già compiuto un primo passo verso l’abolizione dei sussidi alle biomasse. Senza sussidi, la redditività economica di questo business aziende è discutibile, e gli investitori rischiano di imbarcarsi in imprese fallimentari.

Rischio climatico – La combustione della biomassa legnosa contribuisce al cambiamento climatico aumentando le emissioni e distruggendo i “pozzi” di carbonio, le foreste. A loro volta, i cambiamenti climatici possono influire sulla disponibilità di acqua, che ha un impatto diretto sulla produttività delle foreste e delle piantagioni. Il clima più torrido rende anche le foreste e le piantagioni più vulnerabili agli incendi, che possono mandare in fumo a centinaia di migliaia di ettari, come è successo negli ultimi anni in Indonesia, Cile e Portogallo. Un processo che rischia di causare causa perdite finanziarie, per non parlare degli impatti sulla vita delle popolazioni, sulla biodiversità e, di nuovo, sul clima.

“Con l’uso di biomasse forestali di perdono tutti. I rischi sono evidenti e hanno portato un gran numero di associazioni a unirsi per fronteggiarli. Facciamo appello ai governi e alle amministrazioni locali,, agli investitori e ai consumatori per togliere ogni sostegno alla produzione di energia su larga scala dalle foreste”, ha dichiarato Peg Putt, coordinatore del gruppo di lavoro della rete Environmental Paper Network che ha coordinato  la dichiarazione.

La grotta di Chauvet, bella e impossibile. Eppure le datazioni dicono: 36.000 anni fa

Fonte: http://storia-controstoria.org/paleolitico/la-grotta-di-chauvet-bella-e-impossibile-eppure-le-datazioni-dicono-36-000-anni-fa/

Ci sono tornata. La tentazione era troppo forte. La grotta di Chauvet attira gli appassionati come la luce le falene. È perfetta e al contempo misteriosa. È bella e impossibile, perché lo stile delle pitture, dei disegni e delle incisioni parietali si presenta incredibilmente moderno, tanto attuale da aver fatto pensare dapprima agli studiosi che si trattasse di un’evoluzione artistica più “recente”. Si collocarono le opere di Chauvet nel Magdaleniano (ca. 18.000- 11.000 B.P.) ipotizzando uno sviluppo seguito all’arte della grotta di Lascaux. Oggi, grazie alle tante datazioni estremamente accurate, sappiamo che i maestri dell’Età della Pietra hanno operato nella grotta 36.000 anni or sono. Davvero nella notte dei tempi.

La grotta meglio datata al mondo

E così la scoperta di Chauvet ha cambiato il concetto dell’evoluzione artistica. L’idea che quest’ultima abbia seguito un percorso cronologicamente lineare è ora sfatata. I risultati delle tante analisi effettuate all’interno della grotta hanno contraddetto il concetto di sviluppo lineare dell’arte in modo evidente e inderogabile. Infatti non soltanto le raffigurazioni di Chauvet si presentano stilisticamente e tecnicamente superiori a tante altre eseguite decine di migliaia di anni dopo, non è solo questo il punto. A ciò si aggiunge il fatto che gli artisti di Chauvet hanno adottato tecniche e metodi sconosciuti anche ai pittori del Medioevo e “riscoperti” soltanto molto più tardi dagli artisti del Rinascimento. Lo dice la scienza.

La scoperta di Chauvet è stata quindi una rivoluzione e ci invita ad abbandonare i vecchi schemi mentali e ad aprirci a nuove realtà, a concezioni diverse. L’esistenza di Chauvet ha avuto un impatto decisivo sul nostro modo di interpretare il passato. Tuttavia, come sempre accade, alcuni scettici (altresì una sparuta minoranza) continuano ad opporsi all’evidenza e le discussioni sulle datazioni continuano ancora oggi, nonostante Chauvet sia attualmente la grotta meglio datata al mondo.

La grotta di Chauvet è situata nel Midi della Francia, dipartimento Ardèche, presso la pittoresca località di Vallon-Pont-d’Arc. È stata scoperta nel dicembre del 1994 dai tre speleologi Jean Marie Chauvet, Éliette Brunel Deschamps e Christian Hillaire. Oggi la grotta originale è chiusa ai visitatori, una misura di sicurezza assolutamente necessaria per proteggere le opere dai batteri che possono causare la proliferazione di alghe e funghi sulle pitture, le incisioni e i disegni e portare al deterioramento e alla sparizione dell’importante patrimonio artistico. Dopo l’esperienza negativa della grotta di Lascaux, che fu per decenni aperta al pubblico e seriamente danneggiata, si è pensato bene di tutelare la grotta di Chauvet fin dall’inizio.

Tuttavia è possibile visitare un facsimile della caverna (le sale sono più piccole di quelle originali in rapporto 1:3, mentre le dimensioni delle pitture, dei disegni e delle incisioni corrispondono agli originali), la “Caverne du Pont d’Arc”, per farsi un’idea dell’eccezionale bellezza di questo patrimonio dell’umanità (attenzione: si deve però prenotare la visita per tempo, è ammesso soltanto un determinato numero di persone al giorno).

Come scritto più sopra, la grotta è stata sottoposta a numerosissime datazioni, ben 350, sia radiometriche che al C14, dirette e indirette, eseguite sulle rocce, sulle stalattiti, sulle pareti, sui focolari e anche sui pigmenti di colore, sulle ossa di animali recuperate nella caverna, sulle tracce lasciate dalla fuliggine delle fiaccole dell’Età della Pietra. Soprattutto va sottolineato che sono state effettuate numerose datazioni dirette su campioni prelevati da alcuni disegni eseguiti a carbone e dallo strato di calcite che ricopriva altre opere.

Ora sappiamo che la caverna dell’Ardéche è stata frequentata in più fasi e durante un lasso di tempo enorme, a partire da 36.000 sino a circa 29.000 anni or sono. Le opere artistiche risalgono quindi all’Aurignaziano (40.000-30.000) e le ultime tracce dei visitatori al Gravettiano (30.000 –22.000). La certezza che nessuno, sino al 1994, sia potuto penetrare nella caverna, è dato dal fatto che un crollo dei massi avvenuto sull’entrata preistorica ostacolò l’accesso a partire da 29.500 anni fa. Il crollo degli ultimi massi avvenuto circa 7000 anni dopo sigillò definitivamente l’entrata. Ciò significa che la tradizione culturale (e forse cultuale?) legata a tale luogo è perdurata per millenni. Oggi i pochissimi studiosi autorizzati ad entrare nella caverna per motivi di preservazione e ricerca, utilizzano l’accesso che fu utilizzato dai tre speleologi scopritori, mentre quello preistorico originario è ancora ostruito dai massi litici.

Dunque la perfezione era all’inizio? Gli artisti di Chauvet sembrano aver conosciuto la tecnica di una prospettiva ante litteram, il metodo sintetico di rappresentare gli animali in movimento, la tecnica dello sfumato per conferire agli animali raffigurati la corposità di un altorilievo, la rappresentazione tridimensionale ottenuta avvalendosi di profondità e contorni per mostrare gli animali come se uscissero dalle fessure delle pareti rocciose per poi avventurarsi nel cuore della grotta. A tutto ciò si aggiunge la mano sicura e geniale degli artisti che testimonia una padronanza indiscutibile di linee e forme, la conoscenza intrinseca del comportamento animale propria degli antichi cacciatori, la bellezza della spontaneità delle immagini e della forza espressiva racchiusa in pochi tratti.

Rinoceronti, leoni e mammut nella fauna di Chauvet

Chauvet è un miracolo. Non è facile descriverne lo splendore. C’è solo una possibilità: recarsi sul posto e ammirare di persona il bestiario incredibile che emerge dalle ombre e dagli anfratti e che un tempo sembrava muoversi alla luce tremolante delle torce per perdersi poi, irraggiungibile, nell’universo del mito. Nelle prime sale rocciose domina il colore rosso dell’ocra. Poco distante dall’entrata si stagliano i profili di orsi delle caverne: fantasmi meravigliosi, perfetti, essenziali. Orsi che non hanno occhi, come spiriti, anime della terra.

Una pioggia di cerchi rossi esplode su una parete rocciosa: i palmi delle mani di chi passò in quella caverna 36.000 anni fa e, dopo aver immerso le mani nel colore rosso, impresse il suo marchio sulla pietra. Forse un gesto di culto. Gli esperti hanno individuato mani di donna, uomo, bambino. Forse tra esse ci sono anche quelle degli artisti. In una galleria della caverna un dito sconosciuto ha tracciato nell’argilla morbida uno splendido cavallo, un po’ più in là un altro artista ha usato la medesima tecnica per immortalare una civetta.

Un mammut emerge dall’ombra, una coppia di leoni cammina fianco a fianco. In un angolo si vede un piccolo rinoceronte solitario, poi altri orsi di diversi colori. Segni. Dappertutto. Tanti simboli ricorrenti e misteriosi il cui significato a noi estraneo rimane racchiuso nel silenzio della grotta. Uno ricorda una farfalla, un altro un gigantesco insetto. Nelle sale più interne è la volta del colore nero, ricavato dalla polvere di manganese e, per i disegni, dal carbone. Se nel passato le sale dipinte in rosso erano parzialmente illuminate dalla luce del giorno, quelle in nero sono appartenute invece da sempre al regno della notte.

Una parete cattura l’attenzione dell’osservatore, incatena il suo sguardo a quattro splendidi cavalli. Verso il fondo della grotta si susseguono i grandi pannelli, quelli davvero sublimi che hanno cambiato il nostro concetto di evoluzione artistica. Si vedono un branco di leoni, una mandria di rinoceronti, dei mammut, bisonti, ancora cavalli. Gli animali raffigurati in maggior numero a Chauvet sono i leoni, i rinoceronti, i mammut e gli orsi delle caverne. Animali pericolosi che appariranno di rado nelle raffigurazioni di epoca più tarda e sembrano invece dominare l’universo dell’Aurignaziano. Sono gli stessi protagonisti dell’arte mobiliare tedesca, quella del Giura svevo, che ha portato alla creazione della Venere di Hohle Fels e dello splendido Uomo-Leone di Hohlenstein, due capolavori di ben 40.000 anni fa.

Dunque anche le specie di animali rappresentati parlano per un’epoca estremamente remota, in barba alla fantastica modernità dello stile adottato dagli artisti. Perché “artisti”? Perché gli studiosi pensano che delle mani diverse abbiano operato nella grotta di Chauvet. Sconosciuti che dovevano fruire di un’esperienza profonda in materia, di un esercizio pluriennale probabilmente effettuato su materiale deperibile, come pelli oppure legno. Le altre opere di questi maestri sono andate perdute, le raffigurazioni parietali di Chauvet sono rimaste a testimoniare la loro passata esistenza.

 Il regno dell’orso delle caverne: un culto del Paleolitico?

E poi Chauvet è il regno dell’orso delle caverne. Un gigante erbivoro di quasi due metri al garrese che non appare soltanto sulle raffigurazioni parietali. La grotta era la sua tana. Fino a 30.000 anni or sono questo impressionante visitatore ibernava tra le rocce di Chauvet, lo testimoniano gli avvallamenti lasciati dal suo corpo nel terreno originale, i graffi prodotti dalle sue unghie lungo le pareti, i numerosi resti fossili all’interno della grotta. Ma c’è di più. Un altro mistero si aggiunge alle tante domande senza risposta. In una delle sale più interne, una di quelle da sempre preda della notte, gli speleologi hanno scoperto un grosso masso di pietra di forma triangolare su cui poggiava un teschio di orso delle caverne.

Il masso era precipitato dal soffitto della caverna più di 30.000 anni fa e i frequentatori della grotta, gli uomini dell’Aurignaziano, vi avevano poggiato sopra il cranio di orso, seguendo la geometria della pietra, sistemandolo proprio sul vertice del triangolo litico. Come fosse un altare. Tutto intorno al masso hanno poi disposto altri crani ed ossa di orsi delle caverne. Una scena bizzarra, quasi irreale, che ha portato molti studiosi ad ipotizzare una sorta di culto dell’orso nel Paleolitico.

L’archeologo francese Jean Clottes, esperto di Chauvet, parla di sciamanismo. Identifica nelle grotte francesi dei luoghi di culto in cui le genti del Paleolitico si recavano per ristabilire quel legame invisibile con l’altro mondo, forse con gli spiriti degli animali, con le forze della natura. L’antropologo Alain Testart ipotizza che lo spazio delle caverne abbia costituito un microcosmo mitico, la rappresentazione dello stato del mondo alle origini. Non è da escludersi che anche una strana raffigurazione situata nella sala più profonda della grotta di Chauvet faccia parte di questo universo magico: su una roccia triangolare che pende dal soffitto l’artista ha dipinto in colore nero un triangolo pubico, una vulva, e le estremità inferiori di questo stralcio di donna si fondono con l’immagine di un bisonte.

Entrata attualmente utilizzata dagli studiosi per accedere all’interno della grotta di Chauvet. Foto: Thilo Parg CC BY SA 4.0

La donna e il bisonte, la donna e il mammut: questo tema ritorna spesso, come un leitmotiv, nell’arte rupestre del Paleolitico. Parte dall’Aurignaziano per poi attraversare il Gravettiano e raggiungere il Magdaleniano, l’ultima tappa dell’arte delle caverne che finisce, inspiegabilmente, intorno a 11.000 anni fa. Non conosciamo il motivo che portò a questo epilogo improvviso. Forse la fine dell’Era Glaciale con i grandi cambiamenti di vegetazione e fauna ad essa collegati scatenò una crisi profonda che sconvolse il mondo dei cacciatori-raccoglitori. Sappiamo soltanto che quest’epoca segnò la fine di una lunghissima tradizione di decine di millenni, una delle più lunghe tradizioni della preistoria, quella che ispirò i nostri lontani antenati europei a tracciare disegni, pitture, incisioni e simboli nel cuore della terra.

Oggi sappiamo che le genti del Paleolitico non abitavano nel profondo delle grotte. Non erano “uomini delle caverne” nel vero senso del termine. Anche quest’immagine è figlia di preconcetti e false supposizioni dei secoli scorsi, dettati dalla mancanza di informazioni più precise. Preferivano invece allestirsi delle tende in accampamenti all’aperto, oppure occupare dei ripari in riva ai fiumi sotto speroni di roccia, talvolta allestivano ad abitazione l’entrata delle caverne, magari nella stagione fredda.

Ma le sale più profonde delle grotte, spesso difficilmente accessibili, non erano abitate. Gli ambiti più reconditi erano esclusivamente destinati all’arte e forse a culti sconosciuti. Di sovente non c’era luce laggiù, i frequentatori dovevano illuminare le pareti con lampade a grasso animale oppure fiaccole. Non di rado gli artisti operavano in posizioni impossibili, accucciati, distesi supini in ambienti estremamente angusti. Spesso tracciavano le loro opere più belle proprio là, dove nessuno poteva vederle. Perché? Forse per loro l’azione contava più del risultato.

Sconfitto il partito della guerra alle elezioni di metà mandato

Fonte: http://movisol.org/sconfitto-il-partito-della-guerra-alle-elezioni-di-meta-mandato/

L’”ondata blu” di voti per il Partito Democratico, che era stata preannunciata e promossa dai media dominanti negli Stati Uniti, non si è materializzata alle elezioni di metà mandato del 6 novembre. I democratici hanno ripreso la maggioranza alla Camera, ma a un livello ben inferiore a quelli generalmente raggiunti dal partito di opposizione nel corso di tutte le elezioni di metà mandato. Quanto al Senato, i repubblicani hanno incrementato la maggioranza conquistando tre o quattro seggi in più, a seconda dell’esito del conteggio dei voti ancora in corso. Per contrasto, i democratici di Bill Clinton avevano perso otto seggi al Senato nel 1994, e quelli di Obama sei nel 2010.

Il fatto che Donald Trump e i repubblicani a lui fedeli ce l’abbiano fatta, dopo due anni di calunnie e vituperii, a partire dalla falsa accusa che Trump si fosse fatto aiutare dalla Russia per vincere le elezioni del 2016, è dovuto in larga parte al fatto che il Presidente sia sceso in campo personalmente nella campagna per il Senato. Trump ha condotto la campagna elettorale per undici candidati repubblicani e, finora, otto di loro hanno vinto. La campagna personale di Trump viene accreditata, perfino dai suoi oppositori, come l’elemento determinante che ha arginato l’ondata blu dei democratici.

Anche se si potrebbe dire molto di più nell’analizzare il risultato del voto, due aspetti risaltano. La vittoria al Senato rende molto improbabile un tentativo di impeachment, che richiede due terzi dei voti, ovvero 67. Che l’inchiesta dell’inquirente speciale Mueller non abbia prodotto prove serie di interferenze russe o della collusione di Trump con la Russia nel 2016, garantisce che Trump resterà Presidente per il resto del mandato di quattro anni.

In secondo luogo, una volta completato il conteggio dei voti, Trump ha teso la mano ai democratici, invitandoli a lavorare con lui invece di proseguire fanaticamente la campagna per un cambiamento di regime. Ha telefonato a Nancy Pelosi, che probabilmente diventerà la Presidente della Camera, per congratularsi con lei e suggerirle sforzi comuni su temi cruciali, come la ricostruzione delle infrastrutture e la riduzione dei prezzi troppo alti dei farmaci da prescrizione. Alcuni nell’Amministrazione hanno indicato che Trump potrebbe tornare alla promessa, fatta durante la campagna per le presidenziali, di ripristinare la legge Glass-Steagall, sostenuta da molti democratici. Pur offrendo un rametto d’ulivo, ha ammonito i democratici che se proseguiranno con le inchieste contro di lui, la sua famiglia e le sue imprese, la risposta “sarà simile a una guerra” e gli elettori daranno la colpa ai democratici per non aver affrontato i problemi reali del Paese.

Durante la campagna elettorale Trump aveva chiarito la sua intenzione di attenersi ai temi che portarono alla sua vittoria nel 2016, inclusi quello di cercare la cooperazione con Vladimir Putin e con la Russia, quello di difendere la sovranità americana e quello di porre fine agli accordi di “libero scambio” della globalizzazione che hanno portato al quasi smantellamento del settore industriale americano. Se insisterà nell’offerta di collaborare sulla politica economica, i democratici si troveranno di fronte al momento della verità: lavoreranno con lui, nell’interesse di quello che Franklin D. Roosevelt definiva il “forgotten man”, l’uomo dimenticato, o continueranno a essere il partito di Wall Street e della City di Londra, difendendo un sistema finanziario in bancarotta e promuovendo il cambiamento di regime e la guerra, in particolare contro Russia e Cina?

L’eruzione del Vesuvio avvenne il 24 ottobre del 79 d.C.

Fonte: https://ilfattostorico.com/2018/10/22/leruzione-del-vesuvio-avvenne-il-24-ottobre-del-79-d-c/

MiBAC

Repubblica

L’iscrizione che recita “XVI (ante) K(alendas) NOV(embres)” (MiBAC)

Un’iscrizione scoperta nel sito archeologico di Pompei confermerebbe la data dell’eruzione del Vesuvio il 24 ottobre del 79 d.C. L’iscrizione è stata portata alla luce nella “Casa con giardino” e riporta la data del 17 Ottobre, dunque una settimana prima della grande catastrofe. Finora si pensava che fosse avvenuta il 24 agosto, nonostante le prove archeologiche e letterarie a favore della data autunnale.

La Casa con giardino (MiBAC)

 

 

 

 

 

 

 

La Casa con giardino

L’iscrizione è scritta col carboncino, un materiale fragile ed evanescente. Siccome non avrebbe potuto resistere a lungo nel tempo, risale verosimilmente all’anno dell’eruzione. Recita “XVI K Nov”, ovvero “sedici (giorni prima) delle calende di novembre. In altre parole il 17 ottobre, una settimana prima dell’eruzione, che sappiamo essere il 24 ottobre grazie a Plinio il Giovane. La casa era in corso di ristrutturazione: accanto agli stupendi affreschi nel portico e alle vivaci megalografie nelle camere, alcune stanze erano addirittura senza pavimento, come l’atrio dove è stata trovata l’iscrizione. Probabilmente sarebbe stata ricoperta di intonaco poco dopo.

Plinio aveva torto?

La teoria dell’eruzione il 24 agosto deriva dall’unica testimonianza oculare dell’evento, descritta da Plinio il Giovane a Tacito molti anni dopo. Lo scrittore romano, all’epoca 17enne, osservò l’eruzione dall’altra parte del golfo di Napoli. Molti studiosi fanno riferimento alla versione più antica di questa lettera, il codice Laurenziano Mediceo, ma altre come il codice Oratorianus riportano la data di ottobre. Inoltre nelle case sono stati rinvenuti dei bracieri usati per scaldarsi, tracce di vestiti pesanti, segni della conclusione della vendemmia e frutti autunnali (bacche di alloro, castagne, noci, datteri, melegrane, prugne e fichi secchi).

Testo ambiguo

Secondo la prima interpretazione, dopo la data c’è scritto “IN[D]ULSIT / PRO MASUMIS ESURIT[IONI]”, ovvero “[Il 17 ottobre] lui indulse al cibo in modo smodato”. Tuttavia Giulia Ammannati, docente di paleografia latina alla Scuola Normale di Pisa, ha proposto la seguente interpretazione: “IN OLEARIA / PROMA SUMSERUNT”, “hanno preso nella dispensa olearia”. Cosa? Non si sa, visto che «qualcosa è stato cancellato, forse il complemento oggetto», aggiunge Massimo Osanna, direttore del Parco archeologico di Pompei. «Ora bisogna scoprire la cella olearia!».

(ANSA/Ciro Fusco)

 

The Week – La Guerra autodistruttiva dell’Europa all’Italia

Scritto da: Malachia Paperoga
Fonte: http://vocidallestero.it/2018/10/31/the-week-la-guerra-autodistruttiva-delleuropa-allitalia/

Anche sul sito americano The Week, si sottolinea come la manovra economica proposta dal Governo Italiano sia perfettamente ragionevole e in linea sia con la volontà di abbandonare le fallimentari politiche di austerità, sia con il notissimo parametro del 3% (deficit/PIL) imposto da Bruxelles. La BCE dovrebbe sostenere le politiche nazionali di aiuto alle economie in difficoltà, fino a quando non si raggiunge la piena occupazione e l’inflazione non minaccia di salire eccessivamente. Invece, gli euroburocrati stanno dichiarando guerra al Governo Italiano, col probabile risultato di far ripiombare l’intera eurozona in una crisi esistenziale. 

Di Jeff Spross, 25 ottobre 2018

L’Italia e l’Unione europea si avviano verso uno scontro frontale. Il nuovo governo italiano vuole aiutare i suoi cittadini, dopo anni di pesante impoverimento economico. Ma l’UE è determinata a fermarlo, nel nome della disciplina fiscale neoliberista.

Si tratta di uno spettacolo incredibile, che mette a nudo la sconfinata stupidità e l’autodistruttiva prepotenza della leadership UE.

L’Italia è stata colpita duramente dalla crisi economica globale del 2008 e dalla seguente crisi dell’eurozona. La disoccupazione italiana ha raggiunto il 13%, e dopo anni di sofferenza sotto le misure di austerità imposte dall’Europa, la disoccupazione si trova ancora intorno al 10%. Non sorprende quindi che gli Italiani si siano infine stancati dello status quo; in giugno, si sono ribellati votando un’improbabile coalizione di populisti di destra e di sinistra perché andasse al governo.

Questo nuovo governo ha prontamente proposto un ambizioso bilancio nazionale, che include un reddito minimo garantito, la cancellazione dei tagli effettuati in precedenza al sistema pensionistico, una serie di tagli della pressione fiscale, e altro. Non occorre dire che questo notevole pacchetto di spese, insieme alla riduzione delle entrate fiscali, richiederebbe l’aumento del deficit. L’Italia prevede una differenza tra entrate ed uscite fiscali del 2,4% del PIL nel 2019.

Perché farlo? Molto semplicemente, il governo italiano vuole ridurre la povertà e offrire ai suoi cittadini un po’ di aiuto mentre l’economia continua ad arrancare. Ma si tratta anche di una buona politica economica: con una disoccupazione del 10% e il PIL che è sceso – da quasi 2.400 miliardi di dollari nel 2008 a 1.900 miliardi di dollari oggi – l’Italia sta chiaramente soffrendo una grossa carenza di domanda aggregata. La maniera per risolvere la carenza è che il governo spenda più di quanto tassi; in particolare spenda in programmi che mettano soldi nelle tasche dei consumatori. Gli italiani di conseguenza spenderebbero questi soldi aggiuntivi, creando così nuovi posti di lavoro.

I Baroni tecnocrati dell’Unione Europea non sono a favore di questo piano, per usare un eufemismo.

La UE proibisce alle sue nazioni di avere deficit di bilancio superiori al 3% del PIL. Questa limitazione è già folle, ma tuttavia l’Italia la rispetta. La complicazione è questa: la Commissione Europea ha ottenuto nel 2013 il potere di porre il veto ai bilanci degli Stati membri della UE. Il debito pubblico italiano è già intorno al 132% del PIL. Inoltre, lo scorso luglio, il Consiglio dei Ministri UE ha emesso una raccomandazione vincolante all’Italia di tagliare il proprio deficit strutturale dello 0,6% del PIL (il deficit strutturale è il deficit di bilancio escludendo gli effetti del ciclo economico e altri eventi estemporanei). Al contrario, il bilancio proposto dall’Italia aumenterà il deficit strutturale dello 0,8% del PIL.

Tutto considerato, la Commissione Europea ha concluso che i progetti dell’Italia costituiscono una “grave inosservanza degli obblighi di politica di bilancio previsti dal Patto di Stabilità e Crescita”. La Commissione vuole che l’Italia riscriva il suo bilancio, altrimenti applicherà multe e sanzioni.

Il Consiglio dei Ministri UE è formato dai ministri degli Stati membri UE – in qualche modo è equivalente ai segretari di gabinetto negli Stati Uniti. La Commissione Europea invece, è un organo di governo i cui membri sono nominati dal Parlamento Europeo (è il Parlamento Europeo che opera nel modo classico degli organi legislativi, con i paesi membri UE che eleggono i loro rappresentanti). Per quale strano motivo, se non l’esistenza delle regole bizantine della UE, queste persone dovrebbero poter dire al governo italiano democraticamente eletto di affossare il proprio piano e imporre più austerità ai propri cittadini?

Come spesso in questi casi, la risposta sono i soldi.

Se il governo italiano controllasse la propria moneta, la sua banca centrale potrebbe semplicemente comprare il debito governativo creato dal suo deficit e tenere bassi i tassi di interesse. Ma l’Italia è un membro dell’Unione monetaria dell’eurozona. E la quantità di euro emessa è controllata dalla Banca centrale europea (BCE), che a sua volta ha la supervisione delle banche centrali nazionali dell’eurozona. Il sistema della BCE prevede ogni sorta di regole e limiti sui casi in cui può  acquistare i titoli di debito emessi dagli Stati membri dell’eurozona e sulla quantità che è possibile comprarne.

Perciò sono gli investitori privati a dare al Governo Italiano gli euro di cui ha bisogno per coprire il suo deficit. Non sorprende che i battibecchi politici li rendano scettici, quindi i tassi di interesse sul debito italiano stanno salendo.

Ma i tassi di interesse in salita dell’Italia sono il risultato di decisioni politiche arbitrarie che sono sia congenite alla struttura di governo della UE sia imposte dai tecnocrati al governo della UE. La BCE potrebbe semplicemente dare il mandato alla Banca Centrale Italiana di iniziare a fornire euro freschi e usarli per comprare il debito italiano, sostenendo così la spesa a deficit del governo. L’unico vero limite economico a questo tipo di politica è il tasso di inflazione. Al momento, il tasso è intorno al 2%, che è il valore che piace alla BCE (in realtà l’ultimo valore registrato in Italia è addirittura dell’1,4%, ed in calo,  NdVdE). Ma perché l’aiuto monetario all’Italia inizi a far crescere l’inflazione, non solo la disoccupazione  italiana dovrebbe prima diminuire drasticamente, ma la disoccupazione dovrebbe diminuire drasticamente in tutta l’eurozona.

In breve, l’Unione europea e la BCE hanno entrambe uno spazio enorme di manovra per sostenere la spesa a deficit italiana, senza alcuna ripercussione economica. Il problema è solo che non vogliono farlo.L’Italia, nel frattempo, sembra pronta a giocare duro contro i baroni UE. “Questi provvedimenti non servono a sfidare Bruxelles o i mercati, ma devono compensare il popolo italiano di molti torti” ha detto all’inizio di questo mese il Vice Primo Ministro Italiano Luigi Di Maio. “Non c’è un piano B perché non ci arrenderemo”.

In passato, la Commissione europea in realtà non si era mai spinta a rigettare il bilancio di uno Stato membro. Ha tempo fino al 29 ottobre per decidere se prendere questa decisione formale. Se lo fa, e la lotta conseguente finisce per distruggere le fondamenta del Progetto Europeo, i leader della UE non avranno altri da incolpare se non sé stessi.