Questo non è un paese per bambini!

Fonte: http://www.massimilianofrassi.it/blog/

TIVOLI – Sono stati assolti i cinque imputati nel processo sui presunti abusi sessuali ai danni di bambini della scuola materna Olga Rovere di Rignano Flaminio. I cinque, tre maestre, una bidella e un autore tv, erano accusati di violenza sessuale di gruppo, maltrattamenti, corruzione di minore, sequestro di persona e atti osceni.

Impossibile commentare. Questo blog chiude per lutto!
Solidarietà ai bambini e alle loro famiglie.

PRENDITI CURA DELLA NATURA

Scritto da: Rossana Castiglia
Fonte: http://www.howtobegreen.eu/greenreport.asp?title=608

PRENDITI CURA DELLA NATURA,
Più passa il tempo e più questo diventa il mio slogan
Non per un fanatismo new age, ma per presa di coscienza e consapevolezza..
In questi giorni ho passato le mie ore sopra un albero di ciliegie a sei metri di altezza per raccoglierne i frutti.
Esperienza faticosa, ma meravigliosa.
Le foglie come mani accarezzavano la mia pelle, riscaldata appena dal sole
I rami mi proteggevano e cingevano come forti braccia amorevoli
Non ero ascoltatrice passiva del fruscio del vento che tagliava lo spazio della chioma,ma di quel fruscio ne facevo parte.
Ogni volta che facevo un gradino in più su quella scala che di passi ne aveva accolti tanti prima dei miei, mi sentivo sempre più vicina a quel senso di appartenenza e completezza,
che poche esperienze nella Vita possono donare.
PRENDITI CURA DELLA NATURA,
per sapere come la frutta e la verdura, arriva sulla tua tavola, per sapere quello che mangi e quello che lentamente divieni.Non servono le palestre o i centri commerciali,compra un pezzetto di terra, affittalo, riempi il tuo balcone di vasi e coltiva, ama e cura, l’unica vera fonte di sostentamento e di garanzia di un futuro per te e per chi ami.
PRENDITI CURA DELLA NATURA,
e il grigiore, la noia e la depressione, saranno solo parole di antichi vocabolari ammuffiti, che non potrai più ronunciare.
Ogni volta che metterai le mani nella terra, donna, ti sembrerà di affondare le mani nel tuo ventre, e tu uomo, conoscerei un calore materno, del quale ignori l’esistenza.
PRENDITI CURA DELLA NATURA,
perché così facendo, ti prenderai cura di te stesso, dei tuoi cari e della Vita stessa.

La sicurezza in America, massiccia e privatizzata

Scritto da:  Francesco Bevilacqua
Fonte: http://www.ilcambiamento.it/guerre/sicurezza_america_massiccia_privatizzata.html

Sicurezza interna e operatività nelle zone di guerra sono attività in continua evoluzione. Negli Stati Uniti stanno però crescendo in maniera incontrollata, dando luogo a un apparato con due caratteristiche principali: dimensioni esagerate e massiccio affidamento a soggetti privati.

Una nuova ondata di maccartismo sta investendo gli Stati Uniti, anche se oggi lo spauracchio degli americani non sono più le infiltrazioni comuniste, ma le minacce portate dal terrorismo, in particolare quello islamico. Lo spartiacque è rappresentato dall’11 settembre del 2001: secondo Dana Priest e William Arkin, il bilancio del comparto di intelligence statunitense è passato da 3,5 a 75 miliardi di dollari nei nove anni successivi all’attentato alle torri gemelle.

Priest e Arkin sono giornalisti del Washington Post e autori di un colossale reportage intitolato Top Secret America, che ha richiesto quasi due anni di lavoro e ha mappato dettagliatamente lo sconfinato apparato di sicurezza, più o meno occulto, degli Stati Uniti.

Oltre ad una precisa descrizione delle strutture, delle organizzazioni, delle ramificazioni e delle tecnologie di tale apparato, emerge un dato interessante dal grande lavoro svolto dai due giornalisti: la sicurezza – e, più in generale, una fetta sempre maggiore del settore militare e bellico – sta subendo un massiccio processo di privatizzazione.

Diverse sono le ragioni di questo fatto. Da un lato, si tratta di una questione economica: subappaltare importanti fasi dell’attività – dalla programmazione informatica alle operazioni sul campo – ad agenzie esterne private, consente di ottimizzare le risorse. D’altra parte, quella dell’esternalizzazione è una pratica ampiamente diffusa nel mercato globale di oggi. Dall’altro lato, soprattutto per quanto riguarda le situazioni più delicate, per esempio quelle che mettono a rischio l’incolumità degli operatori, il ricorso a compagnie private consente di coprire l’attività con un velo di discrezione che oggi viene ritenuto indispensabile, soprattutto dal punto di vista politico e dei rapporti con l’opinione pubblica.

Ma questo immenso apparato non è affatto esente da difetti. In particolare, sembra di soffrire di una grave forma di gigantismo; è talmente ampio e ramificato da risultare, in alcuni casi, addirittura inefficace.


Durante uno scontro a fuoco a Baghdad gli uomini della Blackwater uccisero 14 civili inermi

Un esempio in proposito è l’attentato, fallito per un soffio, che il nigeriano Umar Farouk Abdulmutallab tentò di compiere a bordo del volo Amsterdam – Detroit il 25 dicembre del 2009. Abdulmutallab, condannato all’ergastolo pochi mesi fa, era da tempo nel mirino di varie branchie dell’apparato di sicurezza americano e segnalato anche dai servizi britannici come personaggio sospetto più di un mese prima dell’attentato. Ciononostante, a causa della vastità del sistema informativo, le informazioni su di lui non furono processate correttamente e non diedero luogo ad alcuna contromisura, tanto che il tentativo di strage fallì solo grazie all’intervento di un altro passeggero del volo.

Alla privatizzazione del sistema di sicurezza corrisponde una definizione che, soprattutto nei teatri di guerra mediorientali, è sempre più diffusa: private military company, private security contractors, private military corporations o più semplicemente contractors, ovvero gli appartenenti ad agenzie di sicurezza private che collaborano con contratti specifici, oltre che con altri soggetti privati come aziende petrolifere, figure diplomatiche o imprenditori, con governi e ministeri.

Sempre secondo i dati raccolti da Priest e Arkin, quasi un terzo degli 854mila operatori di sicurezza americani sono a contratto. La combinazione di questi due fattori – massiccio outsourcing ed eccessive estensione e ramificazione – rendono questo apparato fortemente instabile, tanto che sono gli stessi rappresentanti istituzionali americani ad ammettere che il rischio di perdere il controllo della situazione è concreto. Lo stesso generale John Vines, già a capo delle operazioni americane in Afghanistan e in Iraq, si è dichiarato dubbioso sugli effetti positivi di questa incessante e, spesso, indeterminata attività di controllo.

Esempi clamorosi delle degenerazioni cui può portare questo sistema sono le discusse operazioni portate avanti dalle ormai note agenzie di contractors, una su tutte la Blackwater Worldwide, i cui uomini uccisero 14 civili inermi durante uno scontro a fuoco a Baghdad. Dal 2007, anno del fattaccio, la Blackwater ha cambiato nome due volte. Oggi, con la nuova denominazione di Academi, la società vuole ritornare in Iraq, come ha recentemente dichiarato il nuovo amministratore Ted Wright.

Per via dei gravi problemi che provocano, molti governi hanno avviato una campagna di estromissione delle agenzie di sicurezza private dai propri territori; fra essi vi sono anche quello iracheno e quello afghano – proprio la questione contractors è stato oggetto di un acceso scontro fra Hilary Clinton e Hamid Karzai. Ciononostante, il governo americano ha deciso di puntare con decisione su questo tipo di collaborazioni, a maggior ragione oggi che la comunità internazionale lo ha indotto a pianificare con più solerzia il ritiro delle truppe regolari dai paesi occupati.


L’apparato di sicurezza Usa sembra soffrire di una grave forma di gigantismo

Il Dipartimento di Stato ha stanziato 10 miliardi di dollari per finanziare un esercito di 5500 contractors, forniti da otto private military corporations, che protegga il personale americano che rimarrà in Iraq anche dopo che l’esercito sarà rientrato negli Stati Uniti.

Ma com’è la situazione in Italia? Caotica e mal definita. La questione della sicurezza privata in zone di guerra è venuta alla ribalta nel nostro paese nel 2004 con il caso Quattrocchi, l’operatore ucciso in Iraq dalle Falangi Verdi. Secondo l’articolo 288 del codice penale italiano, “chiunque, nel territorio dello Stato e senza approvazione del Governo arruola o arma cittadini, perché militino al servizio o a favore dello straniero, è punito con la reclusione da tre a sei anni”.

L’attività, così come viene portata avanti dalle agenzie di contractors negli Stati Uniti, sarebbe quindi quasi totalmente paralizzata in Italia dai vincoli legali o per lo meno costituirebbe un reato. Le informazioni su questo settore sono frammentarie e poco attendibili, provenienti per lo più dalle dichiarazioni di operatori del settore come Giampiero Spinelli, il responsabile che reclutò Quattrocchi nel 2004 e che per questo venne imputato dal Tribunale di Bari insieme al collega Salvatore Stefio. I due furono assolti nel 2010.

I servizi segreti italiani sono stati riformati meno di cinque anni fa mediante la legge 124, che ha istituito l’AISE, l’AISI – Agenzie Informazioni e Sicurezza Interna ed Esterna – e il DIS, Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza. Naturalmente il contesto politico e sociale italiano rende impossibile qualsiasi paragone con la realtà americana descritta. La particolare storia del nostro paese, sigillata da troppi segreti di stato e costellata di stragi impunite, uccisioni misteriose, traffici e connivenze insinuatisi con molta probabilità sin fra le più alte cariche istituzionali, rende difficile ricostruire il contesto in cui si svolgono queste attività, per loro natura già complesse da analizzare.

Nuovi aghi per punture senza dolore

Fonte: http://www.italiasalute.it/4790/Nuovi-aghi-per-punture-senza-dolore.html

Gli aghi che conosciamo andranno presto in pensione. Due ricerche stanno tentando di offrire risposte ai tanti timorosi della puntura. Un team del prestigioso Massachussets Institute of Technology di Boston ha messo a punto un sistema per l’iniezione di medicinali senza l’utilizzo di aghi ipodermici.
Si tratta di un dispositivo che utilizza un flusso di liquido che agisce alla velocità del suono e consente di attraversare la pelle e trasportare i medicinali necessari. Ian Hunter, ingegnere a capo della ricerca pubblicata su Medical Engineering & Physics, spiega: “a parte l’ovvio beneficio per chi ha la fobia degli aghi, questa nuova tecnologia potrà aiutare nel ridurre le punture fatte male o quelle accidentali che colpiscono inavvertitamente dottori e infermieri. Inoltre, un simile sistema può fortemente alleviare i disagi di pazienti diabetici che necessitano giornaliera di insulina, e altri costretti a un frequente ricorso alle siringhe”.
Un altro gruppo di ingegneri della Tufts University ha realizzato invece dei microaghi sfruttando una proteina della seta, la fibroina.
La dimensione degli aghi è così limitata che il tessuto nervoso non è in grado di percepirli, il che significa che un farmaco iniettato attraverso questo nuovo strumento non provocherebbe alcun bruciore o dolore. Il lavoro, pubblicato sulla rivista specializzata Advanced Functional Materials, si è concentrato sulla fattura di aghi di 500 micron di lunghezza e 10 micron di larghezza, ovvero un decimo delle dimensioni di un capello.
Versando una soluzione composta da fibroina e un farmaco, i ricercatori hanno ottenuto microaghi in grado di rilasciare correttamente il medicinale prescelto, che ha mostrato di mantenere intatte le sue proprietà e la sua attività biologica.
La lunghezza limitata impedisce agli aghi di stimolare i nervi sottocutanei, ma gli permette comunque di rilasciare il farmaco. Il nuovo ago può essere utilizzato anche per un rilascio prolungato e, a differenza di cerotti e pillole, è efficace con qualsiasi tipo di farmaco.

Diaz – Non lavate questo sangue

Fonte: http://www.marcomessina.it/2012/04/diaz-non-lavate-questo-sangue/#more-4695

Nel luglio 2001, i rappresentanti delle otto più grandi potenze industriali al mondo si riunirono a Genova in un summit che divenne occasione per 300 mila dimostranti di ogni nazionalità di esternare il proprio dissenso nei confronti di un politica contraria ai diritti ed al benessere dell’uomo. Fiumane di persone si riversarono nelle strade della città ligure al grido di “Un altro mondo è possibile”: studenti, attivisti, giornalisti, rappresentanti di associazioni, tutti uniti dal comune obiettivo di riportare l’etica al centro delle politiche globali. I cortei erano civili, pacifici. Tutto filava liscio fino a quando un gruppo di devastatori incappucciati prese a frantumare vetrine, incendiare auto in sosta, rovesciare cassonetti. Indisturbati. Fino a quando la polizia schierata in assetto antisommossa, decise che poteva bastare ed era arrivato il momento di contrattaccare. Da quel momento le strade di Genova si trasformarono in un campo di battaglia, che vedeva da una parte la Polizia di Stato, dall’altra tutti i manifestanti, violenti e non. Fu una carneficina: un morto e decine di feriti, perlopiù dimostranti inermi trovatisi incolpevolmente al centro delle cariche della polizia.

Fu in questo contesto che, la sera di sabato 21 luglio 2001, una squadra di poliziotti con caschi protettivi e tonfa irruppero nella scuola Diaz dove in quel momento decine di manifestanti e giornalisti accreditati avevano trovato riparo per la notte prima di lasciare Genova l’indomani. Il resto è storia, come a volte si dice. “Sembrava una macelleria messicana”, dichiarò il vicequestore aggiunto del primo Reparto Mobile di Roma Michelangelo Fournier. “La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”, la definì Amnesty International.

Diaz è una lucida e fredda ricostruzione dell’assalto della Celere alla scuola genovese nei giorni del G8. Caratterizzato da un taglio documentaristico, forse mutuato da Carlo Bachsmidth, autore del docu-film Black Block presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 2011 e collaboratore di Daniele Vicari nella realizzazione del film, Diaz è una sequenza di immagini: le mani alzate in segno di resa, gli occhi sgranati dal terrore, e poi le manganellate, le ossa che si rompono, gli insulti, il sangue, le grida. Nessuno sfuggì alla furia di quei criminali in divisa. “Questo è l’ultimo G8 che fate”, minacciavano i picchiatori di stato, i quali- non sazi della violenza della Diaz – condussero alla caserma di Bolzaneto i presunti teppisti che ancora si reggevano in piedi dopo le percosse subite per far loro proseguire l’incubo con umiliazioni e pressioni psicologiche di ogni tipo al termine di una delle pagine più nere della storia recente del nostro paese.

Diaz è un pugno allo stomaco di chi lo guarda e una coltellata nelle coscienze di coloro i quali presero parte, direttamente e indirettamente, ai fatti che hanno trasformato, sia pure per una notte, una democrazia nel cuore del “mondo libero” occidentale in una dittatura militare sud-americana degli anni ’70.

I processi che seguirono gli eventi di Genova portarono all’archiviazione di tutte le accuse contro le vittime del massacro della Diaz, mentre gli agenti responsabili del pestaggio e i loro mandanti attendono senza alcuna sospensione preventiva dal servizio ancora il giudizio di terzo grado dopo che la Corte d’Appello ha emesso 44 condanne per i fatti di Bolzaneto.

I poliziotti che brutalizzarono senza motivo decine di ragazzi disarmati sono quindi oggi ancora in servizio. E non parliamo di un criminale isolato che ha usufruito dell’indulto, ma di decine di tutori dell’ordine pagati dallo Stato che non hanno esitato a spaccare la testa a ragazzi terrorizzati spesso poco più che maggiorenni. Questo dovrebbe far riflettere quando commentiamo notizie come la morte di Stefano Cucchi, Giuseppe Uva o Federico Aldrovandi, giovani vite stroncate in caserma dalla mano pesante di agenti più inclini al crimine che alla sua prevenzione.

Squilli di rivolta dalla Grecia: una nuova “Alba Dorata”

Scritto da: Federico Dal Cortivo
Fonte: http://europeanphoenix.com/it/component/content/article/4-politica/297-squilli-di-rivolta-dalla-grecia-una-nuova-alba-dorata

Un vero terremoto politico è quello che si sta profilando in Grecia dopo i risultati che danno le opposizioni radicali di Alba Dorata, d’ispirazione nazionalista e socialista (6,97%), e del Partito Comunista (8,48%), in forte ascesa. Mentre in Italia si è ripetuto stancamente il solito rito farsesco delle elezioni amministrative che non muteranno certo nulla sullo scenario nazionale, il popolo greco non accetta le misure “ lacrime e sangue” imposte dai poteri usurocratici del FMI e della BCE.

I due grandi partiti Nea Dimokratia e Pasok, che hanno ceduto la sovranità della nazione greca ai poteri finanziari, non sono in grado di formare alcun governo con i numeri di cui dispongono: ND 18,85% con una flessione del 14,6% rispetto al 2009 e Pasok 13,18%, con ben il 30,7% rispetto al 2009, dati inequivocabili che ne dimostrano il tracollo e che punisce la loro  politica filo euro e anti nazionale. Quello che sta avvenendo in Grecia ha già creato allarme nelle varie cancellerie europee atlantiche  e certamente non farà dormire sonni tranquilli ai vari Draghi e Lagarde. Già la maggior parte dei soliti media embedded gridano al pericolo neonazista per creare la solita cortina fumogena fatta ad arte per screditare il risultato elettorale, dove la parola nazista assume la ben nota valenza di male assoluto e quindi condannabile a priori, e sicuramente nei prossimi giorni sentiremo tutto il repertorio di sciocchezze infarcite di parole come xenofobia, populismo, voto di protesta, astensionismo, spettro di Weimar ecc.ecc.

Ciò che invece conta è il cambio di marcia dato dai greci alla protesta che vede premiate le opposizioni più radicali e quindi meno inclini ai compromessi con i poteri antinazionali, che hanno consegnato di fatto il popolo greco alle oligarchie internazionali e alle loro punte di diamante, Fondo Monetario Internazionale  e  Bce.

 

Alba Dorata ha un programma chiaro e risoluto  su come intenderà nei prossimi mesi impostare la battaglia politica all’interno del Parlamento greco:

-Ricercare tutti i responsabili dello sperpero di denaro pubblico, loro rinvio a giudizio e confisca dei loro beni.

-Abolizione dei privilegi dei deputati e restrizione dei loro guadagni ed eliminazione del finanziamento statale ai partiti.

-Immediata nazionalizzazione delle banche che hanno ricevuto iniezioni di capitali sotto garanzia del debito pubblico greco e poi successiva fusione delle banche private in un’unica banca greca.

-Cancellazione del debito bancario delle famiglie greche con criteri sociali.

-Investimenti nel settore energetico al fine di rendere la Grecia autosufficiente (sono stati scoperti importanti giacimenti di petrolio e gas nel Mediterraneo Orientale intorno a Cipro) e nazionalizzazione di tutto il settore energetico.

Inoltre espulsione di tutti gli immigrati illegali e messa in sicurezza dei confini nazionali con le forze armate se necessario.

Tra i punti sopra citati da sottolineare l’attacco alle banche, e in pratica a tutto il sistema liberista  e speculativo che sta in questi mesi strangolando la Grecia e riducendo alla fame il suo popolo. L’attuale primo ministro uscente, Lucas Papademos, il Monti greco, è anche lui un uomo dei poteri bancari internazionali, economista, già governatore della Banca di Grecia, vice-presidente della Banca centrale europea, ha lavorato presso la Federal Reserve di Boston e cosa di non poco conto è dal 1998 membro della Commissione Trilaterale. Un curriculum di tutto rispetto per chi ha portato la Grecia al collasso sociale in nome dell’euro e del risanamento dei conti.

E intanto per il Citigroup Inc, la più grande azienda di servizi finanziari mondiale, adesso vi è il 75% delle probabilità che la Grecia esca dall’euro.

 

VenTo: una pista ciclabile da Venezia a Torino

Fonte: http://www.soloecologia.it/14052012/vento-una-pista-ciclabile-da-venezia-a-torino/3845

E’ stato presentato venerdì scorso al Politecnico di Milano il progetto VenTo(una crasi evocativa che sta per Venezia-Torino): una ciclovia che attraverserà tutta la pianura padana, per la maggior parte lungo gli argini del Po. Tra strade di campagna e tratti urbani, con i suoi 680 chilometri diventerebbe una delle più importanti piste ciclabili del Vecchio Continente e, ovviamente, la più lunga d’Italia.

La pista toccherebbe 4 regioni, 12 province, 121 comuni e, all’altezza di Milano prevederebbe una deviazione per la zona dell’EXPO. Enorme il potenziale turistico per le strutture ricettive della zona, con la valorizzazione di aree naturalistiche protette e luoghi ingiustamente dimenticati (come abbazie, fattorie, caselli idraulici).

E’ prevista una integrazione con la linea ferroviaria nel senso di un’integrazione tra viaggi in treno e spostamenti in bicicletta grazie alle oltre 100 stazioni ferroviarie presenti lungo il circuito. E anche il collegamento con altre piste ciclabili già esistenti lungo i fiumi Ticino, Adda, Mincio e Adige.

I costi dell’opera non sono eccessivi perché esistono circa già 100 chilometri del tracciato: le modifiche dei tratti mancanti o non ancora pedalabili potrebbero costare circa 80 milioni di euro. Quanto ai tempi, secondo le stime basterebbero due anni per il suo completamento.

Altre notizie su: pista ciclabile, po, venezia-torino, vento

Residenti extra UE: Attenti all’IVA

Scritto da: Angelo Paratico
Fonte: http://www.litaliano.it

Angelo Paratico, Hong Kong – Forse non tutti gli Italiani residenti in Paesi al di fuori della Comunità Europea sanno che quando rientrano in Patria, e vi fanno acquisti, possono riavere una parte dell’IVA che hanno versato.
Questo meccanismo è in vigore da decenni. È semplice, e funziona. Dunque la prossima volta che tornare, ricordatevi.
Io abito da molti anni a Hong Kong, e anche durante il mio ultimo rientro in Italia, avvenuto alla fine di Aprile del 2012, ho approfittato di questa opportunità per acquistare dei bellissimi vestiti di Ermenegildo Zegna. Venivano letteralmente svenduti da uno storico negozio di Verona, il Fuso d’Oro. A causa della crisi economica, purtroppo, si stanno ridimensionando.
Ebbene, vi ho speso 2000 euro. A Hong Kong quegli stessi vestiti mi sarebbero costati più del triplo. Come sempre faccio, alla cassa ho chiesto anche l’apposito foglio da loro compilato, che mi consente di riavere indietro una buona parte dell’IVA.
Il 3 maggio mi imbarcai su di un volo che da Verona mi ha portò sino a Monaco di Baviera. Da lì, cambiando aereo, sono rientrato a Hong Kong.
In una borsa a mano portavo i miei bei vestiti, con le loro etichette ancora attaccate, perché bisogna dimostrare che davvero si è fatto l’acquisto.
Come fatto altre volte, vado alla dogana tedesca, dove un doganiere esamina velocemente gli abiti e timbra la carta fornitami dal negozio.
Passo poi a uno sportello della Global Blue, una delle società che si occupano ufficialmente di queste faccende, per presentare la mia carta e incassare. Dopo aver fatto la fila, mi trovo davanti a una scortesissima signorotta tedesca. Esamina il foglio e mi dà 45 euro. Faccio notare che mi sembrano un po’ pochi, ma lei comincia a strillare, dicendo che loro sono una società che lavora su commissioni e mi intima di mettermi da parte. Confuso, mi ritiro e torno dai doganieri, i quali mi consigliano di rivolgermi alla polizia, se davvero penso che mi spetti di più.
Faccio un ultimo tentativo, tornando allo sportello. Quella, vedendomi ritornare, comincia a farfugliare che forse ha sbagliato. Mi ribatte la ricevuta, e questa volta mi ritorna la cifra corretta, 267 euro! Se andava, aveva le gambe. Questo è stato un tentativo di truffa. Tornato a Hong Kong mando una email di protesta al direttore di questa società, fornendo numero di scontrino, volo, ora, nome della persona. Sto ancora aspettando una risposta. Il mio non è stato certamente un caso isolato, dato che ricordo dei giapponesi dall’aria confusa che contavano i soldi che avevano ottenuto e che si grattavano la testa. Si badi bene che le cifre in gioco nel giro di una giornata sono enormi, eppure il controllo pare essere molto labile.
Devo dire che in vent’anni di aderenza a questa pratica, questa è la prima volta che ho avuto dei problemi. Spesso lo faccio a Roma e a Milano, dato che vanno sempre richiesta all’ultima stazione di uscita dalla Comunità, e mai ho avuto nulla da ridire.
Dunque, dimenticate questo singolo incidente, e quando ritornerete in Italia la prossima volta fatevi preparare la carta nel negozio in cui avrete fatto acquisti e poi incassate all’uscita.

 

UNA MACCHINA DA GUERRA

Scritto da: Gianni Lannes
Fonte: http://sulatestagiannilannes.blogspot.it/2012/05/una-macchina-da-guerra.html#more

In sintesi, aldilà dei paraventi pseudo-scientifici, Haarp è un generatore di energia per scopi distruttivi. Il segreto è ben custodito: non lo troverete sui libri di scuola e neppure all’università (facoltà di geologia e fisica). Non è scritto in nessun testo accademico, eppure i manuali Usa di sperimentazione bellica sono espliciti da almeno tre decenni. Sanno causare terremoti da mezzo secolo e lo fanno sparando una colossale quantità di energia a microonde nella ionosfera. Il principio scientifico lo aveva intuito nel secolo scorso il genio di Nikola Tesla, ma non certo per sottomettere il genere umano. Avremmo potuto ottenere energia gratis per l’intera umanità, invece l’ingordigia di pochi prevale. Principalmente i militari a stelle e strisce, ma non solo, anche i russi non scherzano, sono passati dalla pura teoria alla pratica per fini di dominio globale. Regolando le possenti vibrazioni contro un bersaglio territoriale , le onde radio attraversano la crosta terrestre e causano terremoti. Energia a comando iniettata da 50 anni nelle tempeste tropicali per scatenare tsunami, alterando la pressione atmosferica. Ben tre continenti, Asia, America ed Africa ne sanno qualcosa, prima ancora che qualche commentatore da strapazzo italiota fosse nato, già sperimentavano nel Sudest asiatico. Il “gioco” è apparentemente semplice: basta spingere in alto la ionosfera ed attendere che ricada con conseguenze disastrose sulla zona che si vuole colpire. Alcuni disastri apparentemente naturali sembrano seguire e pilotare a dovere, ben precise dinamiche politiche. Ora c’è da convincere i governanti europei recalcitranti (sempre meno in realtà) a scatenare la terza guerra mondiale. Perché la prossima aggressione all’Iran, scatenerà un conflitto globale, come sanno gli analisti internazionali.

 

Gole profonde – Cosa fa l’H.AA.R.P.? Ecco due rivelazioni di esperti Usa, messe a confronto. “Il progetto High-Frequency Active Auroral Research Program non è altro che un’antenna che ci consente di direzionare l’energia ad alta frequenza verso le zone più alte dell’atmosfera, così produciamo in scala ciò che fa normalmente  il sole. Il compito di gestire il programma è stato affidato alla Marina e all’Aviazione militare. Inizialmente, le applicazioni comprendevano la distruzione di missili sovietici, il controllo delle comunicazioni del nemico e il loro disturbo. Nel programma, agli albori, era già inclusa la possibilità di modificare il clima, sollevando la porzione dell’alta atmosfera verso lo spazio in maniera, appunto, da deviare i missili balistici intercontinentali dell’Urss. Certo: Haarp può creare degli effetti molto simili a quelli che il sole crea durante le aurore boreali”. Per la cronaca, due indizi rilevanti, a parte la profondità del sisma a 10 chilometri, registrata dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: il 20 maggio scorso è stata registrata una caduta di energia nei cieli dell’Emilia Romagna. Sono stati inoltre avvistati dei bagliori che non hanno alcun nesso naturale. La Pianura padana non è ai Poli del pianeta Terra. Oppure c’è stata sotto il naso un’inversione di cui non ci siamo accorti? A parte l’ironia: tutti geni e scienziati (improvvisati) mentre tutti gli altri, i cosiddetti visionari e complottisti devono tacere? Ma state scherzando? Qui è in gioco l’esistenza ed il futuro. Il 25 gennaio c’è stato un precedente terremoto in Emilia Romagna nonché Veneto, una sorta di prova generale che ha avuto un secondo test il 13 aprile in Sicilia. Fateci caso: in Italia cambiano i politicanti sulla scena, ma non mutano i poteri occulti. Sarà un caso? Davvero singolare. L’illuminato premier Monti (non eletto democraticamente, già maggiordomo dell’alta finanza speculativa – Trilateral Commission, Aspen, Bilderberg – e dipendente della banca speculativa Goldman Sachs) è stato per caso convocato dai padroni della Nato in coincidenza del sisma? O sbaglio? Per caso la terza guerra mondiale è già iniziata, a nostra insaputa? Vi bastano questi preavvisi o siete totalmente lobotomizzati? La tv ed internet vi hanno dato alla testa? Un consiglio di lettura risalente al 19 marzo 1997, qui allegato: “Advanced Weapon Instrumentation Technologies”. Haarp: dalla simulazione alla realtà. Buon risveglio e non abusate a negare l’evidenza delle scie tumorali. Questa folle macchina di morte planetaria va fermata, questi criminali armati di tutto punto vanno arrestati definitivamente; hanno già mietuto troppe vittime. Non dimenticate: gli yankees sono in possesso di tecnologie incredibili e pur di non rinunciare al loro malsano stile di vita, sono disposti a tutto. Anche noi: e non ci arrenderemo, mai. La Resistenza non è uno scherzo: ce lo hanno insegnato i nostri avi (un mio antenato era un generale napoleonico: la strategia combattiva è nel nostro dna). Rammentate il detto? Chiunque salva una sola vita, salva un mondo intero. Vi raccomando: meditate gente, meditate… In democrazia fare domande non ha mai fatto a male alla verità; nascondere le risposte, spesso si.
WEATHER MODIFICATION
http://img827.imageshack.us/img827/1115/weathermodificationsymp.pdf

L’Egitto al voto per eleggere il presidente … ma è vera democrazia?

Fonte: http://www.medarabnews.com/2012/05/23/l%E2%80%99egitto-al-voto-per-eleggere-il-presidente-%E2%80%A6-ma-e-vera-democrazia/

In un clima contraddittorio di aspettativa, euforia, preoccupazione ed incertezza, l’Egitto è giunto a un altro appuntamento cruciale della sua caotica, spesso violenta, ed in generale estenuante transizione.

Si apre il processo elettorale che designerà il nuovo presidente del paese, ma che potrebbe richiedere quasi un mese di attesa per concludersi qualora dal primo round non dovesse emergere un unico vincitore, ma due candidati che si confronteranno nel ballottaggio del 16 e 17 giugno.

Apparentemente, l’Egitto sembra aver imboccato – pur con molti sbandamenti – la strada che porta alla democrazia. Questa impressione superficiale è rafforzata dai manifesti che tappezzano le strade, e dagli accesi dibattiti che avvengono un po’ ovunque fra la popolazione, e che hanno trovato la loro espressione simbolo nel confronto televisivo avvenuto fra i due candidati considerati favoriti, l’ex segretario della Lega Araba Amr Moussa e l’islamico liberale fuoriuscito dalla Fratellanza Musulmana Abdel Moneim Aboul Fotouh.

Questo confronto protrattosi per oltre quattro ore, sebbene in gran parte inconcludente, è stato un evento senza precedenti nel mondo arabo, ed ha avuto un forte impatto mediatico. Molti egiziani hanno davvero la sensazione che il paese abbia voltato pagina.

Malgrado ciò, l’elezione presidenziale avviene in un quadro di profonda incertezza, dovuta al fatto che non è stata ancora redatta una nuova Costituzione, e che di conseguenza i compiti e i poteri del nuovo presidente – ed in particolare il suo rapporto con il potere legislativo – rimangono indefiniti ed ambigui.

Nel frattempo il Supremo Consiglio delle Forze Armate, che aveva promesso di cedere definitivamente il potere all’autorità civile all’indomani dell’elezione del nuovo presidente (dunque al più tardi all’inizio di luglio), continua a rimanere profondamente coinvolto nelle scelte politiche del paese.

A pochi giorni dal voto, gli egiziani indecisi erano ancora numerosi. I sondaggi preelettorali si sono rivelati del tutto inaffidabili (mostrando risultati estremamente contraddittori), e sono stati utilizzati talvolta come arma politica, visto che la stessa giunta militare ed istituzioni ad essa affiliate ne hanno reso pubblici alcuni in cui i candidati considerati più vicini alle forze armate – ed in particolare l’ex generale Ahmed Safiq – sono apparsi favoriti.

LA BATTAGLIA PER LA PRESIDENZA – I CANDIDATI ISLAMICI

Dopo la controversa scrematura operata dalla Commissione elettorale (che in un sol colpo ha squalificato candidati del calibro del numero due dei Fratelli Musulmani Khairat el-Shater, del salafita Hazem Abu Ismail, e dell’ex capo dell’intelligence Omar Suleiman), fra i candidati rimasti in lizza quattro sono generalmente considerati i favoriti: due islamici e due esponenti più o meno vicini al passato regime.

Alla prima categoria appartengono il già citato Aboul Fotouh e Mohamed Mursi, candidato “di riserva” dei Fratelli Musulmani dopo la squalifica di el-Shater. Alla seconda appartengono Moussa (che fu ministro degli esteri sotto Mubarak fra il 1991 e il 2001 prima di divenire segretario generale della Lega Araba), e Shafiq (già ministro dell’aviazione civile, fu nominato primo ministro da Mubarak negli ultimi giorni del suo regime).

Ad essi si aggiungono alcuni outsider come Hamdeen Sabahi, un nazionalista arabo che si rifà direttamente alla tradizione di Gamal Abdel Nasser e che ha ottenuto risultati sorprendenti fra gli egiziani all’estero (che hanno già votato), l’avvocato e attivista Khaled Ali, il pensatore islamico Mohammed Salim el-Awa e il giudice Hisham Bastawisy.

Fra i candidati islamici, Aboul Fotouh sembra essere quello maggiormente in grado di raccogliere consensi sia nel settore liberale che in quello conservatore dell’elettorato egiziano, e pertanto il candidato potenzialmente in grado di neutralizzare l’aspra contrapposizione fra islamici e laici che attualmente domina il paese.

Ciò è in parte dovuto alla sua stessa storia politica: essendo influenzato inizialmente da idee salafite, egli è stato un leader studentesco e un fondatore di al-Gamaa al-Islamiya negli anni ’70. Divenuto un esponente di spicco dei Fratelli Musulmani, si poi è progressivamente spostato su posizioni islamiche liberali (più o meno assimilabili al “modello turco”).

Il suo messaggio “unificante” può forse essere riassunto da una sua recente affermazione, secondo cui attualmente in Egitto “anche coloro che si definiscono liberali o di sinistra comprendono e rispettano i valori islamici”.

Aboul Fotouh ha appoggiato la rivoluzione fin dal principio, e gode dell’appoggio di molti giovani Fratelli Musulmani e di molti giovani liberali che hanno costituito l’ossatura del movimento rivoluzionario (fra l’altro non va dimenticato che i giovani, costituendo circa il 60% degli elettori, rappresentano una delle principali forze che contribuiranno a selezionare il nuovo presidente). Potenzialmente egli è in grado di attrarre anche il voto dei laici e di alcuni copti.

Allo stesso tempo, grazie alla sua iniziale affinità con le idee salafite, ed al fatto di essere stato fra i primi a comprendere la reale portata dell’attuale movimento salafita in Egitto, Aboul Fotouh ha ottenuto l’appoggio dei salafiti dopo la squalifica del loro candidato Hazem Abu Ismail.

Naturalmente egli ha anche i suoi detrattori, in particolare fra quegli elettori laici, cristiani, e di sinistra, i quali ritengono che in ogni caso egli sia portatore di una “strisciante islamizzazione”.

Aboul Fotouh deve inoltre fare i conti con l’ostilità dei Fratelli Musulmani, che lo hanno espulso dal movimento a seguito della sua decisione di candidarsi alla presidenza (quando ancora la Fratellanza voleva mantenersi fedele alla propria promessa, poi tradita, di non presentare un proprio candidato alle elezioni presidenziali, e di competere solo per il parlamento).

Dopo la squalifica di el-Shater, i Fratelli Musulmani hanno puntato tutto sul loro candidato di ripiego, Mohamed Mursi, il quale tuttavia manca del carisma di cui disponeva il primo.

Mursi, un ingegnere formatosi per ironia della sorte proprio negli Stati Uniti (in California), è noto per le sue posizioni conservatrici in ambito sociale, a cui affianca un notevole pragmatismo politico. Egli può contare sull’appoggio degli islamici più conservatori e, soprattutto, sull’impressionante macchina propagandistica dei Fratelli Musulmani.

Tuttavia Mursi rimane una “seconda scelta” agli occhi di molti, e sconta il declino di popolarità di cui ha sofferto la Fratellanza dopo l’exploit elettorale che ha fatto ottenere al movimento la maggioranza relativa in parlamento.

L’aspro confronto che ha contrapposto i Fratelli Musulmani alla giunta militare dopo le elezioni legislative, il loro tentativo di monopolizzare l’Assemblea costituente, e soprattutto il fatto che il loro controllo del parlamento non si è tradotto in alcun effetto concreto per il paese (in primo luogo a causa del fatto che l’assemblea parlamentare continua ad avere le mani legate rispetto al governo ed alla giunta militare) hanno macchiato l’immagine del movimento, che ha subito un’emorragia di consensi.

I CANDIDATI “LAICI”

Fra i candidati non islamici, Amr Moussa certamente spicca per il fatto di essere stato dato come primo favorito nella corsa presidenziale dal maggior numero di sondaggi.

Egli fonda gran parte della propria popolarità sulle sue posizioni tradizionalmente critiche nei confronti di Israele e degli USA (anche se più a parole che in concreto; inoltre bisogna aggiungere che quasi tutti i candidati hanno espresso posizioni molto critiche nei confronti di Washington e Tel Aviv), e sul fatto di essere stato in grado di frapporre una certa distanza fra sé e il passato regime – soprattutto grazie alla sua lunga permanenza alla guida della Lega Araba.

Pur non avendo mai sfidato apertamente Mubarak, Moussa appare dunque come una possibile alternativa per alcuni settori della popolazione egiziana. Nei primi giorni della rivoluzione egli si era cautamente espresso a favore delle proteste, e già a febbraio dello scorso anno – pochi giorni dopo la caduta di Mubarak – aveva annunciato che si sarebbe candidato alla presidenza.

Moussa ha cercato di trovare un punto di incontro fra islamici e laici – e con la stessa giunta militare. Essendo un politico carismatico e di grande esperienza a livello internazionale, è considerato come una valida opzione da coloro che non si fidano degli altri candidati – soprattutto da quei laici e quei copti che temono l’ascesa degli islamici.

Ad infiammare negli ultimi giorni il panorama elettorale ci ha però pensato Ahmed Shafiq, che alcuni sondaggi vicini alla giunta militare hanno inaspettatamente dato tra i favoriti.

L’improvvisa visibilità di Shafiq ha insospettito molti fra coloro che ritengono che i generali non vogliano cedere il potere e potrebbero essere tentati di favorire un candidato a loro vicino.

La base di consenso di Shafiq è costituita essenzialmente da una miscela di nostalgici del vecchio regime e di egiziani che sono stanchi del caos e dell’insicurezza generati da quasi un anno e mezzo di proteste e di confusa transizione politica.

Essendo stato l’unico candidato riammesso dalla Commissione elettorale (dopo essere stato inizialmente squalificato sulla base di una legge approvata dal parlamento allo scopo di impedire agli alti funzionari del passato regime di correre per la presidenza), Shafiq ha assunto una posizione apertamente ostile alle manifestazioni di Piazza Tahrir.

Egli inoltre è certamente un candidato appetibile per la classe finanziaria e imprenditoriale del paese a causa della sua aperta adesione alle politiche neoliberiste adottate dal passato regime (va detto, in ogni caso, che nessuno dei candidati favoriti ha presentato un programma economico che si discosti radicalmente dal passato, e che tutti abbracciano pienamente il libero mercato, più o meno ammorbidito da alcune politiche di solidarietà sociale).

Agli occhi di molti, tuttavia, Shafiq appare troppo compromesso con il vecchio regime per poter essere eletto in una competizione che sia trasparente ed imparziale.

OMBRE SUL PROCESSO ELETTORALE

Ma è proprio questo il principale interrogativo dell’attuale consultazione presidenziale: il voto sarà davvero trasparente ed esente da brogli?

I dubbi che sussistono a questo proposito sono più che legittimi. Sebbene una trentina di ONG locali e tre organizzazioni straniere abbiano avuto licenza di monitorare le elezioni, diverse organizzazioni per i diritti umani hanno denunciato che le limitazioni imposte agli osservatori sarebbero addirittura più rigide di quelle delle elezioni legislative del 2005, in piena era Mubarak.

Gli osservatori avrebbero un accesso limitato ai seggi, e in ogni caso non potranno supervisionare il conteggio finale delle schede. Inoltre, le eventuali denunce di irregolarità andranno presentate esclusivamente alla Commissione elettorale (e non potranno essere riferite alla stampa). Ma soprattutto, il controverso articolo 28 della legge elettorale sancisce che le decisioni della Commissione non potranno essere impugnate davanti a un tribunale: sono insindacabili.

Secondo alcuni attivisti per i diritti umani, l’articolo 28 conferisce alla Commissione un potere “divino” che accresce i timori che le elezioni possano essere contraffatte a vantaggio della giunta militare.

Ad aumentare ulteriormente i sospetti vi è il fatto che a presiedere la Commissione elettorale è Farouk Sultan, il quale è anche presidente della Corte Costituzionale (la stessa che ha sciolto l’Assemblea costituente, e presso la quale è in corso un procedimento che potrebbe addirittura portare allo scioglimento dell’attuale parlamento).

Sultan è un ex ufficiale dell’esercito che ha successivamente servito come giudice presso i tribunali militari, per poi essere chiamato alla guida della Corte Costituzionale da Mubarak.

E’ la Commissione elettorale da lui presieduta che ha squalificato il candidato dei Fratelli Musulmani el-Shater e il candidato salafita Abu Ismail. Questa misura fu controbilanciata dalla squalifica di Omar Suleiman, odiato capo dell’intelligence sotto Mubarak; ma la Commissione ha invece riammesso Shafiq, pure lui ampiamente compromesso con il vecchio regime.

L’interrogativo dunque sorge spontaneo: se la giunta militare non intende pilotare l’elezione presidenziale, perché ha fatto in modo che il processo elettorale fosse così poco trasparente?

IL POTERE ANCORA IN MANO AI GENERALI

Al di là della possibilità di influenzare il voto, il Supremo Consiglio delle Forze Armate ha anche altri modi per controllare il processo politico post-elettorale nel paese.

La giunta militare ha infatti abilmente manipolato a proprio vantaggio la frattura esistente fra i partiti laici e il partito “Libertà e Giustizia” (FJP) dei Fratelli Musulmani, contribuendo a far fallire i tentativi del parlamento di nominare una nuova Assemblea costituente.

I primi accusano l’FJP di voler monopolizzare la futura Assemblea per imporre la propria visione religiosa alla nuova Costituzione. L’FJP, dal canto suo, ha accusato la giunta militare e al-Azhar (la principale istituzione religiosa del paese e un altro degli attori emergenti del nuovo Egitto) di voler usurpare il diritto del parlamento a nominare l’Assemblea deputata a redigere il nuovo testo costituzionale.

L’impasse tra le forze politiche ha permesso ai generali di affermare che, in assenza di un’Assemblea costituente, essi emaneranno una Costituzione provvisoria che andrà ad integrare la Dichiarazione costituzionale attualmente in vigore. Questo nuovo testo avrà lo scopo di definire meglio le funzioni del nuovo presidente.

Secondo le prime voci trapelate, la nuova Costituzione avrà però in primo luogo l’obiettivo di salvaguardare i privilegi dell’esercito, stabilendo che il ruolo dei militari è di “salvaguardare la sicurezza nazionale, mantenere l’unità nazionale, proteggere la Costituzione e la legittimità della rivoluzione”, ma soprattutto garantendo che il Supremo Consiglio delle Forze Armate potrà gestire in piena autonomia i propri affari, il proprio bilancio e le politiche in materia di armamenti.

Secondo Mohamed ElBaradei, ex presidente dell’AIEA ed uno dei volti più noti della rivoluzione (prima di rinunciare inaspettatamente a candidarsi egli stesso alla presidenza), queste ed altre norme del nuovo testo costituzionale permetteranno alla giunta militare “di bypassare il parlamento e di definire i poteri del presidente pochi giorni prima della sua elezione”.

O addirittura alcuni giorni dopo – si potrebbe aggiungere – visto che alcune indiscrezioni sembrano indicare che i generali non intenderebbero rendere nota la nuova Costituzione provvisoria prima del completamento dell’elezione presidenziale.

Del resto, il potere dei militari è ancora profondamente radicato nel paese, e rischia di esserlo anche negli anni a venire. L’Egitto è quella che Zeinab Abul-Magd (docente all’Università Americana del Cairo) ha definito una “Repubblica di generali in pensione”.

Dopo essersi ritirati dalla carriera militare (alcuni anche a 40-50 anni, per evitare che i vertici dell’esercito siano “minacciati” da un turn over troppo “incalzante”), gli alti ufficiali egiziani diventano governatori di province, dirigenti pubblici, e manager di società di proprietà delle forze armate (che controllano gran parte dell’economia egiziana).

Da quando la giunta militare ha assunto il potere, inoltre, si è assistito a un considerevole incremento delle nomine di ufficiali militari per incarichi civili. Allo scopo di mantenere la facciata “civile” dello Stato, solo pochi ufficiali dell’esercito diventano ministri, ma i ministeri sono pieni di dirigenti provenienti dalle forze armate.

Allo stesso modo, generali in pensione sono ai vertici della produzione energetica del paese (gas e petrolio), e gestiscono il Canale di Suez e i principali porti del Mar Rosso.

LA BATTAGLIA POST-ELETTORALE

L’aspetto paradossale della campagna presidenziale egiziana è che gran parte dei candidati si è ben guardata dall’affrontare quello che dovrebbe essere un aspetto cruciale della democratizzazione dell’Egitto: la demilitarizzazione dello Stato e dell’economia del paese.

Anche evitando di pilotare troppo apertamente il processo elettorale, attraverso la nuova Costituzione provvisoria la giunta militare avrà la possibilità di gestire gli equilibri di potere fra il presidente e il parlamento, e fra entrambe queste istituzioni e le forze armate. Pur non avendo interesse a governare direttamente, e pur non essendo guidati da alcuna particolare ideologia al di là della salvaguardia dei propri interessi (a differenza di quanto è avvenuto nel caso turco, dove l’esercito era guidato dall’ideologia kemalista), i generali avranno in questo modo la possibilità di continuare a gestire – non senza scossoni – il processo politico.

Un altro aspetto paradossale della transizione egiziana è che molte forze politiche non hanno mostrato una particolare opposizione all’annuncio della nuova Costituzione provvisoria perché ciascuna pensa di trarne beneficio contro i propri avversari.

Molti laici, in particolare, ritengono che il potere conferito ai militari dal nuovo testo costituzionale sia un male necessario per impedire ai Fratelli Musulmani, che controllano buona parte del parlamento, di infiltrarsi anche nell’esercito e di divenire uno “Stato nello Stato” (cosa che è, nei fatti, attualmente l’esercito).

In generale va poi messo in evidenza che, a meno che non venga eletto il candidato dei Fratelli Musulmani Mohamed Mursi (uno scenario che alcuni considerano improbabile, sia per il declino di popolarità del movimento, sia perché è certamente lo scenario che la giunta militare gradirebbe di meno), qualsiasi nuovo presidente si troverà a dover fare i conti con un parlamento in gran parte ostile.

Sia Moussa che Shafiq avrebbero contro il parlamento a maggioranza islamica, e dovrebbero pertanto contare sul sostegno della giunta militare. Aboul Fotouh, dal canto suo, dovrebbe fare i conti con l’ostilità dei Fratelli Musulmani da un lato e con quella dei generali dall’altro.

Si prefigurano dunque tre poli istituzionali – la giunta militare (che può contare anche sull’appoggio della Corte Costituzionale), il parlamento e la presidenza – virtualmente in conflitto fra di loro.

Il panorama politico post-elettorale sarà poi dominato dalla battaglia per la definizione della Costituzione permanente, che promette nuovi scontri potenzialmente destabilizzanti per il paese.

In conclusione, si può dire che i vertici militari sono riusciti fino a questo momento a salvaguardare i propri privilegi, tuttavia attraverso una strategia non priva di improvvisazione, ed al prezzo di mantenere l’Egitto in una situazione gravemente instabile.

In particolare, qualsiasi tentativo da parte della giunta di manipolare troppo apertamente l’elezione presidenziale o il successivo processo di stesura della Costituzione permanente rischia di far riesplodere le proteste di piazza.

Inoltre, i generali continueranno ad esercitare una buona dose di controllo sul processo politico egiziano al prezzo di una elevata conflittualità fra le varie istituzioni dello Stato, che potrebbe non escludere derive pericolose per il paese.