Hollywood e CIA. Attenti a quei due

Fonte: http://storia-controstoria.org/governo-ombra/hollywood-e-cia/

Era stato il presidente Truman, apponendo la sua firma al National Security Act nel lontano 1947, a suggellare la fondazione della CIA (Central Intelligence Agency) che ufficialmente aveva il compito di individuare, raccogliere e valutare informazioni che potessero ledere la sicurezza nazionale. Se il raggio d’azione dell’FBI, che svolge il medesimo compito, si espande principalmente all’interno degli Stati Uniti, quello della CIA non conosce confini. Lo stesso vale per le missioni della CIA che vanno ben al di là degli obiettivi dichiarati ufficialmente. Al soldo del potere più tetro, da sempre la CIA effettua operazioni paramilitari e propagandistiche segrete, organizza attentati, rivoluzioni e colpi di Stato in tutto il mondo. Di questo programma fa parte anche l’industria cinematografica di Hollywood, così come i mass media in generale, insomma la fucina di una realtà made in USA imposta a tutto il Globo. A volte completamente inventata, a volte sapientemente pilotata.

Hollywood, ovvero l’America che non è mai esistita

Ricordate quei film degli anni Sessanta in bianco e nero, in cui ci mostravano le cittadine americane di provincia con le piccole villette a bungalow corredate di giardinetto con piscina? Quelle famiglie tipicamente borghesi con la mamma che preparava sandwich nella cucina ben attrezzata, elettrodomestici all’ultima moda, arredamento un po’ shabby ma confortevole, mentre il pater familias leggeva il solito giornale e i ragazzi paffutelli afferravano il bicchierone di latte fresco di frigorifero e poi si facevano fuori una ciotola di fiocchi d’avena, due toast alla marmellata e quant’altro? Alla fine i membri della famiglia uscivano di casa, il sorriso sulle labbra, salutandosi con il classico “I love you”.

Il tutto era costantemente accompagnato da una musichetta gioiosa, fuori il sole splendeva sempre, per non dimenticare poi l’anziano vicino dalla faccia simpatica con la camicia a quadri e la pompa in pugno, intento ad innaffiare le piante del giardino. E davanti ai garage di queste ottime famiglie, poco distante dall’onnipresente bandiera a stelle e strisce, sostavano macchine gigantesche, di tutti i colori, spaventosi transatlantici da città. Oppure si vedevano quei pick-up di campagna altrettanto enormi, immancabili, eredi motorizzati dei carri di pionieri ottocenteschi. Tutto sembrava gigantesco in America: le macchine, le possibilità, la felicità delle famiglie. Il regno dei sogni.

Oggi questo modello ci viene riproposto, anche se in chiave differente. La mamma che spalmava crema burro di nocciole sui sandwich dei bambini è scomparsa lasciando il posto alla donna che lavora, perfetta e multitasking, la cucina comoda e shabby è diventata una cucina di lusso a tutti gli effetti e può essere che a volte manchi la figura, prima indispensabile, del padre. Ormai anche la locazione della campagna-paradiso ha lasciato il posto alla vita cittadina, spesso gli appartamenti sono situati in grattacieli eleganti. Però… ci avete fatto caso? Tutti sono sempre molto bravi e buoni, si ripetono circa dieci volte al giorno “I love you- I love you – I love you…”, anche al telefono. Soprattutto al telefono. Peccato che questi modelli proposti al cinema siano un’esigua minoranza di fortunati, mentre molte delle vere famiglie americane di un tempo che vivevano nella villetta di campagna sono andate in rovina e nelle strade delle grandi città il numero dei poveri senzatetto (quelli vestiti da capo a piedi con le borse di plastica che di solito si usano per fare la spesa) aumenti in modo esponenziale. Gli Stati Uniti sono marci e la puzza ormai si sente da un pezzo. Ma Hollywood continua a vendere sogni.

La propaganda serrata che intende mostrare un’altra America, un’America inesistente, non si limita però soltanto a questo. Vuole imporre anche un’altra immagine del mondo per poter continuare indisturbata a tessere i suoi intrighi politico-economici senza che a nessuno venga in mente di metterle i bastoni fra le ruote. E questo è forse il lato più pericoloso della propaganda hollywoodiana. Perché il cinema, così come la televisione, può essere uno strumento molto efficace di lavaggio del cervello. I capi della CIA l’hanno capito molto presto. Gli studi sulle tecniche più efficienti per influenzare la psicologia delle masse erano iniziati in grande stile negli USA alla metà degli anni Quaranta con la fondazione dello “Stanford Research Institute”. Dunque pensate quanta esperienza ormai ha questa gente nel suo triste mestiere.

Mass media e PAO

PAO è la sigla del Public Affairs Office, l’organo della CIA che si occupa di coordinare ed amministrare i rapporti fra il governo americano e i mass media. In parole povere significa che quest’organo si occupa di dirigere la propaganda dei mass media e quindi di “assistere” gli autori e i film maker di cinema e televisione. Già la produzione cinematografica americana durante il periodo della Guerra fredda aveva un ruolo molto importante agli occhi della CIA perché doveva diffondere l’ideale di una società democratica e anti comunista in prima linea in America, soprattutto in quegli Stati in cui le masse erano, per la maggior parte, poco istruite e quindi maggiormente sensibili ad una propaganda effettuata per mezzo dell’immagine. Gente come i registi John Ford e Cecile B. De Mille e attori come John Wayne erano fortemente patriottici, i soggetti più indicati a diffondere questo messaggio.

Anche la famosa soap opera statunitense degli anni Ottanta “Dynasty” faceva parte del programma. Aveva lo scopo di mostrare la bella vita della ricchissima famiglia statunitense per diffondere l’idea dei benefici del modello capitalistico a scapito di quello comunista. In questo caso era stato Paul Berry, l’ufficiale della CIA responsabile del PAO, ad incrementare la nascita della serie. Anche la sceneggiatura della recente fiction “Homeland”, un grande successo negli Stati Uniti e all’estero, è stata scritta sotto il controllo di esperti della CIA, così come la serie “Alias” di J.J. Abrams e i successi cinematografici “Syriana” di Stephen Gaghan, “L’ombra del potere” di Robert de Niro, “Sale” di Phillip Noyce, “The Bourne Identity” di Doug Liman, soltanto per citare alcuni esempi.

Se osserviamo lo sviluppo di questa filmografia, ci accorgeremo infatti che inizialmente il classico “cattivo” era sempre un russo, dunque lo spauracchio tipico dei tempi della Guerra fredda. Poi, lentamente, l’immagine è cambiata spostandosi in ambiente Mediorientale e adesso prevalgono sul russo l’arabo, l’iraniano oppure l’iracheno. In realtà il gioco della CIA è diventato talmente primitivo ed elementare che dovrebbe essere immediatamente individuabile. Invece questo non è il caso. La maggior parte della gente ancora non se ne rende conto. O forse non vuole rendersene conto? Perché è più comodo credere nell’esistenza di un cattivo adeguato al governo più forte del momento. Ma sarà davvero così? Gli USA saranno i più forti ancora per molto?

In ogni caso per il momento dobbiamo essere consapevoli che la maggior parte di ciò che esce dagli stabilimenti televisivi e cinematografici statunitensi è pilotato, è censurato, talvolta scritto di concerto con il beneplacito di chi intende portare avanti una propaganda in grado di influenzare e addirittura plasmare il pensiero dei popoli. Se da una parte ci vengono presentati spettacoli di puro svago che hanno il compito di non farci pensare, di distrarci mentre magari nelle stanze dei bottoni vengono prese decisioni importanti a nostra insaputa, dall’altra intendono sottoporci ad un costante, radicale lavaggio del cervello.

Il 5 ottobre 2001 il giornale The Guardian scriveva:

“Per la prima volta nella sua storia la CIA ammette ufficialmente l’esistenza di una relazione pubblica con il veterano operante a Hollywood Chase Brandon che ha dedicano 25 anni della sua carriera a difendere la democrazia.”

“Difendere la democrazia”, detto così sembra quasi che Brandon abbia compiuto un atto eroico. Nel 1996 la CIA ha reso pubblica la fondazione dell’Entertainmente Liaison Office, un organo di controllo che avrebbe strettamente collaborato con i mass media, a cui faceva capo appunto Chase Brandon, l’ufficiale citato da The Guardian nel 2001, il quale aveva buoni contatti con Hollywood essendo cugino dell’attore Tommy Lee Jones. In realtà, come abbiamo visto, l’attività di controllo sui mass media andava avanti già da decenni.

La censura di Luraschi e la strana morte di De Vore

Negli anni Cinquanta questo compito di censura e propaganda veniva svolto da Luigi Luraschi che lavorava per la Paramount e, contemporaneamente, per la CIA come si è scoperto una decina di anni fa. L’obiettivo centrale era quello di salvaguardare e lucidare l’immagine limpida degli USA offerta dall’industria cinematografica. Un esempio evidente delle sue ingerenze nelle pellicole hollywoodiane si rivelò nel modo di presentare i cittadini afroamericani che, su richiesta di Luraschi, dovevano sempre essere ben vestiti per poter contrastare la propaganda russa, la quale di contro metteva in risalto il razzismo USA.

Ovviamente questi servigi di cui godeva la CIA non erano gratuiti, venivano pagati con ingenti somme di denaro. Un altro metodo di intromissione nelle sceneggiature dei film oggi largamente impiegato dalla CIA è quello di offrire del materiale di informazione allo scopo di rendere i film più vicini alla realtà. Ex agenti della CIA collaborano quindi in qualità di informatori, altri invece lavorano direttamente con l’autore come nel caso di Tom Clancy, oppure è l’ex agente stesso ad ideare la fiction, come nel caso di Michael Frost Beckner con la serie televisiva “The Agency“. È chiaro che tutto questo non è un aiuto spassionato, ma persegue scopi ben precisi di disinfomazione. Scriveva il The Guardian del 14.11.2008:

“Quindi si modificano gli scritti, si finanziano dei film, si sopprime la verità: questo è abbastanza preoccupante di per sé. Ma ci sono casi i cui si pensa che le attività della CIA a Hollywood siano andate anche più lontano, così lontano da essere esse stesse il materiale di un film.”

© Thomas Wolf-www.foto-tw.de CC BY-SA 3.0

Nel giugno 1997 l’autore Gary De Vore stava scrivendo la sceneggiatura per il suo debutto. Si trattava di un film d’azione sul retroscena dell’invasione USA a Panama nel 1989 che portò alla deposizione del dittatore Manuel Noriega. De Vore ha quindi contattato un vecchio amico della CIA, il sopracitato Chase Brandon, e si è intrattenuto con lui su Noriega e sul programma degli USA contro il narcotraffico nell’America latina. Ma alcune cose che aveva scoperto nella sua ricerca disturbarono De Vore, per esempio le somme enormi di denaro sporco che finivano dalle casse della banche panamensi a quelle del governo americano. A lla fine l’autore sconcertato e impaurito lasciò perdere e si dedicò ad un altro progetto. Ma era già troppo tardi. Alcuni mesi dopo, mentre de Vore si trovava per lavoro in California, telefonò per l’ultima volta alla moglie e poi scomparve per sempre. Per mesi si formularono le ipotesi più disparate sul ciò che poteva essergli successo. Il suo cadavere fu scoperto soltanto un anno dopo, chiuso nell’auto che era sparita insieme con lui nel fondo di un canale della Sierra Nevada.

In seguito all’autopsia dei poveri resti dell’autore, si dichiararono delle cause di morte sconosciute. Si pensò quindi ad un incidente. Probabilmente De Vore si era addormentato alla guida, era uscito dall’autostrada senza nemmeno accorgersene e quindi precipitato in acqua. Ma nell’auto non si trovò il suo computer portatile, uno strumento di lavoro che De Vore portava sempre con sé. Inoltre il guard rail dell’autostrada non presentava, nel punto fatale in cui sarebbe avvenuto l’incidente, nessun segno di danneggiamento.

Amman, per la prima volta cristiani e musulmani celebrano insieme la Festa dell’Annunciazione

Fonte: http://www.asianews.it/notizie-it/Amman,-per-la-prima-volta-cristiani-e-musulmani-celebrano-insieme-la-Festa-dellAnnunciazione-43458.html

Avverrà il 28 marzo, con la partecipazione di rappresentanti istituzionali, religiosi e civili. Vicario patriarcale ad Amman: parte del “dialogo teologico, religioso, spirituale” che accompagna quello “esistenziale di ogni giorno”. “Vogliamo mostrare i punti comuni fra cristiani e musulmani, riguardanti quest’evento dell’Annunciazione, al quale anche i musulmani credono”.

Amman (AsiaNews) – Quest’anno anche la Giordania terrà la prima celebrazione interreligiosa per la festa dell’Annunciazione di Maria: il 28 marzo, rappresentanti delle autorità, leader religiosi musulmani, vescovi cristiani e civili di entrambe le fedi si riuniranno in una grande sala della capitale per celebrare la festività.  Mons. William H. Shomali, vicario patriarcale del Patriarcato latino ad Amman, spiega che l’evento servirà per parlare “dell’importanza di Maria nel Corano, e del valore della narrativa dell’Annunciazione nel Vangelo di Luca. Vogliamo mostrare i punti comuni fra cristiani e musulmani, riguardanti quest’evento dell’Annunciazione, al quale anche i musulmani credono”.

In Libano, da 12 anni la festa dell’Annunciazione del 25 marzo ha valore di festività nazionale, con congedo dal lavoro per tutti i cittadini e come punto di forza sul dialogo fra cristiani e musulmani

Un evento, afferma il prelato, che fa parte del “dialogo teologico, religioso, spirituale” fra cristiani e musulmani, che si “aggiunge al dialogo esistenziale di ogni giorno”.

Nel settembre del 2016, il re Abdullah II aveva sottolineato davanti all’Assemblea delle Nazioni Unite l’importanza delle figure di Gesù e Maria nel Corano, citate 25 e 35 volte. Maria è “chiamata ‘la migliore di tutte le donne del creato’ [e] c’è un capitolo del Corano chiamato ‘Mayam’. I khawarej [musulmani estremisti che nella storia islamica si erano distaccati dall’Islam, ndr] nascondono deliberatamente queste verità per separare musulmani e non musulmani. Non possiamo permettere che ciò accada”.

P. Rifat Bader, dando notizia dell’evento sul quotidiano online Abouna, ricorda che dal 2000, il sovrano di Giordania ha reso il Natale una festa nazionale e aggiunge: “Ora chiediamo di celebrare la Festa dell’Annunciazione, così che il suo significato religioso serva come incentivo ad arricchire la nostra unità nazionale e coesione sociale”.

Accordi segreti: paghiamo tasse evase dalle multinazionali

Fonte: http://www.libreidee.org/2018/03/accordi-segreti-paghiamo-tasse-evase-dalle-multinazionali/

Mille miliardi di euro, tra evasione fiscale ed elusione: le multinazionali pagano molto meno degli altri, e così agli Stati tocca tirare la cinghia e metter mano a dolorosi tagli. Secondo “Business Insider”, sono addirittura 2.053 gli accordi segreti tra governi Ue e multinazionali per non pagare le tasse: un giochetto che all’Italia costa 10 miliardi all’anno. «Alla fine del 2016, tra le note del Def – scrive il newsmagazine – il ministero dell’economia aveva calcolato che solo all’Italia mancano almeno 31 miliardi di base imponibile. Tradotto, con un tassazione media per le imprese del 30% mancano 10 miliardi di gettito fiscale: lo 0,6% del Pil. Una cifra sufficiente a finanziare buona parte del reddito di cittadinanza del Movimento 5 Stelle o a evitare l’aumento dell’Iva l’anno prossimo». Nel 2013, aggiunge “Business Insider”, l’economista britannico di “Tax Research”, Richard Murphy, aveva calcolato che l’evasione fiscale all’interno del vecchio continente ammonta a circa 850 miliardi, mentre l’elusione vale altri 150 miliardi di euro. E il trend è in ascesa: «Tre anni dopo lo scandalo LuxLeaks che mise a nudo i rapporti fiscali segreti tra governi e colossi industriali, il numero di accordi in essere continua ad aumentare: secondo l’ultimo rapporto della Commissione Europea sono cresciuti dai 1.252 del 2015 ai 2.053 del 2016».

A nulla è servita la maxi-multa comminata all’Irlanda per aver favorito Apple. L’Unione Europea interviene solo a cose fatte, «quando le intese fiscali segrete si rivelano aiuti di Stato tali da condizionare la libera concorrenza». Contro gli abusi si agita il Parlamento Europeo, che però non ha potere. «Anche perché le grandi multinazionali hanno schierato l’artiglieria pesante: con il trucco degli accordi fiscali riescono a strappare condizioni da paradisi fiscali nel cuore del vecchio continente». Con i “tax ruling”, aggiunge “Business Insider”, le multinazionali possono concordare il trattamento fiscale che potrebbe essere loro riservato per un periodo di tempo predeterminato; ma in realtà il “tax ruling” è lo strumento che permette alle corporations di ridurre drasticamente il proprio carico fiscale globale. «Dal punto di vista formale, lo schema è sempre lo stesso: le grandi multinazionali promettono investimenti e occupazione in cambio di tassazioni agevolate, poi una volta stabilitesi spostano i profitti da una controllata all’altra per ridurre al minimo le imposte. Un meccanismo utilizzato già da Apple, Fiat, Amazon, Google, Starbucks e anche McDonald’s». In Italia gli accordi segreti sono 78, e l’“Espresso” ha rivelato che tre di questi riguardano Michelin, Microsoft e Philip Morris.

Sono proprio questi accordi, spiega “Business Insider”, ad aver fatto del Lussemburgo lo snodo centrale della finanza europea: «Molte imprese versano al Granducato un’aliquota effettiva inferiore all’1% degli utili dichiarati». L’Ue è intervenuta in modo tardivo e sporadico. «I cittadini-contribuenti e altri attori economici, come le piccole e medie imprese, avrebbero tutto il diritto di conoscere e giudicare i trattamenti fiscali che le autorità nazionali riservano alle grandi corporation», sostiene Mikhail Maslennikov, “policy advisor” di Oxfam Italia per la giustizia fiscale. «Sempre più spesso – aggiunge – i “ruling” segreti dei paesi Ue si rivelano come un tassello fondamentale per la pianificazione fiscale aggressiva delle multinazionali, facilitandone il “profit-shifting” verso giurisdizioni dal fisco amico e garantendo un trattamento fiscale ad hoc ai grandi colossi, che vedono ridursi considerevolmente le proprie aliquote effettive». I “ruling” segreti pongono seri interrogativi sul fairplay fiscale anche per Tove Maria Ryding, coordinatore del team di giustizia fiscale del network europeo “Eurodad”: «Le decisioni confidenziali assunte da un paese hanno impatti sulla contribuzione fiscale in tanti altri paesi», dice Ryding. «E spesso si tratta dei paesi più poveri e dei contesti più vulnerabili al mondo». O magari paesi come l’Italia, stritolati da una tassazione record.

USA GERMANIA TRADE WAR: LA MADRE DI TUTTE LE CRISI!

Fonte: http://icebergfinanza.finanza.com/2018/03/19/usa-germania-trade-war-la-madre-di-tutte-le-crisi/

Sul Financial Times, giustamente Wolfgang Munchau sottolinea come in caso di guerra commerciale persistente, la Germania è l’anello più debole, probabilmente per noi la scintilla che farà esplodere la santabarbara euro

In a trade war Germany is the weakest link

Se le guerre commerciali siano facili da vincere, come afferma il presidente degli Stati Uniti Donald Trump , dipende molto dal tuo avversario. Se il tuo obiettivo è la Germania – un paese con un surplus di conto corrente di circa l’8% del prodotto interno lordo – allora sì, una guerra commerciale è facile da vincere.

Per gli Stati Uniti colpire la Germania è in qualche modo un errore di categoria. In quanto membro dell’UE, la Germania non ha una politica commerciale indipendente. Come membro della zona euro, non ha una valuta nazionale. La giusta controparte geografica per gli Stati Uniti sarebbe l’UE o la zona euro: la prima se il tuo reclamo è la politica commerciale, la seconda se è la valuta. Ma alla fine, questa distinzione non ha importanza. L’area dell’euro ha registrato un avanzo delle partite correnti pari al 3,5% del PIL nel 2017, un dato enorme dato l’entità dell’economia.

La strategia anti-crisi dell’eurozona dal 2012 è stata miope, spingendo il conto corrente verso un forte surplus e aspettandosi che il mondo lo assorbisse. Era una strategia da mendicante, più appropriata per i piccoli paesi che per la seconda più grande economia del mondo. Il motivo per cui tale strategia è insostenibile sta diventando chiaro. Ti rende vulnerabile a un’azione protezionistica , come il 25% delle tariffe sull’acciaio e il 10% delle tariffe sull’alluminio imposte dagli Stati Uniti. Dovrebbero entrare in vigore venerdì, salvo una tregua dell’ultimo minuto.

La Germania è un grande esportatore di acciaio negli Stati Uniti, ma l’acciaio è solo uno spettacolo secondario. Il vero problema è se il Presidente Trump darà seguito alle sue ripetute minacce schiacciando le tariffe sulle auto. Il think-tank Bruegel, con sede a Bruxelles, ha calcolato gli effetti di un’ipotetica tariffa del 35% che dovesse l’industria automobilistica europea: si tratta di una stima della perdita di reddito di 17 miliardi di euro l’anno. L’impatto economico complessivo sarebbe più elevato a causa degli effetti di una rete. L’UE non è solo legata alle esportazioni ma anche alla produzione di automobili da vendere al mondo.

Le tariffe statunitensi sono solo uno dei tre shock potenzialmente destabilizzanti per l’industria automobilistica. Un altro è la hard Brexit .

(…) In quello sfortunato scenario, il Regno Unito potrebbe finire per imporre tariffe alle auto importate dall’UE. Secondo le ultime statistiche tedesche , gli Stati Uniti e il Regno Unito costituiscono la più grande e la seconda più grande fonte di surplus commerciale della Germania. La combinazione delle tariffe statunitensi e di una hard Brexit  sarebbe uno shock debilitante.

Un terzo e più prevedibile problema è il continuo collasso nella vendita di auto diesel.

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Da un punto di vista strategico è pazzesco che l’UE si sia lasciata al punto tale da essere così dipendente dall’esportazione di un prodotto nel suo tardo ciclo di vita. Il suo intero modello di business risulta essere basato sulla scommessa che il signor Trump non sarebbe diventato presidente degli Stati Uniti, che non ci sarebbe stata la Brexit e che avresti potuto imbrogliare per sempre i clienti truccando regole e macchine.

Dal punto di vista degli Stati Uniti, le tariffe potrebbero essere economicamente controproducenti. Ma questo è un gioco di potere geopolitico: inizia con una tariffa su acciaio e alluminio, aspetta la controreazione dell’UE (forse le tariffe sul burro di arachidi o succo d’arancia) e poi rispondi con una tariffa sulle automobili.

Munchau conclude il suo articolo, sostenendo giustamente che l’argomentazione che è immorale una guerra commerciale, perde vigore se si considera la moralità della politica dell’UE ovvero quella di gestire un surplus ampio e persistente con il resto del mondo. O addirittura di fare promesse per un aumento della spesa per la difesa che non avevano intenzione di mantenere.

Questa guerra commerciale è davvero facile da vincere. Sarà l’equivalente del compagno del matto a scacchi: il gioco potrebbe essere vinto in due mosse.

E’ incredibile questa nemesi, gli idioti politici europei, hanno fatto finta di nulla per anni, permettendo alla Germania di infrangere le regole con il loro surplus. C’è  chi dice che una guerra commerciale travolgerebbe anche l’Italia, è possibile, ma la colpa sarà di tutti coloro, in primis i governi del presidente guidati da Monti, Letta, Renzi e Gentiloni che hanno fatto finta di nulla per tanto tempo, hanno ignorato la trave conficcata nell’economia della Germania, mentre i tedeschi urlavano la pagliuzza italiana del debito pubblico.

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Come riporta il sempre attento Voci dalla Germania, addirittura un insospettabile come Hans Werner Sinn prende le parti di Trump, dichiarando che ha ragione ad attaccare la Germania

Trump ha ragione con le sue accuse contro l’UE
Le auto americane, secondo il professore, partito subito in quarta, vengono importate nell’UE con dazi del 10%, le nostre auto vengono esportate negli USA solo con il 2.5% di dazio. Allo stesso tempo pero’ l’UE accusa Trump di voler isolare gli Stati Uniti aumentando le tariffe doganali. In realtà accade il contrario, ha spiegato Hans Werner Sinn.
L’UE in realtà cerca di proteggersi applicando tariffe doganali molto alte con l’unico scopo di difendere gli interessi di una specifica lobby economica Tutto questo accade a spese dei consumatori europei e a spese degli Stati Uniti, ma anche del terzo mondo. Nella narrazione della stampa tedesca tuttavia i fatti vengono completamente travisati.
A spese dei consumatori europei, in particolare tedeschi
Lo stesso vale per i prezzi agricoli dell’UE. A causa delle barriere doganali i prezzi dei beni alimentari sono del 20% superiori rispetto ai prezzi presenti sul mercato mondiale e piu’ alti rispetto ai prezzi degli Stati Uniti. Chi se ne avvantaggia e chi invece ci guadagna? A trarne vantaggio sono gli agricoltori europei che usano le loro lobby per convincere l’UE a proteggerli mediante alte tariffe doganali. E questo naturalmente a scapito dei consumatori tedeschi, che devono pagare di piu’ per il cibo che comprano.
La carne bovina quando viene importata è sottoposta a un dazio del 69%, la carne di maiale al 26%. Negli Stati Uniti il cibo è molto piu’ economico.
In un normale scambio libero da dazi, i consumatori ordinari, specialmente la gente comune, avrebbero enormi benefici. Spendendo gli stessi soldi, il loro tenore di vita sarebbe nettamente superiore, perché con prezzi alimentari piu’ bassi potrebbero fare la spesa a prezzi decisamente piu’ vantaggiosi.

La colpa è chiaramente dell’UE che ha una politica protezionista.

E gli americani si sono stancati. Per questo Trump ha minacciato: se non la smettete tasseremo le vostre auto con un dazio piu’ alto.
Perchè l’UE si comporta in questo modo? Cosa c’è dietro?
La risposta corretta sarebbe quella di non fare come vorrebbe fare l’UE, e cioè imporre tariffe punitive sulle Harley Davidson. La risposta giusta  sarebbe piuttosto quella di ridurre le proprie tariffe doganali e impegnarsi a praticare un commercio libero ed equo. Hans Werner Sinn ha spiegato anche perchè l’UE vuole elevate tariffe protezionistiche o punitive e addirittura ipotizza una guerra commerciale.
Semplicemente perchè i dazi doganali finiscono nel bilancio dell’UE e costituiscono una parte importante del bilancio UE. Il Moloch-UE  grazie ai dazi doganali si finanzia autonomamente e perciò ha interesse ad aumentare le proprie entrate, ma a spese della propria popolazione, che deve pagare prezzi piu’ alti.
Ma tutto cio’ si spinge ancora piu’ avanti. Tutti i regolamenti e le prescrizioni in cui i prodotti alimentari vengono descritti con esattezza, (come ad esempio la curvatura dei cetrioli, o le dimensioni delle mele e delle patata etc) servono ad un solo scopo: il mercato UE deve essere chiuso verso l’esterno a favore di determinate aziende e produttori (pura politica di lobby). E questo sempre a spese dei consumatori europei.
Il protezionismo dell’UE danneggia il terzo mondo più di ogni aiuto allo sviluppo

Ma non si tratta solo di Germania, Trump sta alzando il livello dello scontro anche contro la Cina…

In un nuovo segnale di raffreddamento delle relazioni bilaterali, l’Amministrazione Trump ha deciso di interrompere il Dialogo economico con la Cina. Lo ha annunciato il sottosegretario al Tesoro per gli affari internazionali, David Malpass, a Buenos Aires per il G-20 finanziario che si svolge lunedì e martedì. Malpass ha spiegato che l’amministrazione è «delusa» dalla Cina e dai suoi passi indietro nell’aprire il suo mercato alla concorrenza straniera.  (…)

«Il mercato cinese – ha detto Malpass – non consente la reciprocità nel senso che gli altri Paesi non possono operare in Cina alle stesse condizioni con cui le imprese cinese operano all’estero». Per questo il sottosegretario vede la necessità di una risposta compatta dei partner commerciali di Pechino di fronte allo stallo delle riforme in Cina. La nuova linea di Trump segna una soluzione di continuità con quella delle amministrazioni Bush e Obama, entrambe alla ricerca di un dialogo con Pechino.

Abbiamo riportato in  modo dettagliato cosa potrebbe accadere in caso di una violenta guerra commerciale, ai tresuries e al dollaro, nell’ultimo manoscritto uscito ieri, dedicato a tutti coloro che hanno sostenuto o vogliono sostenere il nostro lavoro, il nostro viaggio.

Concludo semplicemente ricordando a tutti che la Germania ha ottenuto un simile surplus commerciale, barando, facendo dumping sociale in maniera sistematica, schiavizzando il lavoro con oltre 8 milioni di minijob a 400 euro al mese.

Giusto per fare un piccolo viaggio all’interno della storia vi lascio con una pietra miliare…

Oggi come ieri nel 1930 durante la Repubblica di Weimar, inizia con la deflazione salariale, l’imposizione sistematica di bassi salari, se non puoi svalutare la moneta, svaluta i salari dice la teoria economica. Poi piano, piano, lentamente, nel disagio economico/sociale, arriva il nazismo e si trascina dietro un’intera nazione.

Chiunque dimentica il suo passato è destinato a riviverlo!

Tasse sempre più su: così i cittadini pagano il conto dei regali alle multinazionali

Scritto da: Filippo Burla
Fonte: http://www.ilprimatonazionale.it/economia/tasse-cittadini-pagano-conto-regali-multinazionali-81499/

Roma, 18 mar – Un gigantesco trasferimento di ricchezza, dalle tasche dei cittadini a quelle delle multinazionali. Effetti perversi della crisi finanziaria e delle politiche fiscali internazionali, con le tasse che nel corso degli ultimi anni sono scese solo per le grandi corporations mentre le persone fisiche hanno visto aumentare continuamente il prelievo dell’erario nei propri confronti.

Dal 2008 ad oggi, spiega la società di consulenza Kpmg, nei paesi dell’Ocse tasse e imposte sui cittadini sono aumentate del 6%. Nello stesso tempo, le imprese hanno visto la pressione fiscale ridursi di 5 punti percentuali. Potrebbe sembrare una normale politica fiscale anticiclica, visto che ad un minor livello di tassazione le imprese tendono ad investire maggiormente, sostenendo così l’economia. Peccato che la ripresa non si sia tradotta in numeri concreti, come ad esempio nel caso dei dati sulla disoccupazione. Il caso dell’Italia è paradigmatico: nonostante l’abbassamento dell’Ires dal 27,5 al 24% a partire dal primo gennaio del 2017, il numero dei senza lavoro è rimasto stabilmente al di sopra dell’11%, quasi il doppio rispetto ai periodi pre-crisi.

Ma non c’è solo il nostro Paese. Secondo uno studio condotto dal Financial Times, sempre dal 2008 ad oggi le multinazionali hanno sperimentato cali nel livello di imposizione pari in media al 9%. Non ci sono solo le note tecniche di elusione fiscale (sulle quali le autorità nazionali posso poco, anche se la nostra Agenzia delle Entrate nel “caso Apple” ha aperto una nuova strada), ma a farla da padrona è soprattutto la concorrenza fra Stati ad abbassare le aliquote per attirare capitali. La riforma di Trump, che ha portato la “corporate tax” dal 35 al 21%, è solo l’ultima in ordine di tempo. Paradigmatico, in tal senso, l’esempio dell’Irlanda che offre a chi intende insediare la propria sede nell’isola tasse al 12,5%.

L’aliquota media nei paesi Ocse è così scesa dal 32% del 2000 al 25% del 2015. E come fanno gli Stati a puntellare i propri bilanci, specialmente in tempi di austerità e, in particolare per quanto riguarda l’Europa, di vincoli al deficit? Semplice: il gioco dei vasi comunicanti impone di rivolgersi agli altri contribuenti, vale a dire i normali cittadini, che nello stesso periodo hanno visto imposte come l’Iva crescere di quasi il 10%. Altro che progressività del sistema fiscale

Garattini: “Metà dei farmaci in commercio sono inutili”

Fonte: http://www.informasalus.it/it/articoli/garattini-meta-farmaci-inutili.php

“Metà dei farmaci in commercio oggi sono del tutto inutili”. È quanto afferma Silvio Garattini, fondatore nel 1963 e direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri” secondo cui dei circa 12mila farmaci oggi in commercio andrebbe eliminato il 50%.

L’assunzione di farmaci usati per malattie croniche (come le statine o gli antipertensivi) da parte di pazienti terminali, l’ozono per l’artrite, gli ultrasuoni per i disturbi muscolari, le camere iperbariche usate per disturbi per i quali non ci sono evidenze di miglioramenti, l’abuso degli integratori alimentari, privi di prove di efficacia. Questi alcuni esempi di trattamenti terapeutici inutili citati da Garattini in un’intervista all’Espresso.

Secondo Garattini “la medicalizzazione più spinta è nella diagnostica, perché oggi si prescrivono moltissimi esami ematochimici e funzionali inutili. Non a caso si parla di medicina difensiva, perché il medico dimostra così di aver fatto tutto ciò che era in suo potere per inquadrare quel paziente. L’Italia è tra i paesi in cui si eseguono più Tac e risonanze magnetiche. E lo stesso succede con i test genetici, dove la scoperta continua di nuovi marcatori nel Dna porta a esagerare la prescrizione di test”.

“Siamo vittime della pubblicità – afferma Garattini – e siamo convinti di poter vivere in eterno, evitando qualsiasi rischio di malattia, perché la pubblicità promette cose non vere. A forza di sentire che un certo farmaco serve, ci crediamo davvero. Ma così diventiamo tutti pazienti a rischio”.

Cosa fare dunque per cambiare questa situazione? “Smettere di inventare mongering diseases, cioè malattie che non esistono e che servono solo a vendere farmaci. Avere il coraggio di cambiare l’approccio alle polipatologie, specie nell’anziano, dove l’assunzione anche di 10 farmaci non migliora lo stato di salute perché non sappiamo come i farmaci interagiscono fra loro. E ridare allo Stato un po’ più di potere rispetto alle Regioni, migliorando l’informazione pubblica e rendendola capillare e corretta sin dall’infanzia. Non possiamo guarire tutto con i farmaci, ma buoni stili di vita possono evitare l’impiego di molti farmaci”.

La politica estera del presidente Macron

Scritto da: Thierry Meyssan
Fonte: http://www.voltairenet.org/article200046.html

Quando Macron era candidato alla presidenza della repubblica ignorava tutto delle relazioni internazionali. Il suo mentore, il capo dell’Ispezione Generale delle Finanze (corpo di 300 alti funzionari), Jean-Pierre Jouyet, lo beneficiò d’una formazione accelerata.

I predecessori di Macron, Nicolas Sarkozy e François Hollande, avevano considerevolmente indebolito il prestigio della Francia. Per mancanza di obiettivi prioritari e per i numerosi voltafaccia, la posizione della Francia era percepita come “inconsistente”. Macron ha iniziato il proprio mandato incontrando il maggior numero possibile di capi di Stato e di governo per dimostrare che la Francia sta rioccupando un ruolo di potenza mediatrice, capace di dialogare con tutti.

Dopo le strette di mano e gli inviti a pranzo, Macron ha dovuto dare un contenuto alla propria politica. Jean-Pierre Jouyet [1] propose di rimanere nel campo atlantico, pur contando sui Democratici che, secondo lui, dovrebbero riprendersi la Casa Bianca, forse in anticipo sulle elezioni del 2020. Così, mentre i britannici lasciavano l’Unione Europea, la Francia rinserrava saldamente l’alleanza con Londra, pur mantenendo rapporti con Berlino. L’Unione dovrebbe ricentrarsi sul nodo centrale costituito dalla governance dell’euro. Dovrebbe mettere un termine al libero-scambio con partner che non lo rispettano e creare una grande imprenditoria su internet, in grado di fare concorrenza al GAFA (Google, Apple, Facebook, Amazon). Dovrebbe dotarsi di una difesa comune contro il terrorismo. Dovrebbe, insieme agli alleati, impegnarsi nel contrastare l’influenza russa. La Francia dovrebbe infine proseguire l’azione militare in Sahel e in Medio Oriente.

A settembre 2017 Jouyet fu nominato ambasciatore di Francia a Londra. A gennaio 2018 Francia e Regno Unito hanno dato nuovo impulso alla loro cooperazione diplomatica e militare [2]. E, sempre a gennaio, i due Stati hanno dato il via a un’iniziativa segreta, il “Gruppo Ristretto”, per rilanciare la colonizzazione franco-britannica del Medio Oriente [3].

Questa politica, mai pubblicamente discussa, non tiene conto né della storia della Francia né della richiesta tedesca di svolgere un ruolo internazionale più rilevante. Infatti, la quarta economia del mondo, settant’anni dopo la propria disfatta, continua a essere relegata in un ruolo secondario [4].

Riguardo al mondo arabo, il presidente Macron – enarca [ex allievo della Scuola Nazionale d’Amministrazione, l’ENA, ndt] ed ex Rothschild & Cie – ha fatto proprio il punto di vista dei suoi due consulenti in materia: il franco-tunisino Hakim El Karoui, ex Rothschild & Cie, per il Maghreb e l’ex ambasciatore a Damasco, Michel Duclos, pure enarca, per il Medio Oriente. El Karoui non è un prodotto dell’integrazione repubblicana, bensì dell’alta borghesia transnazionale. Egli alterna un orientamento repubblicano sul piano internazionale a un orientamento comunitario sul piano interno. Duclos è un autentico neoconservatore, formato negli Stati Uniti di George W. Bush da Jean-David Levitte [5].

Ebbene, El Karoui non ha mai capito che i Fratelli Mussulmani sono strumento dell’MI6 britannico, mentre Duclos non ha mai capito che Londra non ha digerito gli accordi Sykes-Picot-Sazonov, che le fecero perdere metà del proprio impero in Medio Oriente [6]. Ragion per cui i due non scorgono alcun problema nella nuova “intesa cordiale” con Theresa May.

Sin da ora si possono valutare alcune incoerenze di questa politica. In omaggio alle decisioni del “Gruppo Ristretto”, la Francia ha ripreso l’abitudine dell’équipe del presidente Hollande di riportare all’ONU le posizioni degli oppositori siriani al proprio soldo (quelli che rivendicano la bandiera del mandato francese sulla Siria [7]). I tempi però sono cambiati. La lettera dell’attuale presidente della “Commissione Siriana di Negoziazione”, Nasr al-Hariri, trasmessa in nome della Francia al Consiglio di Sicurezza, insulta non soltanto la Siria, ma anche la Russia [8]. Accusa una delle due principali potenze militari al mondo [9] di perpetrare crimini contro l’umanità, il che trasgredisce alla posizione “mediatrice” che dovrebbe avere un membro permanente del Consiglio di Sicurezza. Mentre Mosca ha preferito ignorare questo linguaggio offensivo, Damasco invece vi ha risposto seccamente [10].

In definitiva, la politica di Macron non differisce molto dalla politica di Sarkozy e di Hollande, sebbene, con Trump alla Casa Bianca, si appoggi più sul Regno Unito che sugli Stati Uniti. L’Eliseo persegue l’obiettivo di una ripresa delle multinazionali francesi non in Francia ma in quello che fu il suo impero coloniale. Si tratta delle stesse scelte del socialista Guy Mollet, uno dei fondatori del Gruppo Bilderberg [11]. Nel 1956, Mollet, presidente del consiglio francese, si alleò con Londra e Tel-Aviv per mantenere le quote del Canale di Suez, nazionalizzato dal presidente egiziano Gamal Abdel Nasser. Propose che la Francia entrasse nel Commonwealth, giurando fedeltà alla corona, e che venisse adottato per i francesi statuto di cittadinanza analogo a quello degli irlandesi del nord [12]. Questo progetto di abbandonare la repubblica per incorporarsi al Regno Unito, sottomettendosi all’autorità della regina Elisabetta II, non fu mai pubblicamente discusso.

Poco importano l’ideale di uguaglianza nei diritti espresso nel 1789 e il rifiuto del colonialismo, manifestato dal popolo francese dopo il fallito colpo di Stato del 1961 [13]: per il Potere, la politica estera non scaturisce dalla democrazia.

Traduzione
Rachele Marmetti
Il Cronista

[1] « De la Fondation Saint-Simon à Emmanuel Macron », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 16 avril 2017.

[2] “L’“Intesa amichevole” franco-britannica”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Al-Watan (Siria) , Rete Voltaire, 30 gennaio 2018.

[3] « Syrieleaks : un câble diplomatique britannique dévoile la “stratégie occidentale” », par Richard Labévière, Observatoire géostratégique, Proche&Moyen-Orient.ch, 17 février 2018.

[4] Questo vale anche per il Giappone.

[5] Jean-David Levitte, alias “Diplomator” fu, dal 2000 al 2002, rappresentante permanente della Francia alle Nazioni Unite, a New York, poi, dal 2002 al 2007, ambasciatore a Washington.

[6] Dal punto di vista britannico, gli accordi Sykes-Pico-Sazonov del 1916 non furono una spartizione equa del mondo tra i tre imperi, ma una concessione del Regno Unito per garantirsi il sostegno della Francia e della Russia (Triplice Intesa) contro il Reich tedesco, l’Austria-Ungheria e l’Italia (Triplice Alleanza).

[7] « La France à la recherche de son ancien mandat en Syrie », par Sarkis Tsaturyan, Traduction Avic, Oriental Review (Russie), Réseau Voltaire, 6 octobre 2015.
Nel 1932 la Francia concesse alla Siria una nuova bandiera, fatta di tre strisce orizzontali, che rappresentano le dinastie Fatimida (verde), Omeyyadi (bianco) e Abbasidi (nero), simboli, la prima, dei mussulmani sciiti, la seconda e la terza, dei sunniti. Le tre stelle rosse rappresentano le tre minoranze: cristiana, drusa e alauita. Questa bandiera resterà in uso fino all’inizio della Repubblica Araba Siriana e tornerà nel 2011 con l’Esercito Libero Siriano.

[8] « Accusation de la Syrie et de la Russie par la France », par François Delattre, Réseau Voltaire, 9 février 2018.

[9] “Il nuovo arsenale nucleare russo ristabilisce la bipolarità nell’assetto mondiale”, di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 6 marzo 2018.

[10] « Réponse de la Syrie à la France », par Bachar Ja’afari, Réseau Voltaire, 28 février 2018.

[11] “Quel che non sapete del Gruppo Bilderberg”, di Thierry Meyssan, Rete Voltaire, 10 aprile 2011.

[12] “When Britain and France nearly married”, Mike Thomson, BBC, January 15, 2007. « Frangland? UK documents say France proposed a union with Britain in 1950s : LONDON: Would France have been better off under Queen Elizabeth II? », Associated Press, January 15, 2007.
Guy Mollet non stava rispolverando la proposta d’Unione franco-britannica, formulata da Winston Churchill e Anthony Eden nel 1940, di fusione provvisoria dei due Paesi per lottare contro il Reich nazista dopo la disfatta francese. S’ispirava invece alla proposta, formulata undici anni prima nel contesto della crisi di Suez, di Ernest Bevin, che sperava di salvare l’impero francese creando un terzo blocco da contrappore agli USA e all’URSS, fondendo gli imperi britannico, francese e olandese in un’Unione Occidentale. Questo progetto fu abbandonato da Londra a favore della CECA (precorritrice dell’Unione Europea) sul piano economico, e della NATO sul piano militare.

[13] Nel 1961 un colpo di Stato militare, organizzato sottomano dalla NATO, tentò di rovesciare il generale-presidente Charles De Gaulle per mantenere la politica coloniale francese. I francesi rifiutarono in massa di riconoscerlo. « Quand le stay-behind voulait remplacer De Gaulle », par Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 10 septembre 2001.

TRUMP DICHIARA GUERRA ALLA GERMANIA!

Fonte: http://icebergfinanza.finanza.com/2018/03/12/trump-dichiara-guerra-alla-germania/

Partiamo da qui, dalla notizia che ha fatto esplodere l’entusiasmo in America venerdì…

Il rapporto sull’occupazione americana di febbraio, quando sono stati creati ben 313.000 posti di lavoro, è “impressionante”. Questo il commento del segretario americano al Tesoro, Steven Mnuchin. L’ex Goldman Sachs

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Nulla da dire, anche se noi non ci lasciamo impressionare, già qualche mese prima della Grande recessione nel 2007, un dato simile fu rivisto alcuni mesi dopo quasi a zero!

Quello che a noi interessa è che …

I salari orari – attentamente monitorati perché indicano l’assenza o meno di pressioni inflative – sono saliti dello 0,15% (o di 0,04 dollari) su base mensile a 26,75 dollari, meno del +0,2% atteso.; su base annuale sono saliti del 2,6%, sopra il range tra 1,9 e 2,2% segnato dal 2012 in poi e oltre la media del 2% degli ultimi sei anni.

A gennaio i salari erano saliti del 2,9%, il balzo maggiore dal 2009, cosa che aveva fatto temere un’accelerazione dell’inflazione e dunque una Federal Reserve meno accomodante.America 24

Di conseguenza, abbiamo ancora una volta ragione sui salari, nessuna pressione inflattiva, poco o nulla, al punto tale che…

Fed: Evans, possiamo permetterci pazienza sui tassi, aspettare prima di alzarli

Secondo Charles Evans, presidente della Federal Reserve di Chicago, la banca centrale americana si può permettere di essere paziente nell’alzare i tassi. Per colui che non è membro votante del braccio di politica monetaria della banca centrale Usa, il Federal Open Market Committee, sarebbe meglio aspettare prima di aumentare il costo del denaro. La prossima riunione della Fed è in calendario il 20 e 21 marzo e il mercato si aspetta un aumento dei tassi di 25 punti base all’1,5-1,75%.

Quella sarà la prima riunione dell’Fomc con a capo il neo governatore Jerome Powell, che per la prima volta affronterà la stampa successivamente al meeting in cui verranno diffuse anche le nuove stime economiche e quelle relative al numero di strette attese nel 2018. Stando all’ultima mediana delle stime, quella diffusa a dicembre, la Fed conta di alzare i tassi tre volte nel 2018 ma il mese scorso sono aumentate le probabilità di quattro strette per via del balzo dei salari orari di gennaio ai massimi del 2009. A febbraio i salari orari sono saliti con meno slancio, motivo per cui gli investitori sembrano rincuorati. America 24

Strano davvero che il famigerato GDP NOW non abbia reagito alla meraviglia del dato di venerdì, anzi si è depresso ulteriormente…

  • Lavoro part-time involontario: +171.000 – Indagine sulle famiglie
  • Lavoro part-time volontario: +194.000 – Indagine sulle famiglie.

Davvero un rapporto sano quest’ultimo di venerdì, lavoro a part-time ovunque, gli ultimi dati sulle retribuzioni medie della classe media risalgono al mese di maggio del 2016. e sino ad oggi hanno mostrato  una diminuzione dei salari medi in sette degli ultimi 11 anni, aspettiamo con calma le prossime revisioni.

Nel frattempo Trump minaccia di nuovo la Germania, ops…L’Europa!

Trump minaccia di nuovo l’Ue: “Abbassate i dazi o tasseremo le vostre auto”

Dopo il nulla di fatto del vertice di Bruxelles il nuovo attacco del tycoon getta l’ombra di una guerra commerciale. Continuano a battere banco i dazi che il presidente Donald Trump ha deciso di imporre sulle importazioni di acciaio e alluminio, tassati rispettivamente al 25% e al 10%, su tutti i paesi del mondo ad eccezione di Canada e Messico. Le nuove misure, che diventeranno effettive dal prossimo 23 marzo, avranno un impatto soprattutto sui 28 paesi dell’Unione Europea a cui Trump ha mandato un altro chiaro messaggio.America 24

The European Union, wonderful countries who treat the U.S. very badly on trade, are complaining about the tariffs on Steel & Aluminum. If they drop their horrific barriers & tariffs on U.S. products going in, we will likewise drop ours. Big Deficit. If not, we Tax Cars etc. FAIR!

Nelle ultime ore il tycoon ha infatti minacciato, per l’ennesima volta e sempre attraverso twitter, una guerra commerciale contro Bruxelles: “L’Unione Europea, fatta da paesi meravigliosi che nel commercio trattano gli Stati Uniti molto male, ora si lamenta delle tariffe su acciaio e alluminio. Se loro abolissero le loro orribili tariffe sui prodotti che gli Stati Uniti esportano là, noi faremmo lo stesso togliendo le nostre. C’è un grosso deficit. Altrimenti tassiamo le automobili ecc. GIUSTO!”.

Un tweet che preoccupa l’Europa e che arriva a poco più di ventiquattro ore dal vertice a tre di Bruxelles, conclusosi con un nulla di fatto, tra la commissaria al Commercio dell’Unione Europea, Cecilia Malmström, il rappresentante per il Commercio estero degli Stati Uniti, Robert Lighthizer, e il ministro per il Commercio del Giappone, Hiroshige Seko.America 24

Al termine di quei colloqui la Malmström ha fatto il punto della situazione su Twitter specificando che “non è stata fatta chiarezza sulle procedure americane per l’esenzione dei dazi” aggiungendo che i “colloqui continueranno”. Non solo, perché in maniera diretta la commissaria al Commercio dell’Ue ha aggiunto che “essendo uno stretto partner sulla sicurezza ed il commercio degli Usa, l’Unione europea deve essere esclusa dalle misure annunciate”.America 24

Il tycoon non si è limitato a puntare il dito contro l’Europa. Qualche ora prima infatti, al termine di un colloquio con il Primo Ministro giapponese Shinzo Abe nel quale ha discusso sempre di questioni commerciali, ha voluto fare il punto della situazione sempre su Twitter sollecitando Tokyo ad un’ulteriore apertura verso Washington: “Attualmente abbiamo un disavanzo commerciale imponente da 100 miliardi di dollari. Non è giusto né sostenibile. Troveremo una soluzione!”.

Gli Usa chiedono alla Cina di ridurre il deficit di 100 miliardi di dollari

L’amministrazione Trump vuole abbattere il deficit commerciale tra Stati Uniti e Cina di 100 miliardi di dollari e per farlo ha chiesto a Pechino di importare più automobili, aerei e servizi finanziari. A riportare la notizia è il Financial Times che cita fonti vicine alle due amministrazioni. Secondo loro un piano del genere potrebbe consentire ai prodotti fabbricati dalle aziende americane su territorio cinese di evitare i nuovi dazi imposti dagli Usa sull’import che saranno effettivi dal 23 marzo prossimo. America 24

Per il segretario americano al Tesoro, Steven Mnuchin, il presidente americano Donald Trump “non è un protezionista”. L’obiettivo del leader Usa è piuttosto quello di ottenere un commercio “equo”.

L’unico commercio equo che l’amministrazione Trump oggi vuole è “America First” il resto è relativo, ma la storia, la nemesi deve fare il suo corso. State sintonizzati, questa settimana si preannuncia davvero interessante.

Nel frattempo in Italia si avvicina sempre più l’ora della verità per la formazione del nuovo Governo con l’appuntamento dei presidenti delle Camere, non c’è alternativa a quello che tutti temono e fanno finta di non vedere nonostante i proclami di parte.

 

 

L’ombra disperata di Abercorn Street (Real Ghost Stories) – di Gordon Miles

Fonte:http://www.sogliaoscura.org/lombra-disperata-abercorn-street-real-ghost-stories-gordon-miles/

L’immagine che trovate qui sotto sembrerebbe mostrare una bambina disperata che guarda fuori dalla finestra.
La fotografia è stata scattata al 432 di Abercorn Street  a Savannah (USA), dove si trova una casa strutturata su quattro piani e che ha una sinistra storia nel suo passato.
L’edificio è noto nella cittadina per essere infestato da fantasmi e infatti più di un testimone racconta di suoni, bisbigli, pianti e passi pesanti che si possono udire tra quelle vecchie mura.
E’ superfluo aggiungere che al momento dello scatto non era presente nessuno al suo interno.

La casa fu costruita nel 1868 per il generale Benjamin J. Wilson, un veterano della Guerra Civile e quando la moglie del militare cedette alla febbre gialla, si trovò costretto ad allevare da solo la figlia.

Proprio di fronte alla casa c’è la Massey School, una delle più antiche scuole pubbliche di Savannah, attiva ancora oggi.
La figlia del generale amava giocare con i bambini che frequentavano la Massey School, ma suo padre disapprovava tali frequentazioni. Ignorando le severe ammonizioni del padre, la bambina continuò a correre dall’altra parte della strada per divertirsi coi suoi coetanei.
La leggenda racconta che il generale Wilson, abituato a farsi rispettare dalle sue truppe e frustrato dal fatto che la piccola ignorasse i suoi divieti,  in un impeto di crudeltà  punì sua figlia legandola su una sedia vicino alla finestra del soggiorno. Poteva vedere gli altri bambini divertirsi fuori, senza però partecipare ai giochi.
Dopo alcuni giorni, la ragazzina morì per un colpo di calore e disidratazione. Infatti, le estati a Savannah sono molto torride e la posizione vicino alla finestra risultò fatale.
Il folle generale morì qualche tempo dopo, apparentemente per cause naturali. Ma forse la sua anima e quella della sfortunata figlia, non se ne sono mai andate da lì…