“Bergamo: vergognosa la raccolta firme a favore di una persona in carcere per abusi. Siano resi pubblici i nomi dei firmatari!”.

Fonte: http://www.massimilianofrassi.it/

Articolo uscito oggi sui media bergamaschi:

“Bergamo: vergognosa la raccolta firme a favore di una persona in carcere per abusi. Siano resi pubblici i nomi dei firmatari!”.

L’associazione nazionale vittime pedofilia Prometeo, di Bergamo, interviene sulla raccolta firme a favore dell’autista di scuolabus di Mozzanica Oreste Triassi, da un anno circa in carcere per abusi su una ragazzina all’epoca dei fatti dodicenne. Mentre si svolge il processo è stato reso noto che un comitato di sostegno dell’autista ha raccolto “700 firme di solidarietà. Tra i firmatari anche tre sindaci”.

Massimiliano Frassi presidente di Prometeo ritiene “l’iniziativa a dir poco disgustosa. Nessuno s’interroga su come stia la giovane  anzi nei suoi confronti i toni sono da mettere sullo stesso piano di un abuso. In questa società al contrario, dove si manifesta sempre per i carnefici, veri o presunti che siano, e mai per le vittime, che vengano resi i nomi di chi ha firmato. Soprattutto dei tre Sindaci. E’ giusto che chi li ha votati sappia quali posizioni questa gente prende. Ma è anche giusto sapere se il nostro fornaio, il barista dove facciamo colazione, l’edicolante o il nostro vicino di casa, hanno firmato a favore di una persona che da un anno sta in carcere. Da parte nostra piena solidarietà a quella che riteniamo l’unica vera vittima: la ragazzina”

Come riciclare le vecchie scarpe: alcune idee

Scritto da: Nicoletta
Fonte: http://www.soloecologia.it/14102013/riciclare-le-vecchie-scarpe-alcune-idee/6276

scarpe-vecchie-ricicloE’ ora di comprare delle scarpe nuove: quelle da battaglia che l’uso ha reso morbide e comodissime ormai stanno perdendo i pezzi. Che farne? La prima cosa è sicuramente chiedere a un calzolaio se non ci sia modo di ripararle e farle durare ancora una stagione: alcuni ciabattini sanno fare miracoli! Buttarle nella raccolta dei rifiuti indifferenziati è la soluzione più semplice, ma anche la meno amica dell’ambiente. Ovviamente, regalarle a qualcuno che ne ha bisogno è sempre una proposta valida. Ma ecco alcune altre idee, nell’attesa che qualcuno inventi delle scarpe totalmente biodegradabili:

* Qualsiasi modello di scarpa può diventare un vasetto da giardino, riempito di terriccio e piantato con i semi di una pianta che non tenda a crescere troppo. In alternativa, la scarpa può diventare semplicemente un portavaso già riempito con una pianta grassa o altro vegetale di dimensioni mignon.

* Le calzature da donna con tacco alto e tomaia a décolleté possono trasformarsi in un simpatico attaccapanni murale, previo taglio con un seghetto e applicazione con la colla a una tavola di legno dipinta del colore preferito.

* Gli stivali possono diventare delle casette per uccellini nei mesi invernali. Se sono troppo alti nella gamba, se ne può tagliare via un pezzo e incollare le due estremità. Nella parte anteriore bisogna invece praticare un foro sufficientemente largo per consentire l’entrata e l’uscita del volatile.

Allarme in Inghilterra: in arrivo la peggior tempesta dell’ultimo decennio

Fonte: http://terrarealtime.blogspot.it/2013/10/allarme-in-inghilterra-in-arrivo-la.html

ura

(AGI) – Londra, 27 ott. – Il sud dell’Inghilterra e del Galles si prepara al passaggio della peggior tempesta dell’ultimo decennio in Gran Bretagna. Nella notte il Met Office prevede che San Giuda, come e’ stata ribattezzata, porti piogge torrenziali tra i 20 e i 40 millimetri e venti fino a 130 chilometri orari. L’allerta color ambra, la terza piu’ alta su una scala di quattro, riguarda milioni di persone che sono invitate a restare in casa e a guardarsi dalla

possibilita’ di allagamenti, blackout e cadute di alberi.Secondo gli esperti la tempesta e’ comparabile a quella che si era abbattuta sulla Gran Bretagna nell’ottobre 2002 se non addirittura al “Great Storm” dell’ottobre 1987 che causo’ 18 morti in Gran Bretagna e altri quattro in Francia, con ben 15 milioni di alberi abbattuti.

Ci ha fatti spiare tutti: l’ultimo regalo di Monti.

Scritto da: Claudio Messora
Fonte: http://www.byoblu.com

Mario_Monti_1L’ultimo regalo da presidente del Consiglio dell’uomo della Trilaterale è stato un decreto, senza legittimazione parlamentare (il governo era dimissionario), che conferisce ai servizi segreti la facoltà di avere accesso a tutte le banche dati, per incrociare le informazioni sui cittadini nei settori nevralgici dell’energia, dei trasporti, della salute, del credito bancario e delle telecomunicazioni. Hanno già firmato Telecom, Finmeccanica, Agenzia delle Entrate, Enel, Eni, Alitalia, Ferrovie dello Stato, Poste italiane. Grazie a questo decreto, senza autorizzazione della magistratura, i servizi possono avere accesso ai metadati tracciati dai gestori delle comunicazioni, degli internet service provider, degli aeroporti, delle dighe, dei servizi energetici e dei trasporti, per non meglio specificate finalità di sicurezza. Possono farlo legalmente.

I servizi hanno in teoria direttive chiare e una precisa catena di comando. Dovrebbero poi, a norma di legge, relazionare al Copasir. Ma il Copasir non ha alcun potere, se non quello di chiedere: “e’ vero che avete spiato tizio e caio?”. “No, non è vero”: fine della storia. Impossibile chiedere la produzione di un documento qualunque, se di quel documento non è nota l’esistenza. E dal caso Tavaroli a Snowden, qualcuno ha ancora il coraggio di credere che le leggi, senza la possibilità effettiva di esercitare un controllo, siano puntualmente rispettate? Parliamo poi di un Paese, il nostro, che a differenza della Germania (dove l’ambasciatore Usa viene convocato d’urgenza perché riferisca a Obama che essere spiati non è bello) si ritrova ad essere rappresentato da un Enrico Letta che passa più tempo a Washington che a Roma. Forse per questo si è limitato timidamente, e suo malgrado, ad “associarsi” all’iniziativa di forte protesta franco-tedesca. Ci “associamo” alle proteste altrui giusto per salvare la faccia, ma la realtà è che non avendo quasi più niente da difendere, né in termini di ricchezza industriale né di sovranità, la nostra protesta è solo formale. Da noi non c’è più niente da spiare: sanno già tutto e hanno già tutto. E per essere sicuri di non poterci tenere neppure il più piccolo cecio in bocca, abbiamo appena regalato Telecom e tutte le infrastrutture di rete agli spagnoli. Cose che in qualunque altro posto del mondo sarebbero vagamente strategiche, ma non si sa mai che a qualcuno di noi possa pungere vaghezza di mandare un’email e pretendere pure che resti riservata. Esagerati!

(Foto: http://biografieonline.it/foto-di.htm?n=Mario+Monti#)

Giulio, la storia di Andreotti, dalla A alla Z

Scritto da: Giuseppe Parente
Fonte: http://www.nottecriminale.it/giulio-la-storia-di-andreotti-dalla-a-alla-z.html

2013-06-05_120508.pngScritto da 2 validi giornalisti campani, Antonello Grassi e Gianpaolo Santoro, edito dalle Edizioni Cento Autori, collana Fatti e Misfatti, è da pochi giorni in libreria e nelle più fornite edicole “Giulio, la storia di Andreotti, dalla A alla Z”.

Ventuno parole chiave, quante sono le lettere dell’alfabeto italiano, per raccontare, in maniera diversa e simpatica, la vita del più longevo ed allo stesso tempo discusso ed enigmatico politico italiano del dopoguerra: il democristiano Giulio Andreotti.
Il 6 maggio 2013 il Divo è morto, ma se ne è andato, in punta di piedi, da anti divo. Niente camera ardente, niente funerali di Stato, per un uomo che è stato ben 7 volte Presidente del Consiglio. L’uomo identificato dal popolo italiano con lo Stato e la Chiesa, con il potere. Era solito affermare che nel 1919, erano nati il Partito Popolare Italiano di Don Luigi Sturzo, il Fascismo e lui, per molti anni, fino al 6 maggio 2013 era l’unico rimasto in vita. Dal 7 maggio 2013 non ci sta neanche più il Divo, per cui possiamo dire che con Giulio Andreotti è morta anche la prima Repubblica.
Con l’utilizzo delle 21 lettere dell’alfabeto, Antonello Grassi e Gianpaolo Santoro, hanno raccontato, in maniera semplice e diretta, la vita del più longevo e discusso politico italiano del secondo dopoguerra. Una scelta, secondo il mio modesto parere, davvero indovinata, anche in virtù del fatto che un racconto sintetico e coerente della complessa esperienza storica di Giulio Andreotti è quasi impossibile, essenzialmente per due motivi. Il primo è costituito dall’elevato rischio di affondare nelle sabbie mobili delle vicende italiane ed internazionali, mentre il secondo è costituito dal fatto che siamo di fronte ad un iter politico, quello andreottiano, davvero lungo, che va dalla caduta del fascismo alla fine della prima Repubblica, che non ha smesso di produrre i suoi effetti sul nostro paese, condizionandone vita economica e politica.
Andreotti, l’uomo che fece sua la massima:” il potere logora chi non ce l’ha adattandola, in maniera sapiente, a filosofia di vita del Partito-Stato, protagonista della scena politica che mise d’accordo Moro e Berlinguer per guidare il governo della “non sfiducia” non poteva non essere raccontato con un insieme di episodi, come per esempio la sua passione per l’ippica, ed il magico mondo delle corse al trotto ed al galoppo, di cui era esperto conoscitore di purosangue, genealogie e forma dei cavalli, di aneddoti, discorsi, scritti ed interviste.
Ventuno frammenti per raccontare la vita dell’uomo che ha fatto la storia della Prima Repubblica, custodendone fino alla morte trame e misteri. Per consentire a noi lettori, la composizione del puzzle Andreotti come meglio riteniamo opportuno.

 

Riflessione sulla Terra e su noi stessi

Scritto da: Andrea Bizzocchi
Fonte: http://www.aamterranuova.it/Ecologia-della-mente/Riflessione-sulla-Terra-e-su-noi-stessi

Riflessione-sulla-Terra-e-su-noi-stessi_article_bodyL’ecologia per come la intendiamo, pur con tutte le migliori intenzioni, rimane una categoria concettuale di natura antropocentrica che tende a separare anziché ad unire. Visioni autenticamente ecologiche come quella dell’ecologia profonda percepiscono invece la Vita come una e indivisibile, ed in quest’ottica l’uomo non gode di nessun particolare privilegio sul pianeta. Per quanto a noi lontana è forse questa l’unica strada efficace per cambiare davvero qualcosa nel nostro rapporto con la Terra e con noi stessi.

Alla base dello schema di pensiero che appartiene al nostro bagaglio culturale c’è una visione della vita a beneficio dell’uomo (visione antropocentrica) e quella di un mondo “da migliorare”. Una visione antropocentrica della Vita che considera tutto in funzione dell’essere umano, tende naturalmente a identificarsi con un non meglio precisato “progresso” e quindi con un altrettanto non meglio precisato  “miglioramento”. Questa visione, pur in innumerevoli varianti, è generalmente orientata a un fine (il miglioramento appunto) e appartiene alle tre grandi religioni monoteiste (ma non solo) e con ciò riguarda una grossa fetta della popolazione mondiale. Date le premesse essa mostra inevitabilmente uno spiccato sottofondo materialista e ancorché in taluni casi si adoperi per salvare la “Natura”, poiché la considera un qualcosa al servizio della nostra specie mantiene nei suoi confronti un atteggiamento di sopraffazione.

I vari drammi che stiamo vivendo, di cui quello ambientale è solo il più evidente, sono dunque inevitabili con queste  premesse culturali e soprattutto con il potere tecnico che queste premesse hanno portato.
La proiezione sul mondo di una mentalità autenticamente ecologica è completamente differente. Il mondo “è” già semplicemente perché esiste e con ciò  assurdo pensare di migliorarlo; semmai bisogna lasciarlo come lo abbiamo trovato. In quest’ottica le società tradizionali tendono sempre al mantenimento di ciò che “è” e non al suo “miglioramento”. Ciò è reso possibile da uno schema di pensiero che possiamo definire ecocentrico o anche cosmocentrico. Secondo questa mentalità pensare che l’essere umano, che non è che uno degli infiniti fili della tela della Vita, possa incidere su di questa, è inconcepibile. Questa visione naturocentrica/cosmocentrica garantisce una omeostasi, cioè una stabilità ed un equilibrio dell’ecosistema. Proprio grazie ad essa le comunità di cacciatori-raccoglitori si identificano totalmente con l’ambiente circostante (si considerano essi stessi ambiente) e riescono quindi meglio di qualunque altra società a mantenere un ecosistema sano.
Alla base dei costumi, comportamenti e abitudini dei popoli nativi risiede dunque in genere l’importanza assoluta di garantire il più possibile l’ordine naturale; essi percepiscono intimamente che qualunque alterazione del mondo è in realtà un’alterazione di sé stessi.
In ere più moderne il “Tao” cinese esprime concetti molto simili. Il Tao mostra la “Via” indicando ciò che è giusto nell’universo, ivi inclusi i rapporti tra uomini, tra uomini e animali, tra uomini e spiriti, ecc. (mentre tutti gli altri rapporti sono “scorretti, anormali, innaturali”). Simili visioni filosofiche appartengono anche al concetto buddhista del “Dharma” nonché a quello vedico della “Rita”. Anche qui, viene indicata la retta “Via” per il mantenimento dell’ordine cosmico. Ma queste concettualizzazioni, per quanto valide, sono già un prodotto della civiltà e con ciò rimangono, almeno in parte, concettualizzazioni.

La mercificazione dell’esistente e lo sviluppo economico, che sono il tratto distintivo delle società moderne, si situano com’è facile intuire in una posizione diametralmente opposta a quella delle società tradizionali e native. Questa mercificazione si esplicita in maniera fattiva nella sostituzione del vivente con l’artificiale (cioè il non-vivente), nella sostituzione della biosfera con la tecnosfera. La distruzione è insita nel programma del moderno sistema produttivista.
La sola strada percorribile se vogliamo salvare la Terra e con ciò anche noi stessi, va dunque inevitabilmente nella direzione di un cambiamento di paradigma del nostro pensiero, cambiamento che viene ben riassunto nei cardini portanti del movimento dell’ecologia profonda, il primo dei quali è considerare come degna di valore la vita di tutti gli esseri senzienti. In quest’ottica l’azione forse più efficace che possiamo compiere è diffondere informazioni e mettere in dubbio idee preconcette che vengono comunemente accettate in modo acritico solo perché respirate fin dalla nascita; queste idee sono considerate ovvie, ma sono semplicemente imposte dalla cultura dominante. I cambiamenti portati da un cambio “filosofico” sono meno appariscenti ma molto più efficaci. Da questa diversa visione della vita potranno poi seguire azioni che tenderanno a “ricostruire” l’ambiente naturale piuttosto che a distruggerlo. O, per essere più precisi, a lasciare che l’ambiente naturale semplicemente “sia” affinché possa “ricostruirsi” da sé. Perché l’altra grande malattia dell’Occidente, quella del “fare” (anche quando è a fin di bene e con le migliori intenzioni), è un credo duro a morire. Per la cultura occidentale pare quasi che se l’uomo non “fa”, la Vita non va avanti. Ma è l’esatto opposto. Come diceva infatti Lao-Tze, “senza fare nulla, non c’è nulla che non venga fatto”. Basterebbe capirlo.

Non si sposa più e i genitori offrono il pranzo di nozze ai poveri

Fonte: http://www.buonenotizie.it/in-evidenza/2013/10/11/si-sposa-piu-i-genitori-offrono-il-pranzo-nozze-ai-poveri/

CarolWillie6E’ accaduto a settembre nella città statunitense di Atlanta (Georgia): una ragazza ha deciso di annullare il matrimonio e i genitori della sposa, invece di sprecare il sontuoso pranzo di nozze, hanno deciso di offrirlo a famiglie e persone bisognose, facendo un bellissimo gesto di generosità e solidarietà. Ad un mese circa dal matrimonio, Tamara Fowler (nella foto sotto, vestita di rosso) ha comunicato ai genitori che non si sarebbe più sposata. Alla notizia, molti genitori sarebbero trasecolati, ma non Carol e Willie H. Fowler: i due, che avevano già organizzato un banchetto per 200 invitati, hanno saputo trasformare una circostanza negativa in una festa di solidarietà.

Carol e Willie non volevano assolutamente che il pranzo andasse sprecato e hanno deciso di offrirlo a coloro che non possono permetterlo. Così, hanno contattato “Hosea Feed the Hungry” organizzazione no profit di Atlanta che aiuta famiglie e singoli che vivono in povertà assoluta o per la strada – facendo un’inedita proposta: offrire il banchetto di nozze di Tamara ai più bisognosi.

Fowler1L’associazione ha accettato entusiasta la generosa, quanto inaspettata, offerta e il 15 settembre scorso presso “Villa Christina”, famoso ristorante della città, il pranzo è stato servito a 200 nuovi invitati ed è stato ribattezzato “Fowler Family Celebration of Love”.

“L’idea è stata di mio marito”, ha dichiarato Carol, “una mattina si è svegliato e mi ha detto che avremmo dovuto chiamare Hosea Feed The Hungry per offrire il pranzo di nozze ai più bisognosi. Siamo davvero felici che Tamara abbia reagito così bene. Anche lei era entusiasta quando ha saputo che, invece di sprecare tutto quanto, persone meno fortunate avrebbero avuto l’opportunità di festeggiare”.

Elizabeth Omilami, presidente di Hosea Feed the Hungry (nella foto a lato, vestita di giallo) ha raccontato alla stampa che, quando la famiglia Fowler l’ha contattata per offrire il sontuoso banchetto ai loro assistiti, ha pensato ad uno scherzo. Ma Carol e Willie, che non hanno voluto rivelare i motivi dell’annullamento del matrimonio di Tamara, sono riusciti a convincerla della loro sincerità e buona fede.

Elizabeth ha raccontato alla stampa che i più eccitati ed euforici erano i bambini, che ricorderanno questa festa con le loro famiglie per tutta la vita. “Questo evento dimostra che, come comunità”, ha detto, “quando uniamo le nostre forse e viviamo in armonia tra di noi, possiamo “fare la differenza”. E oggi ne è un esempio. Hosea Feed The Hungry è immensamente grata alla famiglia Fowler e alla sua generosità verso i poveri. E’ una vera benedizione che questa famiglia abbia dato la possibilità ai meno fortunati di passare una giornata di festa con le loro famiglie in uno dei locali più noti di Atlanta. Tutti noi li ringraziamo di cuore per il loro altruismo”.

La “Fowler Family Celebration of Love” è riuscita così bene e tutti gli ospiti si sono talmente diversitit, che Carol e Willie stanno pensando di organizzarne un’altra il prossimo anno. Nel frattempo, però, hanno lanciato alla comunità di Atlanta questo messaggio: “Ci sono eventi che, a volte, vengono cancellati per motivi sconosciuti. Non permettiamo che vengano sprecati. Facciamo in modo che vengano utilizzati per tutte le persone che non hanno queste opportunità e che, forse, non le avranno mai”.

 

Il ruolo essenziale (e sconosciuto) degli animali nel ciclo del carbonio

Fonte: http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/ruolo-essenziale-animali-iclo-del-carbonio/

Yale-Scholl-320x234Lo studio “Animating the Carbon Cycle”, pubblicato su “Ecosystems”, sottolinea «La comprensione dei processi biogeochimici che regolano il ciclo del carbonio è fondamentale per la mitigazione delle emissioni atmosferiche di CO2». Finora si è tenuto conto del ruolo degli organismi viventi, ma l’attenzione è stata posta sui contributi di piante e microbi, mentre un team internazionale di ricercatori ha esaminato il ruolo degli animali nel mediare i processi biogeochimici ed ha quantificato i loro effetti sulla stoccaggio del carbonio e lo scambio tra i “pozzi” terrestri e acquatici di CO2 e l’atmosfera, scoprendo che le popolazioni animali possono avere un effetto molto significativo sulle stoccaggio.

Il nuovo studio realizzato da un team guidato dai ricercatori della Yale School of Forestry & Environmental Studies (F&ES) evidenzia che in alcune regioni impatto sull’assorbimento o il rilascio di Co2 di specie o gruppi di animali, come i coleotteri dei pini invasivi che stanno divorando le foreste dell’America nord-occidentale, sono in grado di rivaleggiare con l’impatto delle emissioni da combustibili fossili nella stessa regione. Il principale autore dello studio, Oswald Schmitz, spiega che «Mentre i modelli solitamente tengono conto di come le piante e microbi influenzano il ciclo del carbonio, spesso sottovalutano quanto gli animali possono indirettamente alterare l’assorbimento, il rilascio, o il trasporto di carbonio all’interno di un ecosistema. Storicamente, il ruolo degli animali è stato ampiamente sottovalutato poiché le specie animali non sono distribuite globalmente e perché la biomassa totale degli animali è notevolmente inferiore rispetto alle piante sulle quali si basano e pertanto contribuiscono poco al carbonio attraverso la respirazione. Questo tipo di analisi non ha prestato attenzione a quello che noi chiamiamo gli effetti moltiplicatori indiretti. E questi effetti indiretti possono essere molto grandi e sproporzionati rispetto alla biomassa delle specie che stanno innescando il cambiamento».

In “Animating the Carbon Cycle”, il team di 15 autori provenienti da 12 università, enti di ricerca ed agenzie governative cita numerosi casi in cui gli animali hanno innescato un profondo impatto sul ciclo del carbonio a livello locale e regionale. Oltre al già citato scarabeo che sta devastando i boschi della British Columbia, in Africa orientale gli scienziati hanno scoperto che una diminuzione iniziata decenni fa della popolazione di gnu negli habitat di prateria-savana del Serengeti-Mara ha permesso un accumulo della materia organica che alla fine ha alimentato incendi nell’80% degli ecosistemi, con un forte rilascio di carbonio dalle piante e il suolo.

«Questi sono esempi nei quali i maggiori effetti degli animali non sono quelli diretti – spiega Schmitz – Ma a causa della loro presenza attenuano o mediano i processi degli ecosistemi che quindi possono avere questi effetti ramificati».

Peter Raymond, anche lui della F&ES, dice: « Speriamo che questo articolo possa ispirare gli scienziati ed i manager ad includere gli animali quando pensano ai bilanci del carbonio locali e regionali».

Secondo lo studio una più corretta valutazione di questi fenomeni permettere di realizzare tipi di gestione per contribuire a mitigare la minaccia del cambiamento climatico: «Ad esempio nella regione artica, dove circa 500 gigatonnellate di carbonio vengono stoccate nel permafrost, il pascolo di grandi mammiferi, come i caribù ed buoi muschiati, può aiutare a mantenere le praterie che hanno un alto albedo e quindi riflettono più energia solare. Inoltre, calpestando il suolo questi branchi possono realmente contribuire a ridurre il tasso di disgelo del permafrost».

Secondo Schmitz si tratta di un buon argomento per ripristinare l’equilibrio naturale tra predatori e prede: «Non stiamo dicendo che la gestione di animali riuscirà a compensare queste emissioni di carbonio. Quello che stiamo cercando di dire è che i numeri sono ad una scala per la quale vale la pena di iniziare a pensare a come potrebbero essere gestiti gli animali per realizzare tutto questo».

Lo studio “Animating the Carbon Cycle”, pubblicato su “Ecosystems”, sottolinea «La comprensione dei processi biogeochimici che regolano il ciclo del carbonio è fondamentale per la mitigazione delle emissioni atmosferiche di CO2». Finora si è tenuto conto del ruolo degli organismi viventi, ma l’attenzione è stata posta sui contributi di piante e microbi, mentre un team internazionale di ricercatori ha esaminato il ruolo degli animali nel mediare i processi biogeochimici ed ha quantificato i loro effetti sulla stoccaggio del carbonio e lo scambio tra i “pozzi” terrestri e acquatici di CO2 e l’atmosfera, scoprendo che le popolazioni animali possono avere un effetto molto significativo sulle stoccaggio.

Il nuovo studio realizzato da un team guidato dai ricercatori della Yale School of Forestry & Environmental Studies (F&ES) evidenzia che in alcune regioni impatto sull’assorbimento o il rilascio di Co2 di specie o gruppi di animali, come i coleotteri dei pini invasivi che stanno divorando le foreste dell’America nord-occidentale, sono in grado di rivaleggiare con l’impatto delle emissioni da combustibili fossili nella stessa regione. Il principale autore dello studio, Oswald Schmitz, spiega che «Mentre i modelli solitamente tengono conto di come le piante e microbi influenzano il ciclo del carbonio, spesso sottovalutano quanto gli animali possono indirettamente alterare l’assorbimento, il rilascio, o il trasporto di carbonio all’interno di un ecosistema. Storicamente, il ruolo degli animali è stato ampiamente sottovalutato poiché le specie animali non sono distribuite globalmente e perché la biomassa totale degli animali è notevolmente inferiore rispetto alle piante sulle quali si basano e pertanto contribuiscono poco al carbonio attraverso la respirazione. Questo tipo di analisi non ha prestato attenzione a quello che noi chiamiamo gli effetti moltiplicatori indiretti. E questi effetti indiretti possono essere molto grandi e sproporzionati rispetto alla biomassa delle specie che stanno innescando il cambiamento».

In “Animating the Carbon Cycle”, il team di 15 autori provenienti da 12 università, enti di ricerca ed agenzie governative cita numerosi casi in cui gli animali hanno innescato un profondo impatto sul ciclo del carbonio a livello locale e regionale. Oltre al già citato scarabeo che sta devastando i boschi della British Columbia, in Africa orientale gli scienziati hanno scoperto che una diminuzione iniziata decenni fa della popolazione di gnu negli habitat di prateria-savana del Serengeti-Mara ha permesso un accumulo della materia organica che alla fine ha alimentato incendi nell’80% degli ecosistemi, con un forte rilascio di carbonio dalle piante e il suolo.

«Questi sono esempi nei quali i maggiori effetti degli animali non sono quelli diretti – spiega Schmitz – Ma a causa della loro presenza attenuano o mediano i processi degli ecosistemi che quindi possono avere questi effetti ramificati».

Peter Raymond, anche lui della F&ES, dice: « Speriamo che questo articolo possa ispirare gli scienziati ed i manager ad includere gli animali quando pensano ai bilanci del carbonio locali e regionali».

Secondo lo studio una più corretta valutazione di questi fenomeni permettere di realizzare tipi di gestione per contribuire a mitigare la minaccia del cambiamento climatico: «Ad esempio nella regione artica, dove circa 500 gigatonnellate di carbonio vengono stoccate nel permafrost, il pascolo di grandi mammiferi, come i caribù ed buoi muschiati, può aiutare a mantenere le praterie che hanno un alto albedo e quindi riflettono più energia solare. Inoltre, calpestando il suolo questi branchi possono realmente contribuire a ridurre il tasso di disgelo del permafrost».

Secondo Schmitz si tratta di un buon argomento per ripristinare l’equilibrio naturale tra predatori e prede: «Non stiamo dicendo che la gestione di animali riuscirà a compensare queste emissioni di carbonio. Quello che stiamo cercando di dire è che i numeri sono ad una scala per la quale vale la pena di iniziare a pensare a come potrebbero essere gestiti gli animali per realizzare tutto questo».

– See more at: http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/ruolo-essenziale-animali-iclo-del-carbonio/#sthash.S2q5Q3jE.dpuf

Lo studio “Animating the Carbon Cycle”, pubblicato su “Ecosystems”, sottolinea «La comprensione dei processi biogeochimici che regolano il ciclo del carbonio è fondamentale per la mitigazione delle emissioni atmosferiche di CO2». Finora si è tenuto conto del ruolo degli organismi viventi, ma l’attenzione è stata posta sui contributi di piante e microbi, mentre un team internazionale di ricercatori ha esaminato il ruolo degli animali nel mediare i processi biogeochimici ed ha quantificato i loro effetti sulla stoccaggio del carbonio e lo scambio tra i “pozzi” terrestri e acquatici di CO2 e l’atmosfera, scoprendo che le popolazioni animali possono avere un effetto molto significativo sulle stoccaggio.

Il nuovo studio realizzato da un team guidato dai ricercatori della Yale School of Forestry & Environmental Studies (F&ES) evidenzia che in alcune regioni impatto sull’assorbimento o il rilascio di Co2 di specie o gruppi di animali, come i coleotteri dei pini invasivi che stanno divorando le foreste dell’America nord-occidentale, sono in grado di rivaleggiare con l’impatto delle emissioni da combustibili fossili nella stessa regione. Il principale autore dello studio, Oswald Schmitz, spiega che «Mentre i modelli solitamente tengono conto di come le piante e microbi influenzano il ciclo del carbonio, spesso sottovalutano quanto gli animali possono indirettamente alterare l’assorbimento, il rilascio, o il trasporto di carbonio all’interno di un ecosistema. Storicamente, il ruolo degli animali è stato ampiamente sottovalutato poiché le specie animali non sono distribuite globalmente e perché la biomassa totale degli animali è notevolmente inferiore rispetto alle piante sulle quali si basano e pertanto contribuiscono poco al carbonio attraverso la respirazione. Questo tipo di analisi non ha prestato attenzione a quello che noi chiamiamo gli effetti moltiplicatori indiretti. E questi effetti indiretti possono essere molto grandi e sproporzionati rispetto alla biomassa delle specie che stanno innescando il cambiamento».

In “Animating the Carbon Cycle”, il team di 15 autori provenienti da 12 università, enti di ricerca ed agenzie governative cita numerosi casi in cui gli animali hanno innescato un profondo impatto sul ciclo del carbonio a livello locale e regionale. Oltre al già citato scarabeo che sta devastando i boschi della British Columbia, in Africa orientale gli scienziati hanno scoperto che una diminuzione iniziata decenni fa della popolazione di gnu negli habitat di prateria-savana del Serengeti-Mara ha permesso un accumulo della materia organica che alla fine ha alimentato incendi nell’80% degli ecosistemi, con un forte rilascio di carbonio dalle piante e il suolo.

«Questi sono esempi nei quali i maggiori effetti degli animali non sono quelli diretti – spiega Schmitz – Ma a causa della loro presenza attenuano o mediano i processi degli ecosistemi che quindi possono avere questi effetti ramificati».

Peter Raymond, anche lui della F&ES, dice: « Speriamo che questo articolo possa ispirare gli scienziati ed i manager ad includere gli animali quando pensano ai bilanci del carbonio locali e regionali».

Secondo lo studio una più corretta valutazione di questi fenomeni permettere di realizzare tipi di gestione per contribuire a mitigare la minaccia del cambiamento climatico: «Ad esempio nella regione artica, dove circa 500 gigatonnellate di carbonio vengono stoccate nel permafrost, il pascolo di grandi mammiferi, come i caribù ed buoi muschiati, può aiutare a mantenere le praterie che hanno un alto albedo e quindi riflettono più energia solare. Inoltre, calpestando il suolo questi branchi possono realmente contribuire a ridurre il tasso di disgelo del permafrost».

Secondo Schmitz si tratta di un buon argomento per ripristinare l’equilibrio naturale tra predatori e prede: «Non stiamo dicendo che la gestione di animali riuscirà a compensare queste emissioni di carbonio. Quello che stiamo cercando di dire è che i numeri sono ad una scala per la quale vale la pena di iniziare a pensare a come potrebbero essere gestiti gli animali per realizzare tutto questo».

– See more at: http://www.greenreport.it/news/aree-protette-e-biodiversita/ruolo-essenziale-animali-iclo-del-carbonio/#sthash.S2q5Q3jE.dpuf

Israele ribadisce il suo diritto ad attacchi preventivi

Fonte: http://www.clarissa.it/editoriale_n1912/Israele-ribadisce-il-suo-diritto-ad-attacchi-preventivi

20131015180628aerei_isrProprio mentre l’Iran avanza a Ginevra, davanti al cosiddetto gruppo P5+1, le sue proposte per giungere ad una soluzione diplomatica della questione del nucleare, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha colto l’occasione della sua visita al memoriale della guerra della Yom Kippur per riaffermare la dottrina israeliana secondo la quale lo Stato ebraico ha il diritto di lanciare attacchi preventivi.
Nelle parole del primo ministro, Israele avrebbe appreso proprio dal conflitto dell’ottobre 1973 “a non sottovalutare il nemico, a non ignorare i pericoli e a non escludere la possibilità di portare attacchi preventivi”.
Ancora più gravemente, Netanyahu ha sottolineato che “vi sono casi nei quali la preoccupazione per la reazione internazionale in caso di un nostro attacco preventivo non è sufficiente per escludere un vantaggio strategico” e che “la decisione di un attacco preventivo è una delle più difficili per un governo, giacché non si potrà mai dimostrare che cosa sarebbe successo se non avessimo preso l’iniziativa”, un’osservazione evidentemente che può servire a giustificare qualsiasi aggressione militare.
Il primo ministro ha precisato, sintetizzando la dottrina israeliana nelle relazioni internazionali, che “la pace è ottenibile mediante la forza”, avvalendosi proprio dell’esperienza della guerra del 1973, in quanto, secondo l’interpretazione sostenuta da Netanyahu, solo dopo la vittoria israeliana in quel conflitto, Egitto e Giordania firmarono la pace con Israele.
Il capo del governo israeliano, del resto, ha spesso ricordato nei giorni scorsi che l’attuale disponibilità dell’Iran a riaprire su nuove basi le trattative sul nucleare dipenderebbe dall’indebolimento del paese conseguente alle sanzioni. “Sarebbe un errore storico – ha aggiunto, ammorbidire le sanzioni proprio quando stanno per diventare efficaci. La pressione internazionale è proprio quello che ha costretto gli Iraniani a fare delle concessioni”.
Anche l’amministrazione Usa del presidente Obama è quindi avvisata.

Iran e le speranze tradite degli USA

Fonte: http://www.marcomessina.it/2013/06/iran-e-le-speranze-tradite-degli-usa/

imagesAppena celebrate le elezioni iraniane che hanno visto trionfare al primo scrutinio di regolari e pacifiche elezioni il moderato Hassan Rohani, si tenta di capire come si muoverà il nuovo presidente della Repubblica Islamica e se seguirà le orme del suo predecessore Ahmadinejad, specie in politica estera. Ciò che, a mio avviso, è necessario capire è il contesto nel quale l’Iran si muove e gli ostacoli che il paese degli Ayatollah è costretto a superare per venire incontro alle esigenze della popolazione. L’Iran si trova da anni sotto un duro regime sanzionatorio impostogli dall’Occidente (leggi USA) che costituisce una vera zavorra per l’economia di una nazione tra le prime esportatrici di greggio al mondo. Gli USA, in tandem con l’Unione Europea che ratifica ogni sbadiglio proveniente da Washington, cavalcando il debole, retorico e ipocrita pretesto del presunto programma nucleare a scopi bellici, si rendono artefici di un continuo martellamento ai fianchi dell’Iran, che ha finora dimostrato di non cedere alle provocazioni mostrando lo spirito tenace di un paese sovrano consapevole della sua forza e rilevanza strategica nel sempre più infuocato scenario geopolitico mediorientale. Per comprendere meglio i tentativi di destabilizzazione dell’Iran provenienti da Occidente e le conseguenze sociali delle sanzioni economiche che hanno fatto da sfondo alla recente tornata elettorale, un articolo di Timothy Guzman pubblicato a ridosso delle elezioni.

La guerra economica degli USA diretta contro il popolo iraniano: Obama firma un ordine esecutivo che colpisce la valuta iraniana e l’industria automobilistica.

di Timothy Alexander Guzman
Link all’articolo originale: http://www.globalresearch.ca/americas-economic-war-on-the-people-of-iran-obama-signs-executive-order-targeting-irans-currency-and-auto-industry/5338150
Traduzione di Marco Messina

Il presidente premio Nobel per la Pace Barack Obama ha recentemente firmato un ordine esecutivo che mira ad indebolire la valuta iraniana, il rial, per scoraggiare il programma nucleare nazionale. Questa decisione è destinata a fare crescere il dissenso tra il popolo iraniano nei confronti del governo a causa del rialzo dei prezzi dei generi alimentari e di un’economia che continua a ristagnare sotto la scure delle ripetute sanzioni imposte dall’Occidente, in particolare dagli Stati Uniti. Lunedi scorso l’ Associated Press riportava che “le nuove sanzioni hanno riguardato per la prima volta la moneta iraniana, il rial, che ne è stata l’obiettivo principale, come riferito dalla Casa Bianca. Le sanzioni si applicano alle istituzioni finanziarie straniere che acquistano o vendono notevoli quantità di rial, e quelle che detengono cospicue riserve di valuta iraniana su conti registrati al di fuori dei confini dell’Iran “.

Questo ulteriore pacchetto di sanzioni comminate dall’amministrazione Obama colpiscono non solo il governo della Repubblica islamica dell’Iran, ma anche tutto il popolo iraniano. Le misure adottate da Washington hanno ripercussioni sulla vita quotidiana dei cittadini e sul loro approvigionamento di beni di prima necessità, come cibo e medicinali. L’attacco alla valuta iraniana provoca un aumento generalizzato dei prezzi dei generi elementari essenziali come pollo, carne e olio da cucina, beni che avevano già subito negli ultimi mesi un rincaro del 60%. Le precedenti sanzioni imposte all’Iran, come gli embarghi petroliferi e sulle transazioni bancarie, sono all’origine da un lato della carenza di valuta estera e quindi forte riduzione delle entrate nelle casse iraniane, dall’altra  hanno fatto schizzare verso l’alto l’inflazione indebolendo il potere d’acquisto dei consumatori. Sempre sull’ Associated Press si legge che il rial non può più essere usato al di fuori dell’Iran per gli scambi commerciali e altre operazioni finanziarie. Testualmente: “Alti funzionari dell’amministrazione Obama hanno dichiarato che le sanzioni sono state progettate proprio allo scopo di rendere il rial sostanzialmente inutilizzabile al di fuori dell’Iran. La speranza è che le banche e le imprese in possesso di valuta iraniana diano fondo alle loro riserve rendendo così il rial più debole. Secondo la Casa Bianca, il valore della moneta iraniana risulta dimezzato dall’inizio del 2012″.

In un rapporto della Reuters risalente allo scorso aprile si rivela che “l’Iran ha registrato quasi sempre un’inflazione a doppia cifra negli ultimi dieci anni. L’inflazione è iniziata a crescere verso la fine del 2010, quando il governo tagliò i sussidi per alimenti e carburanti. Da quel momento in poi, le sanzioni, imposte allo scopo di scongiurare lo sviluppo del controverso programma nucleare iraniano, hanno spinto verso il basso la sua moneta favorendo l’aumento del livello dei prezzi “.

L’amministrazione Obama sta conducendo una guerra economica ai danni del popolo iraniano. In particolare, a patire gli effetti dell’ultimo pacchetto di sanzioni decretato da Washington, sono i bisogni primari della gente, come il cibo. Quando i prezzi del cibo sono troppo altri il consumatore medio, si genera rabbia e delusione tra la popolazione che si ripercuotono, suo malgrado, sulle azioni del governo e le sue politiche economiche proprio a ridosso delle elezioni presidenziali in programma il prossimo 14 giugno. Il governo dell’Iran è messo oggi alla prova dalle numerose sanzioni che rendono difficile agire nell’interesse del popolo. La leadership di Mahmoud Ahmadinejad e il suo governo hanno studiato una strategia per contrastare le sanzioni economiche distribuendo scorte di cibo per 3 mesi.

A quando punto è lecito domandarsi fino a che punto la Repubblica islamica dell’Iran sarà in grado di reagire alle sanzioni imposte dall’Occidente?

L’amministrazione Obama spera di iniziare una campagna di propaganda dipingendo il governo iraniano come un regime oppressivo che lavora contro gli interessi del proprio popolo. Secondo il rapporto della Associated Press, “A tal fine, la scorsa settimana gli USA hanno allentato i vincoli sulle esportazioni di apparecchiature ad alto contenuto tecnologico per la comunicazione, allo scopo di aiutare gli iraniani ad interagire con il mondo esterno e quindi far luce su ciò che i funzionari americani descrivono come estremi tentativi del regime di soffocare il dissenso.” Gli Stati Uniti e i paesi occidentali che li appoggiano sarebbe felici di vedere le sanzioni contro l’Iran trasformarsi in una nuova primavera araba proprio alla vigilia delle elezioni presidenziali o durante il loro svolgimento, ovvero il momento ideale per mostrare al mondo intero il malcontento del popolo iraniano. Ma è improbabile che si verifichi una simile eventualità. Si sta tentando di creare l’immagine della società iraniana insoddisfatta dell’operato del suo governo accusato di non lavorare nell’interesse del popolo. L’idea che alberga nell’amministrazione Obama è quella che l’atteggiamento del popolo diventi una sorta di cartina di tornasole delle azioni del governo nel caso in cui il dissenso diffuso dovesse sfociare in rabbiose proteste nelle strade. E se questo accadesse davvero, il governo iraniano sarebbe visto come un regime repressivo contro il popolo.

Gli iraniani di oggi provano rabbia e frustrazione per l’incertezza economica del loro paese, ma conoscono bene le  cause che hanno portato un simile stato di cose. Capiscono che l’Occidente è responsabile delle loro difficili condizioni di vita. La gente ricorda anche che fu il governo americano e quello britannico ad instaurare la dittatura di Mohammad Reza Pahlavi, conosciuto come lo Scià di Persia, che si insediò nel 1953 con l’aiuto delle operazioni segrete della CIA e dell’MI6 che rovesciarono Mohammad Mosaddegh. Il piano occidentale è quello agire sistematicamente con l’obiettivo di mettere il popolo contro il suo governo.

L’amministrazione Obama spera che il governo iraniano reprima con fermezza le manifestazioni violente che potrebbe avvenire durante le prossime elezioni previste per il 14 giugno. Questo rappresenta l’obiettivo ultimo degli Stati Uniti e dei suoi alleati in Occidente. Un governo che maltratta la sua gente offrirebbe la giusta motivazione a potenze militari come Stati Uniti, Regno Unito e Israele per sferrare in futuro il loro attacco pianificato.

Tutti sanno però che, il manovratore nascosto che agisce perché quanto appena descritto si concretizzi, non è certo il governo di Teheran.