A FURIA DI USARE (SENZA CRITERIO) IL MANGANELLO MEDIATICO DE BENEDETTI RISCHIA DI FARSI MALE DA SOLO

Scritto da: Francesco Maria Toscano
Fonte: http://www.ilmoralista.it/2019/10/10/a-furia-di-usare-senza-criterio-il-manganello-mediatico-de-benedetti-rischia-di-farsi-male-da-solo/

Sull’Espresso on -line di ieri (clicca per leggere) Gianfrancesco Turano si diletta nel dipingere la “galassia nera” che agiterebbe il web al fine di turbare il “meraviglioso” e “paradisiaco” ordine attuale, fondato sui pilastri della globalizzazione politica e del liberismo economico. Questi “cattivoni” che non amano Merkel e Draghi, che contestano l’austerità e le politiche infami di quella Ue che – parole di Vincenzo Visco – , ha organizzato un “olocausto in Grecia”, sono naturalmente “fascisti”. In realtà tante dinastie che furono naziste per davvero – penso alla famiglia Quandt che controlla il colosso automobilistico tedesco Bmw- continuano ancora oggi a dominare la Germania e quindi l’Europa, ma non importa. Per i giornalisti di Repubblica-l’Espresso l’accusa di fascismo è un moto “pavloviano”, un riflesso automatico che demonizza e delegittima tutti i non allineati. Avremmo volentieri trascurato il pezzo confuso di Turano, ma sfortunatamente non possiamo. Nel pezzo in questione infatti, Turano tira in ballo pure Vox Italia quel tanto che basta per giustificare le vergognose prassi censorie che il nostro partito ha subito e subisce fin dalla sua nascita. Non contento il giornalista manda un “messaggio” (non ho scritto “pizzino”) pure a Byoblu, denotando fastidio per la crescita di un canale che ospita di frequente (questo aspetto è effettivamente grave) perfino “pericolosi figuri” del calibro di Bagnai e Rinaldi. Byoblu ha osato sentire l’opinione di Alberto Micalizzi che, condannato in primo grado a 6 anni per truffa, andrebbe forse nel frattempo “ibernato” e ridotto in una condizione di meditabondo silenzio (ma di Adriano Sofri condannato in via definitiva per l’omicidio Calabresi che scrive sul Foglio Turano che dice?). Ma tutti questi peccati sono poca cosa rispetto alla colpa di avere ospitato il politologo Dugin, vera ossessione del gruppo Repubblica/l’Espresso che vede nel barbuto pensatore russo la quintessenza di un pensiero eretico e pericoloso, incarnazione vivente del fascismo eterno che ritorna in forme dissimulate. Siccome non conosciamo il nome di un bravo psicologo esperto in psicopatie ricorrenti, rispondiamo a Turano brevemente nel merito delle cose dette. Vox Italia non ha nulla a che vedere con il nazismo o con il fascismo; Vox Italia è un partito che si riconosce completamente nei valori impressi nella nostra Costituzione nata sulle ceneri dei totalitarismi novecenteschi. Vox Italia contesta gli attuali assetti di potere, fondati sul predominio del denaro e sulla mercificazione dell’Uomo ridotto a mero strumento di produzione e di consumo, servo muto e inconsapevole da sacrificare sull’altare del dio-mercato. Si può dire tutto questo, o Turano e compagnia ci devono far bere l’olio di ricino per così poco? Turano dovrebbe semmai approfondire il profilo di chi lo paga, ovvero di Carlo De Benedetti, uomo già coinvolto in vicende poco edificanti al tempo di Mani Pulite; finanziere molto potente già affiliato alla loggia “Cavour” di Torino che – a proposito di Russia- qualcuno ha accostato alle vicende cristallizzate dentro il dossier Mitrokhin(clicca per leggere). Per non parlare, per ora, del caso “Banco Ambrosiano”. Ora domando: visto che i vostri stipendi sono pagati da un editore così, siete proprio sicuri di avere i titoli per fare di continuo la morale agli altri? Non è meglio che cominciate a guardarvi allo specchio prima di concentrarvi sul mondo circostante? Se non riuscite a farvi da soli una seduta di autoanalisi vorrà dire che vi aiuteremo noi.

L’insostenibile accordo dell’Università di Messina con l’ateneo-ostaggio di Erdogan

Fonte: http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2019/10/linsostenibile-accordo-delluniversita.html

Un’aggressione sanguinosa ai danni della popolazione kurda, l’ennesima, e un’escalation autoritaria e repressiva che ha colpito soprattutto negli ultimi tre anni migliaia di intellettuali, docenti e studenti universitari, giornalisti, attivisti politici in tutta la Turchia. Non sembrano conoscere limiti le nefandezze del regime del sultano Erdogan, ma soprattutto sono davvero poche le voci autorevoli oggi in Italia, specie in ambito accademico, pronte a denunciare le conseguenze immediate e i pericoli globali a medio termine dell’attacco sferrato dalle forze armate turche nella Siria nord-orientale. Di contro sono ben ventisette le università italiane che continuano a mantenere stabili relazioni di cooperazione alla ricerca e collaborazione scientifica (anche in ambiti militari) con gli atenei della Turchia, nonostante la campagna governativa che ha colpito l’intero sistema educativo del paese, con illegittime condanne, arresti, ingiuste detenzioni, torture, licenziamenti e sospensioni di rettori, docenti, ricercatori e allievi. Tra i disattenti (o cinici) partner italiani degli atenei turchi c’è l’Università degli Studi di Messina. Il 16 aprile 2014 l’allora rettore Pietro Navarra e il prof. Mehmet Fuzun, rettore dell’Università Dokuz Eylul di Smirne, sottoscrivevano un Accordo-quadro di cooperazione culturale, scientifica e didattica nei campi di mutuo interesse per “promuovere iniziative finalizzate alla realizzazione di programmi congiunti di ricerca e favorire gli scambi”. Nello specifico l’accordo puntava a promuovere la mobilità di docenti, ricercatori, personale tecnico e amministrativo, studenti; lo scambio di informazioni, di pubblicazioni scientifiche e di altro materiale didattico; l’organizzazione di iniziative comuni come conferenze, seminari, lezioni, ecc.; l’uso reciproco degli strumenti di ricerca e accesso alle strutture delle due Istituzioni”. All’articolo 5 dell’Accordo-quadro si riporta che la durata dello stesso è di cinque anni dalla firma dei rappresentanti legali dei due atenei (dunque sino al 15 aprile 2019 scorso), ma che “potrà essere rinnovato tacitamente allo scadere, salvo il caso in cui, una delle Parti, intenda recedere dallo stesso”. Ad oggi non risulta che l’Università di Messina o la Dokuz Eylul di Smirne abbiano comunicato l’intenzione a dare per concluso il mutuo accordo di cooperazione, né pare ci sia l’intenzione di farlo da parte del nostro ateneo, nonostante i crimini commessi dalle forze armate turche in Siria e contro la popolazione kurda che vive dentro e fuori i confini del paese. Non si comprende poi come nessuno all’interno dell’Università di Messina si sia accorto nel corso del quinquennio di vigenza dell’accordo di cooperazione quanto sia accaduto all’interno dell’Università di Smirne. Eppure sono numerosi i report di organizzazioni non governative in difesa dei diritti umani o le inchieste giornalistiche che hanno documentato come proprio la Dokuz Eylul Universitesi di Smirne sia stata tra le più colpite dalla furia repressiva e dai decreti emergenziali (illegittimi ed incostituzionali) del nuovo sultano di Ankara. Fermandosi solo a quanto accaduto negli ultimi tre anni, segnaliamo i fatti più ravi avvenuti Il 26 ottobre 2016, ad esempio, le forze di polizia turche hanno eseguito l’arresto di 55 tra docenti e studenti della Dokuz Eylül, nell’ambito di un’inchiesta giudiziaria che li vedrebbe coinvolti n qualche modo nell’organizzazione del violento tentativo di colpo di stato avvenuto il 15 luglio precedente. In particolare, gli inquirenti hanno accusato gli accademici e gli allievi di Smirne di avere utilizzato ByLock, un’applicazione smartphone che le autorità governative ritengono sia stata utilizzata come sistema di collegamento tra i presunti appartenenti al movimento guidato dall’esponente religioso islamico Fethullah Gülen, ritenuto di essere il mandante e l’organizzatore del fallito golpe, ma che ha sempre formalmente negato di aver avuto un qualsivoglia ruolo nella sollevazione anti-governativa, chiedendo di essere sottoposto ad un’inchiesta internazionale indipendente. Il 4 gennaio 2017 sette studenti della Dokuz Eylül Universitesi sono stati vittima di un’aggressione da parte delle forze di sicurezza: dopo essere stati picchiati, sono stati condotti in un posto di polizia e posti agli arresti. Le vittime avevano letto in pubblico un documento che invitava alla mobilitazione del campus a favore della crescita del secolarismo in Turchia. Il documento era stato redatto in risposta all’attacco terroristico avvenuto a Istanbul il giorno di Capodanno che aveva causato la morte di 39 persone, presumibilmente eseguito da presunti miliziani pro-Isis. Gli studenti sono stati accusati di “avere incitato la popolazione all’odio e all’ostilità” secondo quanto previsto dall’articolo 216 del Codice penale turco che prevede una pena sino a tre anni di carcere. Il giorno successivo all’arresto, gli studenti venivano rilasciati a piede libero in attesa del processo. Il 30 maggio 2017, ventisette accademici della Dokuz Eylül Universitesi di Smirne venivano arrestati ancora con l’accusa di tenere legami con il movimento islamico Gülen. Ancora una volta le prove addotte dagli inquirenti vertevano sull’uso da parte dei docenti dell’applicazione ByLock, del possesso di un conto bancario presso la Bank Asya, precedentemente chiusa dalle autorità perché ritenuta vicina al leader religioso Fethullah Gülen, o perché ritenuti membri di fondazioni o associazioni ad egli collegate. Il personale arrestato è stato poi licenziato dall’università sulla base di quanto disposto da un decreto governativo adottato in “emergenza” dopo il tentato golpe del luglio 2016. Il 27 giugno 2017  l’amministrazione della Dokuz Eylül University ordinava invece la sospensione di dodici studenti delle facoltà di Medicina, Economia e Belle Arti, rei di aver sottoscritto una petizione che invitava il governo turco a interrompere le operazioni di guerra contro i ribelli kurdi nella parte sudorientale del paese. La petizione era stata lanciata nel gennaio 2016 da 1.128 studenti di 89 università turche e da oltre 300 studenti residenti all’estero. Oltre a chiedere la fine delle ostilità tra le forze armate turche e i membri del Pkk, i sottoscrittori accusavano in particolare il governo di “massacri deliberati e deportazioni di civili”, invocando l’autorizzazione all’ingresso di osservatori indipendenti nella regione. In seguito alla pubblicazione dell’appello, tutti i 1.128 firmatari erano stati posti sotto inchiesta giudiziaria ed amministrativa; molti di essi erano stati allontanati o sospesi dalle loro funzioni, fermati o arresati o sottoposti a minacce da parte delle forze militari e di sicurezza. Il 28 novembre 2017 una corte turca emetteva una sentenza di condanna a otto ani di carcere nei confronti di Erhan Hepoğlu, studente di economia della Dokuz Eylül Universitesi, accusato di essere “membro di un’organizzazione terroristica”, ancora una volta sulla base di un suo presunto legame con Fethullah Gülen. Nell’ottobre 2016, gli agenti della Divisione dei crimini finanziari della polizia turca avevano arrestato Erhan Hepoğlu nella sua abitazione di Izmir; durante il blitz gli era stato sequestrato un pendrive che avrebbe contenuto al suo interno foto e video del leader islamico accusato del tentato golpe del 15 luglio. Successivamente la procura aveva contestato allo studente l’utilizzo dell’applicazione smartphone ByLock e di un conto bancario presso la Bank Asya. Erhan Hepoğlu ha sempre negato di avere utilizzato ByLock o di avere avuto contatti con il movimento Gülen. Il 28 novembre 2017, dopo un anno di carcere preventivo, il tribunale lo aveva condannato in primo grado a cinque anni e quattro mesi di prigione, pena poi aggravata in appello per le nuove norme anti-terrorismo adottate dal governo Erdogan. Infine, il 31 dicembre 2017, le autorità turche hanno eseguito l’arresto di un lettore della Dokuz Eylul Universitesi che era stato destituito dal suo incarico a seguito di un decreto ad hoc che lo accusava di coinvolgimento con il tentato colpo di stato del luglio 2016. Il lettore si preparava ad attraversare il confine con la Grecia insieme ad un ex assistente tecnico della Yildiz Technical University e ad un docente della scuola secondaria (anche questi ultimi due sono stati arrestati). Mentre il ciclone Erdogan si abbatteva contro docenti e allievi dell’ateneo partner dell’Università degli Studi di Messina, le autorità accademiche della Dokuz Eylul Universitesi rafforzavano i propri legami con il complesso militare-industriale turco e con le stesse forze NATO presenti in Turchia. Il 3 maggio scorso, ad esempio, una folta delegazione di docenti e studenti dell’università di Smirne si recavano in visita presso il quartier generale delle forze terrestri alleate di Izmir (NATO Allied Land Command’s – LANDCOM), per “approfondire il ruolo e la missione dei reparti della NATO che garantisce la sicurezza al nostro popolo e al nostro paese, adattandosi continuamente alle nuove sfide”, come riporta il comunicato emesso dall’ufficio stampa della Universitesi. Quella con l’Alleanza Atlantica è una partnership consolidata da decennia. Già a partire dalla fine dello scorso decennio, la Dokuz Eylul Universitesi, insieme ad altri importanti centri accademici turchi che vantano accordi con l’Italia (la Istanbul Universitesi e la Canakkale Onsekiz Mart Universitesi), coopera con il NATO Undersea Research Centre (NURC) con sede a La Spezia in progetti di ricerca sulla “sicurezza navale e sottomarina” e a controverse sperimentazioni militari nelle acque del Mar Nero, del Mar di Marmara e dell’Egeo (anche congiuntamente con l’Istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste, l’ENEA e il Massachusetts Institute of Technology – MIT). “I risultati delle ricerche del NATO Undersea Research Centre supportano l’abilità delle nazioni NATO a condurre con successo le operazioni contro le minacce e/o per la sicurezza marittima”, riporta un comunicato emesso dal entro NATO di La Spezia a conclusione di una campagna di “ricerche” eseguite in Turchia con l’Università di Smirne. E’ il Dipartimento di Ingegneria meccanica della Dokuz Eylul Universitesi uno dei centri di ricerca d’eccellenza turco in campo civile e militare. Nel 2016 ha reso noto i risultati di un suo progetto di analisi sugli effetti della frequenza di corsa nelle caratteristiche dinamiche dei mezzi pesanti da 44 tonnellate, 8×8, in configurazione militare. Non ci sarebbe da stupirsi che si tratta proprio di quei mezzi utilizzati in queste settimane per occupare la Siria nord-orientale e concorrere ai massacri di civili kurdi.

L’affresco dei gladiatori combattenti a Pompei

Fonte: https://ilfattostorico.com/2019/10/11/laffresco-dei-gladiatori-combattenti-a-pompei/
Fonte: http://www.beniculturali.it/mibac/opencms/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/Ministero

(MiBACT)

Un nuovo eccezionale affresco è stato portato alla luce nell’antico sito di Pompei. La scena mostra un combattimento tra un mirmillone e un trace, due tipologie di gladiatori distinti da armature differenti e classici avversari nelle lotte gladiatorie. L’affresco si trovava nel sottoscala di una taverna, probabilmente frequentata dai gladiatori, che forniva alloggi al piano superiore.

L’affresco misura 1,12 x 1,5 mt (MiBACT)

La scoperta è stata effettuata nella Regio V, un sito di 21,8 ettari a nord del parco archeologico e non ancora aperto al pubblico. Il gladiatore a sinistra è un mirmillone della categoria degli “scutati”: impugna il gladium (una spada corta romana) e lo scutum (un grande scudo rettangolare) e veste un elmo a tesa larga dotato di visiera con pennacchi, il cimiero. L’altro, in posizione soccombente, è un trace, gladiatore della categoria dei “parmularii”, con lo scudo a terra. È rappresentato con elmo (galea), a tesa larga ed ampia visiera a protezione del volto, sormontato da un alto cimiero.

L’affresco è stato rinvenuto in un ambiente alle spalle dell’incrocio tra il vicolo dei Balconi e il vicolo delle Nozze d’Argento. Ha forma trapeizodaile, in quanto era collocato nel sottoscala, forse di una bottega. Al di sopra della pittura si intravede l’impronta della scala lignea. Molto probabilmente decorava un ambiente frequentato da gladiatori, forse una bettola dotata di un piano superiore, destinato ad alloggio dei proprietari dell’esercizio commerciale o come di frequente – soprattutto vista la presenza di gladiatori – destinato alle prostitute.

(MiBACT)

Il Ministro per i beni e le attività culturali e per il turismo, Dario Franceschini, ha dichiarato: «Il sito archeologico di Pompei, fino a qualche anno fa, era conosciuto nel mondo per la sua immagine negativa: i crolli, gli scioperi e le file dei turisti sotto il sole. Oggi è una storia di riscatto e di milioni di turisti in più. Oggi è un sito accogliente, ma soprattutto è un luogo in cui si è tornati a far ricerca, attraverso nuovi scavi. La scoperta di questo affresco dimostra che davvero Pompei è una miniera inesauribile di ricerca e di conoscenza per gli archeologi di oggi e del futuro».

«È molto probabile che questo luogo fosse frequentato da gladiatori», dice il direttore generale Massimo Osanna. «Siamo nella Regio V, non lontani dalla caserma dei gladiatori da dove, tra l’altro, proviene il numero più alto di iscrizioni graffite riferite a questo mondo. In questo affresco, di particolare interesse è la rappresentazione estremamente realistica delle ferite, come quella al polso e al petto del gladiatore soccombente, che lascia fuoriuscire il sangue e bagna i gambali. Non sappiamo quale fosse l’esito finale di questo combattimento. Si poteva morire o avere la grazia. In questo caso c’è un gesto singolare che il trace ferito fa con la mano, forse, per implorare salvezza; è il gesto di ad locutia, abitualmente fatto dall’imperatore o dal generale per concedere la grazia. L’ambiente di rinvenimento è solo parzialmente portato in luce – su un lato emerge un’altra piccola porzione di affresco che rivela la presenza di un’altra figura – in quanto lo scavo dello stesso è stato possibile a seguito dell’intervento di rimodulazione dei pendii dei fronti e alla loro messa in sicurezza, che costituisce l’esigenza prioritaria di tutto il cantiere della Regio V».

(MiBACT)

(MiBACT)

(MiBACT)