Il sogno della città murata di Kowloon

Scritto da. Jacopo Colò
Fonte: http://www.linkiesta.it/kowloon-walled-city

Nata da un vuoto di potere, era il posto più densamente popolato della Terra. Dal ’94 non c’è più

La città murata di Kowloon era un quadrilatero lungo 213 metri e largo 126. Circa 27 mila metri quadri — più o meno quanto Piazza San Pietro a Roma — in cui abitavano oltre 33mila persone. Era nella penisola di Kowloon, a pochi chilometri dall’isola di Hong Kong, e per anni è stata il posto più densamente popolato del pianeta: 1,2 milioni di persone per chilometro quadrato (e la città non era nemmeno grande un chilometro quadrato).  Era una specie di baraccopoli sviluppata in verticale con palazzi alti come grattacieli, non controllata da governi, dove emarginati, criminali e poveri vivevano insieme, fianco a fianco. Da vent’anni non esiste più e, anche col senno di poi, è difficile dire se era un’utopia o una distopia.

La storia della città murata di Kowloon inizia intorno all’anno mille, sotto la dinastia Song. Dove sarebbe sorta la città murata, c’era un piccolo insediamento che si occupava soprattutto di gestire il mercato del sale. Nel corso di centinaia di anni, l’insediamento si trasformò. Nel 1810, la zona ospitava un piccolo — e secondo una testimonianza riportata nel Journal of the Royal Asiatic Society Hong Kong Branch «miserabile» — forte.

Le cose cambiarono parecchio nel 1841, quando gli inglesi occuparono l’isola di Hong Kong e la fortezza, improvvisamente, iniziò ad essere militarmente rilevante. Nel 1847 le mura furono completate e la fortificazione prese il nome di città murata di Kowloon. Dentro, vivevano e lavoravano sia soldati dell’esercito, sia ufficiali del governo cinese.

Nel 1898 le cose cambiarono ancora, e per il peggio. Con la Convenzione per l’estensione del territorio di Hong Kong, la Cina estendeva il dominio britannico non solo all’isola di Hong Kong ma anche alla penisola di Kowloon. Lì in mezzo c’era anche la città murata che, con una clausola, veniva esclusa dai territori inglesi. La città, così, si trovava in una situazione particolare: era un territorio governato dai cinesi nel bel mezzo di un territorio britannico. Una specie di Berlino Ovest cinquant’anni in anticipo.

La cosa, però, non è durata molto. I cinesi volevano che oltre agli ufficiali del governo, nella città murata potesse rimanere anche una piccola divisione dell’esercito, ma gli inglesi si opposero e minacciarono di assediare la città fino al ritiro delle truppe, che avvenne ma non interamente. Nel dicembre del 1899, per legalizzare la situazione della città murata, gli inglesi fecero una revisione unilaterale e mai approvata dal governo cinese della convenzione del 1898, inserendo anche la città murata dentro i propri possedimenti. Il governo cinese, naturalmente, protestò per l’allontanamento dei militari e per la revisione del patto, e ci sono testimonianze della volontà di recuperare il controllo della città murata, che però non si trasformò mai in azioni concrete.

Di fatto, nel giro di un anno la città murata di Kowloon era diventata una terra di nessuno. Gli inglesi, nonostante la città fosse un loro territorio, non se ne occupavano realmente per evitare imbarazzi diplomatici. E i cinesi, probabilmente per evitare un confronto diretto con i britannici, non facevano nulla per sostenere la loro vecchia fortezza. Nella città, dopo che anche gli ufficiali cinesi se ne erano andati, rimanevano solamente pochi cittadini. Meno di 500 persone.

Ma una terra di nessuno, senza governo, senza leggi e senza controlli, è un posto che interessa a molti. E nei successivi ottant’anni la città murata cresce fino ad accogliere più di 30mila persone. La seconda guerra sino-giapponese, la guerra mondiale e l’inizio della fase violenta della rivoluzione culturale cinese portano alla minuscola città murata un flusso costante di persone. Che vivevano, si organizzavano, costruivano e lavoravano in un territorio poco più grande di quattro campi da calcio.

La città murata, dal punto di vista architettonico, era incredibile. Essendo costretta dai confini del vecchio forte, la città è dovuta crescere in altezza invece che in larghezza. Mano a mano che le persone arrivavano a cercare rifugio, libertà o semplicemente un tetto a poco prezzo, nuove abitazioni venivano costruite una sopra l’altra. I palazzi, alti fino a 14 piani, erano una specie di arlecchino dell’edilizia: ogni appartamento era diverso dagli altri, un po’ più o un po’ meno sporgente, di colori e forme diverse. E tutti schiacciati uno a fianco all’altro, tanto che negli ultimi anni, dai piani più bassi delle case e dalle strade non c’era più modo di vedere il cielo (un utente di Reddit che ha vissuto nella città murata da bambino racconta che le strade erano «persino troppo sporche per poterci camminare»). Mentre Ridley Scott ci mostrava la faccia delle città del futuro in Blade Runner, la città murata di Kowloon ci assomigliava già parecchio.

Anche se inglesi e cinesi si disinteressarono della città murata, la città non era veramente priva di controllo: almeno fino agli anni Settanta, il potere in città era in mano alle organizzazioni mafiose, le triadi. Oltre ai rifugiati e ai poveri, infatti, la città era un posto sicuro dove fare cose illegali: prostituzione, droghe e gioco d’azzardo erano all’ordine del giorno. Dice il South China Morning Post che la città era così controllata dai criminali che i poliziotti non potevano entrarci se non in grossi gruppi. Le mafie, però, garantivano anche un certa sicurezza. E i cittadini lavoravano insieme come una comunità unita, costruendo a fianco delle attività illegali molte cose legali (o quasi). Il podcast 99% invisible racconta dell’unico ristorante della città murata, dove lo scarso l’igiene generale costringeva i cuochi a uccidere la carne di fronte ai clienti per assicurare loro che non fosse andata a male. E nella città c’erano anche alcune piccole industrie tessili e molti dentisti, ovviamente tutti senza licenza. Nel libro City of Darkness, che raccoglie fotografie e ricordi degli abitanti della città murata di Kowloon, lo scrittore di Hong Kong Leung Ping Kwan parla della città come «la cosa più vicina a una città auto sufficiente, auto regolante, auto determinante che sia mai stata costruita».

Nel 1987, quasi 100 anni dopo la convenzione che di fatto aveva creato la strana situazione della città murata di Kowloon, il governo cinese e il governo britannico hanno deciso di smettere di ignorare la questione e hanno avviato un processo per abbattere la città. Quasi tutti gli abitanti sono stati trasferiti in case popolari costruite appositamente e, per un intero anno, dal marzo del 1993 all’aprile del 1994 bulldozer e ruspe hanno demolito pezzo per pezzo la città murata di Kowloon. Al suo posto è nato il Kawloon Walled City Park, il parco della città murata di Kowloon, in cui sono rimaste solo le fondamenta di quella che era la più stramba e popolata città del mondo.

Differenza tra guelfi e ghibellini

Fonte: http://cultura.biografieonline.it/guelfi-ghibellini-differenze/

Guelfi-e-GhibelliniFin dai tempi della scuola abbiamo sentito parlare e studiato i guelfi e ghibellini di Firenze ma non tutti sanno che in origine i ghibellini erano, in Germania, una fazione politica opposta ai guelfi durante le lotte per la successione al trono di Enrico V nel XII secolo. Dopodiché i nomi di queste fazioni vennero prese dai gruppi fiorentini per distinguersi gli uni dagli altri, durante le lotte per la conquista del comune.

Per guelfi intendiamo quella fazione politica che sosteneva la supremazia pontificia nella lotta tra Impero e Papato per il dominio di Firenze. I guelfi erano della filosofia che solo il Papa potesse essere legittimato a governare, dal momento che era stato investito direttamente da Dio e solo lui aveva il potere di guidare gli uomini verso gli ideali di giustizia e di correttezza. In particolare distinguiamo i guelfi tra bianchi e neri.

Tra i sostenitori dei guelfi bianchi ci fu anche Dante Alighieri. Nei Sepolcri di Ugo Foscolo, Dante veniva indicato come il “ghibellin fuggiasco” poiché dopo un’appartenenza ai ghibellini si avvicinò anche lui all’idea di una convivenza pacifica tra Imperatore e Papa, come optavano i guelfi bianchi. Infatti i guelfi bianchi sostenevano il Pontefice ma in modo relativo, in quanto non escludevano un ipotetico governo effettuato anche con l’Imperatore mentre i guelfi neri erano invece schierati apertamente ed unicamente dalla parte del Papa che vedevano come l’unico soggetto capace di governare ed erano risoluti nella loro posizione estrema.

A differenza dei guelfi, i ghibellini erano da sempre i sostenitori fedeli dell’Imperatore. I ghibellini erano coloro che nella lotta tra Papato e Impero, sostenevano la causa e la supremazia dell’Imperatore, erano coloro i quali non volevano l’intromissione della Chiesa nella politica di Firenze ed inizialmente furono sostenuti dalle forze imperiali nella lotta contro la fazione opposta, quella dei guelfi. Ma dopo aver perso l’appoggio dell’Imperatore della dinastia Sveva, persero anche il loro potere, furono costretti a cedere le armi e vennero mandati in esilio.

Con la vittoria dei guelfi tutti i ghibellini furono esiliati da Firenze compreso lo stesso Dante Alighieri. I ghibellini da allora non rientrarono più nel panorama politico italiano di quel periodo storico. Solo nel tempo che risale al 500, il termine ghibellini venne riutilizzato per indicare la fazione politica che sosteneva il Sacro Romano Impero, mentre il termine guelfi venne legato a coloro che simpatizzavano per il potere Papale e del Regno di Francia.

James Dyson vuole ripulire i fiumi con la stessa tecnologia che ha reso famosi i suoi aspirapolvere

Fonte: http://www.improntaecologica.it/

1389James Dyson è l’inventore di quella che oggi è uno degli aspirapolvere più venduti al mondo e che ha rivoluzionato il mercato globale di questi elettrodomestici.
In particolare perché nel 1983 inventò il primo aspirapolvere al mondo senza sacchetto brevettando anche quella che è conosciuta come tecnologia ciclonica grazie alla quale, solo per mezzo delle forze centrifughe, si può separare lo sporco anche più piccole (come la polvere, appunto) dall’aria.
Orbene, ora James Dyson si è prefisso di utilizzare la stessa tecnologia, in chiave ovviamente più grande e appropriata, per ripulire i fiumi.
La sua idea prende il nome M.V. Recyclone ed è essenzialmente una chiatta fluviale a cui verrebbe agganciata una rete che raccoglierebbe i rifiuti in superficie e li passerebbe a dei trituratori che li sminuzzerebbero separandoli dall’acqua.
Raccontato in questo modo il progetto appare molto semplice, ma così non è affatto perché lo stesso Dyson ammette che resta ancora da capire come evitare di danneggiare tutta la vita acquatica (fauna e flora) che potrebbe essere impropriamente aspirata insieme con la spazzatura.
Fino a quel giorno, dunque, ci sarà solo un modo per mantenere i fiumi i più puliti possibile: utilizzare i tradizionali cestini dei rifiuti.

1° maggio festa dei lavoratori. ma cosa significa ?

Fonte: http://www.viareggino.com/news/2008/04/30/1-maggio-festa-dei-lavoratori-ma-cosa-significa/3642/1/

1° maggio festa dei lavoratori. ma cosa significa ?

Un salto nella storia attraverso il nostro ZOOM

Il primo maggio è la Festa dei Lavoratori.

Questa data è stata scelta per ricordare le lotte operaie, combattute per ottenere il diritto d’orario di 8 ore al giorno come limite legale dell’attività lavorativa.

“Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire”

Questo fu lo slogan coniato nel 1855 in Australia che rappresenta gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento.

Nel 1866 lo stato americano dell’Illinois fu il primo ad introdurre una legge in merito, ma l’effettiva applicazione era ancora difficile.
Il 1 maggio 1867, giorno dell’entrata in vigore di questa legge, per le strade di Chicago si tenne un grande corteo formato da più di diecimila lavoratori.
Soltanto il 1 maggio 1886 però si arrivò ad una svolta: 400mila lavoratori di 12mila fabbriche statunitensi si astennero dal lavoro per protestare contro la mancata tutela dei loro diritti, riconosciuti anni addietro nella legge mai applicata. Fu organizzata una nuova grossa manifestazione a Chicago, che si svolse pacificamente. Nei giorni successivi però si susseguirono scioperi e cortei, che alimentarono la tensione e portarono a scontri tra polizia e manifestanti, con il risultato che diverse persone morirono e altre furono ferite.
Per ricordare i “martiri di Chicago” si scelse come giorno simbolo il 1 maggio.
Nel 1890 a Parigi il congresso costitutivo della Seconda Internazionale decise di indire una manifestazione simbolica in tutti i Paesi e le città:

“Una grande manifestazione sarà organizzata per una data stabilita, in modo che simultaneamente in tutti i paesi e in tutte le città, nello stesso giorno, i lavoratori chiederanno alle pubbliche autorità di ridurre per legge la giornata lavorativa a otto ore e di mandare ad effetto le altre risoluzioni del Congresso di Parigi”.

Fu mantenuto il 1 maggio, data già carica simbolicamente.
Così avvenne quindi nel 1890 e l’evento, pur avendo scarsa organizzazione, radunò molti partecipanti e fu un successo.
Anche in Italia, nonostante i timori e i dubbi iniziali, la riuscita fu completa. Si decise così di ripeterlo anche nel 1891. Quindi il congresso dell’Internazionale decise di rendere permanente questa ricorrenza e di riconoscerla come “festa dei lavoratori di tutti i paesi, nella quale i lavoratori dovevano manifestare la comunanza delle loro rivendicazioni e della loro solidarietà”.

Il 1 maggio è cambiato nel tempo e ormai, fortunatamente, non è più sinonimo di lotte e morti, ma è importante ricordarne il significato simbolico e continuare a celebrare questo giorno.
In Italia è ormai diventata tradizione il grande concerto a cui partecipano esibendosi importanti cantanti che riunisce molti giovani in un clima di festeggiamento sereno.

In foto : Il Quarto Stato (1901) di Giuseppe Pellizza da Volpedo, rappresenta un gruppo di lavoratori scioperanti ed è diventato simbolo delle lotte sindacali. (Museo dell’Ottocento della Villa Reale di Milano)