«I miei anni nel carcere dell’Asinara»: la testimonianza di Carmelo Musumeci

Scritto da: monia Melis
Fonte: http://www.sassarinotizie.com/

«La cella sembrava una scatola di sardine», scrive Musumeci

SASSARI. È un groviglio di storie e di situazioni l’isola dell’Asinara: è stata sede di un lazzareto, di un carcere tristemente famoso e da quasi un anno Isola dei cassintegrati Vinyls, occupata in segno di protesta. Oltre al ruolo ufficiale di Parco nazionale, senza guida e strategia.
Carmelo Musumeci ha conosciuto e vissuto l’Asinara dell’era del carcere di Fornelli, da egastolano, negli anni ’90. Ecco il suo racconto in un’intervista domanda e risposta.

Le storie, una storia. Non è semplice contattare un detenuto, se non tramite la preziosa collaborazione dei volontari. Carmelo Musumeci ha vissuto in regime di 41 bis (legge n. 354 del 1975), il cosiddetto carcere duro ma ora si trova in regime di AS (alta sicurezza) e può quindi incontrare periodicamente i volontari. Grazie all’associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, al servizio del carcere di Spoleto, in Umbria, dove è recluso, SassariNotizie si è messa in contatto con Musumeci che è stato recluso nel carcere dell’isola dell’Asinara per cinque anni: dal 1992 al 1997. I reati per cui è stato condannato sono associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio, estorsione, detenzione di armi e altro. Le domande sono state inviate via e.mail attraverso Nadia Bizzotto che le ha presentate a Musumeci. Un messaggio in bottiglia che è passato attraverso le visite in carcere, di settimana in settimana, fino al file finale completo che vi proponiamo qui sotto senza nessun filtro. Una testimonianza dura, quella di Musumeci che ha raccolto anche in un libro: “Gli uomini ombra” il nuovo libro, pubblicato da Gabrielli Editori.

Quanto tempo è stato in regime di 41 bis nel carcere dell’isola dell’Asinara?
Nell’isola del Diavolo, come la chiamavo io, ci sono stato cinque anni.

Per quale reato? E in che anni?
Associazione a delinquere di stampo mafioso, omicidio, estorsione, detenzione di armi e altro. Ci sono stato dal 1992 al 1997.

Può raccontare una giornata tipo di quel periodo? In che anni è stato?
Posso raccontarvi la mia prima giornata nell’isola del Diavolo, che ho riportato in un libro scritto con Alfredo Cosco, l’amministratore principale del blog. “Urla dal silenzio”, libro che probabilmente non vedrà mai la luce perché troppo pericoloso per me e per l”Assassino dei Sogni. (come chiamo io il carcere)
Ecco la mia prima giornata tipo all’Asinara:

22 luglio 1992
La chiamavano l’Isola del Diavolo. Era di luglio faceva un caldo torrido. Ero arrivato nell’isola con gli elicotteri.
Non ero mai stato in elicottero, non avevo neppure mai preso un aereo. Appena sceso dall’elicottero mi presero in consegna le guardie. Mi scaraventarono in una gabbia allestita provvisoriamente al centro del campo sportivo davanti alla famigerata sezione Fornelli. Notai subito che non c’era muro di cinta. Non serviva. Eravamo in un’isola. Il mare era il muro di cinta. Tre elicotteri, per portare i detenuti nell’isola, facevano avanti e indietro da Porto Torres all’Asinara.
La sera i viaggi dell’elicottero finirono di scaricare carne umana.
La gabbia era piena. Eravamo schiacciati come sardine.
Avevamo una sete tremenda.
Ci diedero solo una bottiglia d’acqua a testa.
Ci urlarono. – Se la finite subito, peggio per voi… ve ne spetta solo una al giorno.
Ad un tratto i senzanima si schierarono a destra e a sinistra lasciando un corridoio nel mezzo che portava dritto dentro il carcere. Le guardie avevano scudi in plexiglass e manganelli nelle mani. Mi guardai intorno. Ero già esperto di carcere.
Ad alcuni prigionieri vicino a me sussurrai:
– Appena aprono il cancello, correte più che potete e qualsiasi cosa vi accade non vi fermate fin quando non vi troverete chiusi in una cella.
Notai subito che la maggioranza dei compagni che avevo intorno non erano svegli.
Erano detenuti mafiosi alla loro prima esperienza carceraria.
Non erano come i delinquenti abituati fin da minorenni alle esperienze dei riformatori e ai carceri minorili.
I prigionieri mafiosi erano forti fuori, ma deboli in carcere.
In galera subivano e non si ribellavano mai.
Fuori erano dei boss abituati a comandare, dentro se la facevano sotto dalla paura. In galera sei solo contro tutti e non hai armi a parte il tuo coraggio.
Se vuoi sopravvivere, devi dimostrare quanto vali.
Io invece sono stato un ribelle sociale e ho sempre lottato sia contro la mafia sia contro lo Stato. Per me i due poteri erano la stessa cosa. Pensavo che per tanti anni la mafia e lo Stato fossero andati d’accordo ora invece si stavano bisticciando fra di loro. E ci stavo andando di mezzo io e qualche altro criminale onesto. Cercavo di proteggermi la testa, ma le manganellate arrivarono proprio lì. Ad un tratto sentii un colpo secco in testa accompagnato da una fitta tremenda di dolore, sbandai come un ubriaco. Proprio mentre stavo per cadere mi sentii afferrare per il collo della maglietta. Era un mio amico che riuscì a trascinarmi con sé. Arrivammo dritti nel corridoio della sezione.
Le celle erano già aperte. Man mano che le celle si riempivano le guardie chiudevano il cancello e sbattevano il blindato.
Alla prima che vidi vuota mi ci infilai dentro al volo.
Il mio amico fece altrettanto con quella accanto.

Può descrivere anche fisicamente i luoghi della sua detenzione nel carcere dell’Asinara?
La cella sembrava una scatola di sardine. Un fazzoletto di cemento, con la branda piantata al pavimento.
Un tavolino di pochi centimetri inchiodato al muro.
Una finestra con doppie sbarre. Una porta blindata spessa una spanna. Un bagno turco aperto senza nessuna riservatezza.
A lato un piccolo lavandino. Lo spazio nella stanza era minimo e a mala pena riuscivo a stare in piedi e potevo fare giusto qualche passo avanti e indietro. Le celle dell’Assassino dei Sogni dell’Asinara erano allocate nella parte meno illuminata della prigione. Più che celle sembravano tombe. L’aria sapeva di chiuso e di muffa. Mancava l’aria e la luce.
Dalla finestra della cella si poteva vedere solo una fetta di cielo, la parte più alta.
Nella finestra c’erano doppie file di sbarre e poi per completare l’opera una rete metallica fitta. L’acqua non era potabile e veniva giù marrone.

Ho letto che nel carcere dell’Asinara lei ha studiato.
Ho studiato per non impazzire, quando oltre al regime di tortura del 41 bis mi hanno applicato anche l’isolamento diurno, restando isolato da tutti e da tutto 24 ore su 24.
Ho studiato per corrispondenza perché non potevo ricevere libri e il mio tutore, Giuliano Capecchi, maestro in pensione, mi mandava qualche pagina di libro dentro le lettere.

Quali erano le sue attività?
Nessuna. A quel tempo il regime di tortura del 41 bis non prevedeva nessuna attività culturale, sportiva, lavorativa.

Conosceva l’isola e il carcere prima?
No!

Negli anni in cui è stato lei chi erano i detenuti illustri?
I detenuti illustri si sono subito pentiti e sono diventati collaboratori di giustizia.

Come si viveva?
Da cane in un canile.

Il rapporto con le guardie penitenziarie?
Come il carnefice con la vittima.

C’erano detenuti sardi?
Purtroppo non c’erano detenuti sardi perché se ci fossero stati forse le guardie per paura di rappresaglie locali non avrebbero fatto quello che hanno fatto.
Solo per un breve periodo ci sono stati due detenuti sardi nel carcere dell’Asinara.

Quali differenze tra il carcere dell’Asinara e gli altri?
Il giorno con la notte.

Che significa vivere in regime di 41 bis?
Essere torturato giorno e notte e non lo dico solo io, ma lo dice pure un famoso Procuratore di Palermo.
In questi giorni ho letto che un procuratore della direzione distrettuale antimafia di Palermo al convegno nazionale del SEAC ha dichiarato: “Non vanno toccati né il 41 bis né l’ergastolo (…) E’ storia che tutti i collaboratori di giustizia erano ergastolani, solo l’ergastolo ha costituito la molla che li ha spinti a collaborare” (Fonte: 43° Convegno Nazionale 2010 “Il crimine organizzato e l’ergastolo”).
Da un’altra parte ho letto: “I detenuti sottoposti al regime del carcere duro (41 bis) si uccidono con una frequenza 4,45 volte superiore al resto della popolazione carceraria” (Fonte: Ristretti Orizzonti). Ecco perché sono contento di essere quello che sono e di non essere una persona “perbene” come questo procuratore che, nonostante qualche morto, ritiene utile sia l’ergastolo che il carcere duro.

C’è chi propone di far diventare il carcere dell’Asinara un museo e chi addirittura vorrebbe farne un albergo o una struttura ricettiva. Cosa ne pensa?
Vorrei che diventasse un museo per ricordare a tutti cosa è stato l’Asinara. Si sa molto su cosa è accaduto cento, cinquecento, mille anni fa, ma si sa pochissimo su cosa è accaduto venti, dieci, cinque anni fa e non si sa nulla di quello che sta accadendo adesso.
Concludo con un breve brano sempre tratto dal libro che ho scritto con Alfredo Cosco sull’Asinara.

Nel giro di poche settimane i detenuti si adattarono a qualsiasi angheria. E per le guardie diventarono come dei giocattoli.
I senzanima ci trattavano come bestie. Ci torturavano, ci annientavano e ci umiliavano ma noi non reagivamo.
Alle guardie non erano mai capitati dei detenuti così docili e ne approfittarono. Molti di noi piuttosto che reagire decisero di diventare pentiti.
Alcuni mafiosi di spessore arrivarono nell’isola e dopo pochi giorni andavano via come collaboratori di giustizia.
Molti di loro si sentivano morti. Io mi sentivo ancora vivo.
Io resistevo, non avevo nulla di cui pentirmi. Non mi sentivo in colpa verso la società. Mi sentivo in colpa solo verso la mia compagna e i miei figli per averli lasciati soli.
Non avevo nulla da rimproverarmi. Avevo sempre rischiato del mio. Non avevo mai rischiato la vita degli altri. Nel mio modo di vedere era sbagliato uscire dal carcere mettendo un altro al posto mio. Non l’avrei mai fatto.

Il libro si intitola “Gli uomini ombra”, edito da Gabrielli Editori.
Si ringrazia per la collaborazione Nadia Bizzotto.

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