Ricordando il Challenger

Scritto da: Giulia Bonelli
Fonte: http://www.media.inaf.it/2016/01/28/ricordando-il-challenger/

Il 28 gennaio 1986, pochi secondi dopo il decimo decollo, il tragico incidente che causava la morte dei sette membri dell’equipaggio. Ma del Programma “Space Shuttle” della NASA resta oggi una grande eredità

L'equipaggio della missione STS 51L tragicamente scomparso in seguito all'esplosione dello Space Shuttle Challenger, il 28 gennaio 1986. Da sinistra a destra: Christa McAuliffe e Gregory B. Jarvis (Payload Specialist), Judith A. Resnik (Mission Specialist), Francis R. Scobee (Comandante), Ronald E. McNair (Mission Specialist), Michael J. Smith (Pilota), Ellison S. Onizuka (Mission Specialist). Crediti: NASA

L’equipaggio della missione STS 51L tragicamente scomparso in seguito all’esplosione dello Space Shuttle
Challenger, il 28 gennaio 1986. Da sinistra a destra: Christa McAuliffe e Gregory B. Jarvis (Payload Specialist), Judith A. Resnik (Mission Specialist), Francis R. Scobee (Comandante), Ronald E. McNair (Mission Specialist), Michael J. Smith (Pilota), Ellison S. Onizuka (Mission Specialist). Crediti: NASA

La mattina del 28 gennaio 1986 la costa di Cape Canaveral, in Florida, è affollata di turisti, curiosi, appassionati. Migliaia di occhi, allineati lungo le strade,  sono puntati nella stessa direzione: la base di lancio del Kennedy Space Center da cui avverrà il lift-off.

All’accensione dei motori il silenzio è improvviso, ma dura pochissimi istanti: subito, mentre la sagoma maestosa del Challenger si alza verso il cielo per la decima volta, tra la folla si diffonde un gigantesco applauso. L’entusiasmo dura poco: 73 secondi dopo il lancio è già finito, il silenzio cala di nuovo, improvviso, sulle strade di Cape Canaveral. La tragedia, vissuta in mondovisione, è trasmessa in diretta dalla CNN.

Il Challenger, coinvolto in quella che sulle prime sembra un’esplosione (si scoprirà dopo che la dinamica dell’incidente fu più complessa) finisce in pezzi e i resti precipitano nell’oceano, sparpagliati in un’area vasta quasi 2mila km quadrati. Per i sette membri dell’equipaggio non c’è nulla da fare. E’ il primo incidente di questa portata per il programma spaziale americano dai tempi dell’Apollo 1 nel 1967.

Il decollo dello Space Shuttle Challenger nella sua prima missione. Crediti: NASA

Il decollo dello Space Shuttle Challenger nella sua prima missione. Crediti: NASA

Più tardi verrà appunto appurato che lo Shuttle, il cui lancio era stato rinviato più volte dal previsto 22 gennaio per una serie di inconvenienti tecnici concatenati al maltempo, non era davvero esploso. La prima causa del disastro fu il guasto a una guarnizione (O-ring) del segmento inferiore del razzo a propellente solido, che provocò la disintegrazione del serbatoio esterno dello shuttle. Questo a sua volta ha causato il distacco della cabina dell’equipaggio, mentre i due razzi SRB continuavano separatamente a ‘volare’.

L’aspetto più terribile, appurato solo in seguito, è che almeno qualche membro dell’equipaggio doveva essere ancora vivo e cosciente dopo la rottura dello shuttle: lo dimostra l’attivazione di tre delle sette riserve di ossigeno di emergenza dei caschi degli astronauti. Ciò che invece è stato sicuramente fatale è l’impatto della cabina con l’oceano, uno schianto avvenuto a circa 333 Km/h. La tragedia del Challenger segna una battuta d’arresto dello Space Shuttle Programme, che si ferma per oltre due anni.

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